La visualizzazione della lettera A, tutto l'universo in un simbolo esoterico

Il buddhismo giapponese credo sia il culto religioso che più di ogni altro possiede una varietà di scuole e approcci diversi nella pratica e nel fine ultimo di questa che lo rende estremamente interessante e adatto a soddisfare le differenti esigenze religiose di un popolo così sensibile alle sfumature come quello giapponese. La setta che personalmente più mi affascina nelle pratiche rituali e nel pensiero filosofico è lo Shingon, la cui sede storica e ufficiale è situata sul misterioso monte Koya nei pressi di Nara, e tra le sue “mille e una” pratiche rituali quella che più trovo interessante è, oltre al goma (il rituale del fuoco), quello della visualizzazione della sillaba-seme A. Questa pratica riassume totalmente in sé il nucleo della dottrina e dell’esperienza Mikkyo descritte nel Dainichi-kyo (testo filosofico base della scuola) ed è inoltre una delle pratiche meditative più importanti e concise nell’ambito delle centinaia di tecniche esistenti; viene spesso usata come pratica preparatoria per altre più impegnative perché tramite passaggi graduali sviluppa l’abilità nella meditazione e i testi che ne parlano sono molti.Leggere di più


La pagoda: capolavoro di filosofia e proporzioni

Tempio di Kofuku-ji

Un’alta torre che svettante racchiude in sé tutto il mistero della filosofia e della cultura del sol levante… la pagoda.

Le origini di questo tipico simbolo orientale risalgono attorno al I secolo a. C. in India come stũpa, monumento commemorativo di matrice buddhista.

Una breve descrizione delle sue parti costitutive ci aiuterà a comprendere le assonanze metaforiche tra forma e significato che donano a quest’elemento armonia ed equilibrio e lo rendono così affascinante nella sua semplicità: un solido basamento sorregge l’intera struttura costituita dal corpo (anda), un lungo pilastro (yasti) che dalla cima del corpo si erge slanciato verso il cielo, e una serie di anelli concentrici (chattraveli) che si sviluppano attorno ad esso; all’interno sono solitamente poste le ceneri del defunto. Con lo sviluppo e l’evolversi del culto religioso lo stũpa viene in seguito ad identificarsi esclusivamente con la figura specifica dell’Illuminato (il Buddha storico Shakyamuni) e in alcune culture orientali, come quella tibetana, gli stessi elementi architettonici ne rappresentano metaforicamente le parti del corpo, con l’usanza di dipingerne ad esempio gli occhi sinuosi e penetranti sulla parte superiore. Il più antico e completo esempio di primo stũpa buddhista rimasto in sito è lo Stũpa di Sanchi. Leggere di più


Cucina giapponese

kamaboko4Kamaboko – polpettine di pesce

Ingredienti

500 g di filetti di sogliola, 2 cucchiai di maizena, 1 cucchiaino di sale, 1 cucchiaino di zucchero, 1 cucchiaino di salsa di soia, ¼ di cucchiaino di glutammato monosodico, 1/3 di tazza d'acqua fredda, grasso o olio abbondante per friggere

Preparazione

Diliscate delicatamente il pesce e pestatelo o passatelo al tritacarne fino ad ottenere un impasto di grana finissima. Amalgamatevi la maizena, il sale, la salsa di soia, il glutammato monosodico, lo zucchero e tanta acqua quanta ne può assorbire mantenendo una ferma consistenza; ricavatene polpette piuttosto dorate e croccanti.
Sgocciolatele, passatele su un pezzo di carta assorbente per eliminare l'unto in eccesso e servitele calde.

Tratto da cookaround.com


Kabuki, la messa in scena della tradizione

Non avrei mai pensato che quattro ore e mezza di spettacolo teatrale potessero trascorrere così velocemente e piacevolmente… non potevo assolutamente lasciare il suolo nipponico senza aver visto una rappresentazione di kabuki, il teatro tradizionale giapponese.

Specificatamente lo spettacolo a cui mi riferisco si tenne al kabuki-za, un teatro kabuki costruito ispirandosi alle forme tradizionali dell’architettura giapponese che si inserisce con eleganza, ma anche una certa arroganza, tra i palazzoni luccicanti di Ginza a Tokyo.

Sorta come arte popolare il kabuki fonde assieme il dramma, la musica e la danza, integrandole tra loro con grande equilibrio, e si narra abbia avuto origine dalla danza eseguita a Kyoto verso il 1603 dalla sacerdotessa Okuni del tempio scintoista Izumo.Leggere di più


Lo Hanami: l'esaltazione della natura giapponese

hanami1Il Giappone è famoso per il suo rapporto armonioso con la natura: l’idealizzazione di tale rapporto invade la quotidianità del mondo nipponico, costituendo anche la maggior parte delle metafore linguistiche esistenti.

Questo fa sì che il cambio delle stagioni (四季shiki) sia particolarmente sentito da ogni individuo giapponese, al punto da ritualizzarne l’unicità, come succede con l’arrivo della primavera.

L’inizio della primavera rappresenta in Giappone una rinascita, che sottolinea il sollievo della fine dell’inverno. Perché questa rinascita sia vissuta globalmente, si festeggia facendo un hanami 花見(hana “fiore” + mi “guardare”), dove per “fiore” si sottintende il ciliegio in qualità di fiore tradizionale. Considerato da un punto di vista antropologico un rito di passaggio e al contempo un rito di aggregazione, esso consiste nel costituire un gruppo che si trasferisce in un luogo vicino ai ciliegi in fiore nel pieno della città di Tokyo (meta prediletta da tutta la popolazione giapponese), dove sia possibile osservarli al riparo dal vento e su un telo blu, dove si consumerà un appetitoso pic-nic accompagnato da tanto sakè. Questo telo blu rappresenta metaforicamente lo  spazio all’interno del quale ogni individuo, scalzo, condivide un ambiente “intimo” con i suoi amici, o familiari, o colleghi, depositando il sé fuori dallo spazio delimitato dal telo: al suo interno gli è possibile esprimersi liberamente, scevro dai precetti morali che generalmente caratterizzano la vita giapponese.

Lo Hanami rappresenta dunque un’occasione di esaltazione della cultura tradizionale giapponese fortemente ancorata alla natura, e, contemporaneamente, un modo perché il senso del gruppo, pilastro della società nipponica, possa rafforzarsi di fronte all’effimero della vita.

Elena Ghilardi


Tosa Nikki

Ki no Tsurayuki

Il “diario di Tosa” è un'opera scritta nel 935 da Ki no Tsurayuki, un poeta della ristretta cerchia imperiale che un anno prima era stato nominato governatore della remota provincia di Tosa, e che quindi aveva dovuto abbandonare la capitale.

Nel diario vengono descritti i 55 giorni di viaggio e di traversata per tornare alla capitale Kyoto, conservando sempre il distacco dell'osservazione disinteressata senza mai esprimere giudizi morali o di classe sulle persone incontrate. Osserva quindi la realtà per cogliere la pienezza della vita; in questo modo ha la forza di affrontare le asperità del viaggio e dell'esistenza, visto che nella città di Tosa aveva perso la figlia. Il testo è quindi pieno di osservazioni sulla vita, sulla caducità ed ineluttabilità del destino e il senso dello scorrere del tempo è dato dai vari rituali, cerimonie e festività.  I sentimenti dominanti sono tristezza, sconforto e ansia che sembra svanire con l'avvicinarsi a luoghi noti e a Kyoto. Leggere di più


Tokyo: un nome, un'immagine, un'emozione

Immensa… caotica… travolgente… luminosa… eccentrica… indecifrabile… e potrei cercarne un’infinità di aggettivi nel mio impossibile tentativo di trasmettere le intense sensazioni, irripetibili, che questo macrocosmo mi ha trasmesso per tutta la durata del mio soggiorno in Giappone… TOKYO.

Prima di partire sentivo naturalmente l’esigenza di informarmi il più possibile su quella che sarebbe stata la mia casa per i mesi a venire soprattutto perché, ascoltando i pareri e le impressioni di persone che prima di me avevano vissuto un’esperienza simile, mi trovavo in evidente stato confusionale e mi ero resa conto di non avere davvero la più pallida idea di cosa mi aspettasse.

Sfogliando Tokyo-to di Livio Sacchi, un libro sulla città di Tokyo, lessi che dal punto di vista urbanistico e architettonico è considerata uno scempio, una bruttura indescrivibile, la morte dell’architettura in sostanza e di ogni principio di equilibrio visivo e psicologico! Per precisione voglio riportarne alcuni punti salienti: “Tokyo è abbastanza orrenda; una Los Angeles in peggio, giacché il sovraffollamento spasmodico preme sopra una struttura spampanata” (Alberto Arbasino); “Tokyo è una città spaventosa, la più grande e la più brutta del mondo […] l’urbanistica è caotica, non esiste […] la caricatura di alcune ossessive prigioni di Piranesi” (Cesare Brandi). Leggere di più


La leggenda dei 47 ronin

 Il 14 dicembre si tiene il Gishi-sai no cha che è una cerimonia del tè per onorare la memoria dei 47 Ronin di Akō.

La leggenda racconta il famoso caso che coinvolge il codice d’onore dei samurai, Bushidō. Lealtà, controllo, sacrificio, perseveranza e onore: nella leggenda queste virtù erano impresse per sempre nell’anima dei giapponesi. Il racconto, noto come Chūshingura, è celebrato nelle storie, commedie, libri, stampe con blocchi di legno, statue, film e televisione.

La storia inizia con Asano Naganori di Akō, un signore samurai, che fu convocato al palazzo dello Shogun nella città di Edo, l’attuale Tokyo. Sotto lo sguardo attento del suo tutore, Lord Kira, maestro del protocollo del Palazzo, ad Asano furono date responsabilità di corte. La frizione fra i due uomini era costante. Asano rifiutava di pagare i doni che Kira domandava per i suoi servizi. Kira utilizzava ogni opportunità per umiliare pubblicamente Asano. Dopo due mesi di abusi, la tolleranza di Asano raggiunse il limite. Puntò la propria spada contro Kira all’interno delle mura del palazzo, un’offesa penosa – e tentò di ucciderlo anche se non vi riuscì. La punizione per ciò fu inflessibile: ad Asano fu ordinato di commettere il seppuku, l’atto rituale del suicidio.

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La potenza dei taiko

taikoAvevo già avuto il piacere di ascoltare un concerto di taiko, per questo, alla notizia che anche a Mantova ci sarebbe stata un'esibizione dei tradizionali tamburi giapponesi, mi sono affrettata ad assicurarmi un posto tra le prime file. Ad esibirsi c'era il gruppo Masa Daiko, proveniente dalla Germania e capitanato da Masakazu Nishimune che l'ha fondato nel 1996, e l'organizzazione dell'evento è ad opera di “Vento tra i salici” e dell'associazione “Gohan”.

Le luci si abbassano, i percussionisti salgono sul palco nella penombra della sala; poi d'improvviso una bacchetta colpisce uno dei taiko disposti con precisione e comincia una musica lenta, cadenzata, profonda, le vibrazioni sembrano penetrare nell'anima di chi ascolta; poi il ritmo aumenta, i suonatori battono i loro tamburi in una incantevole coreografia di gesti e movimenti, di tanto in tanto urlando brevi incitamenti. I colpi vibranti diffondono una musica ancestrale che risveglia qualcosa in fondo allo stomaco, un richiamo potentissimo che rapisce chiunque sia seduto nella platea; esecuzione dopo esecuzione, la magia dei taiko comunica tutta la sua sensualità, il suo virtuosismo, la sua potenza. Ma ci sono anche momenti delicati e poetici, come quando Nishimune canta con una voce bellissima e triste, una canzone sui ciliegi in fiore; e allora mi prende una tale nostalgia del Giappone che una lacrima scende inaspettata.

Per tutto il concerto, gli otto artisti sembrano animati da un vigore e da una passione senza pari, tanto che la loro fatica viene tradita unicamente dal sudore che imperla i loro volti. “Il taiko giapponese riempie di nostalgia e fa vibrare di emozione” leggo sul libretto che ho comprato in occasione del concerto. E sono d'accordo, perché ancora quando mi allontano dall'auditorium nell'aria fresca della sera, piccoli brividi percorrono la mia anima.

 

Elena Caloisi


Il Giappone e la religione

In Giappone convivono due principali dottrine religiose, affiancate poi da molteplici forme di culto minori e codici morali differenti: Buddismo e Shintoismo. Se la dimensione buddista si preoccupa dell’importanza del culto degli antenati, enfatizzando quindi le relazioni parentali e con esse i concetti di carità, umiltà, accettazione della propria condizione, quella scintoista invece funge da collante nazionale.

La religione scintoista, infatti, è stata sempre considerata una religione politica, in quanto ufficialmente riconosciuta come religione di Stato, che ha conosciuto l’apice della sua diffusione nel periodo Tokugawa (1600-1868). Essa fu per lungo tempo utilizzata come strumento di unione e controllo sul popolo giapponese, specie nelle campagne dove forme di patriottismo locale erano maggiormente radicate che in città. Se prima del conflitto mondiale, in ogni famiglia giapponese era presente un kamidana (piccolo altare presente nelle case private, presso il quale si rivolgevano le proprie preghiere), dal 1946 in poi, come conseguenza del processo di modernizzazione in atto dovuto alla sconfitta militare nipponica, solo il 47% delle famiglie dichiarò di possederne uno e tale attenzione nel conservare la propria tradizione venne giustificata con banali motivi d’abitudine, di rispetto nei confronti delle divinità o dei propri antenati, per ottenere protezione dagli spiriti maligni, o una maggiore produttività agricola, o ancora una migliore condizione di status familiare. Ma la maggior parte delle volte si giustificava tale presenza per onorare gli antenati della famiglia imperiale che diede vita alla Nazione giapponese: dunque il kamidana assumeva la funzione di unificazione con la Nazione, motivo per cui ci si impegnò a costruire alcuni templi nazionali. Il difetto principale che la religione scintoista riconosce di possedere è la mancanza di una spiegazione della sofferenza e della morte umana, parzialmente risolta con la reincarnazione, per cui la condizione della vita attuale è direttamente proporzionale alle attività più o meno “buone e giuste” condotte nella vita precedente.

 

Elena Ghilardi