La principessa trecentenaria - La storia dietro l'opera
All’inizio del IX secolo la principessa Nakanohime si reca verso Yoshino, per visitare la tomba di sua madre. Per caso scorge la figura di spalle di un eremita che si affretta e si innamora perdutamente di lui. Genjo, questo il nome dell’eremita, è un componente del tempio Tengio sul monte Omine, e sta seguendo le pratiche religiose dei mille giorni. Il 999° giorno, Genjo prova a salvare un vecchio viandante che sta per morire, e deve rinunciare a completare le pratiche. Keishu, il vecchio viandante, è un bonzo cinese di grande saggezza, e gli insegna che rinunciare è il giusto gesto da compiere. Genjo, che deve togliersi la vita per non aver completato le pratiche religiose, riceve in dono da Keishu l’elisir di eterna giovinezza ed immortalità, e si salva dall’obbligo religioso. Dopo tre anni, Nakanohime e Genjo si incontrano casualmente a Kyoto. Entrambi credono che l’incontro sia segno del destino, ed iniziano a vivere insieme sul monte Omine, incuranti del divieto d’accesso alle donne sulla montagna. Gli dèi della montagna non accettano la loro scelta, e la principessa cade gravemente malata. In punto di morte, Genjo le fa prendere l’elisir dell’immortalità. Ha inizio così l’angoscia per Nakanohime che ha ottenuto la vita eterna. A causa di una frana, è costretta a dividersi da Genjo e dal figlio Chisho. Dopo 50 anni, Nakanohime incontra un bel ragazzo, Sojun, che assomiglia a Genjo. Dal loro amore nasce un bambino, ma Nakanohime scopre che in realtà Sojun è figlio di Chisho, e sconvolta dal proprio peccato scappa. Durante il suo viaggio trova la principessa Sannohime, sua sorella minore, e trova temporaneamente la pace.
Tormentata dal destino, Nakanohime scala il monte Fuji per parlare con la dea Konohanasakuyahime. Dal monte arriva il rombo di una eruzione. Fra la gente che fugge via, Nakanohime decide di sfidare il destino e prosegue la scalata, pensando “Se gli dèi vorranno che io sopravviva, faranno piovere”. Con una grande boato, il monte Fuji erutta lava, e contemporaneamente inizia a piovere e compaiono dei bellissimi boschi. Nakanohime ha salva la vita. Vagando senza meta, giunge al lago Oshino, dove si specchia sulla superficie del lago e sente una voce che le sussurra “Nakanohime, hai vissuta a sufficienza!” e subito dopo viene inghiottita dal lago. Nella sua vita successica, Nakanohime si reincarna in una carpa, e passando da Oshino verso il mare arriva in al bacino di una cascata sul monte Omine, dove viveva con Genjo.
Venite a scoprire quest'opera lirica giapponese in due atti il giorno 22 marzo, alle ore 19:00, presso il Teatro Rosetum di via Pisanello 1 a Milano (M1 Gambara). Tra i due atti verrà offerto un rinfresco a base di sakè a tutti i partecipanti.
Sia l'opera che il rinfresco sono a entrata libera e gratuita!
Recensione mostra fotografica "Il mio Giappone"
Una foto per essere bella, deve trasmettere emozioni.
E questo, a mio parere, è quello che si vive in questi giorni presso la Fondazione
Matalon a Milano, che ospita la mostra fotografica di Alberto Moro, Presidente
dell’Associazione Culturale Giappone in Italia.
Durante il percorso espositivo, si respirano l’armonia, la pace e il silenzio che
caratterizzano la cultura nipponica. Si comincia il percorso con la sezione dedicata
alla tradizione, per poi entrare nella modernità e terminare in uno spazio più intimo
del Giappone, che è quello della cerimonia del tè.
La tradizione è rappresentata dalle foto dei vari quartieri di Kyoto, come ad esempio
il quartiere di Gion con il suo santuario di Yasaka o il tempio di Kodai-Ji, illuminato
in una splendida serata di luna. Sono quartieri silenziosi e rilassanti, lontani dalla
frenesia della vita metropolitana. Il quartiere di Gion è luogo di incontro tra le geisha
e gli uomini d’affari, ma nella foto non ne compare nessuna. Alberto Moro ci spiega
che per rispetto non è possibile fotografarle, ma quando si vedono in giro bisogna
rispettarle. Nella foto, quindi, non compaiono, possiamo solo immaginarle, come
ragazze colte e raffinate, che entrano ed escono dalle case con le loro complicate
pettinature e il trucco elaborato, strette nei loro sgargianti kimono.
La modernità è rappresentata dagli scatti fotografici delle vie di Tokyo. Noi siamo
abituati a pensare a Tokyo come una città sovraffollata e frenetica, ma le fotografie
raccontano momenti di quotidianità di giovani, uomini d’affari, operai, teenagers che
danno un taglio più umano all’ atmosfera metropolitana.
Con questa mostra, Alberto Moro esprime la sua passione verso la cultura giapponese
e si definisce un fotografo/pescatore. A differenza di un fotografo/cacciatore, più
invadente, è discreto e rispettoso: si ferma in un determinato luogo che considera
particolare e aspetta con pazienza che passi un soggetto interessante per catturarlo in
uno scatto. Notiamo questa sua squisita attitudine guardando la foto fatta nel quartiere
di Shinjuku, dove in un vicoletto buio ferma in un’istantanea il passaggio di un
uomo esattamente nell’unico cono di luce esistente.
Salendo al primo piano arriviamo all’ultima sezione della mostra, quella sul Chadō,
la Via del tè. E’ la saletta cosiddetta “più intima”, dove le foto dei bollitori, delle
fruste in bambù per mescolare il tè in polvere con l’acqua bollente e dei contenitori
raffinati rappresentano le varie fasi della cerimonia e danno un’atmosfera domestica e
familiare alla sala espositiva. Le foto comunicano quella serenità e quella quiete tanto
care ai giapponesi, ma soprattutto ci trasmettono quella particolare cura
nell’accogliere l’ospite che a sua volta dimostra riconoscimento e gratitudine verso
l’ospitante, con i tipici movimenti di riverenza in un reciproco scambio di inchini. Mi
ha colpito molto la fotografia dell’artista Jumco Sophie Okimoto. E’ inginocchiata
col suo kimono celeste e, mentre il viso rimane volutamente fuori dall’obiettivo, in primo piano vediamo le mani che con estrema delicatezza, circondano la ciotola che
le viene offerta.
Nella sala è presente una calligrafia che determina lo spirito dell’incontro: ICHIGO
ICHIE “ogni incontro è irripetibile”. Ogni cosa che viviamo è unica e irripetibile, per
questo deve essere vissuta con grande intensità. Come l’ultima goccia di tè catturata
nel tempestivo scatto di Alberto Moro.
Le mie due foto preferite sono quelle dell’artista Junko Sophie Okimoto che si
trovano all’ingresso.
E’ una donna giapponese immortalata in modo incantevole in due momenti diversi. In
uno, a casa, inginocchiata sul tatami tiene in mano una ciotola del the. Nell’altra è
sempre inginocchiata ma fuori, nel giardino del tempio di Geshin-ji, che è la sua
casa. Ha un atteggiamento amoroso e dolce. Il suo sguardo non è mai perso nel vuoto,
perché, composta nella tipica posizione inginocchiata, è determinata nel promuovere
la tradizione del suo paese. Sembra una foto calata in una realtà fiabesca, lontana dal
nostro tempo, dalla quale traspirano l’armonia, la pace interiore e il silenzio che
caratterizzano la cultura nipponica.
L’intera esposizione è un’emozionante sintesi di quello che è lo spirito del Giappone,
catturato in una bella raccolta di suggestive fotografie. Una mostra che consiglio di
visitare a tutti, appassionati e non.
Margherita Ciociano
KUSAMA-INFINITY
KUSAMA - INFINITY
di Heather Lenz
USA, 2018, 78’
Documentario
In sala dal 4 marzo
con Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema
CAST ARTISTICO
REGISTA: Heather Lenz
PRODUTTORI: Heather Lenz, Karen Johnson, David Koh, Dan Braun
PRODUZIONE ESECUTIVA: Stanley Buchthal, Josh Braun, Ryan Brooks, Brandon Chen, Jessica
Latham, Troy Craig Poon, Alice Koh, Simone Haggiag, Hajime Inoue
MONTAGGIO: Keita Ideno, Shinpei Takeda, Carl Pfirman, Heather Lenz, Sam Karp,
John Northrup, Nora Tennessen
MUSICHE: Allyson Newman
SINOSSI
Yayoi Kusama, icona giapponese per eccellenza, è una delle artiste più influenti della storia dell’arte
contemporanea, colei che ha fatto delle sue allucinazioni un’arte diventando l’artista donna più
venduta al mondo. Il film esplora la sua ascesa verso il successo mostrando da vicino il suo talento, le
sue ossessioni, la malattia mentale e le difficoltà incontrate durante il suo percorso, la sua significativa
importanza artistica e culturale.
Utilizzando il materiale d’archivio e quello inedito, viene raccontata in modo intimo la storia di
Kusama, attraverso le sue stesse parole e le toccanti interviste a direttori di musei, galleristi, curatori,
critici, collezionisti, amici e collaboratori. Esito di oltre un decennio di attività della regista, il
documentario getta una nuova luce su una protagonista assoluta dell’arte contemporanea del
Novecento e della nostra epoca.
La sua storia personale e professionale si intrecciano, il trauma di essere cresciuta in Giappone durante
la seconda guerra mondiale in una famiglia che scoraggiava le sue ambizioni creative, gli esordi non
facili in Patria, il trasferimento a New York dove era ostacolata dal sessismo e il razzismo che
caratterizzavano il mondo dell’arte a cavallo degli anni ’60 passando per i problemi connessi con la sua
salute mentale fino ai giorni d’oggi. Divenuta ormai l’artista più popolare al mondo, ideatrice di
abbaglianti e fantasiose creazioni a pois e conosciuta ai più per le enormi zucche colorate e le sue
Infinity Room, Kusama continua a dedicarsi all'arte a tempo pieno realizzando innumerevoli opere che
abbracciano varie discipline come la pittura, la scultura, l’arte performativa, il design e registrando con
le sue mostre record di pubblico nei principali musei internazionali.
NOTE DI REGIA
Ho conosciuto per la prima volta l'arte di Kusama mentre mi laureavo in Storia dell'Arte e Belle Arti.
All'epoca, studiavo storia dell'arte attraverso libri di testo spessi due pollici che raramente contenevano un solo paragrafo sull'arte prodotta dalle donne. Quando ho visto per la prima volta l'arte di Kusama, ho
immediatamente percepito un legame istantaneo con essa.
Mentre imparavo di più sulla vastità di lavori che Kusama ha creato durante la sua vita, in particolare a New York tra il 1958 e il 1973, ho realizzato che i suoi contributi al mondo dell'arte americano non erano stati adeguatamente riconosciuti. Successivamente, mentre studiavo per un MFA in Cinematic Arts alla USC, decisi di fare un film su Kusama per condividere la sua storia con un pubblico più ampio. Lì per lì non avrei mai potuto immaginare che Kusama sarebbe diventata l'artista femminile più venduta al mondo! Sebbene Kusama sia famosa per la sua parrucca rossa e i suoi pois colorati, ho pensato che includere il lato oscuro della sua storia da bambina durante la seconda guerra mondiale potesse aiutare a trasmettere quella parte della sua vita a un pubblico che non la conosceva onde evitare che venisse dimenticata. La sua è la storia di una pioniera che ha dovuto superare il sessismo, il razzismo e la malattia mentale per perseguire il suo sogno di essere un’artista. Spero che le persone trovino il film stimolante.
BIOGRAFIE
Yayoi Kusama (Artista)
La carriera di Yayoi Kusama, essendosi svolta per diversi decenni, ha oltrepassato due dei più importanti
movimenti artistici del XX secolo: la Pop art e il Minimalismo. l suoi lavori altamente influenti comprendono dipinti, performances, stanze a grandezza naturale, installazioni scultoree all’aperto, lavori letterari, film, moda, design e alludono tutti contemporaneamente a universi microscopici e macroscopici.
Ormai una delle artiste più famose al mondo, Kusama continua ad attirare un numero record di visitatori alle sue mostre a livello internazionale mentre le foto delle sue Infinity Mirror Room spesso diventano virali sui social media.
Kusama, che attualmente vive a Tokyo, continua irrefrenabilmente a creare arte e partecipare a mostre.
Negli ultimi anni ha esibito i suoi lavori presso prestigiose istituzioni internazionali tra cui il Centre Georges Pompidou, la Tate Modern, il Whitney Museum of American Art, il National Centre of Art di Tokyo e il Museo di Hirshhorn. L'anno scorso, Kusama ha aperto il suo museo personale a Tokyo con la mostra inaugurale “Creation Is a Solitary Pursuit, Love is What Brings You Closer to Art”.
Heather Lenz (Regista e Produttrice)
Scrittrice, regista e produttrice, Heather Lenz è appassionata di documentari e film biografici. È attratta
dalle storie di persone con menti creative che non hanno intrapreso un sentiero battuto (come Yayoi
Kusama). Il suo primo cortometraggio su un inventore di biciclette, Back to Back, è stato nominato per gli Academy Awards studenteschi ed è stato proiettato in festival cinematografici in tutto il mondo.
Lenz ha una laurea in Storia dell'Arte e Belle Arti presso la Kent State University. Ha anche conseguito un MFA in Cinematic Arts presso la University of Southern California. Lenz si è interessata per la prima volta a Kusama mentre studiava arte all’inizio degli anni '90. Quando ha visto per la prima volta il lavoro dell'artista giapponese è stato amore a prima vista. Ha capito subito che i contributi di Kusama nei confronti del
mondo dell'arte americano erano stati in gran parte trascurati. Kusama ha creato alcune delle sue opere più innovative dalla fine degli anni '50 fino ai primi anni '70 mentre viveva a New York, un periodo di tempo di circa quindici anni. Lenz ha dato origine al film su Kusama e ha lavorato per oltre un decennio per portare sullo schermo la sua incredibile storia e non avrebbe mai immaginato che durante la realizzazione del film Kusama sarebbe diventata l'artista femminile più venduta al mondo.
Durante la realizzazione del documentario, Lenz si è sposata con un giapponese. Il suocero (un ministro
buddista della 17esima generazione) e la suocera (esperta dell'arte morente della cerimonia del tè
giapponese) provengono entrambi dalla zona di Hiroshima e, come i genitori di Kusama, hanno avuto un matrimonio combinato. Il nonno di suo marito è stato ucciso dalla bomba atomica caduta su Hiroshima. È molto importante per Lenz che il suo film su Yayoi Kusama contenga i dettagli del lato oscuro della sua infanzia durante la seconda guerra mondiale, per far si che ciò venga tramandato ad una generazione più giovane ed evitare che venga dimenticato.
Lenz ha scritto sull’arte di Kusama contro la guerra per Specialten DVD Magazine.
Wanted Cinema è una società di distribuzione fondata nel 2014, che nel giro di pochi anni è diventata un punto di riferimento nel mercato cinematografico italiano, proponendosi con una linea editoriale molto chiara: un cinema di ricerca e "ricercato", per un pubblico che si aspetta non soltanto divertimento, ma anche pensiero, stimolo, dibattito, sorpresa, approfondimento.
Un catalogo di oltre 70 titoli, tra film e documentari, vincitori nei principali festival nazionali e
internazionali: premi del pubblico, della critica e con ottimi riscontri al Box Office. Tra questi: Il giovane Karl Marx, Lucky, David Lynch. The art of life, I am not your negro.
Nel 2016 partecipa a un bando di crowd-funding del Comune di Milano e viene scelta tra le realtà
meritevoli di essere supportate: la campagna è vincente e vede la nascita del CineWanted, realtà finalizzata a promuovere un’idea di cinema nuovo e socialmente impegnato. Nel gennaio 2018 inaugura il nuovo progetto Wanted Clan, nato dall'esigenza di reinventare la sala cinematografica tradizionalmente intesa proponendo uno spazio all'insegna dell'innovazione artistica e della sperimentazione mediale.
Tutti i nostri titoli: http://wantedcinema.eu/catalogo/
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Teatro Kabuki
La parola “Kabuki”, si riferisce a una forma tradizionale di teatro giapponese, ed è formata dalla somma di tre kanji: Ka (canto), Bu (danza), e Ki (abilità). Nelle opere teatrali, ricche di elementi drammatici, troviamo uno stretto rapporto tra recitazione e danza, oltre che l’impiego di canti e strumenti musicali (tamburi, flauti e shamisen a tre corde).
Il teatro Kabuki venne rappresentato per la prima volta a Kyoto nel 1596, seppur fu nel corso del periodo Edo (1603-1868) che assunse la sua forma caratteristica. Alla fine del XVII secolo infatti il Kabuki fu patrocinato da ricchi mercanti, e ciò avvenne in concomitanza con l’impoverimento e il graduale declino della casta dei guerrieri. Sviluppatosi specialmente per il divertimento del popolo, il Kabuki aiutò quest’ultimo a intraprendere la strada dell’emancipazione culturale.
Le origini del Kabuki sono intrecciate con le prime apparizioni di Okuni, una danzatrice itinerante che vantava un legame personale col santuario di Izumo. Essa era stata forse una Miko (giovane assistente) oppure una vergine del grande santuario di Izumo. La compagnia di Okuni divenne presto famosa anche per via delle esibizioni provocanti delle sue danzatrici e da conseguenti fenomeni di prostituzione. Con l’improvvisa morte di Okuni, si formarono spontaneamente altre compagnie femminili (Onna Kabuki) con le stesse caratteristiche licenziose, fino a ché però nel 1629 lo Shogunato non vietò alle donne di esibirsi, facendole rimpiazzare da giovani attori (Wakashu). Ciononostante, i problemi legati alla moralità persisterono, e non si attenuarono fino al momento in cui il governo decise di far salire sul palco solo uomini già avanti con l’età. Tale tradizione si è così conservata sino ai giorni nostri.
Nel teatro Kabuki, il palco principale in legno (Hon Butai) è leggermente decentrato sulla destra degli spettatori, mentre alla sinistra del pubblico troviamo una passerella (Hashigakari) collegata ai camerini degli attori. “Hanamichi” invece è il nome del camminamento rialzato che permette agli attori di uscire di scena.
Le opere kabuki si possono raggruppare in tre tipi: Jidaimono (opere storiche); Sewamono (opere contemporanee); e Shosagoto (opere di danza). Le prime trattano spesso delle vicende legate a guerrieri e aristocratici dei periodo precedenti a quello Tokugawa. Tra gli spettacoli di vita contemporanea invece, sono famose le rappresentazioni teatrali delle opere di Chikamatsu Monzaemon, specialmente quelle storie amorose che si concludono con un doppio suicidio.
Nel kabuki troviamo generalmente due stili di recitazione, il magniloquente Aragoto di Edo e quello più delicato, Wagoto, formatosi nell’area Kamigata (Kyoto/Osaka). Lo stile Aragoto venne introdotto verso la fine del XVII sec. dal primo Ichikawa Danjuro (1660-1704). Esso è un modo di recitare volutamente esagerato, dove le pose dei personaggi sono ispirate a rappresentazioni di divinità buddhiste dall’aspetto inquietante, come quella di Fudoomyoo. A questi personaggi, eroi chiamati a fronteggiare nemici malvagi, vengono pitturati i volti per enfatizzarne le espressioni, utilizzando una tecnica di trucco chiamato Kumadori. “Shibaraku” è considerata una delle più grandi opere in stile Aragoto.
Pioniere del più realistico e raffinato stile Wagoto fu invece Sakata Toojuroo I (1647-1709). Le tematiche trattano spesso delle travagliate vicende amorose di giovani amanti. Particolare l’opera “La vendetta dei Soga”, dove uno dei due fratelli, Goro è recitato in Aragoto, mentre l’altro, Juro, in Wagoto.
Altra carattesristica del kabuki sono le parrucche e i costumi sgargianti indossati dai personaggi. Questi ultimi sono tanto appariscenti quanto più è alto lo status sociale di chi li indossa.
FUSHIKADEN E AKUTAGAWA A SWITCH ON YOUR CREATIVITY 5TH EDITION – AWARDS AND PERFORMING NIGHT
Ultimo appuntamento del nostro viaggio nel mondo di Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night. Il 10 Dicembre, a partire dalle ore 18.30 presso il Novotel di Ca’ Granda, Asian Studies Group ospiterà noi di Giappone in Italia e i nostri tesserati, che per l’occasione avranno uno sconto sulla donazione d’ingresso, in una serata che si preannuncia estremamente ricca di temi ed iniziative.
Asian Studies Group è un’associazione famosa per la sua dedizione e impegno nella didattica delle lingue orientali. Non tutti sanno però che è anche un affermato produttore teatrale. In occasione di Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night, avremo l’opportunità di assaggiare ben due spettacoli, in versione ridotta per meglio adattarsi alla serata, appartenenti al catalogo di ASG-Produzioni: Fushikaden, Tenka no Emozione e Akutagawa, l’Uomo Oltre.
Il primo, con la regia di Paolo Cacciato, è stato premiato col 1° Premio alla Critica al Concorso Internazionale Teatro Nudo di Teresa Pomodoro. E’ un romanzo di formazione, dove una ragazza profondamente coinvolta
nella propria cultura giapponese, incontra improvvisamente un uomo affascinante proveniente da una cultura a lei sconosciuta e lontana. Lo scontro-incontro che ne consegue è ricco di tensione amorosa ma anche di sorpresa e paura. Paura per una cultura nuova e paura di scoprire qualcosa di sé nell’altro. Ma anche e soprattutto sorpresa e ammirazione per le sorprendenti possibilità di crescita di una ragazza nata e cresciuta con un limitato numero di modelli culturali in cui identificarsi. Uno scambio culturale che non si esprime a parole ma soprattutto e, anzi solamente, attraverso le emozioni, unico vero veicolo comunicativo universale.
La straordinaria interpretazione di Nana Funabiki, prima attrice, e di Michele Gorlero, accompagnata dal Pianoforte (Mari Miura) e dalla voce soprano (Mai Inaba), rappresentanti musicali del mondo occidentale e di quello orientale e la scenografia minimalista ma sorprendentemente evocativa di Makoto - Codice Bianco hanno testimoniato l’incredibile capacità comunicativa di questo spettacolo in occasione di ogni replica.
Akutagawa, l’Uomo Oltre, da una sceneggiatura originale di Paolo Cacciato, tratta della figura umana e delle suggestioni provenienti dagli ultimi scritti e da alcune lettere pubblicate postume dell’importante scrittore e poeta del Giappone moderno, Ryūnosuke Akutagawa. Da un’idea di Paolo Cacciato e Piera Rossi, Akutagawa verrà interpretato da Michele Gorlero, già mimo-attore presso il Teatro alla Scala dal 2016 e membro della compagnia di performance-art I figli di Marla. Siamo ansiosi di poter assistere a questa prova aperta di Akutagawa, l’Uomo Oltre, il cui debutto sarà atteso per il 2019.
Giappone in Italia è orgogliosa di poter partecipare a questo evento che si preannuncia capace di fornire a chiunque suggestioni e spunti di riflessioni. Toccando, come abbiamo visto anche nei precedenti appuntamenti temi quali il Design, la Musica e il Teatro, sappiamo che Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night si inserirà nelle nostre agende annuali come un appuntamento da non perdere.
Speriamo che tutti, e in particolare i nostri tesserati, assisteranno insieme a noi a questa serata così varia e ricca.
Noi ci saremo... e tu?
QUANDO: Lunedi 10 dicembre, dalle ore 18:30
DOVE: Novotel Ca’Granda, Viale Giovanni Suzzani 13, Milano
PER INFO: www.asianstudiesgroup.net
Per maggiori informazioni e per iscrivere la propria presenza contattare Asian Studies Group al 02 2951 3110 o a asg@asianstudiesgroup.net
EUROPA E ASIA IN CONCERTO A SWITCH ON YOUR CREATIVITY 5TH EDITION – AWARDS AND PERFORMING NIGHT
In questo secondo appuntamento di focus sulla serata del 10 Dicembre, presso il Novotel di Ca’ Granda dal titolo Switch on Your Creativity 5th Edition – Awards and performing Night, tratteremo di musica. Infatti in tale occasione saranno presenti rappresentanti della musica lirica provenienti dal mondo orientale e occidentale con un repertorio tratto dalla tradizione di entrambe le culture. Ricordiamo, come sempre, che in tale occasione i tesserati di Giappone in Italia avranno diritto ad uno sconto sulla donazione richiesta per sostenere Piattaforma CAI – Fondo per l’Arte, la Creatività e l’Innovazione.
Noi di Giappone in Italia siamo consapevoli che tra popoli con una storia e un passato così differenti possano sorgere contrasti originatisi da rivalità economiche e politiche, spesso ammantate da conflitti religiosi o culturali. Contrasti che troppo spesso assumono tratti razzisti e che portano ad episodi particolarmente infausti incisi nella nostra storia comune. Ma siamo anche consapevoli che è proprio dalla commistione di elementi provenienti da mondi differenti che si può percepire e imparare qualcosa di nuovo.
La musica occidentale può contribuire ad arricchire quella orientale, così come brani classici appartenenti al mondo cinese, coreano e giapponese possono aiutarci a scoprire sia qualcosa di loro che qualcosa di inaspettato in noi.
Concentrarsi esclusivamente sulla propria realtà porta ad un’inevitabile fossilizzazione culturale impedendo di essere capaci di reagire ai cambiamenti del nostro mondo nonché incapaci di fornire ai nuovi interlocutori, che il mutare sociale genera, ciò di cui hanno bisogno. E’ il continuo esplorare il diverso che permette di cogliere venature e riflessi nuovi anche nella propria secolare tradizione.
Ed è proprio nella serata di Switch on Your Creativity – Awards and Performing Night che noi di Giappone in Italia, sappiamo di poter imparare qualcosa di noi attraverso i repertori e le voci provienti dal mondo orientale e da quello occidentale. E’ in questa commistione che noi crediamo di poter trovare una comunicazione biunivoca che ci permetta di mettere da parte rivalità e inimicizie passate per riscoprire la gioia del considerarci tutti semplicemente umani… amanti della buona musica.
Europa e Asia in Concerto è il nome che è stato attribuito a questo insieme di performance di musica lirica sotto la Direzione Artistica di Paolo Cacciato e la Supervisione Artistica di Valentina Volpe Andreazza la quale ha già ricevuto un riconoscimento nell’ottobre del 2016 per il miglior contenuto interculturale tra Europa e Asia, consegnato da Asian Studies Group e da Expo in Città, come interprete e co-ideatrice del concerto “Europa e Asia in Musica” e che ha debuttato nel novembre dello stesso anno presso il Teatro “Alle Vigne” di Lodi, nello spettacolo “Fushikaden Tenka no Emotions – Lo spirito del fiore – Le emozioni del mondo”, interpretando arie della tradizione giapponese, in lingua originale.
Le straordinarie partecipazioni di Mai Inaba come soprano, di Tan Qipeng come baritono, di Kim Yunkyu come tenore e di Mari Miura al piano ci regaleranno un piccolo scorcio della cultura orientale.
Noi ci saremo… e tu?
QUANDO: Lunedi 10 dicembre, dalle ore 18:30
DOVE: Novotel Ca’Granda, Viale Giovanni Suzzani 13, Milano
PER INFO: www.asianstudiesgroup.net
Registered Office: Via Don Gnocchi 10, 26900 Lodi – Headquarter: Via B. Eustachi 9, 20129 Milano
Tel: +390229513110 – Fax: +390232066909 – Email: info@asianstudiesgroup.net
Shichi-Go-San (七五三) - Il festival dei bambini in Giappone
Il Festival Shichi-Go-San (七五三)
Lo Shichi-Go-San è una pietra miliare della tradizione giapponese che celebra il benessere dei bambini di tre, cinque e sette anni, la cui data ufficiale è il 15 novembre.
Tradizionalmente, per celebrare questo evento, i bambini indossano i kimono, vengono fotografati dalle famiglie e visitano i santuari shintoisti.
Shici-go-san significa letteralmente "sette, cinque e tre", in quanto questi anni di età sono considerati fondamentali nella vita di un bambino.
Le origini del festival
Si dice che il festival shichi-go-san abbia avuto inizio nel periodo Heian (794-1185), durante il quale esisteva la tradizione - tra i nobili - di celebrare la fine dell'infanzia dei propri figli.
La data venne istituita durante il periodo Kamakura (1185-1333) dallo Shogun Tsunayoshi Tokugawa, che scelse il 15 di novembre come giorno di celebrazione del rito di passaggio di età del figlio. Questa pratica si diffuse, nel corso del periodo Edo (1603-1868), anche nel resto della popolazione.
L'antica tradizione del shichi-go-san sopravvive e si continua a praticare anche ai giorni nostri. Tuttavia, attualmente il 15 novembre non è considerato giorno festivo e per questo motivo la celebrazione viene rimandata al weekend più vicino.
I genitori erano soliti celebrare lo shichi-go-san basandosi sull'antico metodo di conteggio giapponese di "kazoedoshi" (数え年; "Calcolo dell'età dell'Asia orientale"), in cui un bambino ha già 1 anno alla nascita e diventa un anno più vecchio ogni Capodanno.
Al giorno d'oggi invece, i genitori segnano lo shichi-go-san sulla base del modo occidentale di contare l'età.
Perché proprio gli anni 3, 5, 7?
Sin dai tempi antichi queste età hanno segnato il punto focale dei riti di passaggio. I genitori lasciavano crescere i capelli ai propri figli solo dopo aver compiuto i tre anni, come celebrazione della loro crescita - secondo il libro "Nenju Gyoji Girei Jiten" (年中行事・儀礼事典; "dizionario annuale della cerimonia degli eventi"). Questo evento è noto come "kamioki" (cerimonia in cui si lascia i capelli crescere.
All'età di cinque i bambini indossano il loro primo hakama (indumento tradizionale giapponese che somiglia ad una larga gonna-pantalone o una gonna a pieghe) in pubblico. Per quanto riguarda le bambine, compiuti i sette anni, indossando per la prima volta l'obi (fusciacca o cintura tipica giapponese indossata principalmente con i kimono).
La scelta di queste età specifiche è da ricercare nella filosofia cinese dello Yin-Yang, per la quale si ritiene che i numeri dispari portino fortuna.
Chitose Ame
Dopo la visita al santuario, i genitori comprano per i loro figli i chitose-ame (千年飴; "mille anni di caramelle").
La caramella ha la forma di un bastoncino bianco e rosa, ed è racchiuso in un pacchetto raffigurante le gru e le tartarughe - due animali che nella tradizione giapponese simboleggiano la longevità.
Tsuru wa sennen, kame wa mannen.
鶴 は 千年, 亀 は 万年
Le gru vivono per 1.000 anni, le tartarughe per 10.000 anni.
Il teatro Nō
Il Nō è un forma teatrale tradizionale giapponese, risalente al 14esimo secolo.
Primo codificatore del Nō fu Kannami Kiyotsugu (1333-1384) il quale, servendosi di testi preesistenti, vi introdusse canzoni e danze contemporanee. L’arte fu ulteriormente perfezionata da suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1443) che, a sua volta anche attore, pose l’accento sulla liricità delle canzoni, sulla potenza dei gesti e sulla precisa definizione dei personaggi, siano questi una donna graziosa o un inquietante fantasma. Ciò che lui identificò come la vera anima del Nō è lo yūgen, ovvero la sua attrattiva segreta (Yū, attrattiva e Gen, invisibile): al pari di un fiore di stagione che sboccia portando stupore e gioia, egli credeva che gli attori Nō dovessero avere dentro di sé questo fiore (Hana) ed essere in grado di rendere bella persino la rappresentazione di un demone.
Al momento di essere inscenato, il Nō segue un ordine giornaliero, detto Bangumi. Per primo troviamo uno Shugen (Nō dedicato agli Dei), ovvero uno spettacolo connesso a riti religiosi, come ringraziamento per aver protetto il Paese dai tempi remoti fino a quelli più recenti. Segue uno Shura, un dramma guerresco, rappresentante la pace che Dei e imperatori dettero per mezzo di archi e frecce. Lo Shura, al pari di un rito esorcistico, ha il compito di scacciare i demoni. Terzo viene il Kazura o Onna-mono, un dramma dedicato alle donne, proprio perché dopo la guerra, viene la pace: una pace che è anche calma misteriosa, nella quale si svolgono le imprese amorose. Quarto è l’Oni-Nō, il Nō degli spiriti, in quanto dopo la guerra c’è sì pace e gloria, ma queste sono in genere di breve durata: qui vengono mostrati i peccati e le lotte degli uomini, e vengono innalzati i cuori a Buddha, producendo quello stato d’animo chiamato Bodaishin. Il quinto dramma riguarda i doveri dell’uomo, ovvero Compassione, Giustizia, Gentilezza, Sapienza, e Fedeltà. Tra un Nō e l’altro troviamo inoltre una forma teatrale comica detta Kyogen, atta a smorzare la tensione. Per finire segue un altro Shugen, o scena congratulatoria, per invocare benedizioni sui presenti. Esso funge anche da monito dell’eterno ritorno del tutto.
In Giappone è sempre esistita una differenza tra il dramma serio e quello popolare. Il teatro Nō, col suo ordine di drammi consecutivi, ci propone una visione complessiva della vita. Al contrario del teatro occidentale, dove spesso ci troviamo di fronte a un problema specifico, nel Nō abbiamo una rappresentazione completa dell’esistenza umana.
Essendo inoltre una tradizione ininterrotta (tramandato per via ereditaria dalle sue figure principali, i Tayu), il Nō contiene in sé elementi caratteristici che sono assenti in altre tradizioni teatrali, quali rappresentazioni sacre e misteriche oltre che movimenti rituali. Alla base del Nō troviamo la danza religiosa e leggende locali di apparizioni di spiriti, oltre che che gesta eroiche e fatti storici. Esso è fusione di canto e recitazione.
Gli attori adoperano maschere per rappresentare gli spiriti, per gli dei e per le donne giovani.
Con l’era Tokugawa esso divenne lo spettacolo di corte degli Shōgun, e regole e restrizioni ne prevennero il mutamento nel tempo: prosa, linguaggio, canzoni, azioni, danze, strumenti, costumi e scenografie furono così mantenute.
Non è raro che in un'opera Nō si trovino solo due personaggi, il protagonista (Shite) e il suo supporto (Waki) il quale spesso, vestendo i panni di un viaggiatore, ha solo la funzione di permettere allo Shite di raccontare la sua storia. Generalmente, lo Shite esce di scena alla fine del primo atto per tornare, mostrando la sua vera identità (una divinità, una donna, un fantasma, un demone…) nel secondo atto.
Lo spettacolo Nō inizia con l’entrata in scena di musicisti e corali, i quali formano l’accompagnamento musicale (Hayashi) fatto di quattro strumenti: il flauto (Nō-Kan) e tre diversi tipi di tamburi.
Il palco è quadrato, aperto su tre lati e collegato da una passerella (Hashigakari). Un grande pino è dipinto sul pannello in fondo al palco. Esso, inamovibile, è simbolo di immutabilità. Ci sono inoltre tre veri pini, equidistanti tra loro, posizionati lungo l’Hashigakari, la cui diversa dimensione serve a dare l’idea della prospettiva. Questa disposizione floreale serve inoltre a ricordare i tempi in cui il Nō era inscenato all'aria aperta durante le cerimonia religiose.
Il Nō ha una trama semplice, i suoi testi sono composti da circa trecento battute, molto corti se paragonati alle mille e più battute delle tragedie greche. Il Nō predilige brevità e immediatezza: nelle sue rappresentazioni solo ciò che concerne il personaggio principale è mantenuto.
Nel Nō la natura ha un ruolo fondamentale. Sia infatti che la storia tratti di divinità, dell’ultimo istante di vita di un guerriero o di fantasmi, la rappresentazione si svolge all'esterno, circondata da elementi naturali. Le musiche trattano di altrettante tematiche naturali, come il lento cadere di petali su un fiume, il rintocco di una campana in un vecchio tempio di montagna, o il riflesso della luna sull'acqua di un pozzo. Inoltre, a determinate stagioni corrispondono altrettante opere Nō, per esempio l’opera Kamo, definito come Nō di giugno, è inscenato in estate, o precisamente nel mese di giugno.
Le azioni del Nō sono stilizzate e regolari: ogni situazione ha delle posizioni, posture, e gesti prescritti (kata) eseguiti dai personaggi. Il movimento di questi ultimi è intenzionalmente eseguito con lentezza.
Articolo di Marco Furio Mangani Camilli
Seiha Hogakukai e la musica tradizionale giapponese
Seiha Hogakukai è una prestigiosa istituzione musicale fondata nel 1913 da Utashito Nakashima per promuovere lo studio del koto nel Giappone moderno. A capo di questa scuola si trova ora Yasuko Nakashima, che nel 1978 ha rappresentato il Giappone all'UNESCO International Music Festival di Parigi, facendo conoscere Seiha in Europa e rendendola un punto di riferimento nella promozione della musica tradizionale giapponese in giro per il mondo.
Il gruppo Seiha combina una solida padronanza del repertorio classico a un rivoluzionario approccio verso la nuova musica. Con l'aumentare del numero di opere moderne affidate agli strumenti giapponesi, molti artisti contemporanei di koto hanno trascurato lo studio delle tecniche di melodia e ritmo tradizionali giapponesi, le quali si differenziano notevolmente dallo stile di composizione adottato nella musica moderna occidentale.
Yasuko Nakashima, invece, nonostante il forte desiderio di innovazione che l'ha ispirata negli anni a comporre e a fondare nel 1947 la Seiha Concert Ensemble, ha curato, a nome della sua scuola, una rigorosa antologia di musica classica che rimane un modello per le music library e la NHK (servizio pubblico radiotelevisivo nazionale giapponese).
I lavori del defunto marito, Yuize Shinichi, sono oggi considerate una parte essenziale del repertorio moderno, sia per le ensemble da camera che per le orchestre più grandi.
Oltre ad essere la più importante scuola di koto in Giappone, Seiha è l’unica ad offrire lezioni in inglese di strumenti tradizionali giapponesi. Queste lezioni sono tenute durante i corsi estivi di musica, organizzati nella città di Tokyo.
Nel 2013 è stato celebrato il centenario della Fondazione con un concerto commemorativo alla Kaikan Hall di Tokyo, dove si sono esibiti un migliaio di musicisti provenienti da tutto il mondo.
Kazuko Nakashima è l'attuale Gran Maestro della scuola di koto Seiha Hogakukai. La sua esperienza musicale conta un gran numero di risultati eccezionali. Durante la sua infanzia, oltre ad aver studiato pianoforte e composizione con i famosi pianisti Takejiro e Kozaburo Hirai, Kazuko ha approfondito la sua conoscenza degli strumenti tradizionali giapponesi grazie al padre, Yuize Shinichi, e al celebre musicista di shamisen Akiko Yazaki.
Dopo aver raggiunto nel 1986 il rango più alto nella Seiha, il Dai-Shihan (Grande Maestro), Kazuko Nakashima ha proseguito la sua carriera diventando una figura di rilievo nell'ambito dell'insegnamento musicale. La Nakashima si è esibita in numerosi teatri oltreoceano con la Seiha Hogakukai, in particolare alla Carnegie Hall nel 2009 con Yamamoto Hozan e al National Theatre of Spain nel 2014. Ha inoltre tenuto dei workshop a San Francisco e San Diego, in collaborazione con la succursale americana di Seiha.
Con i concerti di Milano, il gruppo Seiha spera di riuscire a diffondere la conoscenza del Sankyoku, il genere tradizionale giapponese cuore del repertorio del koto, anche in Italia. I brani di questo particolare genere di musica da camera sono concepiti per un ensemble composto da koto, voce, shamisen e shakuhachi (che sostituisce il vecchio kokyu, uno strumento ad arco simile all’erhu cinese).
Le composizioni musicali di Sankyoku sono veri e propri pilastri della storia della musica giapponese e offrono una suggestiva panoramica della pratica eterofonica di questo paese.
Gli spettatori sono invitati a fare un confronto tra questo genere, quintessenza della musica giapponese, e il contrappunto, tecnica che ha dominato la scena musicale corale italiana tra Rinascimento e Barocco.
Uno spettacolo unico, al quale è raro assistere anche in Giappone, nato per preservare le musiche tradizionali giapponesi e i suoi gli strumenti tradizionali anche con arrangiamenti moderni e dal tocco europeo.
Programma
7 Novembre
Laboratorio: 15:00 - 17:00
Concerto: 18:00 – 19:00
Sala Barozzi presso l'Istituto dei Ciechi di Milano, Via Vivaio, 7, 20122 Milano MI
Laboratorio di approccio base agli strumenti musicali aperto al pubblico; entrata libera. Posti a sedere senza prenotazione.
8 Novembre
Casa Verdi
Concerto privato per ospiti e affiliati di Casa Verdi.
9 Novembre
Laboratorio: 15:00 - 18:00
Concerto: 20:00 - 21:30
Auditorium Lattuada, Corso di Porta Vigentina, 15 / a, 20122 Milano MI
Con il patrocinio del Comune di Milano
Organizzato da: Seiha Chamber Orchestra of Japanese Instruments
Co-organizzatori: Istituto dei Ciechi di Milano (7 novembre), Casa Verdi (8 novembre), Civita Scuola di Musica Claudio Abbado (9 novembre)
In collaborazione con: Consolato Generale del Giappone a Milano, Comune di Milano, Associazione Culturale Giappone in Italia, Fondazione Italia Giappone
Tokyo Tsukiji
Abbiamo intervistato Nicola Tanzini, fotografo appassionato, che ha raccontato il mercato di Tsukiji a Tokyo, attraverso una serie di scatti oggi raccolti nel libro "Tokyo Tsukiji", edito da Contrasto
Come è nato questo progetto dedicato al mercato di Tsukiji?
Il progetto è nato casualmente. Ero a Tokyo per svolgere un lavoro fotografico, ma non avevo ipotizzato o preparato nulla su Tsukiji. Sono andato a Tsukiji da turista e, per caso, la prima volta che ci sono stato, sono arrivato quando le attività erano già concluse. Però ormai ero lì e quindi ho deciso di visitarlo: mentre stavo passeggiando per questa struttura enorme, sono stato colpito da una persona che, in maniera molto naturale, stava fumando una sigaretta. Ho cominciato a vedere che intorno a me c'erano tantissime persone che, come lui, si stavano rilassando in tanti modi diversi al termine della giornata di lavoro, dedicando un attimo a se stessi. Certo, una cosa normalissima che viviamo quotidianamente. Ma da lì è nata l'idea. Anche se il progetto è ambientato totalmente dentro il mercato del pesce, non è una rappresentazione di esso: è un lavoro che vuole affrontare un momento quotidiano normalissimo, all'interno di Tsukiji.
Devo dire che oggi questo lavoro sta assumendo anche un altro lavoro al quale io, con tutta onestà, non avevo pensato, che è quello di essere documento anche storico, visto che Tsukiji sta chiudendo e verrà spostato altrove. Ho appreso dalle tante persone con le quali mi sto confrontando, che questo lavoro piace proprio per il suo valore documentale, e la cosa mi fa molto piacere, anche se non era stato pensato con questo spirito
Ha avuto modo di confrontarsi con le persone fotografate?
C'è molta interazione nelle foto, non sono scatti rubati. Non sono ritratti posati, ma loro sapevano di essere fotografati, tranne quelle foto scattate mentre le persone stanno svolgendo un lavoro ecco. Non ho mai avuto riscontri negativi: mi ricordo solo di poche persone che mi hanno chiesto molto gentilmente di non essere fotografate e ho ovviamente rispettato la loro volontà. Un lavoro dedicato alla presentazione di uno stato d'animo e fisico non aveva bisogno di essere in qualche modo rubato: è tutto spontaneo nel senso che non c'è niente di posato, però nelle tante immagini dove c'è stata un'interazione, c'è stata un'assoluta accettazione della cosa da parte dell'interlocutore
Su quali progetti sta lavorando adesso?
Il lavoro su Tokyo non è ancora concluso. E comunque rientra in un progetto più ampio a cui sto lavorando, dedicato ad alcune grandi metropoli: New York, Shanghai, Tokyo, Milano e Londra. Un percorso abbastanza lungo ancora in fase di elaborazione. Un lungo reportage che vuole raccontare, attraverso aspetti particolari della città, sia le ambientazioni che le persone che la popolano.
Una selezione di 30 scatti è esposta fino al 4 novembre 2018 presso Leica Store di Milano: l'esposizione, curata da Benedetta Donato, è patrocinata dall'Istituto Giapponese di Cultura di Roma.
Intervista di Federica Lucrezia Tornaghi