Geisha - Il tirocinio
Continua il nostro viaggio alla scoperta del mondo delle Geisha. Dopo averne indagato le origini, affrontiamo ora il percorso che una giovane deve intraprendere presso le Okiya (Casa delle Geisha).
Lo Shikomi (apprendistato)
All’inizio sarà una Shikomi (仕込み), un’apprendista Maiko, e per un periodo di circa un anno il suo lavoro somiglierà a quello di una domestica. Dovrà, oltre a frequentare i corsi di musica, danza, canto e fare pratica di cerimonia del tè, attendere il rientro delle Maiko e Geisha dai loro impegni serali, di solito a notte inoltrata, e svegliarsi prima di loro per preparare il necessario per la loro nuova giornata di lavoro e poi recarsi ai corsi, che si tengono al Nyokouba (女紅場), la scuola dove si apprendono queste antiche arti dalle Iemoto (家元), le Gran Meastre. Dovrà imparare a indossare correttamente i kimono, ma anche imparare a piegarli e conservarli negli appositi armadi, lavoro non semplice. Per tutto il periodo come Shikomi, indosserà un semplice kimono di cotone. Inoltre un’apprendista di Kyoto dovrà assolutamente imparare il dialetto locale, il Kyo-Kotoba (京言葉)
Dal Minarai (見習い) al Misedashi (店出し)
La vita di una Geisha è segnata da alcuni passaggi e il primo si chiama Minarai (imparare osservando). Appreso per bene queste arti, entrerà nella fase Minarai della durata di circa un mese, dove l’apprendista Maiko può accedere agli Zashiki (座敷) per capire l’arte della conversazione e il modo corretto di servire i clienti. Il viso verrà truccato con la cipria bianca chiamata Shironuri. Appena avrà acquisito le competenze necessarie e il giorno prima di fare il Misedashi (店出し), il debutto come Maiko, dovrà fare la “cerimonia di sorellanza” con una Maiko già esperta, il sopraccitato San San Ku Do (三々九度 ). A questo punto è pronta per debuttare. Il Misedashi consiste in questo: dovrà recarsi in ogni singola Okiya e Ochaya del suo Hanamachi (花街) insieme all’Okasan (お母さん), presentandosi come nuova Maiko per chiedere di essere gentili con lei. L’Okasan si farà carico delle spese necessarie per il suo debutto, come quello di acquistare i kimono e tutto il necessario per le sue serate come Maiko.
In passato, fin da quando una Maiko veniva adottata dall’Okiya, l’Okasan prendeva scrupolosamente nota di tutte le spese sostenute per il suo mantenimento e per l’istruzione e quindi anche delle spese per il Misedashi. Diventava una Geisha verso i 14 anni con due riti molto importanti, il Mizuage (lett. sollevare le acque, in pratica la perdita della verginità) e l’Erikae (cambio del collare).
Il Mizuage (水揚げ)
Una Maiko era e doveva assolutamente restare vergine fino alla fine del suo apprendistato in attesa che un “defloratore” si offrisse per il suo Mizuage. Era obbligatorio e ogni singola Geisha (fino al 1958, quando la prostituzione fu abolita insieme a questo rituale) ha dovuto affrontarlo. Segnava il suo passaggio all'età adulta, anche dal punto di vista sessuale. Essendo le Maiko indebitate con l’Okasan fin dal loro ingresso nell’Okiya, il Mizuage era un’occasione per ridurre di molto il loro debito.
Appena ci si avvicinava all'età fatidica, i vari clienti cominciavano a farsi avanti per avere il privilegio di “far diventare una donna” la futura Geisha. Era una specie di asta e la Okasan doveva valutare, oltre alla cifra più alta, anche il prestigio sociale del pretendente, che di solito era un uomo di mezza età. Se una giovane non riceveva proposte e arrivava a 15 anni senza avere affrontato il Mizuage, avrebbe vissuto l’imbarazzo di sentirsi addosso gli sguardi di tutto l’Hanamachi, come se avesse qualcosa di strano per il quale non riusciva a trovare nessun pretendente. In questo caso intervenivano i “defloratori di professione”, uomini noti nella comunità come amanti delle Maiko ma non così ricchi da poter ambire al Mizuage di una Maiko di successo. Venivano contattati dalle Okasan per evitare che la propria protetta venisse a lungo derisa dalle colleghe e, visto che l’Hanamachi è una realtà estremamente piccola ed essendo una Maiko riconoscibile da molti aspetti del suo abbigliamento, una 15enne vestita e acconciata ancora da apprendista, non passava certo inosservata.
Riguardo la dura e triste esperienza del Mizuage, possiamo aggiungere che era sì un passaggio obbligato per ogni apprendista Geisha, ma la situazione non era poi molto diversa per le figlie di normali famiglie giapponesi, infatti, la prima notte di nozze di una qualunque altra ragazza era altrettanto spiacevole. La maggior parte dei matrimoni era combinata dalle famiglie e tipicamente gli sposi si conoscevano proprio nel giorno delle nozze. All'epoca quasi tutte le giovani avrebbero avuto quindi come primo amante, uno sconosciuto. La condizione di una Geisha, vista da questa prospettiva, era migliore di quella di una semplice ragazza, in quanto non avrebbe dovuto lavorare e convivere con la famiglia del marito, ma anzi, il “defloratore” o il “Danna” (旦那) l’avrebbe mantenuta e fatta vivere in una condizione di vita estremamente agiata. Bisogna sottolineare poi che era dovere della Okasan, oltre a quella di procurare un buon pretendente, quella di vigilare che la Geisha o ancora peggio la Maiko, non avesse amanti non ufficiali. Sarebbe stata una grave perdita di denaro e d’immagine se una Maiko non fosse arrivata vergine al Mizuage. La stessa cosa se una Geisha avesse avuto un amante mentre un Danna la manteneva.
L'Erikae (襟替え)
Erikae significa letteralmente “cambio del collare” (da rosso a bianco). Rappresentava, insieme al Mizuage, il passaggio all’età adulta, ma in realtà sono molte le cose che cambiano nell’abbigliamento da Maiko a Geisha, non solo il collare. Questi cambiamenti sono in uso tuttora:
- gli Okobo (おこぼ) sono tipici dell’abbigliamento di una Maiko, i Geta (下駄) quelli di una Geisha;
- le maniche del Kimono (Furisode 振袖) da lunghe diventano corte, quando si diventa una Geisha;
- l’acconciatura di una Maiko si chiama Ware Shinobu (割れ偲ぶ) ed è molto appariscente in quanto porta molti fermagli chiamati Kanzashi (che cambiano in base alle stagioni), una Geisha invece ha un look più serio e, sull'acconciatura chiamata Ofuku, avrà solo un paio di pettinini di tartaruga.
Un mese prima dell'Erikae, la Maiko porterà un acconciatura chiamata Sakko.
Articolo di Francesca Gambera
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La via del Samurai
Il periodo Tokugawa segna una fase di crisi per la figura del samurai. La classe sociale privilegiata si trova ora destituita dal proprio ruolo militare e dal punto di vista economico è legata a modelli superati. Si assiste così ad un aumentare della violenza, volta a dimostrare il coraggio e la destrezza militare dell’aristocrazia alla ricerca di una conferma della propria identità di classe, mentre gli shōgun procedono nell’opera pacificatrice del Giappone tentando di proibire i duelli che insanguinano il paese, e gli scontri mortali tra studenti dei diversi ryū ingaggiati per dimostrare la superiorità di una rispetto all’altra scuola. Parallelamente gli allievi delle scuole marziali perdono lo stimolo ad impadronirsi di tutte le tecniche utili in guerra per concentrarsi in maniera sempre più specialistica su una sola arte, che da quel momento avrebbe simbolicamente sostenuto lo status del guerriero; così molte scuole di arti marziali smettono di insegnare i colpi più efficaci in combattimento a favore delle tecniche più spettacolari ma di dubbia utilità pratica. Ciò che viene a mancare oltre all'efficacia tecnica è l’approfondimento degli aspetti psicologici che rendevano il samurai preparato ad affrontare i pericoli sul campo di battaglia. Oltre alle scuole che mantenevano stretta aderenza alla realtà del combattimento per cui erano nate, si aggiunge la tendenza ad applicare il bujutsu come “forma di comunicazione sociale, modellata sulle sequenze precise di un rituale fatti di gesti e armi usate simbolicamente, per esprimere un’idea, evocare uno stato d’animo, stabilire e confermare una tradizione”.
Con la fine del periodo feudale, si assiste però ad un ulteriore schema di sviluppo delle arti marziali: gradualmente alcuni maestri non solo accettano di buon grado la trasformazione delle loro arti belliche in metodi sostanzialmente pacifici, ma anzi la favoriscono, recuperando invece con forza l’aspetto psicologico del bujutsu, considerato ora soprattutto un metodo per migliorare il carattere dei suoi praticanti. Con il formalizzarsi delle arti marziali si ha quindi un recupero di valori etici che si ispirano alle grandi religioni orientali che si erano diffuse a più riprese in Giappone e stratificate nel corso dei secoli. Mentre scompare il ruolo storico del samurai con il mutare delle condizioni socioeconomiche, la sua figura di guerriero ideale viene mitizzata così da poter essere mantenuta come modello di comportamento. Questo fenomeno avviene contemporaneamente alla “modernizzazione” e “occidentalizzazione” del Giappone, che coincide anche con la prima divulgazione in occidente della cultura giapponese.
Tra i samurai era sempre esistita la consapevolezza del rapporto diretto tra nemico reale e il proprio limite interiore, ma mentre nel periodo medievale il samurai riteneva generalmente che superare le proprie difficoltà fosse indispensabile per poter sconfiggere il nemico, a partire dall’epoca Tokugawa è il confronto con un avversario a diventare utile come mezzo per aiutare il combattente ad entrare più direttamente in contatto con il proprio carattere. È molto interessante il ritrovare, nella storia giapponese, una tradizione di arti di combattimento (bugei), originariamente create per infliggere ferite e morte sui campi di battaglia, trasformate poi nella Via delle arti marziali (budō), che ha lo scopo di perfezionare l’individuo integrando mente, corpo e spirito.
Un riferimento di questo tipo si può anche associare alla regola confuciana del “governare se stessi per governare il popolo” in un’ottica quindi più politica che spirituale. Questo rovesciamento di mezzi e fini consentì comunque di continuare a riferirsi alla tradizione, reinterpretandola però in senso simbolico: se nel budō l’avversario fornisce l’occasione per superare i propri confitti interiori, egli viene considerato, in termini psicologici, una proiezione esterna delle nostre negatività inconsce che ci creano conflittualità. L’avversario quindi non è più un nemico da abbattere, ma solo metafora di ostacolo interiore da vincere, da superare. Le arti budō, da questo momento in poi, ci indicano un percorso di vita duro e difficile il cui significato simbolico insegna che si può diventare uomini migliori soltanto affrontando le proprie paure e difficoltà, godendo alla fine un’esistenza più piena. All’interno delle scuole di combattimento si cominciò quindi a riferirsi al samurai come figura ideale, non più come realtà storica ma come immagine archetipo di guerriero. La sua immagine venne così mitizzata, ripulita dagli aspetti più sconvenienti, come ad esempio la violenza gratuita di cui era capace nei confronti degli individui più deboli e la sua indifferenza rispetto ai principi etici universali proposti in Giappone dalle diverse tradizioni spirituali che si erano stratificate nel corso dei secoli. Così nelle rinnovate arti del budō, nel periodo Meiji, la figura del samurai acquista quel fascino che conserva ancora ai nostri occhi: egli diventa l’esempio di indomabile forza d’animo, levatura morale, coraggio nell'affrontare le difficoltà della vita, lealtà nei confronti dei propri richiami interiori senza cedimenti al compromesso. La maturazione di questo nuovo ideale fu dovuta ad un maggior approfondimento delle grandi tradizioni religiose presenti da secoli sul territorio nazionale, delle quali si accoglie il tentativo di rendere l’uomo migliore e più sereno su questa terra e non soltanto l’aspirazione a renderlo freddo e impassibile di fronte alla morte. Queste tradizioni concentrano l’attenzione sulla realizzazione dell’individuo nella vita presente, condizione che può essere raggiunta a prezzo di parecchi sacrifici e dedizione instancabile a particolari sistemi di tecniche capaci di veicolare l’esperienza trasformatrice. L’insieme delle tecniche marziali diventa allora solo una via per l’elevazione spirituale: a differenza dello sport, quello che conta non è tanto l’abilità tecnica in sé, quanto il grado di crescita interiore. Il praticante comincia l’apprendimento confrontandosi con il modello del guerriero: egli deve imparare la disciplina, la concentrazione, la forza di volontà e la perseveranza.
Articolo di Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato
Mono no aware e la concezione estetica del reale
Mono no aware è uno dei principi filosofici che maggiormente permea il pensiero giapponese. Una concezione estetica della realtà circostante, un differente approccio nei confronti della natura e del comportamento umano, la ritualità secondo la quale ogni gesto e ogni azione è diretta ad un fine preciso, un obiettivo che non avrebbe un significato se non collegato ad un insieme logico e coerente di norme d’equilibrio e armonia.
Mono no Aware
Il mono no aware può essere dunque visto come uno dei concetti che meglio esprime la weltanschauung giapponese, ossia la visione del mondo e delle cose e la sua categorizzazione. Alla base di questo pensiero possiamo cogliere una visione estetica dello scorrere del tempo e del suo fluire spontaneo nel corso irreversibile dei processi naturali: tutto, dalla vita umana agli elementi naturali alle cose, è soggetto al suo avanzamento inderogabile e ai suoi effetti visibili. Apprendere questa condizione porta nell'animo di chi la osserva e ne diviene cosciente una sensazione di malinconia e solitudine struggenti, e allo stesso tempo la presa di coscienza che la vita umana è così effimera e precaria che non ha senso affannarsi per essa.
Empatia verso le cose
Evidente l'influenza del pensiero taoista cinese nello sviluppo di questo principio, con la sua accettazione dello scorrere implacabile delle cose al quale non serve opporre resistenza, e allo stesso tempo la consapevolezza buddhista dell’inconsistenza materiale della realtà. Come conseguenza di questo pensiero tutto ciò che è segnato dall’età e dalla vecchiaia acquista nel pensiero giapponese un valore senza pari. La perfezione è tacciata come imperfezione e ciò che rende bello un oggetto è proprio ciò che in occidente lo segnerebbe come imperfetto e privo di valore. Mono no aware è infatti empatia verso le cose, ossia cogliere la bellezza nella fragilità e nell'imperfezione del''esistenza e sentirsi emotivamente partecipi di questa condizione.
Articolo di Eleonora Bertin
Il mondo di una Geisha
Una volta affermato il loro ruolo, le Geisha per oltre due secoli rimasero le indiscusse signore della vita notturna giapponese. Dettavano le mode, erano famose come le odierne attrici, le loro storie d’amore erano sulla bocca di tutti e i loro volti erano noti grazie alle stampe Ukiyoe. Erano delle dive. Alla celebrità seguirono però molte rigide regole non scritte, che portarono a una radicale formalizzazione della vita di queste donne. Soppiantando le Yujo, le donne di piacere, le Geisha riuscirono a diventare il simbolo di una nazione e sopravvivere sopravvivere anche agli sconvolgimenti sociali dovuti alla crescita tecnologica del proprio Paese.
Il mondo delle Geisha
Ci sono molti modi per definire il mondo delle Geisha: Karyukai, mondo del fiore e del salice, Mizu Shobai, commercio delle acque (vengono definite così tutte le attività legate alla vita notturna), Hanamachi, città dei fiori (i quartieri delle Geisha) o Ukiyo, mondo fluttuante. Gli Hanamachi a Kyoto sono sempre stati cinque: Gion Kobu, Pontocho, Kamishichiken, Miyagawacho e Gion Higashi. A Tokyo invece erano circa una ventina, tra i quali i più famosi erano Mukojima, Asakusa, Hanagibashi, Fukagawa, Yoshicho, Kagurazaka, Yanagibashi, Akasaka e Shinbashi.
A Kyoto le Geisha vivono e lavorano all'interno del loro quartiere. Se non risiedono nell’Okiya con la Madre, la Okasan, vivono sicuramente in un appartamento non troppo distante. A Tokyo invece non esiste questo concetto di vivere e lavorare nello stesso Hanamachi, ma le ragazze risiedono altrove e si recano nei vari Ryotei, i ristoranti dove sono richieste, come normali lavoratori. All’interno delle Okiya queste donne vivono il rapporto con le altre giovani della casa in una specie di sorellanza. Chiameranno le colleghe Maiko e Geisha Onesan (sorella maggiore) anche se hanno un età inferiore alla loro, perché possiedono maggiore esperienza. Possiamo paragonare la scelta di andare a vivere in un Okiya, con quella di un matrimonio in quanto in passato, le donne che si sposavano era come se venissero adottate dalla famiglia del marito. Andavano a vivere a casa dei genitori di lui e chiamavano Madre la suocera. La stessa cosa succedeva per le apprendiste Geisha, “sposavano” la famiglia che viveva in quella Okiya.
Il rito di iniziazione
Il rito che lega la sorella maggiore alla nuova apprendista è molto simile al rito nuziale Shintoista, si chiama San San Ku Do (3 volte 3, 9 volte) e consiste nel bere a turno 3 sorsi di sake da 3 tazze, una piccola, una media e una più grande. A questo rito parteciperanno, oltre alla sorella minore e alla maggiore, l’Okasan e un'altra sorella della casa da tè. Il San San Ku Do faceva originariamente parte dei matrimoni dei samurai e fa ancora parte dei normali matrimoni giapponesi. Alla Maiko viene dato il suo nuovo nome che la accompagnerà per tutta la sua carriera. Alle Geisha di uno stesso Okiya solitamente viene assegnato un nome con la stessa radice, ad esempio: Umeka, Umeharu, Umesato, Umechika ecc..
Articolo di Francesca Gambera
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Geisha - Le origini
La parola Geisha per noi occidentali evoca l’immagine della bella bambolina dal kimono sgargiante, che sorride accanto ad un ciliegio in fiore o ad una pagoda. Un simbolo, come può esserlo il Kinkakuji o il monte Fuji. La realtà è molto più complessa e cercherò in questo mio scritto di descrivere le varie fasi della vita di una Geisha, dal suo ingresso nell’Okiya, fino al raggiungimento della sua maturità professionale.
Origini Geisha
Se è vero che le Geisha non sono prostitute, è anche vero che questa figura storica del Giappone nasce da un particolare modo di vedere le donne da parte degli uomini giapponesi del 1600. La donna era inferiore all'uomo nella società, i matrimoni erano combinati dalle rispettive famiglie e la moglie diventava una domestica che viveva insieme a lui e ai suoi genitori, il cui compito principale era quello di concepire un figlio.
La figura della cortigiana nasce dunque per la soddisfazione sessuale dell’uomo e vi erano vari tipi di classi di cortigiane in base alla loro bellezza e raffinatezza.
La figura della Geisha nascerà invece per soddisfare un desiderio non per forza sessuale ma anche, e a mio avviso, soprattutto, di corteggiare una donna, di poterla frequentare e forse conquistare. La donna nel minuscolo mondo delle Geisha, non sarà solo un oggetto sessuale ma più che altro una persona di piacevole compagnia. Esperta nelle arti tradizionali e capace di intrattenere brillanti conversazioni, al contrario di quanto si pensa, la Geisha è un personaggio apparso solo di recente nella storia del Giappone.
Molti sono i personaggi che nei secoli hanno contribuito a far nascere questa figura leggendaria, ormai simbolo del suo paese. A partire dalle Saburuko del periodo Nara, alle danzatrici Shirabyoshi del periodo Kamakura fino alle cortigiane del primissimo periodo Edo. Un minimo comune denominatore le unisce, erano tutte donne forti, con una gran voglia d’indipendenza.
SABURUKO
Saburuko significa “persona che serve” e sono il risultato del cambiamento della società alla fine del 7° secolo. Molte donne dovettero prostituirsi per sopravvivere. La maggior parte di queste donne proveniva dal basso ceto, ma c’erano fra queste molte donne istruite e di talento, provenienti famiglie benestanti cadute in povertà.
Queste in particolare erano ballerine o cantanti e spesso venivano invitate per intrattenere e servire gli aristocratici. Fra la fine del periodo Heian e l’inizio del periodo Kamakura la storia si ripete. Nascono le danzatrici Shirabyoshi.
SHIRABYOSHI
白拍子Shirabyoshi è il nome di un tipo di danza praticato da giovani donne provenienti da famiglie aristocratiche cadute in povertà e che, per sopravvivere hanno cominciato a danzare.
Essendo esperte musiciste, ballerine o cantanti, erano spesso ospiti di aristocratici come i Fujiwara e i Taira
Le danzatrici Shirabyoshi si vestivano in stile Shinto con un cappello da uomo, una spada ed eseguivano danze per i Kami, le divinità giapponesi. Recitavano inoltre ballate basate su preghiere buddhiste.
Le più famose erano Kamagiku, concubina dell’imperatore in ritiro a Gotoba, e Shizuka Gozen, concubina di Minamoto No Yoshitsune.
La storia di Shizuka Gozen è molto triste. Lo Shogun Yoritomo ordinò l’assassinio del fratello Yoshitsune, al quale lei era legata, perchè credeva che volesse, grazie alla sua popolarità, salire al trono al suo posto. Lei venne dunque arrestata e quando Yoritomo si accorse che era incinta, attese la nascita del figlio e, scoperto che era un maschio, lo uccise per evitare eredi che potessero vendicarsi. Yoshitsune fu catturato e ucciso a Kamakura. Yoritomo volle Shizuka accanto a se quando gli portarono la sua testa, poi la costrinse ad esibirsi per lui e sua moglie. Lei danzò, dedicando però la sua esibizione all’amato. Una volta liberata, la giovane Shizuka, allora solo 18enne, entrò in convento. Morì di crepacuore nel 1189.
Se 芸 Gei di Arte e 者 Sha di persona, significano Artista, forse possiamo definire le danzatrici Shirabyoshi le prime Geisha in assoluto. Donne che, per sopravvivere, reinventarono se stesse. Forti e indipendenti, in un’epoca in cui le donne non potevano esserlo.
Articolo di Francesca Gambera.
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Tōdaiji - Il grande tempio di legno di Nara
Il Tōdaiji (東大寺, Grande tempio orientale) è uno dei più grandi templi del Giappone: costituisce infatti la più grande struttura lignea mai costruita. Edificato intorno al 752 d.C, il tempio rappresentava il punto di riferimento per tutti i santuari buddisti sparsi per il territorio giapponese. Sebbene le dimensioni attuali rappresentino solo due terzi dell'estensione nel periodo di massimo splendore (terremoti e incendi non sono stati caritatevoli), il Tōdaiji rimane una struttura dalle dimensioni colossali che custodisce al suo interno un vero tesoro.
Nandaimon
L'ingresso principale al Tōdaiji è il Nandaimon, la Grande porta del Sud. L'originale del periodo Nara è stato distrutto da un tifone, e infatti questo portale è una ricostruzione del periodo kamakura. Il portale di legno non è solo sorvegliato dai numerosissimi cervi che vagano per il santuario, ma anche da due guardie d'eccezione. Disposti nelle logge laterali si trovano infatti due Ni-ō, i due re guardiani del Nandaimon. Le statue colossali (più di 8 metri d'altezza) secondo la tradizione sarebbero state realizzate in soli 69 giorni, in un incredibile sforzo creativo. Il loro aspetto guerresco e l'espressione spaventosa si addicono perfettamente alla loro natura di guardiani.
Daibutsuden
All'interno del Daibutsuden (Sala del grande Buddha) si trova la più grande statua in bronzo di tutto il Giappone, il Daibutsu (大仏), ossia la statua del Buddha Vairocana. Alta ben 15 metri, si narra che per la costruzione di queste 440 tonnellate di scultura vennero consumate tutte le risorse di bronzo del paese e che in seguito questo materiale scomparve per secoli prima di poter essere riutilizzato. La colossale effige del Buddha è accompagnata da altre sculture che adornano la sala centrale. Davanti al Daibutsuden si trova la famosa lanterna ottagonale, costruita in contemporanea al santuario. La lanterna, dalla tipica forma a pagoda, poggia su una base di pietra. I pannelli presentano bellissime immagini di musicisti.
Chiosco del Tōdaiji
Il daibutsuden è preceduto da un vastissimo chiosco e da un gigantesco portale, il chūmon o portale principale; un tempo, ai due lati dell’edificio, esistevano due spettacolari pagode a cinque piani che purtroppo andarono distrutte in uno dei molti incendi da cui l’antica capitale fu flagellata nel corso della sua storia. Il chiosco consiste di una vasto camminamento centrale che conduce al daibutsuden, circondato da verde, alberi e dalla mura che abbracciano gli edifici del complesso. Nei pressi del chiosco è possibile trovare la Torre della Campana, una struttura in legno risalente al primo decennio del 1200 che ospita al suo interno un'enorme campana di circa 26 tonnellate.
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Tanabata, la festa delle stelle innamorate - Tra mito e tradizione
Tra le numerose ricorrenze del Paese del Sol Levante, particolare importanza è riconosciuta ai gosekku, cinque feste molto sentite che scandiscono, nel corso dell'anno, i cambi di stagione e i periodi di raccolto. Tra queste, la festa di Tanabata è sicuramente una delle più amate e costituisce ancora oggi un appuntamento importante nelle estati giapponesi.
Storia del Tanabata
Come gli altri gosekku, le origini culturali del Tanabata sono da cercare nella tradizione cinese dove viene celebrata una ricorrenza simile nello stesso periodo, chiamata Qixi. Il Giappone del periodo Nara (710-784), succube dell'influenza culturale cinese, tra l'VIII e il X secolo iniziò a importare numerose festività e tradizioni dal continente, tra le quali anche il Tanabata. Tradizionalmente, l'introduzione di questa festa in Giappone è attribuita all'Imperatrice Koken, nel 755 d.C. Nonostante le origini antichissime, la festa di Tanabata diventa popolare soprattutto all'inizio del periodo Edo (1603-1868). Prima era festeggiata soprattutto all'interno della corte imperiale. È proprio in questo periodo che nel Tanabata confluiscono molte delle tradizioni e delle usanze tipiche dell'Obon, un'altra festa nipponica che cade il 15 agosto. Per la vicinanza temporale, le due ricorrenze hanno finito per influenzarsi reciprocamente.
Mitologia del Tanabata
Le origini culturali del Tanabata sono comunemente ricondotte alla leggenda delle divinità Orihime e Hikoboshi, personificazioni delle stelle Vega e Altair. Orihime, la principessa tessitrice, figlia dell'Imperatore Celeste, Tentei, dedita a cucire gli abiti degli dei; Hikoboshi giovane pastore, a guardia delle greggi del cielo. Vedendo sua figlia triste, Tentei decise di farle incontrare l'altro ragazzo, affinché i due potessero sposarsi. Tra loro fu amore a prima vista e i due giovani si abbandonarono alla passione, dimenticandosi dei rispettivi compiti. Ne conseguì che nessuno più cuciva gli abiti per le divinità e i buoi di Hikoboshi, senza nessuno che li controllasse, scorrazzavano sfrenati per i pascoli celesti. Rei di non aver assolto i propri doveri, Tentei decise punire i due amanti, costringendoli a non vedersi mai più, separati dal fiume della Via Lattea. Solo per un giorno all'anno, tuttavia, a Orihime e Hikoboshi fu permesso di potersi rincontrare, attraversando il fiume celeste. E quel giorno è proprio Tanabata.
Tradizioni e Usanze
Tradizionalmente, la festa viene celebrata il settimo giorno del settimo mese. La data stabilita per il Tanabata è dunque il 7 luglio. In realtà, quest'usanza è relativamente recente, visto che è solo con l'introduzione del calendario gregoriano - alla fine dell' '800 - che il settimo mese è luglio. Prima, secondo il tradizionale calendario lunisolare nipponico, che fa iniziare l'anno da febbraio, il settimo mese era agosto, ed è per questo motivo che in molte località del Giappone i festeggiamenti sono"rimandati" di un mese. Inoltre, la sua presenza in agosto aiutava maggiormente gli agricoltori a identificare i periodi di raccolto. Per questo motivo, il Tanabata continua a essere festeggiato ad agosto soprattutto nelle zone rurali.Tra le molte tradizioni del Tanabata, la più famosa è senza dubbio l'usanza di scrivere i propri desideri su alcune striscioline di carta, chiamate tanzaku, e di appenderle ai bambù. Si pensava che l'unione ben augurante delle due divinità avrebbe senza dubbio aiutato i desideri a realizzarsi.
L'usanza di scrivere su striscioline di carta deriva dal fatto che, in epoca Edo, i bambini in occasione del Tanabata esprimevano il desiderio di migliorare la propria calligrafia e di conseguenza si allenavano scrivendo vari caratteri su piccoli ritagli di carta. Le bambine, invece, erano solite chiedere più bravura nei lavori manuali.Tra le altre decorazioni tipiche della festa, sono le lanternine di carta (zen-washi), i kimono di carta (kamigoromo) e i fukinagashi (filamenti di carta) che richiamano i fili degli abiti tessuti da Orihime. Molte città giapponesi si trasformano radicalmente in vista del Tanabata. Tra le celebrazioni più sfarzose, c'è sicuramente quella di Sendai. La città viene addobbata da più di 5.000 decorazioni che abbelliscono le strade per i tre giorni in cui dura la festa (dal 6 all'8 agosto), e i festeggiamenti sono preceduti da un attesissimo spettacolo pirotecnico.
Tanabata in Italia - 2018
In questo articolo vi proponiamo tutti gli eventi Tanabata organizzati in Italia e previsti per il 7 luglio.
Tanabata in Italia - Luglio 2018
Il 7 luglio in Giappone si festeggia il Tanabata, celebrazione tradizionale legata alle stelle. Per scoprire le origini storiche e mitologiche della festa vi rimandiamo a questo articolo.
Anche quest'anno in Italia sono stati organizzati alcuni eventi nelle maggiori città per trasmettere lo spirito del festival Tanabata.
Milano
Presso il Civico Planetario di Milano si terrà l'incontro Tanabata. La festa delle stelle innamorate, patrocinato dal Consolato Generale del Giappone a Milano e dal Planetario Gingaza di Tokyo. L'evento si propone di approfondire le radici mitologiche di questa festa attraverso l'analisi astronomica della Dott.ssa Chiara Pasqualini.
QUANDO: sabato 7 luglio, in due spettacoli, alle 15:00 o alle 21:00
DOVE: Civico Planetario di Milano
PER MAGGIORI INFORMAZIONI: pagina dell'evento
Firenze
Villa Vogel a Firenze ospiterà uno splendido festival organizzato dall'Associazione Culturale Lailac: due giornate di workshop, giochi di ruolo, degustazioni, esibizioni musicali e riti tradizionali.
QUANDO: sabato 7 luglio e domenica 8 luglio dalle 17:00 alle 23:00
DOVE: Villa Vogel
PER MAGGIORI INFORMAZIONI: pagina dell'evento
Bergamo
L'Associazione Kokoro propone un Tanabata Matsuri presso il ristorante Gu' di Bergamo. Oltre alle degustazioni di cibo e bevande, tornei, laboratori e piccoli spettacoli teatrali, oltre alla tradizionale vestizione Yukata e dimostrazioni di Shodo.
QUANDO: sabato 7 luglio dalle ore 17:00
DOVE: ristorante Gu' di Bergamo
PER MAGGIORI INFORMAZIONI: pagina dell'evento
Casale Monferrato
La Festa delle stelle innamorate organizzata dall'Associazione Culturale Yamato permetterà a tutti i partecipanti di scrutare il cielo con dei telescopi e di decorare i propri Tanzaku. L'evento avverrà sullo sfondo del Castello di Casale Monferrato.
QUANDO: sabato 7 luglio, dalle ore 20:30 alle 23:30
DOVE: Castello di Casale Monferrato (Piazza Castello)
PER MAGGIORI INFORMAZIONI: pagina dell'evento
Genova
Il Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone organizza una serata di workshop e laboratori per celebrare il Tanabata. A partire dalle 17:30 di sabato 7 luglio, presentazioni e discussioni termineranno con la produzione di Tanzaku da decorare.
QUANDO: sabato 7 luglio, dalle ore 17:30 alle 19:30
DOVE: Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone (Piazzale Giuseppe Mazzini, 4)
PER MAGGIORI INFORMAZIONI: pagina dell'evento
Penne del Sol Levante - Nipponia Nippon di Abe Kazushige
Benvenuti all’appuntamento con la rubrica letteraria Penne del Sol Levante! Oggi parliamo di uno scrittore ben poco conosciuto in Italia, ma già un colosso in Giappone, Abe Kazushige e il suo romanzo Nipponia Nippon.
Il libro narra la storia del diciottenne Toya Haruo, un ragazzo problematico e mentalmente squilibrato, che decide di escogitare un grande piano per uscire dall'anonimato di una vita insignificante. La sua idea è semplice quanto ben congeniata: raggiungere il Centro per la salvaguardia dell'ibis crestato giapponese (nome scientifico Nipponia Nippon) sull'isola di Sadogashima e liberare o sterminare gli ultimi esemplari rimasti. Le due alternative, diverse quanto efficaci, permangono vive nella sua mente fino agli ultimi giorni. Indeciso, Haruo, non sa come comportarsi con gli uccelli e l'unica sicurezza che ha è di voler cambiare l'ordine delle cose. Entrambe le soluzioni gli paiono ottimi metodi per diventare famoso, solo alla fine deciderà il destino degli ibis.
Haruo si sente molto legato, in via eccezionale, con questi volatili. Questo perché un giorno, quando frequentava ancora le medie, aveva scoperto che il primo carattere cinese del suo nome si poteva leggere anche come toki, altro nome dell'animale. Questa scoperta lo lega indissolubilmente agli ibis, si convince così che il loro destino sia unito e condiviso.
Seguono mesi oscuri in cui il piano si fa strada nella sua mente, fino a concretizzarsi sempre di più. Ormai Haruo vive da solo a Tokyo, allontanatosi forzatamente dalla cittadina natale e dai suoi genitori dopo un misterioso incidente scolastico. Il ragazzo, ritrovatosi completamente solo e isolato nel nuovo appartamento, inizierà a preparare il suo piano e il viaggio fino a Sadogashima, con puntualità e grande attenzione.
Ogni minimo dettaglio dovrà essere perfetto e lui prende in esame ogni inconveniente possibile, così da trovarsi preparato a tutte le evenienze. Decide anche una data ben precisa: il 14 ottobre, sei mesi dopo il suo diciottesimo compleanno. E' convinto che tutti lo saluteranno come un eroe, aprendo finalmente gli occhi di fronte a quella grande mistificazione che è la questione Nipponia Nippon, come lui l'ha soprannominata sul suo diario.
Se volete saperne di più sul romanzo e su Abe Kazushige venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente! Buona lettura!
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Penne del Sol Levante - Il segreto della longevità di Junko Takahashi
Benvenuti alla rubrica settimanale Penne del Sol Levante, dedicata al mondo del libro in Giappone. Oggi parliamo di un saggio d’inchiesta, un testo composto da interviste, Il Segreto della longevità della giornalista Junko Takahashi, edito da DeAgostini.
L’autrice ha affrontato il tema degli ultracentenari in Giappone ( più di 65.000 nel 2016) attraverso le interviste, ed è così che scopriamo vite davvero straordinarie. Io sono rimasta letteralmente affascinata e sgomenta nel leggere di queste esistenze eccezionali. Come quella di Tsuneko Sasamoto, nata nel 1914 e prima fotoreporter giapponese negli anni '30, che opera e lavora ancora oggi. Di recente la sua ultima mostra fotografica ha richiamato visitatori da tutto il mondo. O ancora la storia di Hidekichi Miyazaki che, a 106 anni, detiene il primato mondiale nella sua categoria per i cento metri piani e può vantare trentadue medaglie d'oro ai campionati atletici asiatici e giapponesi. Saneyoshi Noh (98 anni) vive su un'isola dell'arcipelago Amami e coltiva il suo campo di canna da zucchero da un ettaro, senza l'ausilio di nessuno e con gioia, dalla mattino sino al tramonto. Tomishige Shimizu di 100 anni, appassionato di pesca e di pittura, si occupa della casa a tempo pieno e della moglie malata. Questi sono soltanto alcuni esempi di come vivano queste persone, la giornalista ha raccolto molte altre testimonianze sullo stile di vita degli ultracentenari. Quello che se ne deduce è che, infine, non esista un insieme di regole ferree o uno schema prestabilito da poter seguire per vivere in salute fino a cento anni. Non c’è alcuna posizione magica, ma soltanto un’insieme di comportamenti positivi, che sono assolutamente da imitare. Il rispetto per se stessi, per chi ci circonda e per la natura tutta, mangiare ciò che si vuole ma senza mai esagerare, trasformare ogni buona occasione della vita in un modo per migliorarsi, non arrendersi mai, pensare sempre positivo e non farsi trascinare a fondo dagli eventi tragici della vita. E questi ultracentenari lo sanno molto bene, hanno vissuto la seconda guerra mondiale, le bombe atomiche, l’occupazione americana, la recessione. Ma, tramite le loro parole, si capisce subito che non si sono mai dati per vinti, nemmeno nelle situazioni più disperate che si sono trovati ad affrontare.
Una frase che mi sono segnata e che mi ha colpito particolarmente è stata "Se si tenta si può fare tutto, se non si tenta non si può fare niente", pronunciata da Mieko Nagaoka (102 anni, annovera venticinque record mondiali e ventotto record nazionali per il nuoto, tutti presi dopo gli ottantacinque anni...tanto per dire!). Credo che questo motto riassuma perfettamente lo stile di vita, e sopratutto il modo di pensare, di questi uomini e donne straordinari. Ma, se volete saperne di più, venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente. Buona lettura amici e..una lunga vita!
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