Kanjuro Kiritake III e il Teatro Bunraku
di Cristina Solano
L'amore di Tokubei il mercante e Ohatsu la cortigiana è più forte di ogni altra cosa, niente e nessuno potrà mai dividerli. Ormai i due giovani hanno preso una decisione, infine la morte e l'unica soluzione al loro amore.
Avvolti dalla fusciacca di Tokubei, il giovane amante pugnala la sua amata, e poi, allo stesso modo la segue nella morte, uniti nello stesso destino. Legati in un abbraccio si lasciano andare l'uno sull'altra e così, uno dei drammi più popolari del teatro Bunraku, il Sonezaki Shinju (Doppio Suicidio d'Amore a Sonezaki), si conclude.
Il Bunraku è uno dei teatri tradizionali più importanti della cultura giapponese, e il suo fascino sta proprio negli attori che calcano la scena. Sì perchè gli attori non sono altro che burattini, ciascuno dei quali manipolato da ben tre burattinai, ognuno con un ruolo ben preciso. Il tutto reso ancora più accattivante dal suono dello shamisen, che crea il sottofondo, e dalla voce del tayu (narratore), che permette ai burattini di parlare.
E' grazie alla cooperazione di tutti questi elementi che i burattini si muovono con una tale naturalezza, quasi avessero vita propria, ed esprimono emozioni, quasi fossero umani.
L'omuzukai, il burattinaio principale, si occupa del movimento della testa, della faccia e della mano destra, inoltre ha anche ruolo di guida per i suoi compagni. L' hidarizukai manipola il braccio sinistro, mentre il terzo, l' ashizukai, si occupa di gestire le gambe del burattino. Ed è proprio il ruolo dell'ashizukai a essere fondamentale per la comprensione del Bunrako, perchè il Bunraku, in fondo, è uno stile di vita.
Lo sa bene Kanjuro Kiritake III, uno dei maestri di Bunraku più importanti del Giappone, che fin da quando ha iniziato a studiare come burattinaio ha dato anima e corpo al Bunraku.
Il maestro nasce a Osaka nel 1953, suo padre, Kanjuro Kiritake II, era un omuzukai così il giovane
Kanjuro frequentava spesso il teatro e ciò che lo attraeva di più erano proprio i burattini. Il loro aspetto ben curato, i vestiti e il meccanismo che permetteva loro di muoversi e di cambiare le espressioni lo affascinavano moltissimo. Ma la sua vera vocazione venne fuori un giorno, che suo padre lo portò con sè, sul palco a muovere uno di quei pupazzi tanto affascinanti. Così suo padre decise di mandarlo a studiare sotto la guida del grande maestro Minosuke Yoshida III.
Come apprendista, Kanjuro, iniziò la sua lunga gavetta diventando ashizukai, un ruolo che richiede dieci anni di preparazione per imparare a gestirlo, ed è proprio in quegli anni che capisce cosa significa essere un burattinaio.
Il burattinaio non deve solo saper far muovere il burattino, ma deve saper trasmettere le emozioni, i sentimenti al pupazzo per renderlo vivo. Deve essere in grado di capire qualsiasi ruolo, dal vecchio burbero alla giovane ragazza innamorata, esserne totalmente immerso e consapevole in modo da dare al burattino un'identità. Così il burattinaio apparirà invisibile al pubblico e tutta l'attenzione sarà solo per i veri protagonisti del Bunraku: i Burattini.
Kanjuro spiega proprio che i primi dieci anni come ashizukai servono a capire questi concetti che non sono così immediati. L'ashizukai è un ruolo complicato, perché è difficile e scomodo, e fare quello giorno dopo giorno molto spesso demoralizza. Lui stesso ci è passato e ne ha sofferto ma gradualmente ne ha compreso l'importanza.
In quegli anni è stato fondamentale il rapporto con il suo maestro, il quale, quando Kanjuro sbagliava, gli mostrava solo il suo fastidio senza dirgli niente, cosa che destabilizzava molto il giovane. Con il tempo Kanjuro capisce che il maestro Minosuke era solito dargli dei consigli indirettamente, quando durante i festeggiamenti post performance il maestro gli raccontava delle storie così a indurlo a riflettere sui suoi errori.
E' grazie al costante impegno e dedizione che Kanjuro Kiritake III è diventato uno dei migliori omuzukai, senza mai perdere il suo amore e la sua passione per il teatro Bunraku, bene intangibile del Giappone e designato dall'Unesco come Patrimonio Immateriale dell'Umanità.
Mostra: "Giappone - Kyoto: i giovani e l'artigianato"
Dal 22 al 28 di marzo, la Triennale di Milano presenta, alla Villa Reale di Monza, una splendida mostra dedicata al raffinato artigianato giapponese.
In esposizione 30 oggetti, di manifattura superiore, che mostrano alcune delle migliori tecniche di lavorazione tradizionali giapponesi: lavorazione urushi (lacca giapponese), ceramica, legno, metallo, lavorazione del Buddha e carta.
I manufatti sono il frutto della passione e della dedizione dei giovani allievi del TASK, il Traditional Arts Super College of Kyoto, la più importante scuola di artigianato in Giappone. I giovani studenti, sotto l’attenta guida dei maestri artigiani giapponesi, si impegnano per diventare creatori esperti e promotori dell'ampliamento del settore artigianale.
La mostra nasce nell'ambito di un accordo tra TASK e APA Confartigianato, finalizzato all'interscambio socio-culturale e alla preservazione e promozione dell'artigianato di alta qualità. Il risultato è la produzione di oggetti d'eccellenza, riproposti in chiave innovativa, e una mostra dedicata alla salvaguardia delle tradizione millenarie, dei saperi e delle botteghe che vanno protetti dai processi di globalizzazione.
Tutte le foto sono di Alberto Moro
Teatro Kamishibai
di Cristina Solano
Quando nei villaggi si sentiva risuonare il suono di due bacchette di legno che battevano l'una contro l'altra, immediatamente si creava una folla di bambini raccolti intorno alla figura di un uomo che trasportava sul retro della sua bicicletta un piccolo teatrino. Per i bambini, quello rappresentava un momento di festa perché era finalmente arrivato il Gaito Kamishibaiya, che con le sue hyoshigi annunciava l'inizio di una nuova e fantastica storia.
È tra gli anni venti e cinquanta del '900, tuttavia, che il teatro Kamishibai vede il suo massimo successo e definisce la sua forma tradizionale. L'avvento del cinema sonoro, infatti, determina la scomparsa del narratore Benshi, cioè la figura che dava la voce al cinema muto. Così molti di questi vedevano nel Kamishibai la possibilità di guadagnare piccole somme di denaro.
Il Gaito kamishibaiya si spostava di villaggio in villaggio, trasportando sulla sua bicicletta una struttura a forma di piccolo teatro, nel quale veniva esposto un set di tavolette di legno illustrate. Quando il pubblico era formato, il Gaito kamishibaiya cominciava a raccontare le storie, stimolando la fantasia dei bambini con l'aiuto delle tavolette illustrate messe in sequenza narrativa.
Il declino del teatro Kamishibai ha inizio con l'arrivo in Giappone della televisione, durante gli anni cinquanta. Anche se il Gaito kamishibaiya e il suo teatro sono ormai scomparsi da molto tempo, dalla quotidianità, il loro ricordo e la loro tradizione continuano a restare vivi, tutelati e tramandati.
ANA lancia il Museo Virtuale di Arte Giapponese
La compagnia aerea giapponese ANA (All Nippon Airways) ha lanciato da qualche tempo la piattaforma online "Is Japan Cool?" (ICJ), con l'obiettivo di promuovere il Paese del Sol Levante e offrire ai visitatori la possibilità di approfondire alcuni aspetti della vita e della cultura del Giappone, ancora prima di mettere piede sull'aereo.
Tale piattaforma si arricchisce oggi di una nuova sezione, l'ICJ Museum, una galleria d'arte virtuale che consentirà al visitatore di scoprire il mondo dell'arte contemporanea nipponica, attraverso la raccolta di alcune delle migliori opere di sette dei principali artisti giapponesi contemporanei: Yayoi Kusama, Tenmyouya Hisashi, Nerhol, Tabaimo, Taku Obata, Kohei Nawa e Manabu Ikeda. Le opere esposte includono lavori in tre dimensioni esposti per la prima volta e altre installazioni viste raramente, difficili da ricreare altrove, e ammirabili da una prospettiva completamente nuova e impossibile da avere in un ambiente più tradizionale.
Un'esperienza museale innovativa: sul sito, ogni dettaglio è reso con un altissimo livello di realismo e, grazie alle tecnologie della realtà virtuale, è possibile inoltre visualizzare le installazioni a 360 gradi e camminare tra le opere d’arte. La maggior parte delle opere è ricreata tramite tecnologie di scansione tridimensionale che creano repliche virtuali quasi identiche alle controparti reali.
L'IJC Museum è stato realizzato da ANA in risposta a uno studio condotto dall'Ente pubblico del turismo giapponese sulle tendenze di spesa dei turisti internazionali nell'ultimo anno, al fine di incrementare le visite alle destinazioni artistiche, e il suo progetto è in linea con il concetto di "museum in the cloud", un'idea che coniuga la tecnologia della realtà virtuale con l’esperienza reale di visualizzare le opere all'interno di una galleria.
Qui di seguito, vi proponiamo inoltre una serie di brevi video, sempre realizzati da ANA per la campagna "Is Japan Cool?", dedicati ad alcuni delle località e delle attività per cui il Giappone è famoso al mondo. Buona visione!
Patrimonio Mondiale UNESCO: I documentari di NHK dedicati al Giappone
Dal 2003, una collaborazione tra l'emittente giapponese NHK (Nippon Hōsō Kyōkai) e il Centro per il Patrimonio Mondiale UNESCO ha prodotto una serie di brevi documentari televisivi dedicati ai siti riconosciuti Patrimonio mondiale dell'UNESCO sparsi in tutto il mondo.
Noi abbiamo raccolto in una playlist (qui di seguito) i video dedicati ai siti giapponesi, per offrirvi un tour virtuale tra alcuni dei luoghi più affascinanti del Giappone, carichi di storia e di cultura. Buona visione!
Cent’anni di bellezza in Giappone – 100 Years of Beauty: Japan
Nelle scorse settimane, il sito americano Cut.com ha pubblicato una serie d’interessanti video in cui vengono ripercorsi, in circa un minuto, cento anni di canoni di bellezza femminile di diversi Paesi del mondo, ricreandone i vari look. Tra questi Paesi, ovviamente, non poteva mancare il Giappone, nella cui cultura sono da sempre intrinseche le qualità estetiche di bellezza, raffinatezza ed eleganza.
Il video "100 Years of Beauty: Japan", che vi proponiamo qui sotto, ripercorre quindi cento anni di beauty trend nel Paese del Sol Levante. Dalle pettinature Pompadour e i kimono degli inizi del '900, alle vaporose permanenti degli anni 1980, fino ai più contemporanei e appariscenti stili Harajuku e kawaii, è affascinante vedere come si sono trasformati, nel corso dell’ultimo secolo, i canoni di bellezza femminile in Giappone.
Qui trovate anche un video "dietro le quinte", per scoprire di più sulla storia giapponese e sugli eventi che hanno ispirato questi look.
Igort e le mille sfumature dei “Quaderni giapponesi”
Vi segnaliamo il video riportato da Repubblica sul fumettista Igort (Igor Tuveri) e il suo rapporto con il mondo giapponese, in presentazione della sua graphic novel Quaderni giapponesi. Di seguito, la descrizione che accompagna il video:
Nei "Quaderni giapponesi" (Coconino Press) le illustrazioni che legano Igort al Giappone. E' lui l'unico italiano ad aver collaborato con continuità con Kodansha, il principale editore di manga. L'opera è un viaggio non solo nel Sol Levante, ma anche nei mille stili di Igort: c'è il suo modo "italiano" di interpretare i manga, ma ci sono anche tante ispirazioni, tra cui l'arte del mondo fluttuante
Link al video di RepTv News: video.repubblica.it/rubriche/reptv-news/reptv-news-igort-le-mille-sfumature-dei-quaderni-giapponesi/214956/214139
Hinamatsuri
Akari o tsukemashou bonbori ni
Ohana o agemashou momo no hana
Gonin bayashi no fue taiko
Kyo wa tanoshii Hinamatsuri
Terzo giorno del terzo mese: oggi in Giappone si celebra Hinamatsuri, la festa delle bambine.
Letteralmente "festa delle bambole" e chiamata anche "festival dei fiori di pesco" secondo la stagione del calendario lunare, la tradizione ha origine anticamente in Cina, dove era usanza trasferire la sfortuna su alcuni fantocci per allontanarla da sè: per farlo, dopo aver soffiato su una bambola, la abbandonavano alle acque in un rito di purificazione che scacciasse il male dalla famiglia.
L'usanza è stata ufficialmente importata in Giappone durante il periodo Edo (1603-1868), anche se la tradizione del hinanagashi è precedente. Ancora oggi viene ripetuta in alcune zone del Giappone, con un occhio all'ecologia: le barche con le bambole vengono recuperate dal fiume per impedire che finiscano nelle reti dei pescatori, per poi essere bruciate e purificate in un tempio shintoista.
Più diffusamente, Hinamatsuri viene festeggiato in casa dalle famiglie con figlie femmine, esponendo le hina-Ningyo, bambole che rappresentano la corte imperiale del periodo Heian (794-1192). Ognuna di esse è vestita con i costumi dell'epoca; in particolare l'imperatrice porta il juuni-hitoe, il kimono dei dodici strati.
Nelle case più piccole è diffusa la versione composta unicamente dalla coppia imperiale, ma il set completo attualmente raccoglie 15 bambole, che vanno collocate secondo un ordine ben preciso sul hinadan, struttura "a gradini" coperta da un drappo rosso con bordo multicolore.
L'ordine di disposizione è gerarchico e parte con Imperatore e Imperatrice (piccolo strappo alla correttezza storica: al tempo l'Imperatore non aveva una sola consorte) sul primo gradino, per passare alle tre dame di corte, poi ai cinque musicisti. Sul quarto sono disposti due ministri, subito sotto tra samurai, per terminare con gli oggetti di corte sul sesto e settimo gradino.
Le figure sono in una posizione specifica e sono intervallate da elementi decorativi rituali; in particolare, gli hishimochi, dolci tipici dell'Hinamatsuri, vengono posizionati accanto ai ministri di corte.
Esistono set di bambole molto antichi, tramandati di generazione in generazione come parte della dote quando la figlia si sposa. Nel corso del tempo sono diventati oggetti da collezione, che possono raggiungere costi impressionanti.
Nel caso invece non siano presenti in famiglia, è compito dei nonni o dei genitori comprare un set per il primo Hinamatsuri della bambina.
Immancabili decorazioni della festa sono i fiori di pesco, che racchiudono le qualità attribuite tradizionalmente alla donna: gentilezza, compostezza e serenità. Proprio per questo sono tradizionalmente legati anche al matrimonio.
Una forte simbologia è legata anche agli hishimochi. Sono infatti composti da tre strati di colori diversi: rosa, per allontanare gli spiriti malvagi, bianco per la purezza e il verde per la salute. Alcuni invece vedono in questa disposizione una rappresentazione della primavera, dove il verde è l'erba sui cui si posa la neve bianca, da spuntano i fiori di pesco.
La tradizione culinaria non si limita agli hishimochi.
Per l'occasione si beve il shirozake, una bevanda non alcolica derivata dalla fermentazione del riso, accompagnata da prelibatezze come arare, osekihan e chirashi.
Le bambine si ritrovano per offrire piccoli cibi alle bambole ed assicurarsi così una buona fortuna.
L'intera collezione di bambole viene esposta a partire da metà Febbraio e riposta accuratamente subito dopo la festa. Infatti la superstizione insegna che ogni giorno di ritardo provocherà un ritardo nel matrimonio della figlia.
Storia del cinema giapponese: l'influenza americana
L’industria cinematografica giapponese è stata soggetta nel corso degli anni a notevoli trasformazioni, dovute principalmente al confronto con realtà esterne che sin dal principio hanno esercitato sul Paese del Sol Levante un grande fascino. L’interesse per le innovazioni straniere, tuttavia, ha da sempre dovuto scontrarsi con un atteggiamento ricorrente di fronte a qualsiasi tipo di novità: iniziale curiosità ed entusiasmo prima della piena assimilazione dell’idea e del conseguente adattamento ai propri modelli.
Tra le modernità importate, il cinema registrò da subito un’immediata popolarità. Il rapido processo di divulgazione della “settima arte” fu così attuato dalle prime case di produzione, che diedero un contributo essenziale alla nascita del sistema industriale cinematografico, nell’intento di ottenere una repentina espansione all’estero, attraverso l’importazione di nuovi macchinari provenienti dalla Francia.
Il successo riscosso dall’apertura del nuovo circuito di sale Fukuhodo di Tōkyō nel 1909 confermò i buoni propositi nel redditizio settore della produzione: la Fukuhodo fu tre anni dopo accorpata alle altre case in un grande trust plasmato sulla Motion Picture Patent Company americana, la Nikkatsu Corporation.
Dopo la costruzione di un nuovo studio nelle vicinanze di Asakusa, la prima major giapponese si specializzò nella realizzazione di drammi dello shinpa (la “nuova scuola”), arrivando già nel 1914 a produrre 14 film al mese e a possedere nel 1921 più della metà delle 600 sale cinematografiche dell’intero paese. Nel frattempo, con lo scoppio della prima guerra mondiale, gli Stati Uniti iniziarono a estendere il proprio dominio su Francia e Italia, i due paesi esportatori più importanti fino a quel momento.
L’egemonia del cinema americano nel primo dopoguerra e conseguentemente per l’intero decennio successivo fu testimoniata in particolar modo dalla nascita dello "studio system", un efficiente apparato industriale che prevedeva la fusione delle piccole compagnie in aziende maggiori a concentrazione verticale, capaci dunque di controllare produzione, distribuzione e proiezione delle pellicole, tramite l’acquisto o la costruzione delle sale.
Altre novità consistevano nella specializzazione dei ruoli attraverso l’introduzione di una nuova figura accanto a quella del regista, il producer, e nella nascita dello "star system": l’attore principale, spesso legato alla rispettiva casa da contratti a tempo indefinito, rappresentava dunque il mezzo fisico attraverso cui pubblicizzare i film, nonché il cardine di questo nuovo sistema produttivo che avrebbe funto poi da modello per lo sviluppo dell’industria cinematografica giapponese.
All’inizio degli anni Venti, il contributo più rilevante verso una nuova fase di radicale rinnovamento e prosperità provenne dall’intervento di Kido Shirō, direttore dei nuovi studi di Kamata della casa Shōchiku, che incrementò la produzione di opere gendaigeki: queste consistevano in drammi di ambientazione contemporanea, in forte contrapposizione con i film in costume denominati jidaigeki, ai quali era stato prevalentemente rivolto l’interesse del pubblico fino a quel momento.
In particolare, a favorire la proliferazione di opere jidaigeki fu l’imprescindibile influenza del teatro tradizionale sul cinema degli albori. Le prime produzioni cinematografiche, infatti, consistevano in rappresentazioni di geisha danzanti, attori famosi di kabuki e melodrammi popolari shinpa: questa forma teatrale ebbe origine in seguito alla restaurazione Meiji per l’impossibilità del kabuki di presentare commedie d’ambientazione contemporanea. Pur avendo esordito come teatro rivoluzionario e di propaganda della politica liberale e antifeudale, mantenne figure tradizionali come l’oyama (l’attore che interpretava i ruoli femminili, anche denominato onnagata).
La forte influenza del teatro si era manifestata inoltre nella necessità di trovare un personaggio che riuscisse a dare una spiegazione anticipatoria della rappresentazione, a fornire la voce ai vari personaggi, tradurre e commentare le scene in lingua straniera dei film importati e descrivere le tecniche cinematografiche utilizzate durante la proiezione. Questi compiti erano stati affidati al benshi, ruolo svolto principalmente da uomini che si sarebbe poi rivelato decisivo nello sviluppo del cinema giapponese.
Il potere incantatore dei benshi si sposava alla perfezione con le esigenze del pubblico e costituiva uno scoglio notevole per chi tentasse di scardinarlo o, addirittura, proporre nuove tecniche di ripresa; nonostante ciò, verso la fine degli anni Dieci era stato introdotto in Giappone il flashback, in seguito agli esperimenti tecnici di D. W. Griffith. Quest’ultimo aveva svolto un ruolo decisivo nell’applicazione all’interno del cinema americano del director system, che prevedeva la centralità nella figura del regista, e nell’elaborazione dell’innovativo montaggio alternato.
Il Paese, dunque, non era ancora preparato a un intero sconvolgimento del sistema tradizionale: il maggiore ostacolo al processo di “americanizzazione” era ancora rappresentato dalla presenza dei benshi, la cui popolarità aveva raggiunto il picco massimo tra la fine del primo conflitto mondiale e la metà degli anni Venti.
Lorenzo Leva
Lorenzo Leva nasce a Fermo nel 1990 ed è laureato in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia (Università di Bologna). Ha approfondito le sue conoscenze riguardanti l'economia, la cultura e la società giapponese durante un periodo di sei mesi presso la Université Paris Diderot-Paris VII di Parigi, con un Master in Asian Studies presso l'Università di Lund e un'esperienza di fieldwork presso la Waseda University a Tokyo.
Coltiva da anni una forte passione per il cinema orientale e giapponese in particolare, di cui ha analizzato l’evoluzione e le caratteristiche.
Contatti:
lorenzo.leva@gmail.com
I colori in Giappone, fra etica ed estetica
Il sistema cosmologico cinese che era stato adottato in Giappone durante il VII secolo, attribuiva a ciascuna direzione un colore particolare e una stagione particolare, secondo il complesso sistema geomantico che influenzò grandemente la vita quotidiana del popolo giapponese nei periodi Nara e Heian, attraverso la complicata impalcatura dei tabù direzionali, kataimi e un apparato di superstizioni di varia natura:
- alla primavera si attribuivano i colori blu e verde e la direzione era l’oriente,
- all’estate si attribuiva il colore rosso e la direzione era il meridione
- all’autunno si attribuiva il colore bianco e la direzione era l’occidente
- all’inverno si attribuiva il colore nero e la direzione era il settentrione
- il colore giallo contraddistingueva il centro.Leggere di più