Lo Hanami: l'esaltazione della natura giapponese
Il Giappone è famoso per il suo rapporto armonioso con la natura: l’idealizzazione di tale rapporto invade la quotidianità del mondo nipponico, costituendo anche la maggior parte delle metafore linguistiche esistenti.
Questo fa sì che il cambio delle stagioni (四季shiki) sia particolarmente sentito da ogni individuo giapponese, al punto da ritualizzarne l’unicità, come succede con l’arrivo della primavera.
L’inizio della primavera rappresenta in Giappone una rinascita, che sottolinea il sollievo della fine dell’inverno. Perché questa rinascita sia vissuta globalmente, si festeggia facendo un hanami 花見(hana “fiore” + mi “guardare”), dove per “fiore” si sottintende il ciliegio in qualità di fiore tradizionale. Considerato da un punto di vista antropologico un rito di passaggio e al contempo un rito di aggregazione, esso consiste nel costituire un gruppo che si trasferisce in un luogo vicino ai ciliegi in fiore nel pieno della città di Tokyo (meta prediletta da tutta la popolazione giapponese), dove sia possibile osservarli al riparo dal vento e su un telo blu, dove si consumerà un appetitoso pic-nic accompagnato da tanto sakè. Questo telo blu rappresenta metaforicamente lo spazio all’interno del quale ogni individuo, scalzo, condivide un ambiente “intimo” con i suoi amici, o familiari, o colleghi, depositando il sé fuori dallo spazio delimitato dal telo: al suo interno gli è possibile esprimersi liberamente, scevro dai precetti morali che generalmente caratterizzano la vita giapponese.
Lo Hanami rappresenta dunque un’occasione di esaltazione della cultura tradizionale giapponese fortemente ancorata alla natura, e, contemporaneamente, un modo perché il senso del gruppo, pilastro della società nipponica, possa rafforzarsi di fronte all’effimero della vita.
Elena Ghilardi
Tosa Nikki
Ki no Tsurayuki
Il “diario di Tosa” è un'opera scritta nel 935 da Ki no Tsurayuki, un poeta della ristretta cerchia imperiale che un anno prima era stato nominato governatore della remota provincia di Tosa, e che quindi aveva dovuto abbandonare la capitale.
Nel diario vengono descritti i 55 giorni di viaggio e di traversata per tornare alla capitale Kyoto, conservando sempre il distacco dell'osservazione disinteressata senza mai esprimere giudizi morali o di classe sulle persone incontrate. Osserva quindi la realtà per cogliere la pienezza della vita; in questo modo ha la forza di affrontare le asperità del viaggio e dell'esistenza, visto che nella città di Tosa aveva perso la figlia. Il testo è quindi pieno di osservazioni sulla vita, sulla caducità ed ineluttabilità del destino e il senso dello scorrere del tempo è dato dai vari rituali, cerimonie e festività. I sentimenti dominanti sono tristezza, sconforto e ansia che sembra svanire con l'avvicinarsi a luoghi noti e a Kyoto. Leggere di più
Tokyo: un nome, un'immagine, un'emozione
Immensa… caotica… travolgente… luminosa… eccentrica… indecifrabile… e potrei cercarne un’infinità di aggettivi nel mio impossibile tentativo di trasmettere le intense sensazioni, irripetibili, che questo macrocosmo mi ha trasmesso per tutta la durata del mio soggiorno in Giappone… TOKYO.
Prima di partire sentivo naturalmente l’esigenza di informarmi il più possibile su quella che sarebbe stata la mia casa per i mesi a venire soprattutto perché, ascoltando i pareri e le impressioni di persone che prima di me avevano vissuto un’esperienza simile, mi trovavo in evidente stato confusionale e mi ero resa conto di non avere davvero la più pallida idea di cosa mi aspettasse.
Sfogliando Tokyo-to di Livio Sacchi, un libro sulla città di Tokyo, lessi che dal punto di vista urbanistico e architettonico è considerata uno scempio, una bruttura indescrivibile, la morte dell’architettura in sostanza e di ogni principio di equilibrio visivo e psicologico! Per precisione voglio riportarne alcuni punti salienti: “Tokyo è abbastanza orrenda; una Los Angeles in peggio, giacché il sovraffollamento spasmodico preme sopra una struttura spampanata” (Alberto Arbasino); “Tokyo è una città spaventosa, la più grande e la più brutta del mondo […] l’urbanistica è caotica, non esiste […] la caricatura di alcune ossessive prigioni di Piranesi” (Cesare Brandi). Leggere di più
La leggenda dei 47 ronin
Il 14 dicembre si tiene il Gishi-sai no cha che è una cerimonia del tè per onorare la memoria dei 47 Ronin di Akō.
La leggenda racconta il famoso caso che coinvolge il codice d’onore dei samurai, Bushidō. Lealtà, controllo, sacrificio, perseveranza e onore: nella leggenda queste virtù erano impresse per sempre nell’anima dei giapponesi. Il racconto, noto come Chūshingura, è celebrato nelle storie, commedie, libri, stampe con blocchi di legno, statue, film e televisione.
La storia inizia con Asano Naganori di Akō, un signore samurai, che fu convocato al palazzo dello Shogun nella città di Edo, l’attuale Tokyo. Sotto lo sguardo attento del suo tutore, Lord Kira, maestro del protocollo del Palazzo, ad Asano furono date responsabilità di corte. La frizione fra i due uomini era costante. Asano rifiutava di pagare i doni che Kira domandava per i suoi servizi. Kira utilizzava ogni opportunità per umiliare pubblicamente Asano. Dopo due mesi di abusi, la tolleranza di Asano raggiunse il limite. Puntò la propria spada contro Kira all’interno delle mura del palazzo, un’offesa penosa – e tentò di ucciderlo anche se non vi riuscì. La punizione per ciò fu inflessibile: ad Asano fu ordinato di commettere il seppuku, l’atto rituale del suicidio.
La potenza dei taiko
Avevo già avuto il piacere di ascoltare un concerto di taiko, per questo, alla notizia che anche a Mantova ci sarebbe stata un'esibizione dei tradizionali tamburi giapponesi, mi sono affrettata ad assicurarmi un posto tra le prime file. Ad esibirsi c'era il gruppo Masa Daiko, proveniente dalla Germania e capitanato da Masakazu Nishimune che l'ha fondato nel 1996, e l'organizzazione dell'evento è ad opera di “Vento tra i salici” e dell'associazione “Gohan”.
Le luci si abbassano, i percussionisti salgono sul palco nella penombra della sala; poi d'improvviso una bacchetta colpisce uno dei taiko disposti con precisione e comincia una musica lenta, cadenzata, profonda, le vibrazioni sembrano penetrare nell'anima di chi ascolta; poi il ritmo aumenta, i suonatori battono i loro tamburi in una incantevole coreografia di gesti e movimenti, di tanto in tanto urlando brevi incitamenti. I colpi vibranti diffondono una musica ancestrale che risveglia qualcosa in fondo allo stomaco, un richiamo potentissimo che rapisce chiunque sia seduto nella platea; esecuzione dopo esecuzione, la magia dei taiko comunica tutta la sua sensualità, il suo virtuosismo, la sua potenza. Ma ci sono anche momenti delicati e poetici, come quando Nishimune canta con una voce bellissima e triste, una canzone sui ciliegi in fiore; e allora mi prende una tale nostalgia del Giappone che una lacrima scende inaspettata.
Per tutto il concerto, gli otto artisti sembrano animati da un vigore e da una passione senza pari, tanto che la loro fatica viene tradita unicamente dal sudore che imperla i loro volti. “Il taiko giapponese riempie di nostalgia e fa vibrare di emozione” leggo sul libretto che ho comprato in occasione del concerto. E sono d'accordo, perché ancora quando mi allontano dall'auditorium nell'aria fresca della sera, piccoli brividi percorrono la mia anima.
Elena Caloisi
Il Giappone e la religione
In Giappone convivono due principali dottrine religiose, affiancate poi da molteplici forme di culto minori e codici morali differenti: Buddismo e Shintoismo. Se la dimensione buddista si preoccupa dell’importanza del culto degli antenati, enfatizzando quindi le relazioni parentali e con esse i concetti di carità, umiltà, accettazione della propria condizione, quella scintoista invece funge da collante nazionale.
La religione scintoista, infatti, è stata sempre considerata una religione politica, in quanto ufficialmente riconosciuta come religione di Stato, che ha conosciuto l’apice della sua diffusione nel periodo Tokugawa (1600-1868). Essa fu per lungo tempo utilizzata come strumento di unione e controllo sul popolo giapponese, specie nelle campagne dove forme di patriottismo locale erano maggiormente radicate che in città. Se prima del conflitto mondiale, in ogni famiglia giapponese era presente un kamidana (piccolo altare presente nelle case private, presso il quale si rivolgevano le proprie preghiere), dal 1946 in poi, come conseguenza del processo di modernizzazione in atto dovuto alla sconfitta militare nipponica, solo il 47% delle famiglie dichiarò di possederne uno e tale attenzione nel conservare la propria tradizione venne giustificata con banali motivi d’abitudine, di rispetto nei confronti delle divinità o dei propri antenati, per ottenere protezione dagli spiriti maligni, o una maggiore produttività agricola, o ancora una migliore condizione di status familiare. Ma la maggior parte delle volte si giustificava tale presenza per onorare gli antenati della famiglia imperiale che diede vita alla Nazione giapponese: dunque il kamidana assumeva la funzione di unificazione con la Nazione, motivo per cui ci si impegnò a costruire alcuni templi nazionali. Il difetto principale che la religione scintoista riconosce di possedere è la mancanza di una spiegazione della sofferenza e della morte umana, parzialmente risolta con la reincarnazione, per cui la condizione della vita attuale è direttamente proporzionale alle attività più o meno “buone e giuste” condotte nella vita precedente.
Elena Ghilardi
Viaggiare nel mondo
Uno degli ultimi eventi relativi al Giappone, risalente al 10 Febbraio 2009 e patrocinato dal comune di Padova, riguarda una conferenza organizzata dal gruppo Viaggi Avventure nel Mondo, un’associazione che dal 1970 si occupa dell’organizzazione di viaggi “Fai da te” senza l’intermediazione del canale del turismo organizzato; obiettivo principale del gruppo è quello di promuovere l’esperienza del viaggio quale innanzitutto esperienza di arricchimento interiore e di conoscenza, quale avventura sorretta però da un continuo aggiornamento e soprattutto dalla trasmissione e divulgazione delle esperienze vissute tramite convegni e conferenze. Questi incontri sono arricchiti da proiezioni e filmati che con le sole immagini riescano a trasmettere il senso e il significato di ogni singola esperienza e del luogo in cui è stata vissuta. Il Giappone risulta appunto essere una delle ultime tappe dell’associazione che, in occasione di questa conferenza, con fotografie e slide ha proposto due filmati estremamente coinvolgenti, accordando ad una musica evocatrice di atmosfere orientali immagini dal forte impatto emotivo; uno dei due filmati, dedicando l’ultima parte della presentazione al dramma di Hiroshima, conclude il tutto con un universale messaggio di pace, la cui interpretazione viene affidata alla foto di una ragazza dal dolce sorriso che porta all’orecchio un appariscente orecchino col simbolo della pace.
Piccoli ritagli di Giappone che cercano di creare nel nostro immaginario un puzzle completo, e il più possibile fedele, di un popolo e di una cultura ai nostri occhi tanto affascinanti quanto misteriosi.
Eleonora Bertin
Il Kyukou come metafora della vita
Ci sono molte stazioni nelle quali il kyukou non passa, tu che nella vita ti sei ritrovato in quelle stazioni te li vedi passare davanti tutti i giorni. Tutti i giorni facce da kyukou ti sfrecciano davanti agli occhi, con le loro mille facce e mille vite da kyukou. Il kyukou ti porta lontano e lo fa nel modo più veloce possibile, e per questo motivo non ferma in tutte le stazioni. Se ci si vuole arrivare bisogna faticare, perché queste stazioni distano parecchio tra loro. Alcune, quelle più vicine, hanno più possibilità di essere raggiunte, ma se sei nato lontano dalle grandi stazioni da kyukou devi faticare più degli altri se vuoi raggiungerle, è così che funziona, é la vita d'altronde, non tutti abbiamo le stesse possibilità.
Sono in tanti a parlarne e ad invidiare i "tipi" da kyukou ma sono altrettanti quelli che non si buttano, non ci provano e preferiscono restare tutta la vita nella stazione dove sono nati, che conoscono a menadito e che li protegge. I più temerari, e tra questi pochi, arrivano a stabilirsi in una di queste prestigiose stazioni, ma arrivati li dopo tanto lavoro scoprono una brutta verità. Arrivarci non basta. Mantenerla é ancora più dura. La competizione al livello di kyukou è alta e tutti vogliono un posto a sedere. La folla preme ogni mattina ed ogni sera, e non c'è pietà per i deboli. Schiacciati ogni giorno negli stessi vagoni, si sente il fiato amaro di quelli che come te dormono, leggono, ascoltano, palpano, riflettono, rilassano e fissano il niente pregno di corpi davanti a loro. Le regole di cortesia che questa società impone spariscono al momento di salire su quel treno che anche oggi ci Deve portare al lavoro. Allora arrivano un momento prima che le porte si chiudano, si girano di spalle, fanno un passo nel vagone e attaccandosi come scimmie al bordo più alto spingono con la schiena e il suo fondo fino a sentirsi dentro abbastanza da far chiudere le porte. All'interno nel frattempo la massa non si oppone, forse loro stessi ieri erano davanti a quella porta, e si muove ondeggiante tra gomiti nella schiena e borse da computer pigiate sullo sterno. Si sente un mugolio di dolore ma nessuna lamentela, le porte tra la pressione si chiudono e tu sei di nuovo dentro, tocchi a malapena terra, ma resisti, chiudi gli occhi accendi l'iPod e ti lasci stritolare.
Barbara Taddeo
Le regole scolastiche
Nelle scuole giapponesi le regole cui sottostare sono numerosissime ed è quindi inevitabile che lo siano anche le occasioni di violarle.
Fino a non molto tempo fa esistevano dei veri e propri manuali di regole, emanati da ogni istituto, sul quale vi era il “codice comportamentale” da seguire. Tali libretti esistono ancora oggi, anche se utilizzati a discrezione dell’istituto. Tra le più universali e banali vi sono la lunghezza dei capelli che non deve superare una certa misura (e, in tal caso, l’obbligo di raccoglierli per le bambine), la lunghezza delle gonne, il colore dei calzini, la grandezza degli zainetti, l’obbligo dell’uniforme, l’assoluto divieto di usare cosmetici per le ragazze e di raggiungere l’edificio scolastico in moto.
Il fatto che a partire dalle scuole elementari le norme educative e comportamentali siano così numerose, fa sì che a casa i bambini al di sotto dei 5 anni siano lasciati abbastanza liberi, in quanto dovranno sottostare ad altre rigide limitazioni, imposte dagli istituti scolastici che frequenteranno.
Elena Ghilardi
Il Samurai e il Maestro del tè
Molto tempo fa viveva un Maestro del Tè. Era un uomo anziano, piccolo di statura e fragile. Era conosciuto in tutta la regione rurale in cui viveva per la sua bella Cerimonia del Tè. Il suo lavoro era così eccellente che un giorno l’Imperatore sentì parlare di lui e lo convocò a Palazzo per realizzare questa speciale cerimonia.
Il tranquillo e piccolo Maestro del Tè ricevette l’invito dall’Imperatore. Impacchettò i suoi averi, se li mise in spalla e iniziò un lungo viaggio a piedi verso il Palazzo.
Dopo molti lunghi giorni, il piccolo uomo arrivò e praticò la cerimonia per l’Imperatore. L’Imperatore ne fu così impressionato! Donò al Maestro del Tè il massimo onore che gli fosse concesso. Gli regalò due spade giapponesi dei Samurai.
Il Maestro del Tè accettò le spade. Si inchinò davanti all’Imperatore, appoggiò le spade sulla schiena, raccolse i suoi oggetti personali e si rimise in viaggio verso casa.
Due giorni più tardi, il piccolo uomo camminava attraverso un piccolo villaggio di campagna quando fu individuato da un Samurai che proteggeva quella zona. Era un grande e potente Samurai. Dapprincipio il Samurai non credette ai propri occhi. Da dove venivano quelle spade? Che cosa se ne faceva quel piccolo e fragile uomo?
Il Samurai affrontò il piccolo uomo. “Come osi prenderti gioco di tutti i Samurai! Non posso sopportare un tale disonore.”
Il Samurai sfidò il Maestro della Cerimonia del Tè a un duello con le spade e disse: “Ci incontreremo qui domani alle quattro del pomeriggio e ci batteremo.”Leggere di più