I luoghi del Gion matsuri: Yasaka jinja
Il Gion Matsuri
Il Gion Matsuri è un famoso evento religioso che si tiene nella città di Kyoto durante il mese di luglio. Partendo dal santuario di Yasaka, il matsuri comprende diversi tipi di festeggiamenti nel corso del mese. La celebrazione risale a tempi molto antichi: si dice che questi festeggiamenti si ripetano ogni anno da più di 1100 anni, dal primo all’ultimo giorno del mese di luglio. La prime testimonianze risalgono al 869, a meno di un secolo dalla fondazione della nuova capitale, tempi in cui una pestilenza imperversava in tutto il Giappone.
Kyoto, infatti, venne fondata dall’imperatore Kammu nel 794, il quale le diede il nome di “Heian-kyō” “capitale di pace e serenità”. La superficie di questa antica città non corrisponde esattamente a quella dell’attuale Kyoto moderna, molti cambiamenti sopraggiungerso nel tempo, e anche il santuario di Yasaka non fu sempre quello che è possibile vedere ai giorni nostri passeggiando per il quartiere di Gion.
La tradizione scavalca i cambiamenti e attraversa i secoli per arrivare sino ad oggi. Al tempo, si pensò che il disastro della pandemia fu provocato dalla maledizione di Gozu-Tennou: divinità legata alla malattia e guarigione. La città pregò allora il kami di Gion al fine di placarlo. Vennero costruite 66 hokos (un tipo di lancia) a Shinsen-en (un ampio giardino a Heian-kyō), e fu trasportato tra le strade della città un santuario. A quel tempo il Gion matsuri era chiamato “Goryo-e”, celebrazione atta a placare i kami avversi.
Il Gion matsuri diviene un evento annuale circa a partire dal 975. Dura un mese, dal 1 al 31 luglio, inizia con la cerimonia di Kippu-iri e finisce con l’Eki Jinja Nagoshi Matsuri. Durante questo mese si svolgono numerose feste religiosi, parate ed eventi.
La cerimonia di apertura si è tenuta quest'anno il primo di luglio nel santuario di Yasaka a Kyoto, in scala ridotta a causa della diffusione del Covid-19 in Giappone.
Breve storia del santuario
Si pensa che la fondazione del santuario di Yasaka risalga al 656, dunque ancor prima della fondazione della città di Heian-kyō come nuova capitale del Giappone. Con lo sviluppo della città, il culto di questo santuario si diffuse in tutta l’isola, stimando oggi ad avere 3000 santuari satellite in diverse parti del paese.
La struttura originale si data essere stata eretta intorno all’876: questo non deve sorprendere in quanto in origine i santuari shintoisti potevano essere nient’altro che strutture temporanee, costruite in occasione dei riti. La struttura attuale che è possibile vedere a Kyoto data 1654. Il fatto di poter difficilmente ammirare strutture originali è un altro dettaglio comune nella storia dei santuari shinto. Con le loro strutture prevalentemente in legno, spesso i santuari finivano distrutti a causa di devastazioni, terremoti o incendi. Il legno è un materiale naturale ed elastico. A volte resistente alle scosse di terremoto, ma fragile rispetto a incendi o altre calamità.
La divinità principale di questo santuario è Susanoo no Mitoko, con la sua sposa e otto bambini. In verità, in origine il kami del luogo era riconosciuto nella divinità sincretica Gozu-Tennou, a metà tra il culto buddhista e shintoista. Durante la restaurazione Meiji le forme religiose sincretiche vennero meno, in favore di una netta divisione tra culto autoctono e importato. Da quel momento in poi, dunque, il kami di Susanoo si sovrappose a quello di Gozu-Tennou, mantenendone alcune caratteristiche. Anche il santuario cambiò il suo nome, che da “Gion-sha” divenne “Yasaka-jinja”.
Struttura del santuario
Yasaka jinja si trova nel quartiere di Gion a Kyoto, zona famosa per il suo antico fascino legato anche alla cultura delle geiko e maiko. Percorrendo la strada di Shijo fino alla fine, ai piedi delle colline di Higashiyama, è possibile incontrare una scalinata con cui accedere alle porte del santuario. Salendo queste scale si può vedere molto bene il quartiere da una posizione rialzata, fino all’altro capo della strada principale. Il santuario è un vero e proprio microcosmo, corredato da molti altari secondari e inserito in un contesto naturale, nonostante la collocazione nel centro della città.
L’entrata dalla strada di Shijo è chiamata nishi-romon (letteralmente "porta ovest"), a due piani e tre campate, di un acceso rosso vermiglio. Seduti ai due lati di questa porta, due guardiani arcieri shintoisti. Nonostante l’imponenza di questa entrata, quella principale è però quella a sud, che si affaccia direttamente sulla struttura dell’honden, vicina a un grosso torii di pietra, posto proprio all'ingresso. L'honden è considerata l'area più sacra del complesso, dove risiede e si manifesta il kami.
Considerata l’origine sincretica dei culti professati a Yasaka jinja (o meglio, Gion-sha al tempo), la struttura e l’honden mantengono caratteristiche dell’architettura buddhista. In particolare, l’honden è costruito nello stile yasaka-zukuri o gion-zukuri: honden e haiden sono combinati in un’unica struttura, al modo da somigliare alla sala principale di un tempio buddhista. Solitamente nei santuari shinto honden e haiden sono due edifici divisi: l’haiden è una struttura di avvicinamento al luogo sacro, il goshintai (oggetto o luogo in cui risiede il kami) è custodito invece nell’honden, struttura impenetrabile. Si pensa che inizialmente fossero divisi e giustapposti anche nel santuario di Yasaka. Tuttavia, probabilmente in seguito a ricostruzioni divennero combinati in una sola struttura, sebbene gli spazi interni rimangano diversi. Gli interni sono in legno, mentre l’esterno è anch’esso dipinto come il romon.
Di fronte all’honden è collocata una struttura molto particolare e appariscente, che spesso cattura l’attenzione anche più dell’altare principale, con tutte le sue lanterne: il palco per le danze shinto e le cerimonie, detto buden. Durante le ore serali, questa è la costruzione che maggiormente colpisce di tutto il complesso: tre file di lanterne di carta splendono nel buio, creando un’atmosfera magica e misteriosa. Come per i torii del Fushimi Inari Taisha, le lanterne portano i nomi dei donatori: questo sistema è molto diffuso nei santuari shinto, ed è un modo sia per il santuario di arricchirsi, sia per le persone che fanno donazioni di onorare i kami.
Il sito di Yasaka jinja è, come capita con strutture di grandi dimensioni, attorniato da moltissimi santuari satellite più piccoli. Soprattutto la notte, c'è un’atmosfera silenziosa e sacra: in un labirinto di strade, tra altari in pietra e legno e elementi naturali, la sensazione è quella si trovarsi immersi nella realtà delle divinità del Giappone, i kami che abitano i luoghi più diversi.
I santuari secondari di questo complesso rappresentano alcuni dei maggiori del Giappone in versione ridotta, come l’Ise Jinju e l’Izumo Taisha.
Curiosando tra gli scorci di questo complesso si può giungere al parco Maruyama. Luogo in cui ogni anno è possibile godersi un bellissimo spettacolo di ciliegi in fiore. Anche nelle altre stagioni è un posto molto tranquillo dove poter sostare. È il più antico parco di Kyoto, copre un’area di 8600 metri quadrati. Contiene anche alcuni stand e luoghi dove mangiare, panchine, un piccolo laghetto con un ponte per esplorare ancor più i dintorni.
Fonti e link utili:
http://www.yasaka-jinja.or.jp/en/
https://kyoto.travel/en/other_attractions/110.html
Guida ai santuari shintoisti: Cali, Joseph; Dougill, John. Shinto Shrines: A Guide to the Sacred Sites of Japan's Ancient Religion
a cura di Susanna Legnani
Culture Gate to Japan: l’arte negli aeroporti
Culture Gate to Japan: Connect people and culture through art
L’Agenzia degli Affari Culturali del Giappone lancia un progetto di promozione culturale chiamato “Culture Gate to Japan”, collocato negli aeroporti del paese e in altre strutture. L’intento è quello di diffondere l’arte contemporanea del Giappone, nella rappresentazione delle sue diverse varietà territoriali. Gli artisti interpellati rientrano nel campo delle Media Arts (arti, intrattenimento, animazione, manga), che attraverso opere moderne esplorano anche aspetti della cultura tradizionale dell’isola.
I luoghi prescelti, prevalentemente aeroporti, sono proprio spazi di passaggio e connessione tra paesi e culture: ogni parte del Giappone ha un diverso panorama culturale da esplorare, che in questo progetto viene presentato in mostre temporanee a tema.
Ovviamente, a causa della pandemia è impensabile credere che un progetto simile possa veramente sortire gli effetti desiderati, per cui il sito web si è tramutato esso stesso in una mostra online di tutte le installazioni presenti nelle diverse strutture in giro per il Giappone. L’augurio è quello di non rinunciare a interagire con altre culture, tramite le persone e anche l’arte, ma di conservare la meraviglia e la curiosità per il giorno in cui si tornerà a incontrarsi come prima. Nel frattempo, https://culture-gate.jp ci offre la possibilità di fare un salto tra le opere pensate proprio per alimentare l’interesse verso la cultura e arte giapponese.
Il nome “Culture Gate to Japan” è dunque più che azzeccato che mai: un portale online dedicato alla promozione della cultura nipponica, allo stesso tempo collocato in luoghi di passaggio e incontro di persone e culture dove, dunque, il “gate” è proprio quello dell’aeroporto.
L'arte delle nuove tecnologie
Le strutture coinvolte sono sei aeroporti e un terminal crociere: l’aeroporto di Shin-Chitose, l’aeroporto Internazionale di Chūbu-Centrair, l’aeroporto di Fukuoka, di Naha, di Haneda e Narita, l’aeroporto internazionale del Kansai e il Terminal crociere internazionale di Tokyo.
Ogni luogo identifica un tema legato alla cultura tradizionale del Giappone, che viene presentato attraverso forme d’arte contemporanea.
Shin-Chitose
L’aeroporto di Shin-Chitose, nella regione di Hokkaido, si concentra sulla cultura Ainu (nativi di quel territorio). Il tema è “INVISIBLE”: l’azienda creativa NAKED, INC. proietta questi temi in uno spazio interattivo. L’installazione si chiama “Imagine Ainu” (イマジンアイヌ) e si focalizza sulla tradizione orale e musicale di questo popolo.
https://www.youtube.com/watch?v=7RSkzjduP64&list=TLGG27A9ObchUP0zMDA2MjAyMQ
Chūbu-Centrair
L’aeroporto Internazionale di Chūbu-Centrair prende in considerazione la tradizione di samurai e ninja, il cui tema è “MOTION”. La zona fu teatro di battaglie, tra cui quella di Sekigahara, e ospita numerosi castelli e strutture legate al periodo degli Stati Combattenti.
Il gruppo creativo EUPHRATES si occupa della cultura dei ninja, con un’installazione di luci in movimento nel buio: visione e nascondimento. L’artista Shigeta Yusuke invece propone un’installazione-video che ricorda i paraventi pieghevoli tradizionali che ritrae la battaglia di Sekigahara in movimento.
https://www.youtube.com/watch?v=ElLNTJ8n8Tw&list=TLGG3MYYlDY5PoczMDA2MjAyMQ
Fukuoka
A Fukuoka si celebra l’artigianato del Kyushu, il cui tema è “PATTERN”. L’artista Mizue Mirai propone l’animazione di motivi trovati su prodotti di artigianato locale.
https://www.youtube.com/watch?v=y5OzhExRQh0&list=TLGGwggv7glFhWEzMDA2MjAyMQ
Naha
L’aeroporto di Naha, nella zona di Okianawa, ospita la narrazione della storia regno delle isole Ryukyu, a tema “Memory”. Higa Satoru realizza una video-installazione in cui è possibile riscoprire il castello di Shurijo, simbolo di quel regno, bruciato ormai nel 2019.
https://www.youtube.com/watch?v=RtzWLIg8umM&list=TLGGUoeXuHfiHkczMDA2MjAyMQ
Haneda e Narita
I famosi aeroporti di Haneda e Narita a Tokyo ospitano un’installazione sonora (di Suzuki Yuri e Hosoi Miyu) e una serie di video, da cui il tema “VISION GATE”. L’idea quella di catapultare il visitatore nell’eclettica cultura nipponica, ancora prima di approdare in Giappone, dove tutto sembra molto diverso da casa e meno familiare. Sei video di sei artisti accompagnano il viaggiatore dal gate alle uscite e a vari luoghi dei terminal.
https://www.youtube.com/watch?v=CJOR4nftwOo&list=TLGGUVm0YYxGe2UzMDA2MjAyMQ
Kansai
L’aeroporto Internazionale del Kansai si concentra sul tema della coesistenza con la natura, tipico della cultura del Giappone tradizionale. Il tema è “LIFE”, ed è articolato in pannelli di disegni/manga realizzati da otto artisti per otto aree diverse del Kansai.
Back TOKYO Forth
Infine, il terminale internazionale crociere di Tokyo ospita la mostra “Back TOKYO Forth”. Le protagoniste sono sempre le “Media Arts”, attraverso le quali si vuole rappresentare le dinamiche di una Tokyo “in the middle” tra passato (back) e futuro (forth). Le opere sono disponibili alla visione sul sito web dedicato.
Date uno sguardo a tutte queste opere su https://culture-gate.jp, per immergervi nella cultura tradizionale e regionale del Giappone, ma anche per conoscere nuovi artisti che attraverso moderne tecnologiche rendono vivi anche oggi i costumi di un tempo.
a cura di Susanna Legnani
INVISIBILE: Chiharu Shiota e Memory of Water
Il sesto e ultimo articolo della serie “La percezione dello spazio nella visione degli artisti giapponesi contemporanei” prende in considerazione un’installazione molto suggestiva: Memory of Water di Chiharu Shiota.
Memory of Water è un’installazione permanente per il Towada Art Center, ad Aomori in Giappone. L’opera è stata resa visibile al pubblico in aprile 2021, in occasione del decimo anniversario del progetto “Arts Towada”. Questa è un'iniziativa legata al contesto urbano circostante, si snoda per la città attraverso differenti proposte artistiche.
Chiharu Shiota è un’artista che sviluppa la sua carriera tra oriente e occidente, nata ad Osaka ha lavorato per molti anni nel contesto berlinese. Le sue opere spaziano da installazioni e performances a sculture e disegno. Esposte ormai in tutto il mondo, i temi prevalenti sono quelli della memoria, il corpo, l’identità, la vita e la morte, le relazioni e il ricordo. Un’indagine dell’esistenza umana che passa da semplici oggetti e dalle loro relazioni con gli spazi. Nel 2019 il Mori Art Museum of Tokyo ospita anche una retrospettiva dei 25 anni della sua ricerca artistica “Chiharu Shiota: The Soul Trembles”, in cui sono presenti sei famose installazioni con fili intrecciati.
In particolare, le installazioni di Chiharu Shiota sono costituite da scenari immersivi. Tra questi, vecchi oggetti di uso comune che attraverso intrecci di fili si relazionano con lo spazio, creando una fitta trama narrativa. Entrare a contatto con queste opere è un’esperienza che trascina lo spettatore nell’invisibile della vita di ogni giorno. Migliaia e migliaia di fili toccano e intersecano gli oggetti scelti, diramandosi per tutta la stanza. In questo modo, è come se lo stesso oggetto potesse silenziosamente parlare e raccontare una storia, estrinsecare il suo mondo. Un mondo presente, ma anche passato, fatto di memoria e ricordo.
Vecchie sedie, tavoli, pianoforti, ma anche letti d’ospedale, indumenti, barche, chiavi. Oggetti che raccontano l’esperienza della vita, ma anche la malattia e la morte, la memoria di momenti passati. I fili sono l’intersecarsi sempre più sottile e complesso di tutto quel mondo che le cose raccontano ma noi non vediamo, l’invisibile reso sottilmente visibile.
L’invisibile visibile
Memory of water è un’installazione che Chiharu Shiota pensa per un sito specifico, il Towada Art Center. L’ispirazione le deriva dal lago della città: il lago Towada. La tradizione narra che esso venne a formarsi 220.000 anni fa da attività vulcaniche, e nel tempo i dintorni furono costruiti bonificando la zona. Ciò, anche attraverso il sistema di canali ricavato dalla fonte d’acqua. L’opera, il cui oggetto centrale è quello della barca, intrattiene una relazione forte con la storia di questa città, ne racconta la storia e ne mette in evidenza il suo rapporto con l’elemento del lago. La barca stessa fu ritrovata sulle sue rive, oggetto che riesce dunque a rappresentare un passato, una memoria. Il filo rosso che avvolge l’imbarcazione e permea la stanza è la narrazione di questo ricordo, nei suoi diversi intrecci e relazioni, si allunga nello spazio e raggiunge lo spettatore.
Le barche nelle installazioni di Chiharu Shiota sono mezzi che possono condurre a luoghi noti o sconosciuti, creano collegamenti, portano con loro storie di viaggi, suscitano emozioni diverse. Il tema ricorrente di vita e morte nelle opere dell’artista suggerisce che queste imbarcazioni possano essere ponte tra mondo della vita e della morte. Il filo rosso è un estrinsecarsi di significati da questi oggetti, allo stesso tempo ne rappresenta i legami.
I fili delle opere di Shiota si intrecciano in modo indistinguibile, sottili e numerosi, il loro percorso diviene invisibile. Denotano allora uno spazio ambiguo, un agglomerato dai confini vaghi, che si estende nello spazio e la cui trama non è chiara e distinta ai nostri occhi. Se si volesse seguire con lo sguardo le tracce di questi fili, si percepirebbe da subito l’impossibilità di individuare una via. È una storia la cui trama ci sfugge, nelle sue mille sfaccettature e deviazioni non è completamente chiara al nostro sguardo. Le installazioni di Chiharu Shiota mostrano, attraverso gli intrecci delle trame, la storia invisibile di oggetti di vita quotidiana. Raccontano ciò che la cosa non mostra, ma di cui riempie l’atmosfera. È come se l’aria si facesse più densa, come se lo spazio si riempisse di ciò che non si vede: questo torna alla vista attraverso i fili rossi.
Link utili e fonti:
https://towadaartcenter.com/en/collection/memory-of-water/
https://pen-online.com/arts/chiharu-shiota-red-threads-connecting-the-here-and-there/?scrolled=3
https://www.chiharu-shiota.com/memory-of-water
Susanna Legnani
INVISIBILE: Chiharu Shiota e Memory of Water
Il sesto e ultimo articolo della serie “La percezione dello spazio nella visione degli artisti giapponesi contemporanei” prende in considerazione un’installazione molto suggestiva: Memory of Water di Chiharu Shiota.
Memory of Water è un’installazione permanente per il Towada Art Center, ad Aomori in Giappone. L’opera è stata resa visibile al pubblico in aprile 2021, in occasione del decimo anniversario del progetto “Arts Towada”. Questa è un'iniziativa legata al contesto urbano circostante, si snoda per la città attraverso differenti proposte artistiche.
Chiharu Shiota è un’artista che sviluppa la sua carriera tra oriente e occidente, nata ad Osaka ha lavorato per molti anni nel contesto berlinese. Le sue opere spaziano da installazioni e performances a sculture e disegno. Esposte ormai in tutto il mondo, i temi prevalenti sono quelli della memoria, il corpo, l’identità, la vita e la morte, le relazioni e il ricordo. Un’indagine dell’esistenza umana che passa da semplici oggetti e dalle loro relazioni con gli spazi. Nel 2019 il Mori Art Museum of Tokyo ospita anche una retrospettiva dei 25 anni della sua ricerca artistica “Chiharu Shiota: The Soul Trembles”, in cui sono presenti sei famose installazioni con fili intrecciati.
In particolare, le installazioni di Chiharu Shiota sono costituite da scenari immersivi. Tra questi, vecchi oggetti di uso comune che attraverso intrecci di fili si relazionano con lo spazio, creando una fitta trama narrativa. Entrare a contatto con queste opere è un’esperienza che trascina lo spettatore nell’invisibile della vita di ogni giorno. Migliaia e migliaia di fili toccano e intersecano gli oggetti scelti, diramandosi per tutta la stanza. In questo modo, è come se lo stesso oggetto potesse silenziosamente parlare e raccontare una storia, estrinsecare il suo mondo. Un mondo presente, ma anche passato, fatto di memoria e ricordo.
Vecchie sedie, tavoli, pianoforti, ma anche letti d’ospedale, indumenti, barche, chiavi. Oggetti che raccontano l’esperienza della vita, ma anche la malattia e la morte, la memoria di momenti passati. I fili sono l’intersecarsi sempre più sottile e complesso di tutto quel mondo che le cose raccontano ma noi non vediamo, l’invisibile reso sottilmente visibile.
L’invisibile visibile
Memory of water è un’installazione che Chiharu Shiota pensa per un sito specifico, il Towada Art Center. L’ispirazione le deriva dal lago della città: il lago Towada. La tradizione narra che esso venne a formarsi 220.000 anni fa da attività vulcaniche, e nel tempo i dintorni furono costruiti bonificando la zona. Ciò, anche attraverso il sistema di canali ricavato dalla fonte d’acqua. L’opera, il cui oggetto centrale è quello della barca, intrattiene una relazione forte con la storia di questa città, ne racconta la storia e ne mette in evidenza il suo rapporto con l’elemento del lago. La barca stessa fu ritrovata sulle sue rive, oggetto che riesce dunque a rappresentare un passato, una memoria. Il filo rosso che avvolge l’imbarcazione e permea la stanza è la narrazione di questo ricordo, nei suoi diversi intrecci e relazioni, si allunga nello spazio e raggiunge lo spettatore.
Le barche nelle installazioni di Chiharu Shiota sono mezzi che possono condurre a luoghi noti o sconosciuti, creano collegamenti, portano con loro storie di viaggi, suscitano emozioni diverse. Il tema ricorrente di vita e morte nelle opere dell’artista suggerisce che queste imbarcazioni possano essere ponte tra mondo della vita e della morte. Il filo rosso è un estrinsecarsi di significati da questi oggetti, allo stesso tempo ne rappresenta i legami.
I fili delle opere di Shiota si intrecciano in modo indistinguibile, sottili e numerosi, il loro percorso diviene invisibile. Denotano allora uno spazio ambiguo, un agglomerato dai confini vaghi, che si estende nello spazio e la cui trama non è chiara e distinta ai nostri occhi. Se si volesse seguire con lo sguardo le tracce di questi fili, si percepirebbe da subito l’impossibilità di individuare una via. È una storia la cui trama ci sfugge, nelle sue mille sfaccettature e deviazioni non è completamente chiara al nostro sguardo. Le installazioni di Chiharu Shiota mostrano, attraverso gli intrecci delle trame, la storia invisibile di oggetti di vita quotidiana. Raccontano ciò che la cosa non mostra, ma di cui riempie l’atmosfera. È come se l’aria si facesse più densa, come se lo spazio si riempisse di ciò che non si vede: questo torna alla vista attraverso i fili rossi.
Link utili e fonti:
https://towadaartcenter.com/en/collection/memory-of-water/
https://pen-online.com/arts/chiharu-shiota-red-threads-connecting-the-here-and-there/?scrolled=3
https://www.chiharu-shiota.com/memory-of-water
Susanna Legnani
Arriva in Italia il tanto atteso Demon Slayer The Movie: Mugen Train
Il 22 giugno finalmente approderà anche in Italia l’atteso film di Demon Slayer: Mugen Train che farà da sequel alla tanto acclamata serie anime.
Demon Slayer, Kimetsu no yaiba il suo titolo giapponese, è un manga scritto e disegnato da Koyoharu Gotouge e pubblicato sulla rivista settimanale Shounen Jump da febbraio 2016 e conclusosi solo di recente, nel maggio 2020.
Come spesso accade, inizialmente il manga da sé non riscosse particolare successo, ma fu proprio con la trasposizione animata, arrivata nell’aprile del 2019 ad opera della Ufotable, che le vendite dei volumi iniziarono a scalare le classifiche. A dicembre del 2020, arrivò, infatti, a superare 1 milione di copie vendute, risultato prima raggiunto soltanto da One Piece.
Ambientato nell’epoca Taisho, la storia segue le vicende di Tanjiro Kamado, un giovane ragazzo che diventa un cacciatore di demoni, deciso a trovare colui che ha ucciso la sua famiglia e ha trasformato sua sorella, unica sopravvissuta, in un demone stesso.
Demon Slayer the Movie: Mugen Train riprende proprio da dove la serie anime si è conclusa, per poi passarle nuovamente il testimone. È stata infatti annunciata una seconda stagione che dovrebbe uscire nel corso del 2021.
In Giappone, il film ha ottenuto numeri da record al botteghino, superando La città Incantata di Miyazaki, detentore del titolo di film con maggiore incasso nella storia da ben 19 anni e sembrerebbe che anche in America stia spopolando.
C’è grande fermento, quindi, per l’arrivo del film in Italia, che per vari motivi, anche legati alla situazione pandemica, è stato posticipato fino ad ora.
Ma con l’acquisto dei diritti da parte della Dynit, l’attesa sembra essere ormai giunta al termine.
Se ancora non avete guardato la versione resa disponibile all’acquisto per errore su Playstore e successivamente trapelata online in modo illegale, l’appuntamento è per questa estate in tutti i cinema o sulle piattaforme di streaming legale.
Amanda De Luca
Il giardino del tè, sentiero di roji
All’ingresso della casa (o stanza) del tè è sempre presente un giardino (chaniwa 茶庭) con un sentiero di pietre (roji 露地), che conduce all’entrata. Questo è elemento essenziale nella stessa cerimonia del tè e costruzione della struttura.
L’avvicinamento e la preparazione spirituale al rito, infatti, non sono scontate e immediate. Occorre che spirito e corpo attraversino un momento di passaggio: dalla realtà quotidiana a un momento sospeso, di meditazione e apprezzamento estetico. Come scrive Kakuzo Okakura nella sua celebre opera The book of the tea, nella cerimonia del tè vi è molto del quotidiano, anche se allo stesso tempo «si tratta di un culto fondato sull’adorazione del bello, in contrapposizione alle miserie della vita quotidiana».
Il giardino del tè con il sentiero di roji sono, dunque, giardini da percorrere, e non solo da ammirare come dipinti. In particolare, il sentiero è composto da pietre dalla forma naturale, volutamente poco o per nulla modificate nel loro aspetto. Disposte in modo asimmetrico, la distanza tra l’una e l’altra non è mai identica o calcolata. È bene ricordare che i giardini della tradizione furono costruiti quasi tutti da maestri del tè, che nell’influenza dello zen avevano una particolare visione della natura e di conseguenza della strutturazione di questi edifici e giardini.
Nell'attraversamento di questo spazio, il corpo e lo spirito vengono preparati, costretti all’attenzione.
Il percorso non è lineare, occorre calibrare ogni singolo movimento per non inciampare o andare fuori strada. Il corpo viene allora addestrato alla concentrazione, e così lo spirito. La preparazione alla cerimonia che si terrà nella casa del tè avviene ben prima dell'ingresso, ed è per questo che il giardino risulta allora qualcosa di essenziale sia alla cerimonia stessa sia alla configurazione dell’edificio.
Non ci sono stacchi repentini: è un percorso graduale. Quasi sempre, inoltre, l’entrata nella casa è posta sullo stesso livello del giardino. Così, la camminata non è interrotta, ma il sentiero appare condurre direttamente all’interno dell’edificio, in una continuità tra interni ed esterni.
Il giardino nei secoli
Il termine roji era originariamente un termine riferito alla sfera religiosa del buddhismo, scrive Teiji Ito, studioso di giardini, nel suo saggio Nihon no niwa. "A spiritual state of perfect selfless and purity": in questo senso la parola viene usata per indicare ciò che il giardino aveva filosoficamente rappresentato dal periodo Edo in poi. Preparazione, addestramento del corpo e dello spirito, dimenticanza dell'individualità.
La parola ha anche diverse altre connotazioni, come “on the way”, “while walking”, “a narrow alley”. Tutte sfumature che si accostano maggiormente alle caratteristiche del giardino.
In origine,
il giardino del tè doveva essere una costruzione molto semplice, povera di elementi, in accordo con l’estetica delle stesse case. T.Ito riporta dei passi del Chasho Senrin, manuale del diciassettesimo secolo. «Non si dovrebbero piantare alberi, né sistemare pietre, né spargere sabbia, né disegnare ghiaia - queste cose distraggono la mente di una persona; confondono e tolgono la spiritualità della cerimonia stessa». Col passare del tempo, però, sempre più elementi vennero introdotti nel giardino, e ogni maestro del tè – senza che si parli di un vero e proprio stile personale – adottava elementi particolari.
Al giorno d’oggi,
i giardini del tè hanno una forma riconoscibile. Spesso essi sono divisi in due parti attraverso un cancello (chumon) e così si individuano un roji più esterno e uno più interno, vicino alla casa del tè, a testimoniare ancora il senso di gradualità. Elemento molto importante è lo tsukubai, un “bacino d’acqua”, dove il visitatore può fermarsi a lavare mani e bocca, per purificarsi. Solitamente, questi bacini sono costruiti in pietra e sono abbastanza bassi. Ciò, ancora nella volontà di un’educazione del corpo: occorre umilmente chinarsi per purificarsi. Azioni simili si ripetono all'entrata della sukiya, la stanza del tè: bisogna attendere sotto un portico, il machiai, e abbassarsi per procedere.
Nel giardino si trovano inoltre lanterne di pietra (ishi-doro) e diversi tipi di alberi e piante. Tutti questi elementi non vengono più considerati di turbamento per la mente, ma anzi sono necessari a fare del percorso un processo di cambiamento anche interiore, attraverso il contatto con la natura.
Il sentiero – come è già stato illustrato – è composto da pietre (tobi-ishi) di forma irregolare e con disposizione asimmetrica. L’uso di queste pietre è, secondo testimonianze raccolte da T.Ito, pratico ed estetico allo stesso tempo.
Watari, kei e sentiero del vuoto
Questo equilibrio di pratica/funzione ed estetica venne riassunto nei termini watari (funzione) e kei (apprezzamento estetico). È il designer del giardino e maestro del tè a decidere – a seconda delle circostanze e tipo di vegetazione con cui si trova a contatto – cosa prevale. Le pietre vengono selezionate con cura da chi progetta la struttura, ognuna viene collocata nel posto che risulta più naturale, che permette di valorizzare le sue caratteristiche. Raramente, infatti, queste pietre vengono modificate fortemente nella loro forma originaria, ma si tende piuttosto a rispettarne la natura, collocandole nel giusto luogo. Così, nella visione di chi progetta il giardino, la prima cosa rimane pur sempre l’accordo con la natura, il rispetto di essa.
Questa forma del sentiero che conduce alla stanza del tè è interpretata da molti studiosi di filosofia orientale come una struttura che implica il vuoto, esperienza vicina allo zen. La via non è continua, ma spazi vuoti intercorrono tra le pietre. Questo tipo di esperienza è già anticipatoria di ciò che avverrà durante la cerimonia del tè: un rito che ha a che fare fortemente con il vuoto, nella struttura della casa, nei gesti e movimenti, negli strumenti che utilizza.
Fonti utili:
https://www.biolaghiegiardini.it/scheda.php?idarticolo=69
http://www.aisf.or.jp/~jaanus/deta/r/roji.htm
Susanna Legnani
PERIODO JOMON - L'INIZIO DELLA STORIA
Il periodo Jōmon è spesso preso come punto di partenza per raccontare la storia del Giappone.
Non è un caso isolato, comunque, che ci spinga alla comparsa delle prime ceramiche per eseguire un approfondimento sulle civiltà antiche, più ancora che i primi reperti di attrezzi e utensili in pietra. Capita spesso inoltre che esse prendona il nome dal luogo dei ritrovamenti, come la preindoeuropea Cultura di Cucuteni-Trypillian in Romania e Ucraina, e la Cultura di La Tène in Svizzera.
Un'altra tendenza invece, soprattutto su ritrovamenti a più ampio raggio e con caratteristiche più peculiari, è quella di nominare in base ad un aspetto dei manufatti. E' il caso della cultura del vaso campaniforme, nella seconda metà del II millennio a. C. in Europa, e della cultura della ceramica cordata, nel Nord Europa e parte dell'Asia Occidentale, a partire dal millennio precedente. Quest'ultima, ad esempio, deve il proprio nome alle decorazioni impresse con una corda sulla ceramica ancora cruda, e questo, letteralmente, vuol dire jōmon.
Fu uno zoologo americano, Edward Sylvester Morse, a dare l'impulso principale al riconoscimento di tale ceramica nella comunità scientifica, all'inizio del XX secolo.
La storia del Giappone è senza dubbio caratterizzata da una forte linearità, se paragonata a quella Europea.
Per quanto molti storici e archeologi possano avere pareri differenti, in linea di massima i passaggi da epoche a epoche sono chiari. Per questo, tutta la cultura neolitica fino all'inizio della coltivazione del riso, circa nel IV secolo a.C., si definisce Jōmon. Cambia nei millenni, cambia a seconda delle zone di fabbricazione, ma di fondo è chiaramente un unico grande popolo.
Tuttavia, data l'ampiezza del periodo in questione, non sono mancate migrazioni e grandi cambiamenti nella composizione etnica. Se ci sono dubbi sul luogo d'origine dei primi individui sull'arcipelago Giapponese, più accettato è il fatto che durante il periodo Jōmon arrivarono genti dall'Asia continentale e meridionale e dalle zone polinesiane. Alcuni ritengono che eredi diretti di questi popoli siano gli Ainu in Hōkkaido, meno coinvolti nei successivi rimescolamenti migratori delle isole più a sud, ma la tesi è ancora dibattuta.
Una cosa è certa: in Giappone sono stati ritrovati i più antichi manufatti di ceramica del mondo, risalenti a ca 12000 anni fa. Lo Jōmon dei primi insediamenti.
Quindi, di conseguenza, il Giappone una delle prime zone del mondo a vedere il passaggio dalla vita nomade a quella sedentaria. La ceramica è un materiale inadatto ad una vita completamente nomade, per via della sua fragilità. La sua presenza in mucchi di conchiglie e in siti in cui è stata comprovata un'antica coltivazione di cereali, come quella scoperta ad Asabane nella prefettura di Okayama. Si può tracciare, con alterne fortune climatiche, una lunga evoluzione dei popoli del periodo Jōmon. Gli storici dividono questo millennio in diversi momenti, a loro volta ulteriormente suddivisi.
I primi insediamenti rivelano uno sfruttamento dei prodotti ittici da parte della popolazione costiera e di caccia e raccolta quelli dell'entroterra.
Successivamente, l'innalzarsi e l'abbassarsi del livello del mare ha disegnato la geografia e la cultura artigiana del popolo Jōmon, raffinando il tessuto sociale che si costruiva nei villaggi. Già nei primi millenni siti semi stabili avevano fatto la loro comparsa, come ad esempio nello Honshū, e poi in seguito nel Tōhoku. Nel medio e tardo Jōmon erano presenti molti centri abitati siti in fosse allungate e circolari, sembrerebbe con pavimentazioni lastricate. La cultura spingeva sempre verso una maggiore stabilità, la ceramica si impreziosiva di decorazioni.
La ceramica è la più fedele narratrice di questa storia, lo Jōmon medio è il rinascimento neolitico giapponese.
Fidandoci delle diverse complessità e qualità di lavorazione, le fasi del pariodo Jōmon ci appaiono chiare ed affascinanti, così anche come le fasi migratorie dal continente. Se le prime produzioni mostravano pochi segni grezzi e fatture elementari, nel corso soprattutto dello Jōmon medio si raggiunse il picco della lavorazione. Dalle giare al fondo piatto dello Jōmon incipiente (10000 – 8000 a.C.), alle diverse forme del primo periodo, con già cenni di stili locali. Si arriva infine al Jōmon medio, con produzioni dall'eleganza quasi barocca in cui compaiono forme zoomorfe e naturalistiche. L'influenza di nuovi culti e di scambi tra le diverse zone appare evidente soprattutto in questo periodo. Oltre all'uso pratico di vasellame e altri oggetti, una produzione di uso meno specializzato fa la sua comparsa.
Statuette note con il nome di dogū sono frequenti in diversi ritrovamenti, e spingono gli storici verso diverse ipotesi circa il loro utilizzo.
Prima dell'arrivo delle nuove influenze dal continente che confluirono poi nei culti Shintō, i reperti mostrano la devozione verso una Madre Fertile. Molti dei primi esempi di queste statuette, alte circa 25 – 30 cm, conservano le generose forme tipiche delle dee neolitiche. Subiscono inoltre un forte lavoro di stilizzazione e astrazione, con segni lungo il corpo che fanno pensare ad amuleti o recipienti per allontanare le malattie. Sempre queste decorazioni spingono a pensare a tatuaggi o scarificazioni. La complessità del loro ruolo all'interno della cultura Jōmon, è dettato anche dalla diversificazione regionale e temporale, che tuttavia li vide presenti fin all'ultima fase di questo periodo, che vide un lento declinare della lavorazione della ceramica cordata.
Si giunge infine, dopo un raffreddamento climatico e un calo demografico, ad un impoverimento artistico della ceramica Jōmon e ad un declino di questa cultura. Il passaggio a quella conosciuta come Yayoi, fu graduale ma definitiva, con l'importazione della risicoltura dalla penisola coreana.
Siamo arrivati al V secolo a.C. , e ormai in gran parte del Giappone si passa dalla vita semi sedentaria ad una composta di campi coltivati e villaggi dalla struttura sempre più definita.
Il Giappone sta uscendo dal Neolitico definitivamente.
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Kimono Experience con Giappone in Italia e Milano Kimono
Kimono Experience con Giappone in Italia e Milano Kimono.
Kimono Experience si inserisce all'interno dei progetti voluti da Giappone in Italia per promuovere la cultura giapponese in Italia. Il kimono è indubbiamente uno dei simboli più riconoscibili dell'immagine internazionale che si ha del Sol Levante. Ma è proprio su questa parola “internazionale” che Giappone in Italia punta il focus.
La mostra allestita dal 15 al 30 giugno, oltre ai kimono esposti, lo spazio sarà allestito con la speciale serie di fotografia di Alberto Moro, Presidente di Giappone in Italia e autore del libro "il Mio Giappone". Esposti tutti i ritratti di chi senza essere giapponese, ha provato ad indossarlo per una passeggiata in città e l'ha fatto proprio.
Kimono Experience dà infatti a chiunque la possibilità di provare, letteralmente sulla propria pelle, un tocco di Sol Levante.
Non ci si vuole fermare alla pura esperienza folkloristica del kimono come espressione di tradizione e alterità. Al contrario. L'obiettivo di Giappone in Italia in collaborazione con Milano Kimono, è quello di superare il rigore di un kimono indossato solo in Giappone e solo da giapponesi. La bellezza della moltitudine di volti e colori, di sguardi ed espressioni che ognuno, avvolto da un kimono, può sentire, mostrano come questo indumento trasporti ogni singolo individuo in un' esperienza unica. Chi ha ricordi, chi desideri, chi curiosità... ognuno di noi lega il kimono a qualcosa di proprio, e si lascia trasportare in Giappone da uno spirito diverso.
TENOHA Milano è il luogo perfetto dunque per iniziare questo percorso, regalando ai visitatori un angolo di vero Giappone a Milano.
Non solo dunque i volti e i colori dei soggetti ritratti, ma quelli degli stessi visitatori! E' possibile infatti prenotarsi per la propria Kimono Experience.
Tra le vibrazioni di un'estate giapponese da TENOHA Milano, avvolti in un fresco yukata, come in un matsuri di Kyoto o Tokyo, in una città che vuole sempre con più energia ridisegnare i confini e le distanze. Anche grazie all'abile lavoro della Maestra Yurie Sugiyama, avrete la possibilità di provare il vero Giappone qui a Milano.
Alla vestizione seguirà lo shooting fotografico a cura di Alberto Moro, Presidente di Giappone in Italia e autore del libro "il Mio Giappone", sempre nella bellissima location di TENOHA Milano.
La mostra è visitabile dal 15 al 30 giugno, dalle 10 alle 20, allo spazio Pop-up di TENOHA Milano, in Via Vigevano 18.
I giorni di vestizione sono dal 17 al 20 e dal 24 al 27 giugno, dalle 10.30 alle 13 e dalle 15 alle 18.00. La vestizione sarà gratuita: nel form da compilare verrà richiesta una caparra di prenotazione che sarà restituita all'evento.
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“JAPANORAMA. Ukiyo-e Today”, la mostra a ESH Gallery tra contemporaneità e tradizione
Il 20 aprile 2021 ESH Gallery ha inaugurato “JAPANORAMA. Ukiyo-e Today”, prima mostra collettiva dedicata alla stampa giapponese. La collezione rimarrà visitabile con prenotazione fino al 25 giugno, dal lunedì al venerdì 11-18.30.
La galleria, collocata nella zona di Milano Porta Genova, è uno spazio espositivo che dedica la sua attenzione ad artisti italiani e internazionali, con particolare cura per l’Oriente e la sua estetica. La proposta di ESH Gallery, ben rappresentata da “JAPANORAMA”, è quella di un dialogo tra tradizione e contemporaneità, nella scoperta di nuove forme espressive ed estetiche.
ESH Gallery e Ukiyo-e Project
“JAPANORAMA” unisce materie prime e tecnica tradizionale a visioni della contemporaneità. Le opere, infatti, sono realizzate nel genere Ukiyo-e: stampa artistica impressa su carta con matrici di legno, presente in Giappone a partire dal periodo Edo. Le immagini, però, non sono quelle di città, cortigiane, attori o paesaggi, ma rappresentano alcuni personaggi della scena musicale del XX secolo.
A partire dal XVII secolo le stampe Ukiyo-e rappresentano un tipo di forma artistica seriale ed economica, con temi riguardanti la quotidianità. Spaccati di vita dall’epoca Edo in poi, con alcuni temi tipici come la città, le cortigiane, attori, lottatori di sumo e samurai. Nel tempo l’evoluzione di questa forma d’arte inizia a includere anche scene di paesaggio.
Il progetto è in collaborazione con Ukiyo-e Project, azienda fondata da Yuka Mitsui. Dal 2014 vengono realizzate stampe di icone musicali moderne per cui il Giappone e la sua cultura sono stati fonte di ispirazione. L’intento è quello di preservare le tecniche di produzione antiche, con uno sguardo rivolto al presente. Come viene illustrato sul sito dell’azienda: «Le parole "ukiyo" ed "e" significano rispettivamente "ora" e "immagine" - così il termine ukiyo-e significa letteralmente "immagine che rappresenta il presente"». Così, come le stampe del periodo Edo erano uno spaccato di alcune realtà del tempo, Ukiyo-e Project si propone di soffermarsi su figure iconiche e paesaggi del presente.
La produzione delle stampe coinvolge differenti figure di artigiani: illustratore, intagliatore e stampatore. Ogni artigiano è specializzato in una specifica fase creativa. Viene utilizzata la carta giapponese washi, in una qualità particolare chiamata Echizen Kizuki Housho, prodotta nella prefettura di Fukui. Questa carta è forte e flessibile, particolarmente adatta a resistere a più passaggi di stampa. Viene usata per questo tipo di produzioni da più di trecento anni.
ESH Gallery, con "JAPANORAMA. Ukiyo-e Today", presenta tre serie di xilografie dedicate a David Bowie, i Kiss e gli Iron Maiden. Ciascuna stampa è prodotta a mano in serie limitata. L’esposizione ospita anche una serie dedicata a vedute contemporanee del quartiere Tsukuda di Tokyo: con questa visione sarà possibile comprendere il processo produttivo delle stampe.
Il mistico David Bowie
L’immagine di David Bowie e dei suoi diversi alter ego porta naturalmente con sé riferimenti all’Oriente, in particolare al Giappone. Nota la sua collaborazione con lo stilista Kansai Yamamoto, si pensa anche che il personaggio di Ziggy Stardust conservi elementi dell’estetica del teatro kabuki giapponese.
Davide Bowie viene ritratto come Takezawa Toji II, mago e illusionista del periodo Edo. La figura mistica e carismatica che Bowie incarnava porta a pensare che questo sia un accostamento particolarmente centrato. La stampa, in cui il cane è rappresentato come una volpe a nove code, è ispirata alle foto di Terry O’Neill di Diamond Dogs.
Il cantante è rappresentato anche come un’altra figura mistica del racconto popolare giapponese: lo stregone e incantatore di serpenti Kidomaru. La stampa questa volta è ispirata alla copertina dell’album Aladdin Sane, iconica immagine del viso di Bowie con un fulmine dipinto sul volto.
I Kiss e il kabuki
Quattro e diverse le stampe che ritraggono la band. In due di queste, i Kiss vengono ritratti come samurai e poi yokai, mostri giapponesi. Evocativa quella in cui il musicista Paul Stanley è intento a truccarsi allo specchio, motivo questo ispirato a Token Gonbei, Kuniyoshi Moyo Shofuda Tsuketari Genkin Otoko di Utagawa Kuniyoshi. Interessante notare come la poesia sullo sfondo sia la traduzione giapponese di “I wanna rock and roll all night and party everyday. You keep shoutin, you keep on shoutin”, testo di Rock and Roll All Nite (1975). Il trucco e il kimono indossati sono molto simili a quelli di un attore di kabuki.
Nell’ultima stampa viene ritratta una battaglia musicale tra i Kiss e il gruppo giapponese Momoiro Clover Z. L'illustrazione è ispirata alla copertina della loro collaborazione.
A ESH Gallery è presente una stampa con le firme degli stessi membri del gruppo dei Kiss, parte di una tiratura limitata di 100 copie.
Iron Maiden, Eddie infuria in Giappone
Il protagonista di entrambe le stampe è Eddie, la mascotte degli Iron Maiden. Come per la stampa dei Kiss, ritorna il tema dello specchio, molto popolare negli Ukiyo-e della tradizione. L’illustrazione fa riferimento alla storia di un uomo che, recatosi a Yoshiwara per incontrare una bellissima cortigiana, scopre – guardandola allo specchio – che il suo viso è solo una maschera. In un'ulteriore stampa, Eddie è ritratto come un samurai sanguinario, rende omaggio alla copertina dell’album Killers. Sono presenti simboli che ricordano la band.
Tokyo – Tsukuda ni Nokoru no Omokage (Vestigia di Edo a Tsukuda)
Questa serie, tra le opere presenti nello spazio espositivo, è di particolare interesse per apprezzare ancor meglio le tecniche di stampa degli artigiani.
Tsukuda è un fiume che nell’attuale Tokyo non esiste più. È stato da tempo bonificato, ma nella moderna metropoli il suo affluente continua a scorrere tra le strade e sotto a un ponte rosso vermiglio. La tradizione insita nella realizzazione di una stampa Ukiyo-e può riportarci al tempo in cui a Edo potevamo veder scorrere Tsukuda.
Il tempo scorre all’indietro, i grattacieli spariscono. Il nostro viaggio attraverso i secoli è facilitato dai colori del paesaggio in diverse stagioni, e della versione con solo il tratto nero, dove i grandi edifici sono assenti. A ESH Gallery è inoltre presente un album esplicativo delle tecniche artigianali di produzione: l’illustrazione viene colorata in fasi diverse di stampa, in ogni sua parte. Inoltre, l’attenzione è posta su una tecnica particolare degli artisti shin-hanga (dal XX secolo): l’obiettivo quello di ottenere colorazioni diverse con un unico set di tavole in legno. Così, con questo unico set iniziale, è possibile rappresentare lo scorrere del tempo, delle stagioni, il cambiamento.
“JAPANORAMA. Ukiyo-e Today” vi aspetta a ESH Gallery, tra tecniche artigianali tradizionali e visioni di contemporaneità, alla scoperta di un particolare tipo di produzione ed estetica del Giappone.
Fonti e link utili:
https://www.eshgallery.com/it/exhibitions/japanorama/
Foto credits: ©Ukiyo-e Project e ©ESH Gallery
Susanna Legnani
TRASPARENZA: Sou Fujimoto e House NA
Il quinto articolo della serie “La percezione dello spazio nella visione degli artisti giapponesi contemporanei” prende in considerazione uno spazio abitativo: House NA della Sou Fujimoto Architects.
House NA è una residenza costruita nel 2011 a Tokyo, nel quartiere di Koenji. La struttura complessa, in una relazione particolare tra piani e altezze, spazi visibili e nascosti, è stata realizzata per una giovane coppia del posto.
La casa non è decisamente ciò che ci si aspetterebbe di trovare in un quartiere residenziale, sebbene Koenji sia una zona in cui sperimentare un ambiente alternativo in Giappone. La struttura è composta da 21 piani sfalsati di differenti altezze, non sono presenti veri e propri muri all’interno e le stanze sono tutte collegate. Un unico spazio, dunque, ma anche molteplici spazi: in questa residenza è possibile sentirsi nello stesso momento vicini e lontani. I piani sono in relazione attraverso scale e l’uso del vetro.
Sou Fujimoto paragona la vita in questo edificio a quella su un albero: ci si può arrampicare sulla cima o rimanere sui rami più bassi, ma tutti gli spazi sono collegati al tronco, al terreno. Il colore prevalente è rigorosamente chiaro, bianco. La struttura interna è in acciaio, e il tutto è corredato da dettagli in legno di betulla. La trasparenza del vetro, oltre a garantire una buona luminosità all’interno della casa, restituisce la sensazione di continuità tra le stanze e con l’esterno.
La struttura di House NA si sviluppa in verticale, con un soffitto che arriva all’altezza di 5/6 metri. L’idea di Sou Fujimoto fu quella di creare uno spazio con cui fosse possibile dialogare. In un’intervista di Noriko Takiguchi egli afferma: «The resident is free to choose how to combine the steps, which makes the space more interactive. A house that allows you to rearrange its meaning in any way that you like is kind of contemporary» (Il residente è libero di scegliere come combinare i passi, il che rende lo spazio più interattivo. Una casa che permette di riorganizzare il suo significato in qualsiasi modo piaccia è un po' contemporanea).
Lo spazio è interattivo, non fortemente caratterizzato. In questo senso, ogni piano risulta inizialmente vuoto, attende che gli venga conferita una funzione, un significato, che può ogni volta cambiare. Questo potrebbe ricordare una caratteristica della casa tradizionale giapponese: l’utilizzo di alcuni spazi a seconda dell’occasione o del momento della giornata. House NA è la nuova casa giapponese, in cui le divisioni tra stanze sono sfumate e i luoghi vengono adattati alla necessità di chi vi abita. È il gioco di reinventare la propria casa in sempre nuovi e diversi modi.
Un concetto ampio di trasparenza
Il vetro utilizzato per House NA risulta elemento predominante. Potrebbe quasi sembrare che in questa struttura la privacy venga meno, ciò giunto al fatto che l’edificio sia sprovvisto di veri e propri muri interni. In realtà, nonostante ciò, la ramificazione dei piani permette un gioco di visione e nascondimento. Tuttavia, questa trasparenza è ciò che rende la struttura leggera, insieme alla verticalità e al telaio sottile in acciaio. Questo non significa che sia possibile vederci attraverso o cogliere tutto ciò che accade all’interno. Piuttosto, significa veicolare un senso di leggerezza e dialogo, sia tra le stanze della casa che verso l’esterno. Sebbene la casa sia una struttura del tutto particolare, è collocata nell’eccentrico quartiere di Koenji ed esprime tutta la vitalità di questa zona.
Sou Fujimoto afferma «It seems to me that an architect's job is based entirely on attentive looking and listening» (mi sembra che il lavoro di un architetto si basi interamente sul guardare e ascoltare attentamente). Guardare e ascoltare le necessità del cliente, ma anche il luogo e la temperie in cui l’edificio verrà inserito. Trasparenza, dunque, anche per le circostanze, per quello che si vede e si ascolta in quel luogo e per quelle persone.
«My personal orientation and my sense of values regarding architecture is inspired by the circumstances, and the climatic and natural features of the project. Even though the value my architecture creates is minimal, I want to establish a sense of diversity rooted in understanding and possibility» (Il mio orientamento personale e il mio senso dei valori riguardanti l'architettura sono ispirati dalle circostanze e dalle caratteristiche climatiche e naturali del progetto. Anche se il valore che la mia architettura crea è minimo, voglio stabilire un senso di diversità radicato nella comprensione e nella possibilità).
Gli spazi vuoti non caratterizzati e le strutture sottili sono altri elementi che alimentano questo senso di trasparenza. Lo spazio acquisisce il significato che gli si vuole conferire, di volta in volta, mentre i muri all’interno vengono meno in favore della continuità.
L’edificio sembra voglia protrarsi verso l’esterno e verso l’alto, ma allo stesso tempo possiede angoli nascosti agli sguardi dei passanti. È interessante quest’illusione per cui tutto appare esposto: l’uso delle trasparenze è proprio ciò che è utilizzato per celare. L’ambiguità degli spazi interni ne è ulteriore testimonianza. Una trasparenza apparente, che nasconde. Come in una casa tradizionale giapponese: gli spazi vuoti e connessi restituiscono la sensazione che tutto sia sotto ai nostri occhi, ma la realtà è ben diversa.
Susanna Legnani