News & Curiosità: I konbini, i negozi aperti 24h presenti in tutto il Giappone
I convenience store, o konbini, come sono popolarmente conosciuti oggi, sono ormai diventati fondamentali nel panorama commerciale giapponese contemporaneo. Il grande aumento del numero dei negozi, i loro orari e la varietà dei servizi e prodotti offerti li hanno resi quasi un’istituzione. Ma quali sono i fattori che hanno contribuito al loro sviluppo? Da quando questa tipologia di negozi sono stati introdotti in Giappone verso la fine degli anni ‘60, un’intera generazione di consumatori è cresciuta con i suoi servizi. Per molti di loro i konbini sono diventati essenziali come l’aria che respiriamo ed è difficile immaginare la loro vita senza questi negozi. Un caso eclatante fu quello del famoso giocatore di calcio che ha militato anche in Serie A, ossia Nakata Hidetoshi. Pensate, infatti, che Nakata, quando era ancora in attività, ammise in alcune interviste che una scomodità del vivere all’estero era proprio la mancanza dei konbini. Negli anni precedenti, tuttavia, era molto difficile trovare dei konbini nelle aree più montuose e isolate del paese. Questo perché naturalmente il basso numero di abitanti e gli alti costi del trasporto rendevano complicata una loro apertura. In ogni caso, oggi molte compagnie si sono attrezzate per arrivare in queste aree attraverso delle unità mobili. Se da una parte la vita delle persone fu influenzata dall’introduzione di questa tipologia di negozio, dall’altra il loro modo sempre nuovo di utilizzare i suoi servizi influenzò il suo sviluppo. Inizialmente il termine di riferimento era “konbiniensu sutoa” (dall’inglese “convenience store”), introdotto per la prima volta nel ’70 dal giornale Asahi. Dopo qualche anno, le due parole furono unite ed indicavano un piccolo negozio che vendeva articoli di prima necessità e aperto per molte ore. E’ solo durante gli anni ’80 però che possiamo vedere un primo cambiamento sostanziale. In quel periodo, infatti, solo la prima parola “konbiniensu” era utilizzata spesso in libri, articoli di giornale e in TV. Dopodiché, agli inizi degli anni ’90 il numero di questi negozi arrivò a toccare le 40.000 unità in tutto il Giappone, diventando sempre più importante. Così, il termine konbini entrò ufficialmente nel linguaggio popolare. Il numero dei negozi, quindi, aumentò esponenzialmente, arrivando a superare oggi i 56.000 punti vendita in tutto il Giappone. Una delle ragioni del successo è stata sicuramente la loro politica di marketing, che gli ha permesso di andare incontro alle richieste di ogni cliente. Molti giovani, infatti, passano tanto tempo all’interno dei konbini per rilassarsi, giocare o mangiare durante la pausa pranzo. Allo stesso tempo, è aumentato in maniera esponenziale anche il numero di clienti più anziani. Le cause possono essere rintracciate nei cambiamenti socioeconomici che hanno colpito il Giappone negli ultimi anni e hanno portato sempre più anziani a rimanere soli. Pertanto, in una situazione del genere un konbini vicino casa risulta essere molto comodo per loro. Oggi, infatti, a qualunque ora i clienti possono comprare un pasto, pagare una bolletta, inviare fax o ritirare soldi dal proprio conto corrente. Non sorprende, quindi, che per molti il konbini sia ormai un’infrastruttura fondamentale su cui poter contare in ogni momento. photo credits: wego.com Come abbiamo visto, lo sviluppo dei konbini ha fornito un grande supporto ad un sempre maggior numero di persone. Allo stesso tempo, però, sono nati nuovi discorsi e preoccupazioni riguardo la loro espansione. Uno di questi riguarda sicuramente la possibile introduzione nel mercato giapponese di prodotti esteri portati dalle grandi compagnie americane che possiedono questi negozi. Tuttavia, oggi i konbini seguono una linea di prodotti principalmente giapponesi e, quindi, non possiedono molti prodotti esteri. Oltre a questo, sono spesso criticati per la cattiva qualità del cibo offerto, non in grado, secondo molti, di contribuire alla salute del corpo. Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNOLa nascita del termine “konbini”
I konbini oggi
Nuovi timori portati dal loro sviluppo
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Approfondimento: Il periodo Heian - Apogeo della cultura giapponese
Il periodo Heian fu una delle epoche più importanti e culturalmente ricche della storia giapponese. La cultura aristocratica e la produzione letteraria e artistica raggiunsero il loro periodo di apogeo grazie a capolavori come il Genji Monogatari. Inoltre, proprio in questi anni si andò a delineare l’ascesa al potere della classe sociale dei bushi, i guerrieri giapponesi, noti anche come samurai. Il periodo Heian inizia con lo spostamento della capitale ad Heiankyō, l’attuale Kyōto, nel 794 d.c. ad opera dell’imperatore Kanmu. La fine di quest’epoca coincise con la presa di potere, nel 1185 d.c., di Minamoto no Yoritomo, il primo shōgun del Giappone. photo credits: wikipedia.org La posizione strategica della città fu uno dei motivi per cui fu scelta: era vicina ad un fiume che sfociava nel mare. Inoltre, poteva essere raggiunta facilmente dalle province orientali via terra. Per questa ragione, Kyōto rimase la capitale del Giappone per circa mille anni. Così come era successo con la precedente capitale, Nara, anche Heian venne modellata sulla base di Chang’an, l’antica capitale cinese, oggi Xi’an. Tuttavia, la nuova sede della corte imperiale era più grande e articolata. Nel primo periodo Heian, l’imperatore Kanmu continuò a perseguire una politica basata sul sistema cinese della dinastia Tang, attraverso le riforme del codice Ritsuryō. Tuttavia, con il passare del tempo gli equilibri di potere mutarono e l’Imperatore finì per perdere molto del suo potere. photo credits: japantimes.co.jp Il declino del potere dell’Imperatore ebbe inizio con la crescente influenza che la famiglia Fujiwara deteneva a corte. I Fujiwara erano infatti riusciti ad unire, attraverso matrimoni combinati, la propria famiglia con quella imperiale. Di conseguenza, vari esponenti Fujiwara riuscirono ad acquisire ruoli di potere all’interno dello stato, diventando persino reggenti dell’Imperatore. La loro ricchezza crebbe inesorabilmente e finirono per avere completo controllo sulla corte, grazie soprattutto all’abilità del loro membro, Fujiwara no Michinaga. Infatti, i Fujiwara, tra i vari poteri che avevano ottenuto, potevano detronizzare l’imperatore in qualunque momento e metterne un altro al suo posto. photo credits: japanwondertravel.com In questo periodo, l’aristocrazia si occupò in principal modo della gestione terriera, concentrandosi sulla ricchezza delle proprie famiglie. Il Giappone aveva perso quel senso di unità che lo aveva caratterizzato negli anni precedenti. La presa di potere delle famiglie aristocratiche coincise con la formazione di una nuova classe sociale, i bushi. I proprietari terrieri infatti si dotarono di forze di polizia locali per proteggere loro stessi e i propri domini, in modo del tutto indipendente dall’autorità imperiale. Di conseguenza, le classi sociali privilegiate che risiedevano all’interno dei domini degli aristocratici divennero parte di una nuova élite militare, i samurai. photo credits: japantravel.com Queste famiglie militari gravitavano attorno ai nobili aristocratici che possedevano i terreni nelle quali si trovavano. I Fujiwara, il clan dei Taira e quello dei Minamoto erano solo alcune tra le famiglie aristocratiche che erano supportate da questi guerrieri. Con il tempo, i Fujiwara persero il potere a corte e vennero gradualmente sostituiti dai Taira. Tuttavia, questi ultimi furono attaccati dai Minamoto, che presero il potere nel 1185. Minamoto no Yoritomo, il nuovo generale regnante, creò il sistema feudale che avrebbe caratterizzato il Giappone per i successivi sette secoli, il bakufu o shogunato. Il periodo Heian vide l’avvicendarsi di innumerevoli innovazioni dal punto di vista culturale. In primis, ci fu uno sviluppo considerevole del buddhismo, che portò alla creazione di due nuove sette, ovvero la Tendai e la Shingon. photo credits: freemansauction.com La prima ottenne grande successo, in quanto promuoveva principi che favorivano la legittimazione del potere imperiale. Non a caso, lo stesso Imperatore Kanmu era un grande seguace e patrono di questa setta. La setta Shingon, invece, si distingueva per il suo largo uso di poesia, calligrafia e scultura. Entrambe le sette cercavano, attraverso i loro insegnamenti, di connettere lo stato e la religione, cercando l’appoggio dell’aristocrazia per una sorta di “buddhismo aristocratico”. L’introduzione dei due alfabeti sillabici giapponesi fu molto popolare all’interno della letteratura di questo periodo. Inoltre, vennero creati nuovi generi, come quello del romanzo e del saggio narrativo. photo credits: wikimedia.org Il romanzo più famoso è sicuramente il Genji Monogatari (Il racconto di Genji) della scrittrice Murasaki Shikibu, composto tra il 1000 e il 1012. Quest’opera viene considerata da molti come uno dei primi romanzi nel mondo e continua ad ispirare molti artisti della nostra epoca. Il romanzo narra delle avventure amorose di Genji, un figlio dell’Imperatore del Giappone, che ha perso la madre in tenera età. Il protagonista cercherà questa figura materna per tutta la vita, cercando di riempire il suo vuoto tratteggiando la figura di una donna ideale, eterea. Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. 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Approfondimenti: Torii, I simboli del Giappone
In questo articolo andiamo alla scoperta di un altro iconico simbolo della cultura giapponese. A chi non è mai capitato di vedere qualche immagine ritraente tal struttura a due colonne sormontata da un grande architrave, magari di un bel rosso vermiglio? Se ancora non la conoscete, vi sarete chiesti cosa sia mai…presto fatto! Proseguite nella lettura per scoprirlo. Che cos’è dunque e cosa rappresenta questa peculiare struttura così evidentemente caratteristica del Sol Levante? Si tratta del Torii (鳥居) e non è altro che un portale di accesso a un’area sacra. Rappresenta un punto di passaggio simbolico fra sacro e profano, mondo umano e divino, e come tale collocato sul cammino che conduce all’interno dei luoghi sacri. Spesso lo si trova adornato con la shimenawa – corda sacra con appesi gli shide (四手), caratteristiche strisce di carta a zigzag – tipica dello shintoismo. photo credits: Flavia per Giappone in Italia Generalmente i Torii vengono associati ai santuari shintoisti (jinja · 神社), tant’è che sulle mappe il simbolino ⛩ designa i santuari shintō mentre la swastica i templi buddhisti. Tuttavia sono presenti anche all’ingresso di tombe e templi buddhisti, come nel caso dei complessi jisha (寺社). In tali complessi ibridi, a un tempio buddhista è annesso almeno un santuario shintoista (chinjusha · 鎮守社) a funzione tutelare del kami (spirito/dio) protettore di quel tempio o area. Non sempre però questi portali sono posti in corrispondenza di santuari o templi. Possono trovarsi infatti anche ai confini esterni di un’area sacra, ad esempio su una roccia o ai piedi di una montagna (luogo spirituale di per sé, poiché sede dei kami o kami essa stessa). Addirittura – nelle zone di campagna o residenziali in particolare – anche per strada, dove può capitare di imbattersi in mini-Torii, anche solo disegnati, a scopo preventivo anti-vandalico. Infatti, poiché considerati sacri, fungono da dissuasori verso chiunque fosse tentato di deturpare l’area. photo credits: ameblo.jp/a1212777/ A proposito di sacralità e rispetto, è buona norma donare un Torii in segno di gratitudine verso un determinato kami qualora si riceva una grazia. Non solo a livello individuale, ma anche collettivo. Tipico il caso delle aziende: non è strano che un’azienda si adoperi per donare un Torii al fine di ingraziarsi la divinità degli affari. Sulla via (sandō · 参道) che conduce al luogo sacro può essercene uno solo o anche di più, fino formare vere e proprie gallerie. Come nel caso del famoso Fushimi Inari Taisha di Kyōto. photo credits: Flavia per Giappone in Italia Simboli di fortuna, prosperità e benessere, i Torii si presentano nelle più svariate dimensioni e tipologie. Prima di passare in rassegna la loro estetica però, scopriamo un po’ di più sulle loro origini. Partiamo dal nome. Torii (鳥居) è formato dalle parole “uccello” (tori · 鳥) e “essere/stare” (i[ru] · 居). Potremmo tradurlo “il risiedere degli uccelli’. A rispondere a questa domanda interviene un episodio della mitologia giapponese. Secondo la leggenda, la dea principale del pantheon giapponese, Amaterasu, decise di rinchiudersi in una grotta per isolarsi dal mondo in seguito a un grave attacco ai suoi domini a opera del fratello Susanoo. Trattandosi della dea del sole, la sua scomparsa causò un buio permanente nonché un caos generale: fauna e flora risentivano dell’assenza del sole e gli spiriti maligni potevano ora agire indisturbati. Fu così che gli altri dei cominciarono a pensare a un modo per indurla, con l’astuzia, ad uscire fuori dalla grotta. Organizzarono allora una sorta di festa fuori dalla caverna, ma soprattutto si servirono dei galli. Incuriosita dal fatto che i galli cantassero nonostante l’assenza del sole, la dea fu finalmente attirata fuori dalla grotta e fu impeditole di rinchiudervisi nuovamente. Ella comprese infine che il suo posto era dove era sempre stato: riacquistò fiducia in sé stessa e tornò rinnovata di nuova consapevolezza ai suoi doveri. I galli della trappola preparata dagli dei erano stati posizionati su di un enorme trespolo: il primo Torii. photo credits: wikimedia.org Miti a parte, fonti riportano dell’esistenza di antichi trespoli sacri e della loro funzione di accogliere i galli a coda lunga. C’è però un altro aspetto di cui tenere conto, sempre per rispondere alla nostra domanda: in Asia gli uccelli vengono associati al mondo ultraterreno. E in Giappone sono da sempre considerati messaggeri degli dei. Non stupirebbe allora se il passo da trespolo a portale sacro si sia effettivamente verificato. Ed è plausibile che, ad un certo punto della storia, la funzione del Torii abbia compiuto tale passo. Ciononostante nulla è del tutto certo. Si sa che hanno fatto loro prima comparsa verso la metà del periodo Heian (VIII-XII sec.); che ad oggi il più antico Torii in legno risale al 1535 ed appartiene al santuario shintō Kubō Hachiman (Prefettura di Yamanashi); che invece il più antico fra quelli in pietra mai pervenuto risale al XII secolo e appartiene a un santuario shintō di Hachiman nella Prefettura di Yamagata. Come e quando di preciso abbiano avuto origine resta però ancora ignoto. Due le principali teorie in proposito: una per cui si tratterebbe di una struttura proveniente dall’Asia continentale rielaborata in Giappone, l’altra che invece sostiene l’idea dell’origine autoctona. La prima tesi si fonda sul fatto che strutture dallo stesso ‘concept’ si ritrovano anche in Cina, Corea e India: Paifang cinese, Hongsal-mun coreano e Torana indiano. Dunque non parrebbe una coincidenza. Ma è l’India in particolare a suscitare i maggiori sospetti, tanto da un punto di vista storico quanto linguistico. Fonti del X secolo riferirebbero infatti che sarebbe stato il monaco Kūkai (fondatore del Buddhismo esoterico Shingon) a importare un secolo prima l’idea del Torana. La parola “torii” tra l’altro fa la sua prima comparsa proprio su queste fonti. Dal punto di vista linguistico, si pensa invece che “torii” possa derivare da “torana” (che in sanscrito significherebbe “palo per uccelli”). Da “torana”, anche certe lingue europee avrebbero tratto dei termini: la parola inglese “door” e le tedesche “Tür” o “Tor” in effetti suonano sospettosamente assonanti. Ma non ci sarebbe da stupirsi, si parla pur sempre di lingue indo-europee. Per quanto riguarda la lingua giapponese comunque, diverse sono le ipotesi avanzate sulla possibile etimologia di “torii”. Una ad esempio vorrebbe che il termine derivi dal verbo tōri-iru (通り入る) ovvero “passare attraverso ed entrare” o “entrare attraversando”. In ogni caso, certo è che uno degli stili Torii più antichi, lo Shime – ne parleremo a fine articolo –, fa pensare a un’evoluzione dell’usanza di agganciare la corda shimenawa a due alberi o due pali. Lo Shime Torii potrebbe quindi rappresentare un elemento a sostegno della tesi dell’origine autoctona del Torii. Tutte teorie molto valide e sensate. E se dietro le origini dell’iconico portale si celasse un misto fra tutte queste possibili concause? photo credits: tenfas.apk Il portale Torii, si è detto all’inizio: segna il confine fra dimensione terrena e dimensione sacra, fra la fine dell’una e l’inizio dell’altra. Chi intende accedere al luogo sacro deve necessariamente passare sotto il Torii posto all’ingresso e tale passaggio rappresenta un primo step di purificazione. Dunque il Torii non solo marca un punto di transizione fra due mondi…ma si rende strumento di purificazione per l’anima di coloro che lo attraversano. L’atto purificatorio va poi rinnovato in prossimità del luogo sacro con le c.d. abluzioni rituali, cosicché l’anima giunga al suo interno priva di impurità. Se vi sono più Torii sulla strada sandō, il livello di sacralità cresce di pari passo con il loro progressivo approssimarsi al cuore del luogo sacro. Lo Shintō attribuisce particolare importanza alla purezza e al concetto di purificazione e ciò si riflette anche nella vita quotidiana dei giapponesi. Tanto per dirne una, e per ricollegarci alle abluzioni: il modo di lavarsi e fare il bagno. Perciò, va da sé che il Torii trova perfetta applicazione nello Shintoismo: quale strumento di purificazione migliore di uno che, sin da che si ha memoria, rappresenta un punto di contatto con il mondo sacro ultraterreno? Per questo, benché non manchi anche in diversi templi buddhisti, esso è ormai assunto a simbolo dell’architettura shintō. Va detto però che tale associazione può essere stata facilitata anche dall’azione del governo Meiji (1868-1912) che all’epoca impose la presenza dei Torii presso i soli santuari ufficialmente registrati e consacrati allo Shintō di Stato. Prima di allora, verosimilmente, erano associati a diversi tipi di luoghi sacri. Pare anzi venissero abitualmente ornati di placchette recanti sutra buddhisti. Come si può notare dalle immagini, il Torii presenta una struttura molto basica: due colonne sormontate da un architrave. Tradizionalmente per la loro realizzazione si è sempre ricorso a legno e pietra. Oggigiorno però vengono adoperati anche a materiali moderni come acciaio, bronzo, calcestruzzo, ceramica, cemento armato e, in taluni casi, anche plastica. Per quanto riguarda il colore, quello rosso vermiglio è senz’altro il più iconico (nella cultura giapponese il rosso è associato alla vita, al sole – pensiamo alla bandiera nazionale –, è di buon auspicio e allontana negatività e sfortuna). Ma anche i colori bianco e arancio sono molto gettonati. Inoltre a seconda del materiale di realizzazione possono anche non essere dipinti e quindi mostrarsi nel colore naturale del materiale che li compone. Quando il Torii è rosso, generalmente la parte superiore dell’architrave è in nero. Possono però verificarsi combinazioni inusuali: il Torii in stile Nakayama che vedete nell’immagine sottostante, ne è un esempio interessante! photo credits: wikipedia.org Facciamo ora una radiografia del nostro Torii. Esso può comporsi di 13 parti. Partendo dall’alto: Di tutti questi elementi, solo l’architrave Kasagi, i pilastri Hashira e la trave Nuki sono gli elementi sempre ricorrenti (eccezion fatta per la tipologia Shime che presenta solo la corda shimenawa, invece di trave e architrave). Tutti gli altri possono essere o meno presenti, a seconda dello stile architettonico del portale. photo credits: wikipedia.org, wikimedia.org Vi è un’ampia varietà di Torii, ma due sono le principali famiglie: Myōjin (明神系) e Shinmei (神明系). A colpo d’occhio sono distinguibili dall’architrave: la categoria Myōjin ha il kasagi con le punte ricurve verso l’alto, mentre nella seconda le punte sono dritte. Inoltre la tipologia Shinmei presenta delle colonne non inclinate e, almeno nelle sua forma più basica, colonne, nuki e kasagi sono arrotondati. Sotto queste due grandi famiglie si apre poi un ventaglio di sottocategorie, di cui ci limitiamo qui a elencare le più rappresentative o caratteristiche. La tipologia Myōjin è certamente la più iconica ma la Shinmei avrebbe origini più antiche. Inoltre quest’ultima ha iniziato ad acquisire popolarità nel periodo dello Shintō di Stato, essendo questo stile distintivo dei luoghi imperiali. photo credits: Pinterest, wikipedia.org photo credits: wikipedia.org Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNOI simboli del Giappone: il Torii
Là, dove “stanno gli uccelli”
Cosa c’entrano gli uccelli?
Torii, origine e significato
Torii: sacralità e purezza
Torii: com’è fatto
Tipi di Torii
Myōjin
Shinmei
Torii particolariSegui Giappone in Italia
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Approfondimenti: lo Shintoismo
Lo shintoismo. La religione più diffusa in Giappone, il fulcro della spiritualità di una terra e di un popolo a stretto contatto con la natura e le tradizioni. Ma qual è la storia che si cela dietro questa dottrina? Scopriamolo assieme! photo credits: tsunagujapan.com A dire la verità, ”religione” è un termine improprio per definire lo shintoismo. Non abbiamo infatti né testi sacri ufficiali né veri e propri dogmi di riferimento. I giapponesi credenti e praticanti non sono vincolati da nessuna regola o imposizione di sorta, e sono liberi di vivere la propria intimità spirituale come meglio credono. Tra l’altro non è cosa rara che molti shintoisti aderiscano anche ad altre religioni come l’induismo, l’islamismo o il cristianesimo, quest’ultimo particolarmente diffuso nella terra del Sol Levante. Si nota quindi una certa flessibilità e omogeneità per quanto riguarda la sfera shintoista, accomunata e rafforzata dalla tipica curiosità della gente nipponica che la spinge a contaminarsi con l’esterno, provando costantemente cose nuove e accorpandole con le proprie usanze. Ad ogni modo, parrebbe che lo shintoismo si sia diffuso durante le ultime fasi del periodo Jōmon (il quale spazia indicativamente dall’1000 a.C fino al 300 a.C). Nel corso dei secoli lo shintoismo ha giocato un ruolo fondamentale nel contribuire a dare un’identità e una storia al Giappone, che cercava di affermarsi come paese con alle spalle una forte storia di miti e leggende. Questo perché ambiva a divenire una potenza militare e politica che aveva il diritto di supremazia proprio in virtù delle sue origini divine. Perciò, assieme al Kojiki e al Nihongi (un insieme di antiche memorie e annali), le dottrine shinto contribuirono a uniformare la nazione a livello culturale e sociale, ampliando la conoscenza filosofica per mezzo di un’integrazione di studi sul taosimo, il buddismo e il confucianesimo, e legittimando l’autorità dell’onnipotente figura dell’imperatore. Ma in cosa consiste esattamente lo shintoismo? Partiamo dal significato della parola. ”Shin” vuol dire ”divinità”, mentre ”to” (che sarebbe ”do” in lingua moderna) si traduce con ”via”. Per tanto lo shintoismo è la via degli dèi. Questo che significa, esattamente? E chi sono queste divinità? Secondo la mitologia, nell’universo regnavano cinque entità primordiali, da cui nacquero a loro volta Izanagi e Izanami. Questi due, rispettivamente fratello e sorella, crearono un’isola e un insieme di arcipelaghi: Nihon, il Giappone. A seguito della loro discesa sulla terra, generarono centinaia e centinaia di esseri simili a loro, i ”kami”, e tra questi è importante ricordare Amaterasu, dea del sole e spirito tra i più potenti nella cosmogonia assieme a Tsukuyomi e Susanoo. Si pensa che la stirpe imperiale abbia avuto origine dalla prole di Amaterasu stessa, ed è per questo motivo che la discendenza e la figura dell’imperatore sono sacre. Ciò, al contempo, rende il kami dell’astro diurno il più venerato e importante in assoluto. photo credits: theculturetrip.com Ci siamo dunque imbattuti nel termine ”kami”. Difficile tradurlo, specie per via della concezione spirituale che abbiamo noi occidentali. Tuttavia con ”kami” si indica ciò che è molto vicino a un dio, ad una presenza sovrannaturale. Secondo lo shintoismo queste creature sono invisibili e vivono nel nostro stesso mondo, ma in un piano di esistenza differente. Similmente al pantheon greco, hanno sentimenti molto umani, e sono suscettibili alle preghiere e alle offerte che si fa loro. Molti di questi, vengono identificati in luoghi naturali o in fenomeni atmosferici, e da qui la concezione di sacro che i giapponesi hanno della natura. Siccome i kami sono presenti praticamente dappertutto, l’intero mondo in cui viviamo è sacro, per gli shintoisti. Alberi, fiumi, montagne, insetti, persone e pietre vengono rispettate e viste come elementi del divino. Non è un caso che la maggior parte dei luoghi di culto shinto sia collocata in spazi naturali o ricchi di verde. La natura infatti è armonia e purificazione, il lato lucente e positivo della vita. La peculiarità di chi segue e pratica la dottrina shintoista è che non si persegue la ricerca di una verità assoluta. Si vive il tutto secondo una personale indagine dei sentimenti e nel rispetto del prossimo. Molta attenzione viene data alla famiglia e al rendere onore agli antenati (che a loro volta diventano kami a tutti gli effetti, in questo caso denominati ”ujigami”). Molte famiglie, se possibile, hanno un piccolo giardino che curano, perché, come spiegato prima, il verde richiama l’armonia divina. In aggiunta o alternativa si possiedono piante, una fra tutte il bonsai casalingo. Alla luce di quanto osservato fino ad ora, possiamo notare la triplice essenza dello shintoismo: animista, perché rispetta la natura; spirituale, perché venera kami e ujigami; nazionalista, poiché si ha del territorio giapponese la massima considerazione. Proprio circa quest’ultima voce, è importante sottolineare e ricordare ancora una volta come lo shintoismo abbia aiutato il Giappone ad avere un’identità e ad affermarsi. Anche in epoca di guerra, come accadde durante il secondo conflitto mondiale, lo shintoismo divenne religione di stato, atto a valorizzare l’imperatore e a rendere incontestabile ogni suo ordine e ogni sua volontà. Per quanto riguarda la pratica, il luogo di culto principale è denominato ”jinja”, un tempio dove è possibile pregare e fare delle offerte. Tale struttura è preceduta da un torii, l’iconico portale (tendenzialmente rosso) che sancisce l’entrata in un’area sacra, e il percorso che conduce agli altari è da percorrere come gesto di purificazione. Una volta lì, si mette una moneta in una scatola, si suona una campana, si battono le mani due volte per richiamare a sé le attenzioni dei kami, si recita una preghiera o si esprime una richiesta e infine si battono nuovamente le mani. photo credits: (via Instagram) @o.t.hide Ci sono inoltre giorni particolari di festa chiamati ”matsuri” in cui per le strade si venerano i kami e gli antenati, tra sfilate, carri e vivacità generale. Oppure, nel privato, si possono allestire dei kamidana, mensole su cui sorgono altarini dove poter pregare le divinità, accendendo incenso e offrendo acqua, sale o riso. Dal 1946, la Jinja Honcho (un’associazione dei templi shintoisti) amministra quella che è ormai una chiesa a scala gerarchica a tutti gli effetti, e si occupa della preservazione e promozione culturale e storica della religione più diffusa e importante del Paese. Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNOUn Breve cappello introduttivo e storico
Il cuore dello Shintoismo: Kami, concetto di sacro e natura
Praticare e sentire lo Shintoismo
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Approfondimento: Periodo Nara, la prima vera capitale
Il periodo Nara viene da molti considerato come un’epoca di innovazioni culturali e amministrative di grande importanza per la storia del Giappone. Infatti, proprio questi eventi rendono Nara una delle epoche più uniche e significative, ricca di elementi affascinanti da scoprire e conoscere. Il periodo Nara ha inizio nel 710 d.c., a seguito della creazione della capitale imperiale di Heijō-kyō (l’attuale Nara) da parte dell’Imperatrice Genmei. Lo spostamento della capitale a Heian-kyō nel 794 d.c. da parte dell’imperatore Kanmu determina la fine del periodo Nara e l’inizio del periodo Heian. photo credits: mirror.co.uk Grazie alle nuove riforme del governo, l’antica Nara divenne la prima capitale stabile nella storia del Giappone. Infatti, nei secoli precedenti, la sede del governo e della corte imperiale veniva spostata a seguito della morte del sovrano. Il motivo sta nell’antica credenza secondo cui il luogo in cui avveniva la morte dell’Imperatore fosse inquinato, impuro, e non fosse più possibile viverci. Con il passare degli anni, Nara divenne una città molto estesa, il primo vero centro urbano del Giappone. Si stima infatti che avesse una popolazione di 200,000 persone, per l’epoca un numero certamente significativo. La città fu costruita ad imitazione della capitale cinese di Chang’an, la moderna Xi’an. Inoltre, le riforme amministrative di questo periodo, i cosiddetti codici Ritsuryō, furono create a modello di quelle della dinastia Tang. photo credits: visitnara.jp Tuttavia, questi non furono i soli elementi della cultura cinese ad essere ripresi dal governo giapponese. Infatti, tale periodo vede il Giappone prendere la Cina come esempio per questioni religiose e culturali. I nobili della corte imperiale adottarono usi e costumi cinesi, e molti si convertirono al buddhismo. Tale religione aveva fatto la sua comparsa nel VI secolo d.c. ma è in questo periodo che divenne largamente accettata dagli aristocratici giapponesi. photo credits: giapponeinpillole.com L’importanza del buddhismo fu sancita proprio dalla conversione dell’imperatore Shōmu, che promosse attivamente i suoi insegnamenti. La sua opera di diffusione del credo buddhista si concretizzò nella costruzione di uno dei più grandi templi del Giappone, il Todaiji. Al suo interno, venne posta l’enorme statua di bronzo del Buddha chiamata Daibutsu, alta 16 metri. Inoltre, il buddhismo aumentò il potere della famiglia imperiale. Tuttavia, i membri delle classi meno agiate, come i contadini e gli abitanti dei villaggi, continuarono a professare lo shinto, il culto autoctono giapponese. Il periodo Nara fu un’epoca ricca di significativi eventi culturali. In questi anni gli uffici imperiali compilarono i cosiddetti “monumenti letterari” del Giappone. Le due prime storie nazionali, il Kojiki e il Nihonshoki, sono tra questi. Compilate rispettivamente nel 712 e nel 720, queste opere forniscono un dettagliato resoconto di carattere mitico sull’origine dell’arcipelago, del popolo e dei regnanti giapponesi. photo credits: donotlife.blog.jp Esse sono di particolare importanza in quanto contengono preziose informazioni sulla cultura e, in particolare, sullo sviluppo della lingua scritta giapponese. Infatti, il Kojiki viene considerato come la più antica opera scritta della storia del paese del Sol Levante. Inoltre, queste due opere servivano a legittimare il potere imperiale. In pratica, la loro funzione era quella di compiere un resoconto e quindi di giustificare la supremazia del dominio imperiale in Giappone. Tra gli altri lavori letterari composti in questi anni, è d’obbligo menzionare il Man’yōshū, un’antologia di poemi, e il Kaifusō, un’antologia scritta in cinese dagli imperatori stessi. Il primo è particolarmente importante in quanto è la più antica raccolta di poesie classiche giapponesi, chiamate waka. Essa si articola in 20 volumi e contiene ben 4500 componimenti. Il Man’yōshū è importante anche per un altro motivo: utilizza uno dei primi sistemi di scrittura giapponese, chiamato man’yōgana. Quest’ultimo consiste nell’utilizzare i caratteri cinesi, I cosiddetti kanji, in due modi: nel loro senso logografico e per rappresentare foneticamente le sillabe giapponesi. Quest’ultima funzione è molto importante, in quanto rappresenta la genesi del sistema moderno di scrittura sillabica in kana, ovvero dello hiragana e del katakana. Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNONara, La capitale
Il buddhismo
Le opere letterarie
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News & Curiosità: White Day: la sua storia
In Giappone, come in Italia, il 14 febbraio si festeggia San Valentino ma il 14 marzo si festeggia il White Day. Infatti, non tutti sanno che nel Paese del Sol Levante esiste una seconda “festa degli innamorati”: il White Day. Scopriamo di cosa si tratta! Il White Day si festeggia in Giappone il 14 marzo, esattamente un mese dopo San Valentino. In giapponese si scrive ホワイトデー (howaito dē), ma quali sono le origini di questa “giornata bianca” e perchè si chiama così? Il 14 marzo del 1977 la Ishimura Manseido, celebre azienda confettiera di Fukuoka, iniziò a vendere marshmallows agli uomini, in modo che potessero rispondere alle dichiarazioni amorose (in giapponese kokuhaku) che erano state rivolte loro a San Valentino: questo giorno venne inizialmente chiamato Marshmallow Day (マシュマロデー mashumaro dē) e si può considerare il precursore del White Day. Dall’anno dopo infatti l’Associazione nazionale delle industrie dolciarie giapponese creò il White Day come festa in risposta a San Valentino. Photo credits: dannychoo.com L’origine del nome si può ricondurre sia al colore dei marshmallows sia al significato simbolico attribuito al bianco, considerato infatti simbolo di purezza e innocenza. Durante questa giornata gli uomini ricambiano i doni ricevuti dalle ragazze il 14 febbraio, regalando loro cioccolata, fiori, vestiti o articoli di valore anche superiore a ciò che hanno ricevuto! Ci sono vari termini per descrivere le tipologie di cioccolata che gli uomini ricevono a San Valentino e che dovranno ricambiare un mese più tardi: Si capisce quindi che lo scambio dei doni non avviene solo tra innamorati, ma anche tra amici e colleghi! Con il termine sanbai gaeshi (三倍返し) viene indicata la regola implicita secondo la quale il regalo da parte degli uomini dovrebbe essere del doppio o triplo valore rispetto a quello donato loro dalle donne. Photo credits: tokyo.grand.hyatt.co.jp Negli ultimi anni pare che sia San Valentino che il White Day stiano avendo un declino in popolarità: uomini e donne tendono a non volersi sentire obbligati a spendere molti soldi per regalare qualcosa percepito come un dovere e preferiscono comprare invece cioccolata per sé stessi o da regalare solo alla persona amata. Ciò nonostante, il White Day rimane una festa molto diffusa, tanto che viene festeggiata anche in Cina, Sud Corea, Taiwan e in Vietnam. Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNOLa nascita del White Day
L’origine del nome
Tipi di cioccolata
Cosa sta succedendo negli ultimi anni?
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Approfondimenti: IKIGAI, la ragione di vivere
L’ikigai, ossia la ragione di vita che ci spinge ad alzarci dal letto ogni giorno, carichi di entusiasmo e guidati dalla nostra vocazione. Ma come arrivare a ciò? Come capire per cosa siamo stati messi al mondo? Scopriamolo insieme studiando meglio questo concetto tipico della filosofia giapponese! photo credits: (via Instagram) @daisukephotography Dare un senso alle nostre mattine grigie e noiose può risultare davvero difficile. Questo non solo perché spesso rimaniamo ingabbiati in una poco esaltante ma necessaria routine lavorativa, ma anche per via del fatto che non sappiamo bene cosa vogliamo veramente. E da una parte non è colpa nostra, dal momento che siamo distratti e costretti dal tran tran quotidiano, e l’unica cosa che facciamo una volta tornati a casa è buttarci sul letto, in attesa del mattino successivo. Ma non possiamo neanche negare che evitare di porci gli interrogativi giusti e indagare meglio su noi stessi sia sbagliato. Non possiamo trascurarci. Così come nutriamo il nostro corpo con il cibo, altrettanto dovremmo fare con la nostra anima e la nostra mente. ”Ikigai” è una parola composta, come spesso accade con il giapponese, ed è caratterizzata da ”iki” (vivere) e ”gai” (scopo, ragione). Ecco il motivo per cui molte volte questo pensiero viene inteso come ”la ragione di vivere”. Per la gente del Sol Levante, quella della ragione di vita è una faccenda seria, giacché determina chi siamo, la nostra felicità e il nostro contributo che offriamo alla società. Di conseguenza è importante capire qual è il ruolo che ci compete e cosa ci gratifica davvero. Per avere un quadro chiaro di tutto questo è fondamentale conoscere noi stessi, e chiederci: ”cosa mi rende felice?” e ”in cosa sono bravo?”. Nel corso della nostra vita veniamo sottoposti a miriadi di mansioni, ma poche stimolano la nostra creatività e la nostra reale natura. Ci vengono insegnati e perpetrati un sacco di ideali e modi di vivere, ma in fondo in quasi nessuno di questi ci rispecchiamo. Allora che fare? Avere il coraggio di seguire le proprie passioni, di dedicarsi ad un’attività che ci piace al cento per cento, ecco cosa. Certamente è un percorso in salita, che richiede coraggio e anche un pizzico di fortuna, al giorno d’oggi. Tuttavia, ne va della nostra essenza, della nostra vocazione, e se il risultato è l’appagamento e l’entusiasmo, allora il gioco vale la candela. L’autorealizzazione, la gioia e il tramutare i propri sogni in realtà sono alla base dell’Ikigai. Molto spesso, infatti, ci si può imbattere in una schematizzazione grafica di questo pensiero, dove tutti questi concetti si fondono in molteplici cerchi gli uni inanellati agli altri, a testimonianza del legame che intercorre tra loro, e di come non si possano scindere se vogliamo ottenere la felicità. photo credits: Ikigai-Soluzioni.it D’altra parte anche nell’antica Grecia menti illuminate come quella di Platone avevano teorizzato un modello di città e stato ideale dove il meccanismo sociale funzionava solo quando ogni cittadino svolgeva i compiti cuciti su misura per lui, seguendo le sue inclinazioni artistiche e tecniche. E come scordarsi di una delle più famose massime confuciane che recita: ”se ami quello che fai, non sarà mai un lavoro”. È quanto mai opportuno, quindi, cercare sempre di fare quello per cui ci si sente vivi, perché fa bene a noi stessi e a chi ci sta intorno. E soprattutto perché dà un senso e uno scopo ai nostri giorni, facendoci alzare dal letto traboccanti di quell’energia e motivazione che può cambiare il mondo. Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNOCosa vuol dire Ikigai?
I collegamenti con l’Antica Grecia
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Approfondimento: Il Terremoto del Giappone, 11 Marzo 2011
Il terremoto del Giappone nel 2011 fu un evento catastrofico, che ha lasciato un segno indelebile sul paese del Sol Levante. Infatti, a provocare ulteriore distruzione, furono le due conseguenze del sisma, ossia lo tsunami e l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima. Ma cosa accadde precisamente quel giorno? photo credits: ingvterremoti.com Alle ore 14:46 (5:46 in Italia), un terremoto di magnitudo Mw 9.1 si generò nella prefettura di Miyagi, nell’isola di Honshu, a nord del Giappone. Si trattò di un cosiddetto terremoto megathrust. Tali fenomeni naturali consistono in una rottura lungo la faglia che prosegue per centinaia di chilometri, provocando non solo scosse telluriche, ma anche tsunami. Infatti, la causa di questi ultimi risiede proprio nel rapido spostamento del fondo del mare. In questo caso, la faglia che separa la placca oceanica pacifica da quella di Okhotsk si mosse improvvisamente, generando il movimento tellurico. photo credits: history.com Il sisma colpì principalmente la regione del Tōhoku, una delle zone più attive della Terra e frequente luogo di eventi di questo genere. L’ultimo infatti accadde nel 1933. Quello dell’11 Marzo fu uno dei cinque terremoti più violenti dal 1900, il più forte mai registrato in Giappone. Si successero ulteriori scosse nei minuti successivi, tutte di magnitudo inferiore alla prima, ma altrettanto violente. Infatti, molte parti di Tōkyō rimasero senza energia elettrica. Tuttavia, a causare ingenti danni e vittime fu proprio lo tsunami che avvenne pochi minuti dopo del sisma. photo credits: ingv.it Quest’ultimo fu talmente potente che interessò anche altre parti del mondo lontane dal Giappone, come ad esempio il Cile e le Hawaii. Il sisma generò onde alte più di 10 metri che si abbatterono sulle coste giapponesi a circa 750 km/h. Le prefetture di Iwate e Miyagi, entrambe nel Tōhoku, furono le più colpite. Le conseguenze del maremoto furono disastrose. Il numero di vittime registrate ammonta ad un totale di circa quindicimila, mentre a rimanere disperse sono ancora più di quattromila persone. Inoltre, varie città subirono ingenti danni strutturali causati dal sisma. Ad esempio, il porto di Tōkyō e la Tōkyō Tower furono tra i primi luoghi della capitale a risentire della potenza del movimento tellurico. photo credits: tio.ch L’11 marzo è ricordato anche come il giorno del triplice disastro del Tōhoku, che include, oltre al sisma e allo tsunami, l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima. L’evento fu una diretta conseguenza del terremoto: l’enorme onda di maremoto si abbatté sull’impianto, che non era adeguatamente protetto. Infatti, l’onda superava di ben quattro metri le dighe che erano poste a protezione della centrale. Di conseguenza, il sistema di raffreddamento dei tre reattori fu distrutto e questi ultimi andarono incontro ad un meltdown completo. Le conseguenze furono gravi sia per la popolazione che per l’ambiente. Ci fu un aumento di casi di cancro alla tiroide per i bambini di Fukushima, e grande quantità di materiale radioattivo finì nell’oceano, contaminando l’ecosistema. A seguito della catastrofe, il governo giapponese cercò di unire la popolazione di fronte alla tragedia. Di conseguenza, vennero ampiamente promosse attività di volontariato che videro coinvolti innumerevoli cittadini. Tra queste, figurano il risparmio volontario di energia elettrica e la partecipazione ad iniziative di aiuto e soccorso degli abitanti di Fukushima. photo credits: japantimes.co.jp La propaganda governativa utilizzò inoltre molti slogan e parole di carattere nazionalistico che incitavano i giapponesi a rimanere speranzosi e guardare verso un futuro migliore. Uno tra questi fu quello di “Ganbarō Nippon!”, traducibile approssimativamente come “Forza Giappone!” o “Ce la puoi fare, Giappone!”. photo credits: japantimes.co.jp Oggi, la zona nord della regione del Tōhoku, quella più vicina al primo reattore nucleare, è ancora inabitabile. Sono stati spesi circa 330 miliardi di yen (232 milioni di euro) per ricostruire e decontaminare il territorio. Tuttavia, più di 40.000 persone non riescono ancora a tornare nelle loro case. Il terremoto dell’11 Marzo del 2011 e le sue conseguenze rimarranno scolpite nella mente del popolo giapponese, che guarda al futuro con la speranza che non accada mai più una tragedia del genere. Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNOIl Terremoto: l’origine del disastro
Lo tsunami e le sue conseguenze
L’esplosione della centrale nucleare
Terremoto del Giappone 2011: La risposta del governo
Inoltre, durante la catastrofe, il Primo Ministro Naoto Kan dichiarò che per il Giappone questo era “il momento più difficile dalla fine della seconda guerra mondiale”.Terremoto del Giappone 2011: Il Tōhoku undici anni dopo
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News & Curiosità: Posti migliori dove fare Hanami in Giappone
Vi avevamo già parlato dell’hanami in uno dei nostri articoli precedenti e oggi vogliamo condividere con voi le previsioni per il 2022 e i migliori posti per l’hanami! Photo credits: leaeflo.com La primavera giapponese è conosciuta in tutto il mondo per la fioritura dei ciliegi, in grado di regalarci sempre vedute mozzafiato. Come avrete già sentito, in Giappone il termine che indica la celebrazione di questo evento è hanami, una parola composta da hana (ossia, fiore) e mi (dal verbo miru, ossia vedere). Si dice che questa festività abbia avuto inizio nel periodo Nara (710-794), ma a celebrarla erano poche persone appartenenti all’élite del tempo. Per vedere una prima vera diffusione, infatti, bisognerà aspettare il periodo Edo (1600-1867), quando lo shogun Tokugawa Yoshimune deciderà di piantare alberi di ciliegio in posti strategici. Oggi l’hanami è una festività che attira migliaia di persone nei loro parchi preferiti per godersi un po’ di tempo in compagnia di amici e famiglia. In genere si pensa che la fioritura avvenga nell’arcipelago giapponese nello stesso periodo di tempo, ossia fine marzo o inizio aprile. Tuttavia, questa visione non è propriamente corretta. Pensate, infatti, che ad Okinawa la fioritura comincia già a gennaio, mentre in Hokkaido comincia solo verso maggio. La fioritura dei ciliegi in Giappone è vista come la migliore rappresentazione del cosiddetto mono no aware. Si tratta di un concetto estetico che esprime una certa emozione per la bellezza della natura e della vita umana, infuso però al contempo da una sensazione di transitorietà verso quegli stessi elementi. La vita di questo fiore, infatti, è tanto bella quanto fugace, poiché dopo circa una settimana cade. Da qui la metafora del fiore di ciliegio con la vita umana e l’esistenza in generale, la cui bellezza è esaltata proprio dalla loro transitorietà. Photo credits: tokyocheapo.com Vediamo ora quali sono le previsioni per l’hanami in Giappone quest’anno. Come abbiamo detto prima, Okinawa è esclusa da questa immagine in quanto la fioritura avviene già nel mese di gennaio. La prima a vedere la fioritura verso il 21 marzo sarà l’isola di Kyūshū e in particolare Fukuoka e Nagasaki. Dopodiché, qualche giorno più tardi, il 25 marzo, sarà il turno della capitale Tōkyō che raggiungerà il picco della fioritura intorno al primo di aprile. Kyōto e Ōsaka, invece, quest’anno la vedranno con qualche giorno di ritardo, il 29 marzo. A chiudere l’elenco abbiamo le regioni più a nord del Giappone, con l’Hokkaidō che sarà l’ultima a vedere la fioritura intorno ai primi di maggio. Ma quali sono i posti migliori dove fare hanami? Photo credits: gaijinpot.com Partiamo con Tōkyō e in particolare con il parco di Ueno, in grado di offrire sicuramente una delle vedute più belle della stagione. Nel parco sono presenti più di 1.000 alberi di ciliegio e vi è anche la possibilità di affittare una barchetta per godersi la vista da un’altra prospettiva. Naturalmente, essendo uno dei posti più popolari in Giappone attira sempre tantissima gente. Photo credits: befreetour.com A Kyōto, invece, è presente il cosiddetto “sentiero del filosofo”. Il nome deriva da Nishida Kitarō, un famoso filosofo giapponese che si credeva percorresse questa via per recarsi in università ogni giorno. Il percorso pedonale è lungo circa due chilometri e si snoda su un canale in cui sono presenti tantissimi alberi di ciliegio. Photo credits: kcpinternational.com Rimanendo nella regione del Kansai troviamo forse la più bella veduta di tutto il Giappone e uno dei posti per hanami di eccellenza. Stiamo parlando del castello di Himeji, registrato nella lista del patrimonio dell’umanità nel 1993. Il castello si trova nella città omonima, non molto lontano da Ōsaka ed è anche possibile visitarlo al costo di 1.000 yen (meno di 10 euro). Photo credits: wikimedia.org Non possiamo non citare anche Ōsaka con il suo parco di Kema Sakuranomiya che si estende per più di 4 chilometri lungo il fiume Ogawa. La particolarità di questo posto sono sicuramente gli oltre 4.000 alberi di ciliegio disposti lungo la riva del fiume, percorribile anche attraverso una barca. L’entrata nel parco è gratuita ed è sicuramente un posto perfetto per fare hanami. Photo credits: youinjapan.net Chiudiamo con un altro castello, questa volta a nord del Giappone, uno dei nostri posto per hanami preferiti. Stiamo parlando del castello di Hirosaki nella prefettura di Aomori, proprio di fronte l’isola di Hokkaidō. Anche in questo caso è possibile noleggiare una piccola barca a remi per godersi una vista romantica su più di 2.000 alberi di ciliegio. L’entrata nel parco è a pagamento (circa 500 yen, meno di 5 euro) e si può raggiungere facilmente con il bus dalla stazione di Hirosaki. Unisciti a noi! 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Previsioni hanami 2022
Posti migliori dove fare hanami
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Approfondimenti: Cibo di strada e festival: cosa si mangia durante i matsuri?
Senza alcun dubbio, i festival giapponesi (in giapponese 祭り, matsuri) sono tra gli eventi più apprezzati dai turisti e dai giapponesi stessi, ma cos’è davvero il cibo da matsuri? Con il termine matsuri si intendono vari eventi che hanno luogo in diverse regioni del Giappone, in diversi periodi dell’anno. È così che i matsuri raccolgono l’anima folkloristica del Paese del Sol Levante. Spesso legati a festività nazionali come quella del mare o dei bambini, raccolgono un ampissimo bacino di persone che si ritrova per festeggiare in un clima solare e di condivisione. photo credits: japanistry.com Camminando fra le bancarelle che colorano l’ambientazione dei matsuri, non si può non essere attratti dalla moltitudine di odori e colori dei cibi che vengono preparati in queste occasioni. Takoyaki, Karaage, Okonomiyaki, Dango e molti altri ancora. Certamente i matsuri giapponesi non deluderanno gli amanti del buon cibo! photo credits: learnjapanese123.com Tra i piatti più apprezzati e sempre presenti in ogni matsuri vi sono quelli alla piastra (o yaki 焼き, in giapponese). Tra questi i più conosciuti sono i takoyaki たこ焼き, “frittelle” di polpo avvolte in una pastella e serviti con maionese, salsa yaki e katsuobushi (petali di tonno essiccato). Da non dimenticare gli Okonomiyaki, お好み焼き, letteralmente “alla piastra come piace a me”, solitamente una base di cavolo e pastella, con all’interno i più disparati condimenti, dalle verdure al pollo. Menzione d’onore per tutti i prodotti che durante i matsuri vengono serviti fritti, dalle più tradizionali patatine fritte (disponibili in ogni formato), alle pepite di pollo marinate e fritte, il Karaage (唐揚げ). La preparazione di questo prodotto parte dalla marinatura del pollo, solitamente le cosce disossate o il petto, con aglio, mirin, sake e salsa di soia. Dopo una rapida impanatura di sola farina, il pollo viene tuffato in un bagno di olio bollente, per poi essere servito caldo. photo credits: ikidane-nippon.com Infine, ogni matsuri è caratterizzato dalla presenza di cibi specifici per la festività ed il periodo. D’estate, quando le temperature sono torride e in Giappone si susseguono festival di fuochi d’artificio (o hanabi taikai 花火大会), è comune trovare bancarelle che vendono semplici cetrioli infilzati in uno stecchino di legno e mangiati passeggiando. In altre occasioni, come nei festival primaverili, i giapponesi degustano il dango (団子) palline di riso glutinoso condite con salsa di soia o marmellata di fagioli rossi. Da questa abitudine nasce il detto “Hana yori dango” (花より団子): è meglio ricevere come regalo dei dango piuttosto che dei fiori. photo credits: sakura.co Quando presto andrete in Giappone, il mio consiglio è quello di godere della bellezza e del clima dei matsuri. Il calendario delle festività giapponesi è molto fitto ed è probabile imbattersi in uno di questi eventi anche durante brevi periodi di soggiorno. Il divertimento, anche per i palati più esigenti, è assicurato. Il Giappone più autentico vi aspetta! Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNO Unisciti a noi! Giappone in Italia è un’associazione culturale no profit. Le nostre attività sono possibili grazie anche al tuo contributo che ti permetterà di godere sempre di nuovi e originali contenuti! 20€/ANNOCibo da matsuri, di cosa si tratta?
Ad ogni festival il suo cibo!
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