Il Chado nel mondo reale

Amo entrare nella stanza del tè, vedere il kakemono e i fiori e annusare l’incenso. La stanza del tè è un luogo sicuro in cui le regole dell’etichetta garantisce che tutti sappiano quello che accadrà e come comportarsi. Siamo tra persone che condividono gli ideali del wa, kei, sei e jaku. Questo è il mondo del tè.

E tuttavia, c’è questa dualità. La mia vita nel tè, o la mia vita quando non pratico il tè. Qual è il mondo reale? Talvolta sembra che la stanza del tè sia più reale del resto della mia vita quando mi preoccupo dei conti, dei conflitti sul lavoro, della mia famiglia, dello shopping e di molte altre cose. Nella stanza del tè, mi preoccupo soltanto di preparare un buon tè, mi preoccupo dei miei ospiti e di fare del mio meglio.

Per molti anni, ho dovuto guidare attraverso la città dopo il lavoro per frequentare la classe del tè. Nel bel mezzo del traffico più odioso ero sulla circonvallazione e guidavo verso la casa della mia sensei. Talvolta mi ci volevano più di due ore per arrivarci e io avevo il terrore di fare quel viaggio. Quando arrivavo a lezione, ero in ritardo, frustrata e distratta. Una sera notai, tornando a casa, che tutte le volte che andavo a una lezione sul tè, ero molto felice sulla via del ritorno. Il più delle volte, il traffico era molto leggero, ma talvolta era altrettanto pesante dell’andata. Non importava, ero felice di guidare verso casa.Leggere di più


Aikidō: le caratteristiche della pratica

L’aikidō si pratica su un tatami, indossando il keikogi, la classica divisa di cotone bianco usata per il jū, ma sono accettate anche le divise da karate e da kung fu, purché bianche. Ad eccezione dei bambini, per i quali solitamente si tengono apposite lezioni, i corsi sono aperti a tutti indipendentemente dal sesso o dall’età poiché l’aikidō si prefigge di essere una disciplina praticabile da chiunque. Ai principianti vengono in primo luogo insegnate le tecniche di caduta (in avanti e all’indietro), gli spostamenti e le tecniche di base. Le lezioni iniziano in ginocchio, seduti sui talloni, con un breve momento di concentrazione, seguito dal rituale saluto a un’immagine del Fondatore dell’aikidō e all’insegnante, e continuano con esercizi di respirazione profonda e di concentrazione (kokyū soren, controllo dell’energia totale attraverso il metodo della respirazione). Preparati così mentalmente e spiritualmente, si eseguono velocemente alcuni esercizi di riscaldamento, di allungamento muscolare e le cadute. L’apprendimento avviene principalmente per imitazione.

Come nella realtà non esiste una sola possibilità di attacco, così nell’aikidō (a differenza per esempio dal jū) non esistono prese prestabilire al keikogi dei praticanti poiché l’allenamento mira ad abituare mente e corpo a neutralizzare diversi tipi di aggressione (una presa al polso o alla giacca, un pugno allo stomaco, un colpo alla testa, un tentativo di immobilizzazione da tergo, ecc.).Leggere di più


Aikidō: aspetti rituali

La pratica dell’aikidō è fatta di gesti e comportamenti ben codificati. Non esiste l’improvvisazione. Non ci sono professioni di fede o credo da recitare, conoscere i testi non viene richiesto per salire di grado. Tuttavia ci sono delle regole da seguire.

Durante la pratica bisogna stare in silenzio, attenti e rispettosi degli altri. In più ci sono precisi rituali da osservare salendo e scendendo dal tatami, all’inizio e alla fine della lezione. Questo inchino rituale segna una chiara demarcazione tra lo spazio di pratica e quello esterno. Così come il saluto rituale all’inizio e alla fine della lezione,

l’inchino al kamidana del dōjō. Anche gli esercizi preliminari di riscaldamento diventano rituale. Gli speciali esercizi chiamati aiki taisō sono stati mutuati dalla tradizione shintō e sono tradizionali pratiche esoteriche. Per poter osservare le componenti religiose di alcuni comportamenti rituali coinvolti nell’aikidō, saremo guidati dal sistema di osservazione delle azioni rituali descritte nel testo Rethinking Religion di Lawson e McCauley.Leggere di più


Il cucù estivo

natsu no yo no

fusu ka to sureba

hototoguisu

naku hitokoe ni

akuru shinonome

In una notte d’estate,

non appena mi ero distesa

ecco che appare la prima luce

pallida dell’alba – annunciata

da un’unica canzone del cucù.

L’hototogisu è un tipo di cucù giapponese (Cuculus poliocephalus). Il canto dell’hototogisu segnala tradizionalmente l’arrivo dell’estate. In alcuni racconti, il grido funereo di un hototogisu in un bosco solitario era associato al desiderio degli spiriti dei morti di ritornare dai propri amati ancora in vita. L’hototogisu è stato a lungo un tema popolare nella letteratura e nella poesia giapponesi, apparendo sia ne Il racconto di Genji che ne Il libro del cuscino, e comprendendo praticamente un intero genere di haiku dedicati all’hototogisu. È una parola comoda che contiene 5 sillabe e quando si aggiunge yama (montagna), ne comprende 7.Leggere di più


L’arte inizia dai preparativi

A mio parere la bellezza e la profondità insite nell’arte dello Shodō 書道risiedono nel fatto che questa disciplina non si limita a soddisfare delle necessità puramente estetiche, ma essa intinge la propria essenza nelle pratiche di ricerca di sé, della rivelazione di Verità.

L’atto di scrivere non è un’azione fine a se stessa, ma una pratica ricca di significati, che deve permettere a chi si presta di raggiungere uno stato mentale di profondo raccoglimento.

Per questo motivo la preparazione dei materiali, la disposizione dell’occorrente devono essere eseguite dall’artista stesso, in quanto momento fondamentale, durante il quale la mente, il corpo e gli utensili stessi stabiliscono tra di loro un primo contatto. Il maestro stende il mōsen 毛氈, un panno di lana che funge da piano d’appoggio, sopra il quale vengono stesi i fogli di carta. Tutt’intorno vengono poi distribuiti i materiali necessari: pennelli, inchiostri, acqua, tamponi, ecc.Leggere di più


Arte e Natura: l'Occidente incontra l'Oriente

Gli artisti Kenjiro Azuma e Fernando Leal-Audirac dialogano sulle proprie esperienze personali e artistiche a cavallo tra Oriente e Occidente con lo sguardo volto verso la possibile costruzione di un nuovo pensiero artistico – e quindi etico ed estetico – che unisca i due orizzonti culturali alla luce del nuovo millennio.

Vedi il video.

Giuseppe De Francesco

www.drapht.it


Antiquariato giapponese

Farfalle e peonie

Tomizo Saratani

(1949 - )

Pannello in lacca, 31,5 x 40,5 cm

Takamaki-e con inserti in oro e madreperla (raden).

Firma: Tomizo

Tomizo Saratani è originario di Kyoto e fin da giovanissimo si è dedicato allo studio della lacca tradizionale giapponese (urushi). Dopo aver studiato sotto diversi maestri, nel 1975 si è trasferito a Vienna, dove ha lavorato per otto anni come istruttore e restauratore presso il MAK, il Museo Austriaco per le Arti Applicate, per i mobili laccati delle collezioni viennesi. Negli anni seguenti Tomizo ha continuato l’attività di restauratore tra Londra, Chicago e la sua residenza in Hokkaido ed è solo dal 2003 che ha deciso di dedicarsi completamente ai suoi lavori originali.

Il pannello è realizzato con numerose tecniche di laccatura. Il disegno principale è eseguito in bassorilievo di lacca (takamaki-e) e gli inserti sono in oro, fiocchi d'oro e madreperla (raden), con uso di lacca rossa per la farfalla di destra.

I soggetti che Tomizo preferisce sono gli animali di piccole dimensioni, che egli riesce a riprodurre con un realismo straordinario.

Giuseppe Piva

www.giuseppepiva.com


Andare a un chaji

Questo fine settimana sono stato invitato a un chaji organizzato da uno dei nostri insegnanti, Drew Hanson.

“Chaji” significa letteralmente qualcosa tipo “evento del tè” ed è considerato il culmine della pratica del tè. È più formale di un chakai (“incontro per il tè”), che ha un format più flessibile. In un chaji, tutto è attentamente determinato. Inizia con un pranzo che ha un numero stabilito di portate. Quando è portata dentro la prima portata, ciascuna persona riceve un vassoio con due tazze e un piatto. In una tazza c’è il riso, nell’altra una zuppa e nel piatto c’è il sashimi. Una volta che tutti hanno ricevuto il proprio vassoio, simultaneamente tolgono i coperchi dalle tazze, li poggiano l’uno sull’altro e li mettono su un lato del vassoio. Da questo punto in poi, ogni passo ha una coreografia attenta: cosa c’è in ogni portata, quando entra nella stanza e come è servita. Anche gli ospiti devono fare attenzione alla tempistica perché devono mangiare determinate cose prima che sia servita la portata successiva.

Se siete il padrone di casa, il cibo è di gran lunga la parte più stressante. Il menù è pianificato mesi in anticipo e la cucina inizia giorni prima perché ogni elemento del pranzo richiede una preparazione speciale. E, dato che le portate sono servite calde, il padrone di casa ha bisogno di aiutanti in cucina per essere sicuro che tutto sia pronto nel momento esatto.Leggere di più


Pazienza, pazienza

L’altro giorno uno studente mi ha chiesto: “Tutti fanno degli errori e lei corregge ripetutamente tutti. Come fa a essere così paziente?” Che cos’è la pazienza? Voglio dire, io utilizzo del tempo e presto attenzione, è questa la pazienza?

Quante volte abbiamo detto a noi stessi: “Devo essere più paziente”. Moltissime cose richiedono pazienza ogni giorno. Con il nostro lavoro, le nostre attività, i nostri figli, gli amici, la famiglia e le faccende quotidiane come la lavanderia o gli acquisti dal droghiere, tutto compete per avere il nostro tempo e la nostra attenzione. Qualche giorno sembra che abbiamo appena il tempo di respirare. Tuttavia la pazienza richiede tempo e nelle nostre vite abbiamo poco di questo bene.

Nonostante tutte le nostre vite affaccendate, viviamo una vita comoda. I miei genitori avevano una sola auto e mio padre andava in macchina al lavoro. Mia madre prendeva l’autobus per andare al lavoro. I miei nonni non avevano la macchina. La necessità ci rende pazienti. Quando si ha poco, ci vuole più tempo a fare le cose e quindi si devono fare dei programmi conseguenti. L’aspettativa che le cose si verifichino in un certo schema temporale ci rende impazienti.Leggere di più


Aikidō: Modelli di comportamento

L’aikidō è inevitabilmente una attività sociale in quanto, a qualsiasi grado di abilità è necessario un partner per praticare e un luogo deputato. I praticanti di aikidō condividono una conoscenza “iniziatica” rispetto ai non praticanti. Questa circostanza li rende solidali fra loro e separati a chi è estraneo all’arte. La pratica dell’aikidō comporta un alto grado di intimità fisica e richiede fiducia reciproca tra i praticanti. Ciò aiuta a creare un alto senso di cameratismo fra i membri di un dōjō.

Il senso di cameratismo si sviluppa in diversi modi, fra questi la definizione di turni per il mantenimento del dōjō in maniera comunitaria. Dal pulire il tatami a lavare le docce, imbiancare i locali o aggiustare impianto elettrico o idraulico. Da ogni membro del dōjō ci si aspetta un contributo. Ogni dōjō ha il suo responsabile didattico, ma a chiunque abbia raggiunto shodan può essere richiesto di tenere la lezione occasionalmente.

Tutte queste responsabilità condivise servono a sviluppare un forte senso di appartenenza alla comunità fra i membri del dōjō.

Periodicamente le associazioni nazionali e internazionali organizzano giornate di incontro, stages, che costituiscono un’occasione offerta ai praticanti per allargare la propria conoscenza, entrare in contatto con nuovi maestri e allievi a diversi livelli.

Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato


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