Approfondimento: Il periodo Kamakura – L’ascesa dei samurai

Il periodo Kamakura è un’era di notevole importanza nella storia del Giappone. Esso infatti segna l’avvento dei samurai, la casta guerriera, e l’istituzione del feudalesimo nel paese del Sol Levante. Inoltre, in questi anni ci fu uno sviluppo delle arti, con capolavori letterari come lo Heike Monogatari o lo Shin Kokin Wakashū.

La capitale Kamakura

photo credits: khanacademy.org

Il Periodo Kamakura viene fatto iniziare nel 1185, quando Minamoto no Yoritomo prese il potere. Infatti, quest’ultimo stabilì ufficialmente la sede dello shogunato e la capitale a Kamakura, sua città natale, nel 1192. La città divenne quindi il centro dell’attività politica e culturale e ci si riferisce a questo governo come “lo shogunato Kamakura”. La fine di quest’epoca coincise con la distruzione del governo feudale nel 1333 e la temporanea istituzione dell’imperatore Go Daigo.

Lo shogunato

photo credits: gaijinpot.com

Minamoto no Yoritomo chiamò il suo shogunato “bakufu”, ovvero governo della tenda. Yoritomo seguì l’esempio della famiglia Fujiwara, di epoca Heian, nella gestione del potere. Inoltre, una volta assicurato il controllo sulle province del Giappone centrale e occidentale, nominò dei funzionari che distribuì nei territori assoggettati.

Alcuni di questi funzionari erano chiamati shugo e avevano il compito di amministrare le province dello shōgun. Da questa classe sociale derivano proprio i daimyō, nel XV secolo. Questi ultimi, infatti, stanchi di servire come semplici governatori dello shōgun, iniziarono a rivendicare sempre più potere per sé stessi, ammassando immense forze militari.

La famiglia Hōjō

photo credits: wikipedia.org

Tuttavia, Yoritomo non seppe mantenere stabile il suo dominio e, alla sua morte, si creò un vero e proprio vuoto di potere. Infatti, il reggente dello shōgun, lo shikken Hōjō Tokimasa, prese le redini del governo, togliendo qualsiasi potere alla figura shogunale. Sotto il dominio degli Hōjō, la corte imperiale fu posta sotto il diretto controllo dello shogunato, e l’imperatore venne privato di qualsiasi potere politico.

Inoltre, la classe militare, rappresentata dai signori delle province, crebbe sempre più in importanza e in autorità. Simbolo della militarizzazione della società è la stesura, nel 1232, del primo codice di legge militare della storia del Giappone, il Goseibai Shikimoku.

photo credits: wikiwand.com

 

Le invasioni mongole

photo credits: wikipedia.org

Durante il periodo Kamakura, si verificarono le due tentate invasioni del Giappone ad opera dei mongoli, una nel 1274 e l’altra nel 1281. Furono eventi sensazionali, di straordinaria importanza. I mongoli riuscirono ad arrivare in Giappone e combattere l’esercito shogunale, che subì molte perdite.

Tuttavia, dopo poco tempo dal loro arrivo, le navi mongole, in entrambe le occasioni, furono spazzate via da violenti tifoni. I preti shintō attribuirono questi eventi al “vento divino”, o kamikaze, che aveva protetto il Giappone. Nonostante ciò, le conseguenze di queste invasioni furono decisive per il declino, e, in ultimo, la dissoluzione del bakufu di Kamakura.

La guerra civile e la caduta dello shogunato

photo credits: nextstopasia.tumblr.com

Dopo le invasioni, gli Hōjō dovettero affrontare una guerra civile. Lo stato aveva speso ingenti somme di denaro per difendersi dai mongoli. Inoltre, molti nobili erano insoddisfatti: avevano aiutato il governo con la promessa che quest’ultimo li avrebbe ricompensati con terre e denaro. Invece, lo shogunato non donò ricompense a nessuno.

Nel 1331 gli Hōjō esiliarono Go Daigo, l’imperatore che si era ribellato, ma le forze lealiste insorsero e presero il potere nel 1333. Il periodo che segue è detto “Restaurazione Kenmu”. Qui, l’imperatore fece una serie di riforme per ristabilire la supremazia della corte sul dominio militare. Tuttavia, i successivi sviluppi videro la presa di potere di un’altra linea di shōgun, quella degli Ashikaga.

Arte

photo credits: sworld.co.uk

Nel periodo Kamakura ci fu un generale cambiamento negli stili artistici e nei temi delle opere, che riflettono la natura travagliata di quegli anni. Ad esempio, l’Hōjōki descrive, in termini buddhisti, il concetto di impermanenza delle cose mondane, tutte destinate a svanire.

Allo stesso modo, lo Heike Monogatari narra della storia della famiglia Taira, concentrandosi sui racconti di guerra e di samurai. Inoltre, le raccolte di antologie di poesie giapponesi, come lo Shin Kokin Wakashū. prodotto nel XIII secolo, continuarono ad avere molta popolarità.

La scultura divenne una delle arti principali e fu caratterizzata da uno stile molto realistico. Lo stile realista Kamakura venne fuso con la più elegante arte Nara per dare vita ad opere eccezionali. Una di queste è quella dell’artista Kōkei, ovvero la grandiosa statua in bronzo dell’Ammitabha Buddha del tempio Kōtokuin di Kamakura, del XIII secolo.

I tempi travagliati influenzarono anche la pittura, anch’essa molto realista, i cui temi iniziarono a riguardare la rappresentazione di spettri e degli inferni buddhisti.

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News & Curiosità: Rooftop gardens a Tokyo, ecco i migliori

I rooftop gardens sono oasi di verde che si trovano sulla cima di edifici come centri commerciali e grattacieli. Non tutti sono a conoscenza di questi piccoli spazi segreti di natura, il che li rende posti perfetti per rilassarsi all’ombra e godersi un momento di relax lontani dalle masse. In questo articolo ve ne suggeriamo alcuni, in modo che possiate già inserirli nel vostro itinerario per un futuro viaggio a Tokyo.

Per chi non la conosce bene o per chi ci si reca per la prima volta, Tokyo può apparire una città caotica: file e file di grattacieli ed edifici che si stagliano alti nel cielo ostruendo la visuale, treni della metropolitana carichi di persone, incroci stradali larghi e trafficati a sfondo di una fiumana di gente che si dirige senza sosta in ogni direzione. Per fortuna esistono numerosi luoghi per sfuggire a tutta questa confusione, ma sempre rimanendo all’interno della città: stiamo parlando dei rooftop gardens.

Tokyu Plaza Omotesando Harajuku – Omohara Forest

Indirizzo: 4-39-3 Jingumae, Shibuya-ku, Tokyo
Contatti: omohara.tokyu-plaza.com/en
Orari: il giardino è aperto dalle 8.30 alle 21
Come arrivarci: scendere alla stazione di Meiji Jingumae con le linee Chiyoda/ Fukutoshin; scendere alla stazione di Harajuku con la linea JR Yamanote; scendere alla stazione di Omotesando con le linee Chiyoda/Hanzomon/Ginza

Photo credits: japantravel.com

Situato tra i quartieri giovanili e alla moda di Harajuku e Omotesando, questo giardino è al sesto piano del centro commerciale Tokyu Plaza: famoso per il suo ingresso dai numerosi specchi a effetto caleidoscopico, l’edificio ospita numerosi negozi famosi oltre a vari caffè e ristoranti. La sera il giardino viene illuminato, e diventa quindi l’occasione perfetta per scattare qualche foto al panorama notturno di Harajuku.

Ginza Six – Ginza Six Garden

Indirizzo: 6-10 Ginza, Chuo-ku, Tokyo
Contatti: https://ginza6.tokyo.e.abf.hp.transer.com/contact
Orari: il giardino è aperto dalle 7 alle 23
Come arrivarci: scendere alla stazione di Ginza con le linee Ginza, Marunouchi, Hibiya

Photo credits: timeout.com

Il quartiere di Ginza è noto per la sua atmosfera di eleganza e alta classe. All’ultimo piano del celebre centro commerciale Ginza Six si trova un giardino di ben 4000 metri quadri, il più grande di tutta la zona; al suo interno si possono trovare numerose panchine in cui rilassarsi, un piccolo tempio, alberi e vegetazione che cambiano in base alla stagione.

Miyashita Park

Indirizzo: Blocco sud: 1-26 Shibuya, Shibuya-ku, Tokyo. Blocco nord: 6-20 Jingumae, Shibuya-ku, Tokyo
Contatti: https://www.miyashita-park.tokyo/
Orari: il parco apre dalle 8 alle 23
Come arrivarci: scendere alla stazione di Shibuya con le linee JR/Ginza/Hanzomon/Fukutoshin/Inokashira/Denentoshi/Toyoko

rooftop gardens

Photo credits: archello.com

Il parco di Miyashita venne inizialmente realizzato nel 1930 per poi essere rimodellato in preparazione dei Giochi Olimpici di Tokyo del 1964; successivamente, nel 2011, venne utilizzato come campo parco sportivo dove potersi dedicare allo skateboarding e al bouldering; nel 2020 l’edificio è stato ulteriormente rinnovato ed è nato il Miyashita Park: un complesso a 3 piani comprendente anche un hotel e il parco sul tetto. Nel parco è ancora possibile trovare le pareti da bouldering e l’area dove potersi esercitare con lo skateboard, ma sono stati aggiunti anche caffè e spazi erbosi dove potersi rilassare.

Rooftop gardens a Tokyo: Shibuya Parco Rooftop Park

Indirizzo: 15-1 Udagawacho, Shibuya-ku, Tokyo
Contatti: https://shibuya.parco.jp.e.aiv.hp.transer.com/info/facilities/
Orari: il centro commerciale è aperto dalle 11 alle 20
Come arrivarci: arrivare alla stazione di Shibuya con le linee Yamanote/Ginza e prendere l’uscita Hachiko; con la linea Hanzomon prendere le uscite 6 o 7

Photo credits: parco.co.jp

Al nono piano del centro commerciale Shibuya Parco troviamo un ampio spazio verde che comprende anche un’area eventi chiamata Garden Stage in cui poter godere di musica dal vivo o fare shopping nella zona market con vari stand che vendono cibo o oggetti di artigianato.

Seibu Ikebukuro Main Store – Rooftop Garden

Indirizzo: 1-28-1 Minami-Ikebukuro, Toshima-ku, Tokyo
Contatti: https://www.sogo-seibu.jp/ikebukuro/
Orari: il centro commerciale apre dalle 10 alle 21
Come arrivarci: arrivare alla stazione di Ikebukuro con le linee JR/Seibu Ikebukuro/ Tobu Tojo/Marunouchi/Yurakucho e prendere l’uscita Est.

Photo credits: lightdesign.jp

Al nono piano di uno dei centri commerciali più affollati di tutta Tokyo, il Seibu di Ikebukuro, troviamo un’ampia terrazza in cui potersi distrarre dallo shopping: al suo interno vi è persino un piccolo laghetto ispirato alle opere di Monet, oltre a numerosi posti per sedersi con comodità magari gustando uno spuntino.

Rooftop gardens a Tokyo: Meguro Sky Garden

Indirizzo: 1-9-2 Ohashi, Meguro-ku, Tokyo
Contatti: https://www.city.meguro.tokyo.jp/shisetsu/shisetsu/koen/tenku.html
Orari: dalle 7 alle 21
Come arrivarci: stazione di Ikejiri Ohashi con la Denentoshi line

rooftop gardens tokyo

Photo credits: tripadvisor.com

Tra tutti i giardini che abbiamo visto fino ad adesso, di sicuro il Meguro Sky Garden è quello con la posizione più inusuale, infatti si trova in cima alla Superstrada metropolitana di Tokyo; dalla forma circolare e con una circonferenza di 400 metri,ospita più di 1000 alberi tra cui pini e ciliegi; vi sono inoltre un’area giochi per bambini, un giardino giapponese e un boschetto di bambù.

Tokyo Midtown Hibiya – Park View Garden

Indirizzo: 1-1-2 Yurakucho, Chiyoda-ku, Tokyo
Contatti: www.hibiya.tokyo-midtown.com
Orari: il giardino è aperto dalle 8 alle 23
Come arrivarci: scendere alla stazione Hibiya con le linee Hibiya/Chiyoda/Mita; scendere a Ginza con le linee Ginza/Marunouchi/Hibiya ; scendere alla stazione Yurakucho con le linee Yamanote/Keihin-Tohoku/Yurakucho.

Photo credits: japantravel.com

Vicino al parco di Hibiya e al Palazzo Imperiale, il complesso Tokyo Midtown Hibiya è stato costruito nel 2018 ed è “fratello” del Tokyo Midtown Roppongi. Tra gli uffici e i negozi all’interno della costruzione, al sesto piano è possibile trovare un ampio spazio in cui passare del tempo tranquilli: l’architettura in legno e la vegetazione sono incorniciate dalle vetrate del palazzo e sullo stesso piano si trovano anche due ristoranti.

Atrè Ebisu – Ebisu Green Garden

Indirizzo: 1-5-5, Ebisu-Minami, Shibuya-ku, Tokyo
Contatti: https://www.atre.co.jp.e.ww.hp.transer.com/store/ebisu
Orari: da novembre a febbraio dalle 10 alle 17
Come arrivarci: scendere alla stazione di Ebisu con le linee Yamanote/Hibiya/Saikyo

rooftop gardens tokyo

Photo credits: timeout.com

Un piacevole spiazzo di verde al settimo piano del centro commerciale Atrè Ebisu. Ourcgè non ci siano alberi è molto particolare in quanto offre una varietà di fiori e piante molto variegata.

Rooftop gardens a Tokyo: Ark Hills – Ark Garden

Indirizzo: 1-12-32 Akasaka, Minato-ku, Tokyo
Contatti: www.arkhills.com
Orario: dalle 8 alle 21
Come arrivarci: prendere l’Uscita 3 alla stazione Roppongi-Itchome con la linea Namboku

rooftop gardens

Photo credits: arkhills.com

Una serie di terrazze collegate tra loro formano il complesso giardino dell’Ark Hills Garden: creato circa 30 anni fa, a seconda dei giardini che lo compongono cambiano il tema e le piante che vi si trovano. Aperto solo in primavera e in autunno.

Ispirazione: timeout.com

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News & Curiosità: I konbini, i negozi aperti 24h presenti in tutto il Giappone

I convenience store, o konbini, come sono popolarmente conosciuti oggi, sono ormai diventati fondamentali nel panorama commerciale giapponese contemporaneo. Il grande aumento del numero dei negozi, i loro orari e la varietà dei servizi e prodotti offerti li hanno resi quasi un’istituzione. Ma quali sono i fattori che hanno contribuito al loro sviluppo?

Da quando questa tipologia di negozi sono stati introdotti in Giappone verso la fine degli anni ‘60, un’intera generazione di consumatori è cresciuta con i suoi servizi. Per molti di loro i konbini sono diventati essenziali come l’aria che respiriamo ed è difficile immaginare la loro vita senza questi negozi. Un caso eclatante fu quello del famoso giocatore di calcio che ha militato anche in Serie A, ossia Nakata Hidetoshi. Pensate, infatti, che Nakata, quando era ancora in attività, ammise in alcune interviste che una scomodità del vivere all’estero era proprio la mancanza dei konbini.

Negli anni precedenti, tuttavia, era molto difficile trovare dei konbini nelle aree più montuose e isolate del paese. Questo perché naturalmente il basso numero di abitanti e gli alti costi del trasporto rendevano complicata una loro apertura. In ogni caso, oggi molte compagnie si sono attrezzate per arrivare in queste aree attraverso delle unità mobili.

La nascita del termine “konbini”

Se da una parte la vita delle persone fu influenzata dall’introduzione di questa tipologia di negozio, dall’altra il loro modo sempre nuovo di utilizzare i suoi servizi influenzò il suo sviluppo. Inizialmente il termine di riferimento era “konbiniensu sutoa” (dall’inglese “convenience store”), introdotto per la prima volta nel ’70 dal giornale Asahi. Dopo qualche anno, le due parole furono unite ed indicavano un piccolo negozio che vendeva articoli di prima necessità e aperto per molte ore. E’ solo durante gli anni ’80 però che possiamo vedere un primo cambiamento sostanziale. In quel periodo, infatti, solo la prima parola “konbiniensu” era utilizzata spesso in libri, articoli di giornale e in TV. Dopodiché, agli inizi degli anni ’90 il numero di questi negozi arrivò a toccare le 40.000 unità in tutto il Giappone, diventando sempre più importante. Così, il termine konbini entrò ufficialmente nel linguaggio popolare.

I konbini oggi

Il numero dei negozi, quindi, aumentò esponenzialmente, arrivando a superare oggi i 56.000 punti vendita in tutto il Giappone. Una delle ragioni del successo è stata sicuramente la loro politica di marketing, che gli ha permesso di andare incontro alle richieste di ogni cliente. Molti giovani, infatti, passano tanto tempo all’interno dei konbini per rilassarsi, giocare o mangiare durante la pausa pranzo.

Allo stesso tempo, è aumentato in maniera esponenziale anche il numero di clienti più anziani. Le cause possono essere rintracciate nei cambiamenti socioeconomici che hanno colpito il Giappone negli ultimi anni e hanno portato sempre più anziani a rimanere soli. Pertanto, in una situazione del genere un konbini vicino casa risulta essere molto comodo per loro. Oggi, infatti, a qualunque ora i clienti possono comprare un pasto, pagare una bolletta, inviare fax o ritirare soldi dal proprio conto corrente. Non sorprende, quindi, che per molti il konbini sia ormai un’infrastruttura fondamentale su cui poter contare in ogni momento.

photo credits: wego.com

Nuovi timori portati dal loro sviluppo

Come abbiamo visto, lo sviluppo dei konbini ha fornito un grande supporto ad un sempre maggior numero di persone. Allo stesso tempo, però, sono nati nuovi discorsi e preoccupazioni riguardo la loro espansione. Uno di questi riguarda sicuramente la possibile introduzione nel mercato giapponese di prodotti esteri portati dalle grandi compagnie americane che possiedono questi negozi. Tuttavia, oggi i konbini seguono una linea di prodotti principalmente giapponesi e, quindi, non possiedono molti prodotti esteri. Oltre a questo, sono spesso criticati per la cattiva qualità del cibo offerto, non in grado, secondo molti, di contribuire alla salute del corpo.

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Approfondimento: Il periodo Heian - Apogeo della cultura giapponese

Il periodo Heian fu una delle epoche più importanti e culturalmente ricche della storia giapponese. La cultura aristocratica e la produzione letteraria e artistica raggiunsero il loro periodo di apogeo grazie a capolavori come il Genji Monogatari. Inoltre, proprio in questi anni si andò a delineare l’ascesa al potere della classe sociale dei bushi, i guerrieri giapponesi, noti anche come samurai.

Heyankyō, la nuova capitale

Il periodo Heian inizia con lo spostamento della capitale ad Heiankyō, l’attuale Kyōto, nel 794 d.c. ad opera dell’imperatore Kanmu. La fine di quest’epoca coincise con la presa di potere, nel 1185 d.c., di Minamoto no Yoritomo, il primo shōgun del Giappone.

photo credits: wikipedia.org

La posizione strategica della città fu uno dei motivi per cui fu scelta: era vicina ad un fiume che sfociava nel mare. Inoltre, poteva essere raggiunta facilmente dalle province orientali via terra. Per questa ragione, Kyōto rimase la capitale del Giappone per circa mille anni.

Così come era successo con la precedente capitale, Nara, anche Heian venne modellata sulla base di Chang’an, l’antica capitale cinese, oggi Xi’an. Tuttavia, la nuova sede della corte imperiale era più grande e articolata.

Nel primo periodo Heian, l’imperatore Kanmu continuò a perseguire una politica basata sul sistema cinese della dinastia Tang, attraverso le riforme del codice Ritsuryō. Tuttavia, con il passare del tempo gli equilibri di potere mutarono e l’Imperatore finì per perdere molto del suo potere.

La famiglia Fujiwara

photo credits: japantimes.co.jp

Il declino del potere dell’Imperatore ebbe inizio con la crescente influenza che la famiglia Fujiwara deteneva a corte. I Fujiwara erano infatti riusciti ad unire, attraverso matrimoni combinati, la propria famiglia con quella imperiale. Di conseguenza, vari esponenti Fujiwara riuscirono ad acquisire ruoli di potere all’interno dello stato, diventando persino reggenti dell’Imperatore.

La loro ricchezza crebbe inesorabilmente e finirono per avere completo controllo sulla corte, grazie soprattutto all’abilità del loro membro, Fujiwara no Michinaga. Infatti, i Fujiwara, tra i vari poteri che avevano ottenuto, potevano detronizzare l’imperatore in qualunque momento e metterne un altro al suo posto.

photo credits: japanwondertravel.com

In questo periodo, l’aristocrazia si occupò in principal modo della gestione terriera, concentrandosi sulla ricchezza delle proprie famiglie. Il Giappone aveva perso quel senso di unità che lo aveva caratterizzato negli anni precedenti.

La classe militare

La presa di potere delle famiglie aristocratiche coincise con la formazione di una nuova classe sociale, i bushi. I proprietari terrieri infatti si dotarono di forze di polizia locali per proteggere loro stessi e i propri domini, in modo del tutto indipendente dall’autorità imperiale. Di conseguenza, le classi sociali privilegiate che risiedevano all’interno dei domini degli aristocratici divennero parte di una nuova élite militare, i samurai.

photo credits: japantravel.com

Queste famiglie militari gravitavano attorno ai nobili aristocratici che possedevano i terreni nelle quali si trovavano. I Fujiwara, il clan dei Taira e quello dei Minamoto erano solo alcune tra le famiglie aristocratiche che erano supportate da questi guerrieri.

Con il tempo, i Fujiwara persero il potere a corte e vennero gradualmente sostituiti dai Taira. Tuttavia, questi ultimi furono attaccati dai Minamoto, che presero il potere nel 1185. Minamoto no Yoritomo, il nuovo generale regnante, creò il sistema feudale che avrebbe caratterizzato il Giappone per i successivi sette secoli, il bakufu o shogunato.

La religione

Il periodo Heian vide l’avvicendarsi di innumerevoli innovazioni dal punto di vista culturale. In primis, ci fu uno sviluppo considerevole del buddhismo, che portò alla creazione di due nuove sette, ovvero la Tendai e la Shingon.

photo credits: freemansauction.com

La prima ottenne grande successo, in quanto promuoveva principi che favorivano la legittimazione del potere imperiale. Non a caso, lo stesso Imperatore Kanmu era un grande seguace e patrono di questa setta.

La setta Shingon, invece, si distingueva per il suo largo uso di poesia, calligrafia e scultura. Entrambe le sette cercavano, attraverso i loro insegnamenti, di connettere lo stato e la religione, cercando l’appoggio dell’aristocrazia per una sorta di “buddhismo aristocratico”.

La letteratura

L’introduzione dei due alfabeti sillabici giapponesi fu molto popolare all’interno della letteratura di questo periodo. Inoltre, vennero creati nuovi generi, come quello del romanzo e del saggio narrativo.

photo credits: wikimedia.org

Il romanzo più famoso è sicuramente il Genji Monogatari (Il racconto di Genji) della scrittrice Murasaki Shikibu, composto tra il 1000 e il 1012. Quest’opera viene considerata da molti come uno dei primi romanzi nel mondo e continua ad ispirare molti artisti della nostra epoca. Il romanzo narra delle avventure amorose di Genji, un figlio dell’Imperatore del Giappone, che ha perso la madre in tenera età. Il protagonista cercherà questa figura materna per tutta la vita, cercando di riempire il suo vuoto tratteggiando la figura di una donna ideale, eterea.

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Approfondimenti: Torii, I simboli del Giappone

In questo articolo andiamo alla scoperta di un altro iconico simbolo della cultura giapponese. A chi non è mai capitato di vedere qualche immagine ritraente tal struttura a due colonne sormontata da un grande architrave, magari di un bel rosso vermiglio? Se ancora non la conoscete, vi sarete chiesti cosa sia mai…presto fatto! Proseguite nella lettura per scoprirlo.

I simboli del Giappone: il Torii

Che cos’è dunque e cosa rappresenta questa peculiare struttura così evidentemente caratteristica del Sol Levante? Si tratta del Torii (鳥居) e non è altro che un portale di accesso a un’area sacra. Rappresenta un punto di passaggio simbolico fra sacro e profano, mondo umano e divino, e come tale collocato sul cammino che conduce all’interno dei luoghi sacri. Spesso lo si trova adornato con la shimenawa – corda sacra con appesi gli shide (四手), caratteristiche strisce di carta a zigzag – tipica dello shintoismo.

photo credits: Flavia per Giappone in Italia

Generalmente i Torii vengono associati ai santuari shintoisti (jinja · 神社), tant’è che sulle mappe il simbolino ⛩ designa i santuari shintō mentre la swastica i templi buddhisti. Tuttavia sono presenti anche all’ingresso di tombe e templi buddhisti, come nel caso dei complessi jisha (寺社). In tali complessi ibridi, a un tempio buddhista è annesso almeno un santuario shintoista (chinjusha · 鎮守社) a funzione tutelare del kami (spirito/dio) protettore di quel tempio o area.

Non sempre però questi portali sono posti in corrispondenza di santuari o templi. Possono trovarsi infatti anche ai confini esterni di un’area sacra, ad esempio su una roccia o ai piedi di una montagna (luogo spirituale di per sé, poiché sede dei kami o kami essa stessa). Addirittura – nelle zone di campagna o residenziali in particolare – anche per strada, dove può capitare di imbattersi in mini-Torii, anche solo disegnati, a scopo preventivo anti-vandalico. Infatti, poiché considerati sacri, fungono da dissuasori verso chiunque fosse tentato di deturpare l’area.

photo credits: ameblo.jp/a1212777/

A proposito di sacralità e rispetto, è buona norma donare un Torii in segno di gratitudine verso un determinato kami qualora si riceva una grazia. Non solo a livello individuale, ma anche collettivo. Tipico il caso delle aziende: non è strano che un’azienda si adoperi per donare un Torii al fine di ingraziarsi la divinità degli affari. Sulla via (sandō · 参道) che conduce al luogo sacro può essercene uno solo o anche di più, fino formare vere e proprie gallerie. Come nel caso del famoso Fushimi Inari Taisha di Kyōto.

photo credits: Flavia per Giappone in Italia

Simboli di fortuna, prosperità e benessere, i Torii si presentano nelle più svariate dimensioni e tipologie. Prima di passare in rassegna la loro estetica però, scopriamo un po’ di più sulle loro origini.

Là, dove “stanno gli uccelli”

Partiamo dal nome. Torii (鳥居) è formato dalle parole “uccello” (tori · 鳥) e “essere/stare” (i[ru] · 居). Potremmo tradurlo “il risiedere degli uccelli’.

Cosa c’entrano gli uccelli?

A rispondere a questa domanda interviene un episodio della mitologia giapponese. Secondo la leggenda, la dea principale del pantheon giapponese, Amaterasu, decise di rinchiudersi in una grotta per isolarsi dal mondo in seguito a un grave attacco ai suoi domini a opera del fratello Susanoo. Trattandosi della dea del sole, la sua scomparsa causò un buio permanente nonché un caos generale: fauna e flora risentivano dell’assenza del sole e gli spiriti maligni potevano ora agire indisturbati. Fu così che gli altri dei cominciarono a pensare a un modo per indurla, con l’astuzia, ad uscire fuori dalla grotta. Organizzarono allora una sorta di festa fuori dalla caverna, ma soprattutto si servirono dei galli. Incuriosita dal fatto che i galli cantassero nonostante l’assenza del sole, la dea fu finalmente attirata fuori dalla grotta e fu impeditole di rinchiudervisi nuovamente. Ella comprese infine che il suo posto era dove era sempre stato: riacquistò fiducia in sé stessa e tornò rinnovata di nuova consapevolezza ai suoi doveri. I galli della trappola preparata dagli dei erano stati posizionati su di un enorme trespolo: il primo Torii.

photo credits: wikimedia.org

Miti a parte, fonti riportano dell’esistenza di antichi trespoli sacri e della loro funzione di accogliere i galli a coda lunga. C’è però un altro aspetto di cui tenere conto, sempre per rispondere alla nostra domanda: in Asia gli uccelli vengono associati al mondo ultraterreno. E in Giappone sono da sempre considerati messaggeri degli dei. Non stupirebbe allora se il passo da trespolo a portale sacro si sia effettivamente verificato. Ed è plausibile che, ad un certo punto della storia, la funzione del Torii abbia compiuto tale passo.

Torii, origine e significato

Ciononostante nulla è del tutto certo. Si sa che hanno fatto loro prima comparsa verso la metà del periodo Heian (VIII-XII sec.); che ad oggi il più antico Torii in legno risale al 1535 ed appartiene al santuario shintō Kubō Hachiman (Prefettura di Yamanashi); che invece il più antico fra quelli in pietra mai pervenuto risale al XII secolo e appartiene a un santuario shintō di Hachiman nella Prefettura di Yamagata.

Come e quando di preciso abbiano avuto origine resta però ancora ignoto. Due le principali teorie in proposito: una per cui si tratterebbe di una struttura proveniente dall’Asia continentale rielaborata in Giappone, l’altra che invece sostiene l’idea dell’origine autoctona. La prima tesi si fonda sul fatto che strutture dallo stesso ‘concept’ si ritrovano anche in Cina, Corea e India: Paifang cinese, Hongsal-mun coreano e Torana indiano. Dunque non parrebbe una coincidenza. Ma è l’India in particolare a suscitare i maggiori sospetti, tanto da un punto di vista storico quanto linguistico. Fonti del X secolo riferirebbero infatti che sarebbe stato il monaco Kūkai (fondatore del Buddhismo esoterico Shingon) a importare un secolo prima l’idea del Torana. La parola “torii” tra l’altro fa la sua prima comparsa proprio su queste fonti. Dal punto di vista linguistico, si pensa invece che “torii” possa derivare da “torana” (che in sanscrito significherebbe “palo per uccelli”). Da “torana”, anche certe lingue europee avrebbero tratto dei termini: la parola inglese “door” e le tedesche “Tür” o “Tor” in effetti suonano sospettosamente assonanti. Ma non ci sarebbe da stupirsi, si parla pur sempre di lingue indo-europee.

Per quanto riguarda la lingua giapponese comunque, diverse sono le ipotesi avanzate sulla possibile etimologia di “torii”. Una ad esempio vorrebbe che il termine derivi dal verbo tōri-iru (通り入る) ovvero “passare attraverso ed entrare” o “entrare attraversando”. In ogni caso, certo è che uno degli stili Torii più antichi, lo Shime – ne parleremo a fine articolo –, fa pensare a un’evoluzione dell’usanza di agganciare la corda shimenawa a due alberi o due pali. Lo Shime Torii potrebbe quindi rappresentare un elemento a sostegno della tesi dell’origine autoctona del Torii.

Tutte teorie molto valide e sensate. E se dietro le origini dell’iconico portale si celasse un misto fra tutte queste possibili concause?

photo credits: tenfas.apk

Torii: sacralità e purezza

Il portale Torii, si è detto all’inizio: segna il confine fra dimensione terrena e dimensione sacra, fra la fine dell’una e l’inizio dell’altra. Chi intende accedere al luogo sacro deve necessariamente passare sotto il Torii posto all’ingresso e tale passaggio rappresenta un primo step di purificazione. Dunque il Torii non solo marca un punto di transizione fra due mondi…ma si rende strumento di purificazione per l’anima di coloro che lo attraversano. L’atto purificatorio va poi rinnovato in prossimità del luogo sacro con le c.d. abluzioni rituali, cosicché l’anima giunga al suo interno priva di impurità. Se vi sono più Torii sulla strada sandō, il livello di sacralità cresce di pari passo con il loro progressivo approssimarsi al cuore del luogo sacro.

Lo Shintō attribuisce particolare importanza alla purezza e al concetto di purificazione e ciò si riflette anche nella vita quotidiana dei giapponesi. Tanto per dirne una, e per ricollegarci alle abluzioni: il modo di lavarsi e fare il bagno. Perciò, va da sé che il Torii trova perfetta applicazione nello Shintoismo: quale strumento di purificazione migliore di uno che, sin da che si ha memoria, rappresenta un punto di contatto con il mondo sacro ultraterreno? Per questo, benché non manchi anche in diversi templi buddhisti, esso è ormai assunto a simbolo dell’architettura shintō.

Va detto però che tale associazione può essere stata facilitata anche dall’azione del governo Meiji (1868-1912) che all’epoca impose la presenza dei Torii presso i soli santuari ufficialmente registrati e consacrati allo Shintō di Stato. Prima di allora, verosimilmente, erano associati a diversi tipi di luoghi sacri. Pare anzi venissero abitualmente ornati di placchette recanti sutra buddhisti.

Torii: com’è fatto

Come si può notare dalle immagini, il Torii presenta una struttura molto basica: due colonne sormontate da un architrave. Tradizionalmente per la loro realizzazione si è sempre ricorso a legno e pietra. Oggigiorno però vengono adoperati anche a materiali moderni come acciaio, bronzo, calcestruzzo, ceramica, cemento armato e, in taluni casi, anche plastica.

Per quanto riguarda il colore, quello rosso vermiglio è senz’altro il più iconico (nella cultura giapponese il rosso è associato alla vita, al sole – pensiamo alla bandiera nazionale –, è di buon auspicio e allontana negatività e sfortuna). Ma anche i colori bianco e arancio sono molto gettonati. Inoltre a seconda del materiale di realizzazione possono anche non essere dipinti e quindi mostrarsi nel colore naturale del materiale che li compone. Quando il Torii è rosso, generalmente la parte superiore dell’architrave è in nero. Possono però verificarsi combinazioni inusuali: il Torii in stile Nakayama che vedete nell’immagine sottostante, ne è un esempio interessante!

photo credits: wikipedia.org

Facciamo ora una radiografia del nostro Torii. Esso può comporsi di 13 parti. Partendo dall’alto:

  • Kasagi (笠木): il grande architrave che sormonta le due colonne;
  • Shimaki (島木): seconda trave sotto il Kasagi che, quando presente, rende il Kasagi doppio;
  • Hafu (破風): eventuale timpano collocato sopra il Kasagi;
  • Hashira (柱): la coppia di colonne, di solito cilindriche, che possono presentare o meno una certa inclinazione verso l’interno definita Uchikorobi (内転び);
  • Nuki (貫): la trave collocata fra le colonne Hashira;
  • Shimenawa (注連縄): l’eventuale corda sacra collocata in corrispondenza del Nuki;
  • Kusabi (楔): cunei (2 o 4) che servono a fermare il Nuki, non sempre presenti;
  • Gakuzuka (額束): supporto extra posto fra Kasagi (o anche Shimaki) e Nuki a sostegno del primo. Può recare o meno un’iscrizione;
  • Sasu (叉首): piccolo timpano, alternativa del Gakuzuka;
  • Daiwa (台輪): eventuali capitelli delle Hashira;
  • Chigobashira (稚児柱): pilastri secondari (4 o 8) di supporto alle Hashira presenti più che altro nello stile Torii Ryōbu;
  • Daiishi (台石) o Kamebara (亀腹): eventuali basi per le Hashira;
  • Nemaki (根巻): guaine alla base delle Hashira, alternativa ai Daiishi.

Di tutti questi elementi, solo l’architrave Kasagi, i pilastri Hashira e la trave Nuki sono gli elementi sempre ricorrenti (eccezion fatta per la tipologia Shime che presenta solo la corda shimenawa, invece di trave e architrave). Tutti gli altri possono essere o meno presenti, a seconda dello stile architettonico del portale.

photo credits: wikipedia.orgwikimedia.org

Tipi di Torii

Vi è un’ampia varietà di Torii, ma due sono le principali famiglie: Myōjin (明神系) e Shinmei (神明系). A colpo d’occhio sono distinguibili dall’architrave: la categoria Myōjin ha il kasagi con le punte ricurve verso l’alto, mentre nella seconda le punte sono dritte. Inoltre la tipologia Shinmei presenta delle colonne non inclinate e, almeno nelle sua forma più basica, colonne, nuki e kasagi sono arrotondati.

Sotto queste due grandi famiglie si apre poi un ventaglio di sottocategorie, di cui ci limitiamo qui a elencare le più rappresentative o caratteristiche. La tipologia Myōjin è certamente la più iconica ma la Shinmei avrebbe origini più antiche. Inoltre quest’ultima ha iniziato ad acquisire popolarità nel periodo dello Shintō di Stato, essendo questo stile distintivo dei luoghi imperiali.

Myōjin

  • Inari Torii (稲荷鳥居), tipico dei santuari dedicati ad Inari: si caratterizza per la presenza di un daiwa circolare in cima alle colonne, ove l’architrave poggia. È chiamato infatti anche Daiwa Torii (台輪鳥居). Nella sua variante Nune presenta un timpano in più in corrispondenza dell’architrave.
  • Ryōbu Torii (両部鳥居) ovvero ‘Torii a due parti’: una variante dell’Inari caratterizzata dalla presenza di due rinforzi per colonna. Esempi illustri di questa tipologia sono il Torii del santuario di Itsukushima a Miyajima (Hiroshima) e quello dell’antico Kubō Hachiman già menzionato sopra.
  • Miwa Torii (三輪鳥居), un triplice portale: è formato da 3 Torii frontali ‘concatenati’ in linea orizzontale, di cui i due laterali sono più piccoli e direttamente attaccati alle due colonne del portale centrale. Le colonne qui non sono inclinate.
  • Sannō Torii (山王鳥居) ovvero ‘Torii del re della montagna’: si caratterizza per la presenza di un timpano sopra l’architrave. Esiste una combinazione con il Ryōbu Torii detta Shimohie.
  • Nakayama Torii (中山鳥居) che deve il nome al santuario Nakayama (Prefettura di Okayama): qui l’incurvatura dell’architrave risulta particolarmente accentuata e la trave nuki non attraversa i due pilastri. I cunei kusabi sono assenti.

photo credits: Pinterestwikipedia.org

Shinmei

  • Shime Torii (注連鳥居) ossia ‘Torii delimitante’: formato dalla corda sacra shimenawa a legare insieme le due colonne hashira. Come anticipato qualche battuta fa, è la forma più elementare di Torii. Possibilmente la più antica: sarebbe all’origine dell’intera famiglia Shinmei.
  • Yasukuni Torii (靖国鳥居), che prende il nome dall’importante santuario Yasukuni di Tōkyō: si distingue dal solito stile Shinmei per la trave nuki a sezione rettangolare.
  • Ise Torii (伊勢鳥居), esclusivamente presso i santuari interno ed esterno di Ise: presenta architrave a sezione pentagonale, trave nuki rettangolare e cunei kusabi; una seconda versione presenta anche la trave secondaria shimaki a sezione rettangolare. È divenuto popolare all’inizio del ‘900, epoca dello Shintō di Stato, allorché l’interesse politico del tempo si concentrò su questi più antichi e prestigiosi santuari.
  • Kuroki Torii (黒木鳥居) ovvero ‘Torii in legno nero’: la sua caratteristica è quella di essere realizzato mantenendo la corteccia dei trochi. Tale tipologia tuttavia non è più così gettonata, vista la necessità di sostituirlo ogni circa 3 anni.
  • Shiromaruta (白丸太鳥居) o Shiroki Torii (白木鳥居), il contrario dei Kuroki: qui la corteccia viene rimossa. Sono prerogativa delle tombe imperiali.
    Torii particolari
  • Kasuga Torii (春日鳥居), originario del santuario Kasuga Taisha di Nara, si colloca fra le due tipologie Shinmei e Myōjin: presenta un architrave dritto ma colonne lievemente inclinate. Sarebbe stato il primo in assoluto ad essere verniciato in rosso. Simile al Kasuga è anche la tipologia Torii dei santuari di Hachiman, nata in epoca Heian.
  • Mihashira Torii (三柱鳥居), peculiare tipo di Shinmei a tre colonne: appare come un complesso di tre Torii intrecciati fra loro! Alcuni vi colgono un rimando alla Trinità cristiana, ma ciò non è mai stato accertato. Sembra però risalgano all’epoca in cui il cristianesimo venne bandito.
  • Hizen Torii (肥前鳥居): concludiamo con questo particolarissimo Torii dai ‘piedi’ grossi, ossia caratterizzato da pilastri che si allargano verso terra. Parrebbero essere diffusi soprattutto nella Prefettura di Saga.

photo credits: wikipedia.org

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Approfondimenti: lo Shintoismo

Lo shintoismo. La religione più diffusa in Giappone, il fulcro della spiritualità di una terra e di un popolo a stretto contatto con la natura e le tradizioni. Ma qual è la storia che si cela dietro questa dottrina? Scopriamolo assieme!

Un Breve cappello introduttivo e storico

shintoismo

photo credits: tsunagujapan.com

A dire la verità, ”religione” è un termine improprio per definire lo shintoismo. Non abbiamo infatti né testi sacri ufficiali né veri e propri dogmi di riferimento. I giapponesi credenti e praticanti non sono vincolati da nessuna regola o imposizione di sorta, e sono liberi di vivere la propria intimità spirituale come meglio credono. Tra l’altro non è cosa rara che molti shintoisti aderiscano anche ad altre religioni come l’induismo, l’islamismo o il cristianesimo, quest’ultimo particolarmente diffuso nella terra del Sol Levante. Si nota quindi una certa flessibilità e omogeneità per quanto riguarda la sfera shintoista, accomunata e rafforzata dalla tipica curiosità della gente nipponica che la spinge a contaminarsi con l’esterno, provando costantemente cose nuove e accorpandole con le proprie usanze.

Ad ogni modo, parrebbe che lo shintoismo si sia diffuso durante le ultime fasi del periodo Jōmon (il quale spazia indicativamente dall’1000 a.C fino al 300 a.C). Nel corso dei secoli lo shintoismo ha giocato un ruolo fondamentale nel contribuire a dare un’identità e una storia al Giappone, che cercava di affermarsi come paese con alle spalle una forte storia di miti e leggende. Questo perché ambiva a divenire una potenza militare e politica che aveva il diritto di supremazia proprio in virtù delle sue origini divine. Perciò, assieme al Kojiki e al Nihongi (un insieme di antiche memorie e annali), le dottrine shinto contribuirono a uniformare la nazione a livello culturale e sociale, ampliando la conoscenza filosofica per mezzo di un’integrazione di studi sul taosimo, il buddismo e il confucianesimo, e legittimando l’autorità dell’onnipotente figura dell’imperatore.

Il cuore dello Shintoismo: Kami, concetto di sacro e natura

Ma in cosa consiste esattamente lo shintoismo? Partiamo dal significato della parola. ”Shin” vuol dire ”divinità”, mentre ”to” (che sarebbe ”do” in lingua moderna) si traduce con ”via”. Per tanto lo shintoismo è la via degli dèi. Questo che significa, esattamente? E chi sono queste divinità?

Secondo la mitologia, nell’universo regnavano cinque entità primordiali, da cui nacquero a loro volta Izanagi e Izanami. Questi due, rispettivamente fratello e sorella, crearono un’isola e un insieme di arcipelaghi: Nihon, il Giappone. A seguito della loro discesa sulla terra, generarono centinaia e centinaia di esseri simili a loro, i ”kami”, e tra questi è importante ricordare Amaterasu, dea del sole e spirito tra i più potenti nella cosmogonia assieme a Tsukuyomi e Susanoo. Si pensa che la stirpe imperiale abbia avuto origine dalla prole di Amaterasu stessa, ed è per questo motivo che la discendenza e la figura dell’imperatore sono sacre. Ciò, al contempo, rende il kami dell’astro diurno il più venerato e importante in assoluto.

shintoismo

photo credits: theculturetrip.com

Ci siamo dunque imbattuti nel termine ”kami”. Difficile tradurlo, specie per via della concezione spirituale che abbiamo noi occidentali. Tuttavia con ”kami” si indica ciò che è molto vicino a un dio, ad una presenza sovrannaturale. Secondo lo shintoismo queste creature sono invisibili e vivono nel nostro stesso mondo, ma in un piano di esistenza differente. Similmente al pantheon greco, hanno sentimenti molto umani, e sono suscettibili alle preghiere e alle offerte che si fa loro. Molti di questi, vengono identificati in luoghi naturali o in fenomeni atmosferici, e da qui la concezione di sacro che i giapponesi hanno della natura.

Siccome i kami sono presenti praticamente dappertutto, l’intero mondo in cui viviamo è sacro, per gli shintoisti. Alberi, fiumi, montagne, insetti, persone e pietre vengono rispettate e viste come elementi del divino. Non è un caso che la maggior parte dei luoghi di culto shinto sia collocata in spazi naturali o ricchi di verde. La natura infatti è armonia e purificazione, il lato lucente e positivo della vita.

Praticare e sentire lo Shintoismo

La peculiarità di chi segue e pratica la dottrina shintoista è che non si persegue la ricerca di una verità assoluta. Si vive il tutto secondo una personale indagine dei sentimenti e nel rispetto del prossimo. Molta attenzione viene data alla famiglia e al rendere onore agli antenati (che a loro volta diventano kami a tutti gli effetti, in questo caso denominati ”ujigami”). Molte famiglie, se possibile, hanno un piccolo giardino che curano, perché, come spiegato prima, il verde richiama l’armonia divina. In aggiunta o alternativa si possiedono piante, una fra tutte il bonsai casalingo.

Alla luce di quanto osservato fino ad ora, possiamo notare la triplice essenza dello shintoismo: animista, perché rispetta la natura; spirituale, perché venera kami e ujigami; nazionalista, poiché si ha del territorio giapponese la massima considerazione. Proprio circa quest’ultima voce, è importante sottolineare e ricordare ancora una volta come lo shintoismo abbia aiutato il Giappone ad avere un’identità e ad affermarsi. Anche in epoca di guerra, come accadde durante il secondo conflitto mondiale, lo shintoismo divenne religione di stato, atto a valorizzare l’imperatore e a rendere incontestabile ogni suo ordine e ogni sua volontà.

Per quanto riguarda la pratica, il luogo di culto principale è denominato ”jinja”, un tempio dove è possibile pregare e fare delle offerte. Tale struttura è preceduta da un torii, l’iconico portale (tendenzialmente rosso) che sancisce l’entrata in un’area sacra, e il percorso che conduce agli altari è da percorrere come gesto di purificazione. Una volta lì, si mette una moneta in una scatola, si suona una campana, si battono le mani due volte per richiamare a sé le attenzioni dei kami, si recita una preghiera o si esprime una richiesta e infine si battono nuovamente le mani.

jinja

photo credits: (via Instagram) @o.t.hide

Ci sono inoltre giorni particolari di festa chiamati ”matsuri” in cui per le strade si venerano i kami e gli antenati, tra sfilate, carri e vivacità generale. Oppure, nel privato, si possono allestire dei kamidana, mensole su cui sorgono altarini dove poter pregare le divinità, accendendo incenso e offrendo acqua, sale o riso.

Dal 1946, la Jinja Honcho (un’associazione dei templi shintoisti) amministra quella che è ormai una chiesa a scala gerarchica a tutti gli effetti, e si occupa della preservazione e promozione culturale e storica della religione più diffusa e importante del Paese.

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Approfondimento: Periodo Nara, la prima vera capitale

Il periodo Nara viene da molti considerato come un’epoca di innovazioni culturali e amministrative di grande importanza per la storia del Giappone. Infatti, proprio questi eventi rendono Nara una delle epoche più uniche e significative, ricca di elementi affascinanti da scoprire e conoscere.

Nara, La capitale

Il periodo Nara ha inizio nel 710 d.c., a seguito della creazione della capitale imperiale di Heijō-kyō (l’attuale Nara) da parte dell’Imperatrice Genmei. Lo spostamento della capitale a Heian-kyō nel 794 d.c. da parte dell’imperatore Kanmu determina la fine del periodo Nara e l’inizio del periodo Heian.

buddha

photo credits: mirror.co.uk

Grazie alle nuove riforme del governo, l’antica Nara divenne la prima capitale stabile nella storia del Giappone. Infatti, nei secoli precedenti, la sede del governo e della corte imperiale veniva spostata a seguito della morte del sovrano. Il motivo sta nell’antica credenza secondo cui il luogo in cui avveniva la morte dell’Imperatore fosse inquinato, impuro, e non fosse più possibile viverci.

Con il passare degli anni, Nara divenne una città molto estesa, il primo vero centro urbano del Giappone. Si stima infatti che avesse una popolazione di 200,000 persone, per l’epoca un numero certamente significativo. La città fu costruita ad imitazione della capitale cinese di Chang’an, la moderna Xi’an. Inoltre, le riforme amministrative di questo periodo, i cosiddetti codici Ritsuryō, furono create a modello di quelle della dinastia Tang.

periodo Nara

photo credits: visitnara.jp

Tuttavia, questi non furono i soli elementi della cultura cinese ad essere ripresi dal governo giapponese. Infatti, tale periodo vede il Giappone prendere la Cina come esempio per questioni religiose e culturali.

Il buddhismo

I nobili della corte imperiale adottarono usi e costumi cinesi, e molti si convertirono al buddhismo. Tale religione aveva fatto la sua comparsa nel VI secolo d.c. ma è in questo periodo che divenne largamente accettata dagli aristocratici giapponesi.

Nara

photo credits: giapponeinpillole.com

L’importanza del buddhismo fu sancita proprio dalla conversione dell’imperatore Shōmu, che promosse attivamente i suoi insegnamenti. La sua opera di diffusione del credo buddhista si concretizzò nella costruzione di uno dei più grandi templi del Giappone, il Todaiji. Al suo interno, venne posta l’enorme statua di bronzo del Buddha chiamata Daibutsu, alta 16 metri. Inoltre, il buddhismo aumentò il potere della famiglia imperiale. Tuttavia, i membri delle classi meno agiate, come i contadini e gli abitanti dei villaggi, continuarono a professare lo shinto, il culto autoctono giapponese.

Le opere letterarie

Il periodo Nara fu un’epoca ricca di significativi eventi culturali. In questi anni gli uffici imperiali compilarono i cosiddetti “monumenti letterari” del Giappone. Le due prime storie nazionali, il Kojiki e il Nihonshoki, sono tra questi.

Compilate rispettivamente nel 712 e nel 720, queste opere forniscono un dettagliato resoconto di carattere mitico sull’origine dell’arcipelago, del popolo e dei regnanti giapponesi.

Nara

photo credits: donotlife.blog.jp

Esse sono di particolare importanza in quanto contengono preziose informazioni sulla cultura e, in particolare, sullo sviluppo della lingua scritta giapponese. Infatti, il Kojiki viene considerato come la più antica opera scritta della storia del paese del Sol Levante. Inoltre, queste due opere servivano a legittimare il potere imperiale. In pratica, la loro funzione era quella di compiere un resoconto e quindi di giustificare la supremazia del dominio imperiale in Giappone.

Tra gli altri lavori letterari composti in questi anni, è d’obbligo menzionare il Man’yōshū, un’antologia di poemi, e il Kaifusō, un’antologia scritta in cinese dagli imperatori stessi. Il primo è particolarmente importante in quanto è la più antica raccolta di poesie classiche giapponesi, chiamate waka. Essa si articola in 20 volumi e contiene ben 4500 componimenti.

Il Man’yōshū è importante anche per un altro motivo: utilizza uno dei primi sistemi di scrittura giapponese, chiamato man’yōgana. Quest’ultimo consiste nell’utilizzare i caratteri cinesi, I cosiddetti kanji, in due modi: nel loro senso logografico e per rappresentare foneticamente le sillabe giapponesi. Quest’ultima funzione è molto importante, in quanto rappresenta la genesi del sistema moderno di scrittura sillabica in kana, ovvero dello hiragana e del katakana.

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News & Curiosità: White Day: la sua storia

In Giappone, come in Italia, il 14 febbraio si festeggia San Valentino ma il 14 marzo si festeggia il White Day. Infatti, non tutti sanno che nel Paese del Sol Levante esiste una seconda “festa degli innamorati”: il White Day. Scopriamo di cosa si tratta!

La nascita del White Day

Il White Day si festeggia in Giappone il 14 marzo, esattamente un mese dopo San Valentino. In giapponese si scrive ホワイトデー (howaito dē), ma quali sono le origini di questa “giornata bianca” e perchè si chiama così?

Il 14 marzo del 1977 la Ishimura Manseido, celebre azienda confettiera di Fukuoka, iniziò a vendere marshmallows agli uomini, in modo che potessero rispondere alle dichiarazioni amorose (in giapponese kokuhaku) che erano state rivolte loro a San Valentino: questo giorno venne inizialmente chiamato Marshmallow Day (マシュマロデー mashumaro dē) e si può considerare il precursore del White Day. Dall’anno dopo infatti l’Associazione nazionale delle industrie dolciarie giapponese creò il White Day come festa in risposta a San Valentino.

Photo credits: dannychoo.com

L’origine del nome

L’origine del nome si può ricondurre sia al colore dei marshmallows sia al significato simbolico attribuito al bianco, considerato infatti simbolo di purezza e innocenza. Durante questa giornata gli uomini ricambiano i doni ricevuti dalle ragazze il 14 febbraio, regalando loro cioccolata, fiori, vestiti o articoli di valore anche superiore a ciò che hanno ricevuto!

Tipi di cioccolata

Ci sono vari termini per descrivere le tipologie di cioccolata che gli uomini ricevono a San Valentino e che dovranno ricambiare un mese più tardi:

  • giri-choco (義理チョコ): letteralmente “cioccolata dell’obbligo”, è un dono che viene fatto come cortesia o per colmare un debito di gratitudine, spesso verso i colleghi
  • honmei-choco (本命チョコ): spesso questo tipo di cioccolata è preparato a mano con particolare cura, in quanto viene dato solo alla persona amata
  • jibun-choco (自分チョコ): la cioccolata che si compra per sé stessi
  • tomo-choco (友チョコ): cioccolata da regalare agli amici
  • gyaku-choco (逆チョコ): cioccolata “al contrario” in quanto viene regalata dagli uomini alle donne

Si capisce quindi che lo scambio dei doni non avviene solo tra innamorati, ma anche tra amici e colleghi! Con il termine sanbai gaeshi (三倍返し) viene indicata la regola implicita secondo la quale il regalo da parte degli uomini dovrebbe essere del doppio o triplo valore rispetto a quello donato loro dalle donne.

Photo credits: tokyo.grand.hyatt.co.jp

Cosa sta succedendo negli ultimi anni?

Negli ultimi anni pare che sia San Valentino che il White Day stiano avendo un declino in popolarità: uomini e donne tendono a non volersi sentire obbligati a spendere molti soldi per regalare qualcosa percepito come un dovere e preferiscono comprare invece cioccolata per sé stessi o da regalare solo alla persona amata. Ciò nonostante, il White Day rimane una festa molto diffusa, tanto che viene festeggiata anche in Cina, Sud Corea, Taiwan e in Vietnam.

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Approfondimenti: IKIGAI, la ragione di vivere

L’ikigai, ossia la ragione di vita che ci spinge ad alzarci dal letto ogni giorno, carichi di entusiasmo e guidati dalla nostra vocazione. Ma come arrivare a ciò? Come capire per cosa siamo stati messi al mondo? Scopriamolo insieme studiando meglio questo concetto tipico della filosofia giapponese!

Ikigai mood

photo credits: (via Instagram) @daisukephotography

Dare un senso alle nostre mattine grigie e noiose può risultare davvero difficile. Questo non solo perché spesso rimaniamo ingabbiati in una poco esaltante ma necessaria routine lavorativa, ma anche per via del fatto che non sappiamo bene cosa vogliamo veramente. E da una parte non è colpa nostra, dal momento che siamo distratti e costretti dal tran tran quotidiano, e l’unica cosa che facciamo una volta tornati a casa è buttarci sul letto, in attesa del mattino successivo. Ma non possiamo neanche negare che evitare di porci gli interrogativi giusti e indagare meglio su noi stessi sia sbagliato. Non possiamo trascurarci. Così come nutriamo il nostro corpo con il cibo, altrettanto dovremmo fare con la nostra anima e la nostra mente.

Cosa vuol dire Ikigai?

”Ikigai” è una parola composta, come spesso accade con il giapponese, ed è caratterizzata da ”iki” (vivere) e ”gai” (scopo, ragione). Ecco il motivo per cui molte volte questo pensiero viene inteso come ”la ragione di vivere”. Per la gente del Sol Levante, quella della ragione di vita è una faccenda seria, giacché determina chi siamo, la nostra felicità e il nostro contributo che offriamo alla società. Di conseguenza è importante capire qual è il ruolo che ci compete e cosa ci gratifica davvero.

Per avere un quadro chiaro di tutto questo è fondamentale conoscere noi stessi, e chiederci: ”cosa mi rende felice?” e ”in cosa sono bravo?”. Nel corso della nostra vita veniamo sottoposti a miriadi di mansioni, ma poche stimolano la nostra creatività e la nostra reale natura. Ci vengono insegnati e perpetrati un sacco di ideali e modi di vivere, ma in fondo in quasi nessuno di questi ci rispecchiamo. Allora che fare? Avere il coraggio di seguire le proprie passioni, di dedicarsi ad un’attività che ci piace al cento per cento, ecco cosa. Certamente è un percorso in salita, che richiede coraggio e anche un pizzico di fortuna, al giorno d’oggi. Tuttavia, ne va della nostra essenza, della nostra vocazione, e se il risultato è l’appagamento e l’entusiasmo, allora il gioco vale la candela.

L’autorealizzazione, la gioia e il tramutare i propri sogni in realtà sono alla base dell’Ikigai. Molto spesso, infatti, ci si può imbattere in una schematizzazione grafica di questo pensiero, dove tutti questi concetti si fondono in molteplici cerchi gli uni inanellati agli altri, a testimonianza del legame che intercorre tra loro, e di come non si possano scindere se vogliamo ottenere la felicità.

Ikigai

photo credits: Ikigai-Soluzioni.it

I collegamenti con l’Antica Grecia

D’altra parte anche nell’antica Grecia menti illuminate come quella di Platone avevano teorizzato un modello di città e stato ideale dove il meccanismo sociale funzionava solo quando ogni cittadino svolgeva i compiti cuciti su misura per lui, seguendo le sue inclinazioni artistiche e tecniche. E come scordarsi di una delle più famose massime confuciane che recita: ”se ami quello che fai, non sarà mai un lavoro”. È quanto mai opportuno, quindi, cercare sempre di fare quello per cui ci si sente vivi, perché fa bene a noi stessi e a chi ci sta intorno. E soprattutto perché dà un senso e uno scopo ai nostri giorni, facendoci alzare dal letto traboccanti di quell’energia e motivazione che può cambiare il mondo.

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Approfondimento: Il Terremoto del Giappone, 11 Marzo 2011

Il terremoto del Giappone nel 2011 fu un evento catastrofico, che ha lasciato un segno indelebile sul paese del Sol Levante. Infatti, a provocare ulteriore distruzione, furono le due conseguenze del sisma, ossia lo tsunami e l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima. Ma cosa accadde precisamente quel giorno?

Il Terremoto: l’origine del disastro

terremoto del Giappone 2011

photo credits: ingvterremoti.com

Alle ore 14:46 (5:46 in Italia), un terremoto di magnitudo Mw 9.1 si generò nella prefettura di Miyagi, nell’isola di Honshu, a nord del Giappone. Si trattò di un cosiddetto terremoto megathrust. Tali fenomeni naturali consistono in una rottura lungo la faglia che prosegue per centinaia di chilometri, provocando non solo scosse telluriche, ma anche tsunami.

Infatti, la causa di questi ultimi risiede proprio nel rapido spostamento del fondo del mare. In questo caso, la faglia che separa la placca oceanica pacifica da quella di Okhotsk si mosse improvvisamente, generando il movimento tellurico.

terremoto del Giappone 2011

photo credits: history.com

Il sisma colpì principalmente la regione del Tōhoku, una delle zone più attive della Terra e frequente luogo di eventi di questo genere. L’ultimo infatti accadde nel 1933. Quello dell’11 Marzo fu uno dei cinque terremoti più violenti dal 1900, il più forte mai registrato in Giappone.

Lo tsunami e le sue conseguenze

Si successero ulteriori scosse nei minuti successivi, tutte di magnitudo inferiore alla prima, ma altrettanto violente. Infatti, molte parti di Tōkyō rimasero senza energia elettrica. Tuttavia, a causare ingenti danni e vittime fu proprio lo tsunami che avvenne pochi minuti dopo del sisma.

tsunami giappone

photo credits: ingv.it

Quest’ultimo fu talmente potente che interessò anche altre parti del mondo lontane dal Giappone, come ad esempio il Cile e le Hawaii. Il sisma generò onde alte più di 10 metri che si abbatterono sulle coste giapponesi a circa 750 km/h. Le prefetture di Iwate e Miyagi, entrambe nel Tōhoku, furono le più colpite.

Le conseguenze del maremoto furono disastrose. Il numero di vittime registrate ammonta ad un totale di circa quindicimila, mentre a rimanere disperse sono ancora più di quattromila persone. Inoltre, varie città subirono ingenti danni strutturali causati dal sisma. Ad esempio, il porto di Tōkyō e la Tōkyō Tower furono tra i primi luoghi della capitale a risentire della potenza del movimento tellurico.

L’esplosione della centrale nucleare

photo credits: tio.ch

L’11 marzo è ricordato anche come il giorno del triplice disastro del Tōhoku, che include, oltre al sisma e allo tsunami, l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima. L’evento fu una diretta conseguenza del terremoto: l’enorme onda di maremoto si abbatté sull’impianto, che non era adeguatamente protetto. Infatti, l’onda superava di ben quattro metri le dighe che erano poste a protezione della centrale. Di conseguenza, il sistema di raffreddamento dei tre reattori fu distrutto e questi ultimi andarono incontro ad un meltdown completo. Le conseguenze furono gravi sia per la popolazione che per l’ambiente. Ci fu un aumento di casi di cancro alla tiroide per i bambini di Fukushima, e grande quantità di materiale radioattivo finì nell’oceano, contaminando l’ecosistema.

Terremoto del Giappone 2011: La risposta del governo

A seguito della catastrofe, il governo giapponese cercò di unire la popolazione di fronte alla tragedia. Di conseguenza, vennero ampiamente promosse attività di volontariato che videro coinvolti innumerevoli cittadini. Tra queste, figurano il risparmio volontario di energia elettrica e la partecipazione ad iniziative di aiuto e soccorso degli abitanti di Fukushima.

tohoku giappone

photo credits: japantimes.co.jp

La propaganda governativa utilizzò inoltre molti slogan e parole di carattere nazionalistico che incitavano i giapponesi a rimanere speranzosi e guardare verso un futuro migliore. Uno tra questi fu quello di “Ganbarō Nippon!”, traducibile approssimativamente come “Forza Giappone!” o “Ce la puoi fare, Giappone!”.
Inoltre, durante la catastrofe, il Primo Ministro Naoto Kan dichiarò che per il Giappone questo era “il momento più difficile dalla fine della seconda guerra mondiale”.

Terremoto del Giappone 2011: Il Tōhoku undici anni dopo

terremoto tohoku giappone

photo credits: japantimes.co.jp

Oggi, la zona nord della regione del Tōhoku, quella più vicina al primo reattore nucleare, è ancora inabitabile. Sono stati spesi circa 330 miliardi di yen (232 milioni di euro) per ricostruire e decontaminare il territorio. Tuttavia, più di 40.000 persone non riescono ancora a tornare nelle loro case.

Il terremoto dell’11 Marzo del 2011 e le sue conseguenze rimarranno scolpite nella mente del popolo giapponese, che guarda al futuro con la speranza che non accada mai più una tragedia del genere.

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