Trent'anni di Akira, il capolavoro di Otomo
Era il 1988, quando nelle sale uscì, per la prima volta, Akira, trasposizione cinematografica del manga omonimo di Katsuhiro Otomo. Il film ebbe un successo straordinario: con 50 milioni di dollari di incasso, è considerato oggi uno dei migliori film di science fiction di sempre, accanto a pietre miliari come Blade Runner.
Il manga fece il suo debutto nel 1982 sulla rivista Yangu Magajin, consacrando il suo autore come uno dei più influenti fumettisti del mondo intero. Fin da giovanissimo, Otomo coltiva tre grandi passioni: il cinema, la scrittura e il disegno. Nei suoi primi lavori come mangaka affronta generi differenti, ma da subito emerge la sua cifra stilistica: l'attenzione dedicata all'introspezione psicologica dei personaggi e le influenze del cinema occidentale (da Hopper a Kubrick).
Akira è il punto d'incontro tra il linguaggio cinematografico occidentale e lo stile dei manga: se il ritmo del racconto e le inquadrature ricordano i classici film di fantascienza americani, l'immaginario di riferimento è propriamente nipponico. In esso ricorrono temi cari a buona parte dell'animazione seriale giapponese, come il rapporto tra l'uomo e la macchina, sfruttato in numerosi anime e manga anche recentissimi (da Astro boy e i robot giganti di Go Nagai come Jeeg, fino ai più recenti Gundam, Neon Genesis Evangelion, Eureka Seven), con qualche incursione nel cinema in carne e ossa (Tetsuo the iron man).
Nel 1988 dunque esce il film in sala. Otomo rielabora personalmente il manga, adattandolo alle esigenze del grande schermo. Ottiene uno storyboard di circa 700 pagine: le numerose sottotrame e la ricca caratterizzazione dei personaggi vengono parzialmente sacrificate. Oltre alla contaminazione tra generi (dalla fantascienza al road movie), già presente nella trama originale, il film si mostra come ibrido anche a livello tecnico, mescolando appunto tradizione nipponica con suggestioni e innovazioni occidentali, ad esempio nella tecnica di doppiaggio. Tutto ciò rende Otomo uno dei mangaka meno "giapponesi", e il film un capolavoro fuori dal tempo che merita di essere (ri)scoperto.
E potete riscoprirlo proprio al cinema il 18 aprile.
Kintsugi, corso di tecnica tradizionale a Milano
Sono Chiara Lorenzetti, restauratrice. Il mio lavoro consiste nel riparare oggetti importanti per le persone, nascondendone rotture e difetti. Qualche anno fa, però, ho scoperto che non interessa a tutti che una crepa sia ben nascosta, ho scoperto che a volte le crepe sono la cosa che aggiunge valore, storia e significato a un oggetto.
Ho scoperto l’arte del Kintsugi, un’antica tecnica giapponese, nata alla fine del quindicesimo secolo, che consiste nel riparare oggetti in ceramica mettendo in evidenza le crepe con polvere d’oro. Dopo un periodo di studio ed esperimenti ho incontrato l’Associazione Giappone in Italia e, assieme, abbiamo deciso di proporre un corso di Kintsugi con la tecnica tradizionale giapponese, quella originale. Infatti, al posto delle resine epossidiche usate in Occidente, il Kintsugi originale prevede l’impiego della lacca autoctona Urushi. Insegnare ad altri è sempre una grande responsabilità ma, al contempo, trasmettere la propria passione ad altre persone è appagante e, come nel caso del primo corso tenuto a Milano, permette sia a chi insegna che a chi apprende di aprire se stesso a nuove esperienze.
Durante le quattro settimane di corso i sei allievi, tutti provenienti da realtà diverse, hanno imparato come rompere e riparare un oggetto in ceramica, hanno sperimentato l’uso di materiali antichi come la lacca Urushi e hanno applicato la ricchezza dell’oro alle fratture nell’oggetto. Oltre a questo, però, ciascuno di essi ha vissuto un esperienza, artigianale e umana, che lo ha portato più vicino al sé artistico.
Ognuno degli allievi ha vissuto il corso in un modo personale, chi focalizzandosi più sull’aspetto tecnico e chi su quello filosofico e umano. Anche per l’insegnante questo corso è stata un’esperienza importante. La soddisfazione espressa dagli allievi rispecchia quella dell’insegnante che, per quattro settimane, ha seguito e incoraggiato, corretto e suggerito a sei persone desiderose di apprendere di più su una tecnica di restauro e su se stessi.
Forse è con le loro parole che il successo del corso si esprime al meglio.
[blockquote align="none" author="Annamaria"]"È stato un bellissimo corso, mi sono trovata molto bene con te e tutto il gruppo.
Le ore sono volate anche per l’argomento interessante."
[/blockquote]
[blockquote align="none" author="Raffaella"]"Il corso per me è stata una piacevole sorpresa, alla prima lezione non sapevo esattamente cosa aspettarmi, […] ma la tua professionalità e passione insieme all'armonia creatasi nel gruppo si è trasformata in una bellissima esperienza e crescita costante."[/blockquote][blockquote align="none" author="Melania"]"Nelle 4 settimane in cui siamo stati insieme mi hai insegnato infatti, con la tua arte, a dilatare il tempo. […] La cosa di cui ora sono compiaciuta è che mi hai insegnato tra le altre cose a sorridere di fronte ad un oggetto rotto…"[/blockquote]
[blockquote align="none" author="Maurizio"]Grazie a te per il corso che hai organizzato. Mi è piaciuto tantissimo ed era quello di cui avevo bisogno. Ho imparato tanto da te e mi sono divertito.[/blockquote]
[blockquote align="none" author="Ilaria"]"È stata veramente una bella esperienza, finalmente ho imparato questa affascinante tecnica che rincorrevo da anni! Ho trovato un arricchimento sia a livello formativo sia a livello umano, conoscendo te ed i miei compagni di corso, tutte belle persone con le quali ho percepito subito una sintonia, al di là delle età differenti, delle diverse città di provenienza e delle professioni di ognuno. "[/blockquote]
[blockquote align="none" author="Fiorenza"]"Ho trovato il corso molto interessante e stimolante. Mi sono avvicinata al kinsugi pensando sia di poter aggiungere nuove competenze al mio bagaglio tecnico di restauratrice, imparando le basi di questa antichissima arte, che di poter dare un valore aggiunto alla mia creatività […].Un ulteriore punto di forza è stato l'ottimo rapporto che si è creato immediatamente tra tutti i componenti del corso."[/blockquote]
Al termine di questa esperienza mi sento di dire grazie ai miei allievi. E buon lavoro!
Se volete maggiori informazioni o desiderate sapere se ci saranno nuovi corsi, non esitate a contattare l’associazione. Per saperne di più sull'arte del Kintsugi, cliccate qui
Penne del Sol Levante - Tokyo Express di Matsumoto Seicho
Bentornati alla rubrica settimanale Penne del Sol Levante! Oggi vi incanterò con la storia di un romanzo appena uscito in libreria per Adelphi, Tokyo Express. Un giallo in piena regola, risalente al 1958 e denso di atmosfera.
I corpi di Sayama Ken'ichi e della giovane Otoki vengono ritrovati a Kashii, precisamente sulla spiaggia del promontorio che affaccia sulla baia di Hakata. Sono distesi su una lastra di roccia scura, i vestiti smossi dal freddo vento marino. Dai primi rilievi della polizia è subito chiaro che i due si sono suicidati e le analisi di poco successive confermeranno l'uso del cianuro, anche contenuto in una bottiglietta vuota di succo di frutta posta a fianco dei cadaveri. il caso viene subito etichettato come il suicidio amoroso di due tristi amanti. Iniziano le ricerche per scoprire l'identità dei due corpi e da subito, agli occhi del vecchio ispettore Torigai Jutaro, qualcosa non quadra in quella scena apparentemente perfetta
A dargli manforte arriva da Tokyo un giovane poliziotto della seconda sezione investigativa, quella che si occupa dei casi di corruzione. Pare infatti che la vittima, l’uomo, lavorasse in un ministero coinvolto in un grosso scandalo. Anche per il detective, Mihara Kiichi, quella storia ha qualcosa di sospetto ed entrambi sembrano non darsi pace. I loro dubbi sembrano confermati da strane incongruenze nelle testimonianze di alcuni conoscenti della giovane Otoki. Infatti due ragazze che lavoravano con lei in un locale della capitale e uno dei loro clienti più assidui testimoniano di averla vista, in compagnia di un uomo, salire sull’espresso che da Tokyo porta ad Hakata. Questo e altri indizi porteranno i poliziotti a svolgere una lunga indagine.
In questo romanzo i colpi di scena non mancano, il finale è inaspettato e originale. Si tratta di un classico giallo in piena regola, molto godibile e ottimamente narrato. C’è solo da sperare di imbattersi in qualche altro scritto di Matsumoto Seicho per poter godere nuovamente della sua prosa. Ma se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente!
Buona lettura!
Nagura, le pietre giapponesi per l'affilatura di lame e katana
I Maestri armaioli giapponesi, abbigliati con costumi immacolati, creano katana in uno stato di totale concentrazione, per creare spade che "non si spezzano, non si piegano e tagliano con precisione”. Tale capacità e qualità di taglio è dovuta anche all'affilatura, praticata con pietre naturali. Tra i Maestri vi era anche Kousuke Iwasaki. Il suo libro Sulle lame (刃物 の 見方) è ancora considerato una delle opere principali di forgiatura giapponese, costruzione rasoi e affilatura. Ci soffermeremo proprio sul discorso dell'affilatura e gli strumenti per attuarla in maniera impeccabile.
Vi sono quattro tipi principali di nagura (pietre per l'affilatura): botan (ボタン), mejiro (目 白), tenjou
(天上) e koma (コマ o 細) . La Botan è costituita da particelle grossolane, e leviga velocemente grandi quantità di acciaio durante l'affilatura. La tenjou e la mejiro possiedono particelle fini (コマ o 细). Le botan a volte presentano inclusioni assimilabili a piccoli punti neri noti come "occhi di sabbia". Le nagura sono costituite da un tipo di quarzo denominato tufo riolite. Questa è una roccia vulcanica acida formatasi da un processo deposizionale della cenere in seguito alle eruzioni vulcaniche.
La successione delle pietre durante l'affilatura è la seguente: botan (grossolana), una mejiro (fine) oppure una tenjou (fine). Solitamente quando la fanghiglia che si forma durante il processo di affilatura diventa più scura indica il momento di passare alla nagura successiva. Solo passando il filo del rasoio sull'unghia del pollice ci permette di capire l'aggressività della lama. Il potere abrasivo in presenza di fanghiglia aumenta perché i cristalli vengono rilasciati sulla superficie della pietra e quindi presenti in forma più efficace.
Tra le pietre giapponesi per la finitura honyama vi sono le maruka che possono essere gialle, rossastre, blu e bianche. Un tempo le gialle erano considerate le migliori ma dopo attente analisi ci si e' accorti che l'abrasivo presente in tutte le pietre e' lo stesso e che, in realtà, il tipo di levigatura era simile a quello delle altre pietre. Altre pietre molto buone per la finitura sono le ozaki di montagna, sono di colore grigio scuro. Si raccomanda di lappare accuratamente tute le pietre giapponesi per l'affilatura e, nel caso di quelle per finitura sopra citate, di rimuovere tutte le intrusioni color porpora e/o color pelle. Queste intrusioni, molto dure, rischiano di scheggiare il filo del rasoio.
Dopo l'uso delle nagura si passa all'uso delle pietre honyama. Le pietre honyama sono lente in genere e quindi si usa creare una fanghiglia su di esse con una nagura. In giapponese, in questo caso, dato che si usano due pietre, è possibile che l'intero procedimento venga esplicitato affermando: "Si affila il rasoio usando una tomonagura" (ovvero una honyama, più la nagura).
Arrivati a questo punto dell'affilatura, si sta usando la honyama per affilare, la nagura è solo un coadiuvante.Il procedimento quindi dovrebbe essere chiamato tomoto (共 砥). Teoricamente che scaturisce da questa operazione risulta si ancora frastagliato, ma pronto per radere. In realtà si può fare di meglio. Il filo cosi come viene lasciato dalla honyama viene chiamato mudaha (ムダ 刃). La nagura, come abbiamo visto, può servire da sola per abradere parecchio acciaio dal filo nei casi in cui vi sia un filo particolarmente difficoltoso da impostare, oppure per formare della fanghiglia su pietre più fini.
SI consiglia, in questo caso, di strofinare la nagura in maniera uniforme in modo da non dover poi lappare la pietra su cui si vuole attuare lo slurry ( fanghiglia), una volta finita l' operazione. Si faccia attenzione a non strofinare troppo energicamente le pietre nagura l'una sull'altra, per evitare che dalla prima si distacchino frammenti troppo grossi.Una quantità copiosa di abrasivi e fanghiglia inoltre può essere controproducente. Può far si infatti che il rasoio risulti sollevato, quindi che il filo non tocchi bene sulla pietra. Si rischia, in questo modo, di ottenere un filo irregolare.
Bibliografia: Sekishi no shoyû tôken (“La spade della città di Seki”), Città di Seki, provincia di Gifu.
Kousuke Iwasaki
(Translated by Jim Rion/Andrea Brattelli)
Penne del Sol Levante - La ragazza dell'altra riva di Mitsuyo Kakuta
Buongiorno cari amici, oggi per la rubrica di Penne del Sol Levante vi racconto un romanzo uscito da pochi mesi in Italia: La ragazza dell’altra riva di Mitsuyo Kakuta.
Le protagoniste sono due donne che non potrebbero condurre vite più diverse. Sayoko è sposata e ha una figlia piccola, Akari, con cui passa le sue giornate; trascina i giorni trasferendosi da un parco giochi all’altro per evitare di dover far amicizia con le altre madri, che si uniscono in gruppetti chiusi. Akari, introversa quanto lei, non riesce mai a farsi degli amici e gioca sempre da sola. Sayoko non sopporta più questa situazione e decide di trovarsi un lavoro, così da avere una buona scusa per mandare la bambina all’asilo dove finalmente potrà interagire con i suoi coetanei. Così si mette a spulciare gli annunci lavorativi, va a diversi colloqui ma nessuno pare volerla assumere visto che è una casalinga e non ha capacità particolari.
Finché non incontra Aoi, giovane donna in carriera a capo di una piccola società di pulizie e viaggi. Fin da subito si intuisce che l’organizzazione interna dell’azienda è confusa e che Aoi spesso vive alla giornata, reinventandosi a seconda dell’affare migliore. Le due donne fanno da subito amicizia e Sayoko inizia a lavorare per lei come donna delle pulizie, nonostante le discussioni asfissianti con il marito e la suocera.
Ai capitoli dedicati al presente di questa piccola azienda si intervallano quelli dove ci viene narrata l’adolescenza turbolenta di Aoi, che scopriremo poi intrecciarsi inconsapevolmente con quella di Sayoko.
L’autrice, Mitsuyo Kakuta, non è una voce del tutto inedita nel panorama italiano. Nel 2014 infatti era uscito il suo primo libro tradotto in italiano (in realtà in Giappone è un nome molto conosciuto e i suoi romanzi e racconti hanno già vinto tutti i premi letterari più prestigiosi del paese). L’avevo letto, e presto ve ne parlerò, ma non mi aveva colpito come questo. Stavolta sono stata ammaliata dalla sua scrittura e da questi due personaggi di donne che tentano di costruirsi un Io, un’indipendenza d’animo rispetto ai doveri e alla società che le circonda.
Un romanzo in cui mi sono ritrovata molto, ma se volete saperne di più trovate la recensione completa su Penne d’Oriente. Buona lettura!
Penne del Sol Levante - Una perfetta stanza di ospedale di Yoko Ogawa
Buon fine settimana affezionati lettori della rubrica Penne del Sol Levante! Oggi vi propongo una breve raccolta di racconti dell’autrice Yoko Ogawa. Come forse già saprete è la mia scrittrice preferita e ho ritrovato in questa magnifica antologia il suo stile caratteristico e i temi a lei più cari.
Il libro comprende due racconti brevi: Una perfetta stanza di ospedale e Quando la farfalla si sbriciolò. Nel primo, una donna si riavvicina al fratello malato, passando con lui tutto il suo tempo libero, nella stanza dell’ospedale universitario dov’é ricoverato. I due sono molto legati fin da bambini e hanno avuto un’infanzia difficile a causa dei problemi mentali della madre, ormai defunta. La protagonista ammira la perfezione della camera in cui il fratello giace a letto e mangia uva, l’unico alimento che il suo corpo ormai accetta. Pare quasi che tanto la stanza appare intonsa, lucente, pulita e perfetta, tanto più il ragazzo si consumi velocemente, ammalandosi sempre di più. Quasi che nella mente della donna, per sopravvivere a quel profondo dolore, lei debba veicolare la perfezione verso un oggetto inanimato e non più vederla nel corpo del fratello. Le ossessioni della donna risalgono alla sua adolescenza, al disordine e allo spreco di cibo che regnavano nella sua casa, da quando la madre si era ammalata. Sono queste stesse fobie a incanalare la sua visione della vita e del mondo, distorcendola.
Il secondo racconto narra la vicenda di Nanako, che si trova costretta a portare sua nonna Sae in un ospizio. La donna è ormai immobile nel letto, non si alza più e non vuole mangiare, per questo motivo, in cerca d’aiuto, la ragazza decide di affidarla a una casa di riposo. Quando ritorna a casa, però, l’assenza è straziante e lei si sente svuotata di tutto, confusa e incapace di distinguere quella nuova realtà solitaria dalla pazzia.
La scrittura di Yoko Ogawa ci dona due scorci di donne incredibili. Le descrizioni minuziose, accattivanti, morbose rendono questa raccolta simbolica dell’intera produzione letteraria dell’autrice. Se volete saperne di più su di lei, vi lascio alla recensione su Penne d’Oriente. Buona lettura!
Lo Shintō - La religione autoctona del Giappone
Le origini dello Shintō
Considerata la religione nativa del Giappone, le origini dello Shintō si sono perse nel tempo. Sviluppatosi parallelamente al Buddhismo, una netta divisione tra i due fu data solo in epoca Meiji (1868), quando fu dichiarato religione di stato.
Lo Shintō ha un ruolo chiave all’interno dell’istituzione imperiale, come anche confermato dai classici della letteratura giapponese Kojiki (712) e Nihon Shoki (720), i quali identificano Jinmu (discendente della dea del sole Amaterasu) come il primo imperatore della nazione.
I santuari (jinja) sono i luoghi-simbolo dello Shintō e condividono caratteristiche comuni, quali avere dei portali (torii) al suo ingresso e delle corde (shimenawa) adiacenti al luogo di culto, quest’ultimo spesso circondato da un recinto di legno. Spesso i santuari si trovano al centro di ambienti naturali, come anche ai piedi o sulla cima di un monte, vicino a foreste o a cascate: questi infatti sono ritenuti essere la dimora naturale dei kami, le divinità.
In Giappone esistono circa 100,000 santuari, la maggior parte appartenenti al Jinja Honchō, un’organizzazione caritatevole con base a Tōkyō, mentre il resto sono dedicati a Inari, dio del riso, e fanno capo al santuario Fushimi Inari di Kyoto. Data la sua lunga storia, in Giappone è possibile trovare costruzioni shintoiste di epoche molte diverse tra loro: antiche come quelle di Ise e Izumo, o moderne come i santuari Meiji e Yasukuni di Tōkyō. I sacerdoti shintoisti si riconoscono per il caratteristico copricapo nero (eboshi), per gli abiti di seta bianca e per lo shaku, uno strumento in legno usato nelle cerimonie.
Sebbene quello giapponese sia un popolo che difficilmente può essere considerato “religioso” come noi intendiamo, la maggioranza di esso partecipa regolarmente agli eventi dei santuari. La credenza fondamentale è che il kami, richiamato per mezzo della corretta procedura, possa garantire i suoi favori al praticante a prescindere dalla particolare identità o provenienza di quest’ultimo. Le richieste alle divinità spaziano dall’aver successo negli esami, alla guarigione da malattie, alla longevità, alla prosperità di un’attività commerciale, ad un felice matrimonio ecc.
Ogni santuario ha i suoi giorni di festa (matsuri) ma certi eventi, a cui ogni anno moltissimi giapponesi prendono parte, accomunano il calendario rituale shintoista: l’inizio del nuovo anno; la festa delle bambole (hinomatsuri) il 5 Marzo; il giorno dei bambini (tango no sekku) il 5 Maggio; le feste Tanabata e Bon a Luglio e il festival del raccolto autunnale. Allo stesso modo, la venuta al mondo di un neonato, le speciali cerimonie di Novembre per i bambini di tre, cinque e sette anni, come anche la festa per la maggiore età (seijin no hi) e i matrimoni, offrono altre occasioni per praticare lo Shinto.
Nell’entrare in un santuario shintoista ci si attiene a un certo rituale di purificazione psico-fisica che comincia dal padiglione dell’acqua (temizuya). Simbolicamente, ci si lavano le mani e la bocca prima di accedere all’altare. Quì ci si inchina, si battono le mani e si prega, dopodiché si procede col fare un’offerta e suonare la campana (suzu) per richiamare su di sé l’attenzione della divinità.
Penne del Sol Levante - Sei Quattro di Hideo Yokoyama
Buon weekend lettori, bentornati alla nostra rubrica letteraria. Oggi vi parlo di un giallo poliziesco molto particolare, uscito in Italia l’anno scorso, Sei Quattro di Hideo Yokoyama.
Tutto ruota intorno alla figura del poliziotto Mikami, assegnato alla sezione dedicata ai rapporti con i giornalisti. Proveniente dal reparto investigativo veste malamente i panni di addetto stampa, si sente declassato e sogna di poter ritornare al suo vecchio incarico. Nel frattempo, ad esacerbare la situazione, si creano situazioni spiacevoli con i giornalisti e Mikami viene coinvolto, suo malgrado, in un caso del tutto particolare.
Il capo della Polizia, infatti, sta organizzando una visita in città per incontrare Amamiya Yoshio, testimone di un vecchio caso risalente a quattordici anni prima. Il rapimento di sua figlia, una bambina di sette anni di nome Shoko, rimasto insoluto dopo che il rapitore era riuscito a prelevare il riscatto. Il cadavere della bimba era stato ritrovato poche ore più tardi e la polizia non possedeva alcun indizio per individuare il colpevole. Per la famiglia era stato un colpo senza ritorno.
Quando Mikami si reca dall’uomo per organizzare l’incontro con il capo della Polizia, Amamiya Yoshio gli dice che non c’è alcun bisogno di farlo. Si evince chiaramente che è successo qualcosa ai tempi del rapimento finito male, cosa si nasconde nei rapporti dei poliziotti della squadra mobile che si occupavano del caso? Qualcuno sta nascondendo qualcosa, ma cosa? Chi ne è responsabile? E perché sembra ci sia un altro poliziotto che indaga e precede il protagonista presso tutti i testimoni?
A questa situazione d’incertezza e confusione si aggiunge la scomparsa improvvisa della figlia di Mikami, Ayumi, un’adolescente problematica sparita nel nulla senza lasciare traccia. I poliziotti di tutto il Giappone la stanno cercando senza sosta, senza successo. Le telefonate mute che ricevono i coniugi Mikami turbano le loro nottate e condizionano ogni azione alla luce del sole. E' Ayumi che chiama? Perché non parla? Dove si trova?
Ci troviamo di fronte a un romanzo giallo-poliziesco sui generis, dalla trama fitta e intimistica. Sono le riflessioni personali del protagonista ad accompagnarci per tutta la storia, piuttosto che le classiche indagini poliziesche. Se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente. Buona lettura!
Penne del Sol Levante - L'uomo che voleva uccidermi di Yoshida Shuichi
Benvenuti all’appuntamento settimanale con gli scrittori nipponici, oggi parliamo di un romanzo uscito appena l’anno scorso, un giallo davvero particolare, L’uomo che voleva uccidermi di Yoshida Shuichi.
È un romanzo corale, dove varie voci si intersecano e sovrappongono allontanandoci sempre di più dalla verità finale. Ci ritroviamo così a rincorrere il colpevole senza sosta, sempre più confusi.
Sulla statale 263 che collega Fukuoka a Saga, nel sud-ovest del Giappone, all’altezza del valico di Mitsuse, viene ritrovato il cadavere della giovane Ishibashi Yoshino, impiegata in un agenzia assicurativa di Fukuoka. La ragazza aveva passato la serata con le amiche, confidando loro di avere un appuntamento al parco cittadino con il suo fidanzato Masuo. Qualche capitolo più tardi scopriamo che in realtà l’incontro era con qualcun altro, un tale conosciuto su un sito di appuntamenti, Shimizu Yuichi. Ma è andata davvero così? Qual è la verità? Chi ha incontrato davvero Yoshino? E chi l’ha portata fino al valico per ucciderla a sangue freddo? Perché sia Masuo che Yuichi continuano a scappare? Chi è la donna sconosciuta che accompagna quest’ultimo nella sua fuga disperata?
Tutti gli indagati paiono nascondersi e l’indagine si ferma a un punto morto. Uno dopo l’altro conosciamo tutte le persone coinvolte e nessuna pare dirci la verità fino in fondo, ogni personaggio ci racconta la sua versione dei fatti, apparentemente in contrasto con quella di tutti gli altri. Si dipana così una storia difficile da comprendere e dal finale inaspettato.
Nel panorama della letteratura nipponica contemporanea sono ben pochi i romanzi crime che vengono tradotti per noi, purtroppo, e questo si inserisce in questa cerchia ristretta. La trama è interessante e lo svolgimento per nulla banale, il tutto avvolto da una solida struttura narrativa e uno stile di scrittura semplice e rapido, direi disincantato e parco di lunghe descrizioni.
Se il libro vi incuriosisce venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente! Vi auguro un buon fine settimana.
Penne del Sol Levante - La voce delle onde di Yukio Mishima
Bentornati alla rubrica Penne del Sol levante, oggi vi parlo di un mostro sacro della letteratura nipponica, Yukio Mishima e del suo romanzo La voce delle onde.
Forse non uno dei più famosi tra tutti quelli che ha composto, ma sicuramente il mio preferito fino ad ora.
È la storia di due giovani pescatori, Shinji e Hatsue, che vivono a Uta-jima, anche chiamata Isola del canto dai suoi pochi abitanti. I due ragazzi conducono esistenze semplici, dipendenti dal mare e dai suoi capricci. Lui, Shinji, ha appena diciotto anni e vive con la madre e il fratellino; lavora ogni giorno su un’imbarcazione da pesca a motore, alla ricerca di pesci e molluschi. Lei fa la pescatrice di perle ed è la figlia dell’uomo più ricco dell’isola. La loro storia si consumerà al santuario di Yashiro, dedicato al dio del mare, che sovrasta l’isola dal crinale più alto.
I due s’incontrano per caso un tardo pomeriggio, lui è appena sbarcato dalla nave dopo una lunga giornata lontano dalla terraferma. Intravede un volto nuovo vicino a una catasta di attrezzi, è la giovane che si riposa ascoltando il rumore delle onde. Dall’incontro si dipanerà una vicenda d’amore, tragica e dolce; altri personaggi entreranno a far parte della storia, modificandone le sorti nel bene e nel male.
Yukio Mishima è ormai considerato uno degli scrittori classici della letteratura giapponese, ma a mio parere la sua volontà di indagare nell’animo umano, le azioni e i comportamenti dei suoi personaggi, la sua capacità di scavare nell’inconscio e mettere a nudo l’aspetto psicologico dei protagonisti dei suoi romanzi, lo avvicinano ad alcuni degli autori contemporanei di maggiore successo. Questo è ciò che caratterizza il suo stile e ciò che più mi colpisce, ogni volta, quando leggo i suoi scritti. Questo romanzo in particolare non fa eccezione e l’autore focalizza la sua bravura nell’esporci le conseguenze più intime di questo incontro fortuito tra Shinji e Hatsue.
Sperando di avervi incuriosito, vi lascio alla recensione completa su Penne d’Oriente.
Buona lettura!