Mishima contro gli studenti - Il dibattito | Prima parte
Yukio Mishima (1925-1970) è senza dubbio uno dei più famosi e apprezzati autori giapponesi contemporanei. Oltre che ai suoi romanzi, tuttavia, la sua fama è anche tristemente legata al suo suicidio - eseguito tramite seppuku dopo aver occupato con una squadriglia paramilitare il ministero della difesa.
Pur rimanendo sempre distante dalla vita politica del suo Paese, Mishima aveva delle idee chiare e forti - talvolta persino scomode - che si rifanno al nazionalismo giapponese. L'esaltazione dell'Imperatore, ritenuto l'emblema dello spirito giapponese, la condanna della Costituzione redatta dopo la seconda guerra mondiale e della subordinazione - a suo parere ingiusta - agli Stati Uniti sono elementi chiave della sua visione storico-politica. Mishima dedicò la sua intera vita alla ricerca del connubio perfetto tra arte, bellezza e azione nel segno di quello che per lui era diventato il valore supremo, ossia il Giappone stesso.
Quelli che riportiamo nella traduzione di Stefano Bresciani sono alcuni frammenti tradotti in italiano del dibattito tenuto da Mishima all'Università di Tokyo, nel maggio del 1969. Durante tutto il 1968 e parte del 1969, associazioni studentesche come lo Zenkyōtō (全共闘, letteralmente "comitato di tutte le università unite nella lotta") e sindacati studenteschi come lo Zengakuren (全学連, nato nel 1948), sull'onda dei movimenti europei ed americani, protestarono contro la presenza massiccia di militari americani sul suolo giapponese, dovuta alla guerra in Vietnam. Si trattava principalmente di gruppi che lottavano anche in nome di istanze care all'estrema sinistra, la matrice opposta a quella in cui oggi lo scrittore viene collocato, spesso a sproposito.
Il dibattito fu acceso (è riportato come molti studenti urlassero e controbattessero ferocemente alle affermazioni dello scrittore) e documentato, anche da alcune fotografie. Dell'intero dibattito - di cui riportiamo solo alcuni brevi passaggi - esiste un'edizione cartacea in giapponese curata dagli stessi studenti che vi parteciparono all'epoca (oggi molti di loro sono affermati accademici). In quest'articolo iniziamo a riportare due punti del lungo dibattito. Per leggere la seconda parte, clicca qui.
Il parere di Mishima sui suoi uditori, i membri dello Zenkyōtō
In ogni caso, in quel periodo (Mishima sta parlando di quanto successo attorno al 1952, N.d.r.), c'era qualcosa che ho pensato guardando le facce delle autorità governative. Il 28 aprile (il giorno di quell'anno in cui il Giappone riacquistò la piena sovranità dall'occupazione degli Usa, N.d.r.), al mattino, nei loro occhi non c'era nulla che desse l'apparenza di ansia o disagio. Questo mi portò ad ammirarli straordinariamente, ma se fossi stato un membro dello Zengakuren, come mi sarei sentito?
Questo mi fece pensare al romanzo di Mauriac, Therese Desqueyroux. In quest'opera, una donna di nome Teresa mette del veleno nella bevanda del marito. Perché sta avvelenando suo marito? Forse lei non lo amava? Non possiamo saperlo con chiarezza. Forse lo odiava? Nemmeno questo si può dire con certezza. Sebbene non siamo capaci di definire chiaramente il movente, il fatto è che lei l'ha avvelenato. Anche se Mauriac stava cercando di affermare delle verità psicologiche, alla fine, Teresa uccise il coniuge perché "aveva visto ansia, paura, disagio negli occhi del marito". Questa è certamente la mia interpretazione, ma al di là di ciò voi, che mi state ascoltando, volete vedere la paura negli occhi delle autorità e del potere, e di questo non c'è dubbio. Ad essere onesti, è qualcosa che anche io vorrei vedere. Vogliamo vedere le stesse cose da una prospettiva diversa. Perché non sopporto gli esseri umani che si sentono sicuri, e a questo punto non mi piace proprio come si sono messe le cose. [ride]
Mishima parla della centralità del tempo nella creazione artistica
Studente (S): Oserei dire che le persone che si sono opposte alla Destra hanno costituito uno spazio specifico di lotta per tale obiettivo. Si avvicinano timidamente alla Destra e ne arrivano a contatto. Si misurano a partire da loro stessi, e come nelle Metamorfosi di Kafka, avanzano come un bruco. Trasformano il dibattito in una danza. Tuttavia la tua (di Mishima, N.d.r.) danza non pare simile alla loro. Anche se in questo dibattito si fanno collegamenti dall'inizio alla fine, non tocchiamo mai totalmente le cose di cui discutiamo.
Mishima (M): Questo tuttavia è dovuto alla natura delle parole, non trovate? La caratteristica speciale di ciò che chiamiamo “parole” è che non vengono mai a contatto con le cose che descrivono; ci provano con tutta la loro forza, ma non toccano, né diventano mai tali cose.
S: Ma, se posso permettermi, quando un lavoro creativo viene scritto, non ha bisogno di riconoscersi nella volontà del suo creatore, sbaglio? Si potrebbe dire che il lavoro creativo si crea, autonomamente, il proprio spazio.
M: Io stesso continuo a ripetere che, tuttavia, quello spazio autonomo, da solo, non è soddisfacente. Se lo conquisti senza aggiungere il tempo all'insieme, non vale nulla.
S: Beh, le cose si stanno facendo serie.
M: Per niente! [ride. Applauso generale]
Traduzione di Stefano Bresciani
Stefano Bresciani, appassionato di cinema e cultura orientale, studia filosofia all'Università di Pavia.
Penne del Sol Levante - Radio Imagination di Seiko Ito
Buongiorno lettori, ben tornati alla rubrica Penne del Sol Levante. Oggi vi racconto un libro unico nel suo genere, una storia fantasiosa ma iperealistica al tempo stesso. Vi presento Radio Imagination di Seiko Ito, edito da Neri Pozza.
Il romanzo è scritto in prima persona da un uomo imprigionato sulla cima di una cryptomeria giapponese, un albero sempreverde della famiglia dei cipressi. Il protagonista, che si darà il nome di DJ Ark, inizia a raccontare aneddoti ed eventi della sua vita come un vero e proprio speaker radiofonico. Tanto che ribattezza la sua radio Imagination. Al lettore, ma anche allo stesso DJ, è fin da subito chiaro che c’è qualcosa che non va nella sua stramba situazione: intanto non ha idea di come possa essere finito su un albero, né d’altro canto il motivo che lo tiene legato proprio lì. Lui però parla e racconta senza sosta al vuoto cosmico che lo circonda, alle persone che forse lo ascoltano...e in effetti un giorno iniziano ad arrivare delle “telefonate” a questa radio evanescente e immaginifica.
Persone, voci, intervengono e raccontano la loro vita, cosa gli è successo, perché si sono ritrovate d’improvviso a sentire Radio Imagination. Il romanzo da monologo si trasforma in coro.
Il mistero verrà svelato più avanti, grazie a una curiosa telefonata che renderà chiaro a tutti ciò che è già intuibile e lampante nel corso della lettura del romanzo di Seiko Ito.
Questo libro si inserisce benissimo in quella categoria di genere giapponese che io individuo nel post tragedia del marzo 2011, quando si susseguirono il terremoto, lo tsunami e la catastrofe nucleare della centrale di Fukushima. Come si può ben immaginare è stato un periodo terribile per i giapponesi (e non solo) e più autori hanno cercato di parlarne, nei modi più svariati. In questo caso la volontà è quella di pacificare gli spiriti dei tanti morti subiti dal paese e d’altra parte anche quella di accompagnare i vivi verso un futuro che ancora può e deve esistere, nonostante il dolore. A suo modo, e per questo motivo, è un libro che merita attenzione.
Nella speranza di avervi incuriosito, vi lascio con la recensione completa su Penne d’Oriente. Buon fine settimana!
Penne del Sol Levante - Battle Royale di Koushun Takami
Bentornati alla rubrica letteraria del fine settimana! Oggi parliamo di un bestseller, un caso letterario più unico che raro. In Giappone pare che sia il libro più letto di sempre, vi presento Battle Royale di Koushun Takami.
La Repubblica della Grande Asia dell’Est ogni anno indice un Programma, organizzato dall’Esercito e dal Governo interno. Vengono estratte a sorte varie classi di terza media e gli studenti prescelti sono destinati a una fine orribile. Nel nostro caso i ragazzi, usciti per quella che sembrava una banale gita scolastica, si risvegliano in un’aula sconosciuta, su un’isola deserta; al collo portano tutti un collare-radio elettronico. Qui un uomo spiega loro che sono stati scelti per partecipare al Programma e fa chiarezza sulle pochissime regole che dovranno rispettare. In realtà ce ne sarà una soltanto, molto semplice: uccidersi l’un l’altro finché non ne rimarrà uno solo. Il fortunato è destinato a vincere un vitalizio in denaro e un foglio autografato dal Grande Dittatore.
Agli studenti viene consegnata una borsa con cibo, acqua e un’arma a caso, da quel momento sono obbligati a uscire dall’edifico e la battaglia ha inizio, senza esclusione di colpi.
Con una scrittura affilata, cruda, sintetica Takami è riuscito a stravolgere il modo di guardare al durissimo sistema scolastico giapponese, alle estenuanti sessioni di studio, agli esami massacranti, alle alte prestazioni richieste anche a livello sociale. In molti hanno voluto vedere nel libro una forte disapprovazione verso questo metodo d’insegnamento, è stata una delle interpretazioni maggior mente condivise sul significato intrinseco della storia.
L’opera di Takami, osannata o fortemente biasimata, ha diviso l’opinione pubblica in Giappone e si è trasformata in un fenomeno di culto. Lo stesso autore ne ha poi tratto un manga, disegnato da Masayuki Taguchi e sono state prodotte serie televisive e film.
Se le mie parole vi hanno incuriosito, ecco a voi la recensione completa di Battle Royale su Penne d’Oriente. Alla prossima settimana e buona lettura!
Penne del Sol Levante - Mille gru di Yasunari Kawabata
Bentornati nella rubrica Penne del Sol Levante! Oggi parliamo di un classico della letteratura giapponese, Mille gru di Yasunari Kawabata.
Questo romanzo breve è colmo di immagini oniriche e scorci estetici, qui l'autore fa di tutto per invitarci a godere della bellezza di ogni singolo dettaglio della narrazione. Un oggetto d'arredo, una stoffa, il panorama oltre una porta scorrevole, una tazza da tè. Ogni cosa racchiude un piccolo mondo di armonia, leggerezza, contemplazione. Come il fazzoletto dal motivo mille gru, indossato da una delle protagoniste, che non solo dà il titolo al romanzo, ma si erge anche a simbolo di giovinezza e speranza. E' questa la forza e la bravura di Kawabata, far sì che il lettore venga immerso in una miriade di stimoli sensoriali. Ne abbiamo ulteriore prova dall'uso che fa della cerimonia del tè, arte antichissima che in Giappone viene praticata ancora oggi.
Nella storia una delle protagoniste indiscusse è proprio questa cerimonia, luogo non solo della tradizione, ma anche spazio fisico rappresentato dal tempio Engakuji di Kamakura e infine ambiente in cui si dipana tutto il groviglio amoroso della trama.
Il giovane Kikuji vive cercando di crearsi uno spazio libero dall'opprimente figura del padre defunto, a cui tutte le donne che lo circondano erano legate in un modo o in un altro. E sono queste stesse figure femminili a invadere la quieta vita solitaria del ragazzo, tentando di trovargli una moglie.
Alle sue vicende sentimentali e disincantate si sovrappone la storia della sua famiglia, del padre e delle sue amanti, della figura fuggevole della madre.
Consiglio questo breve romanzo a chi ha voglia di conoscere, o riscoprire, un Giappone antico, nostalgico, puro. Le bellissime descrizioni, i colori e la grande capacità narrativa di Kawabata ci restituiscono una visione incantevole di questi personaggi e dei loro turbamenti.
Sperando che questa breve presentazione vi abbia incuriosito, vi rimando a Penne d'Oriente dove troverete la recensione completa e i dati tecnici del libro.
Buona lettura!
Penne del Sol Levante - Una storia crudele di Natsuo Kirino
Penne del Sol Levante - Natsuo Kirino
Oggi vi diamo il benvenuto in una nuova rubrica del sito, Penne del Sol Levante, dedicata alla letteratura giapponese e agli scrittori del Giappone.
Iniziamo con una storia dalle tinte forti, creata dalla maestra del thriller nipponico, l'autrice Natsuo Kirino. Ormai il suo nome è noto anche ai lettori italiani, sono infatti state tradotte molte delle sue opere e a breve uscirà il suo ultimo lavoro, dal titolo In. La scrittrice, il cui vero nome è Mariko Hashioka, è nata a Kanazawa nel 1951 e ha al suo attivo diversi premi letterari conquistati grazie ai suoi romanzi.
Il libro di cui voglio parlarvi oggi si chiama Una storia crudele ed è l'autobiografia di una scrittrice, Ubukata Keiko, che da piccola era stata rapita da un uomo e tenuta prigioniera nella sua casa per un anno. Una sera, desiderosa di raggiungere il padre in un quartiere notturno, la bimba viene avvicinata da uno sconosciuto che tiene in braccio un gatto; una volta soli in un vicolo, l'uomo la stordisce e se la porta via.
In un fluire infinito di ricordi e considerazioni veniamo a conoscenza della vita di Keiko, divisa tra una madre indifferente e un padre molto amato; incontriamo Abekawa Kenji, il rapitore, un ragazzo di venticinque anni che vive in un mondo tutto suo e che farà di Keiko una sorta di animaletto da compagnia, per soddisfare il suo bisogno di affetto e comprensione.
Quando la scrittrice all'improvviso scompare il marito ritrova il suo ultimo manoscritto, dove lei si libera di tutti i ricordi relativi a quell'episodio, da sempre rimasto segreto. L'analisi introspettiva della donna ci permetterà di comprendere le incoerenti ma efficaci modalità che usa l'essere umano per preservarsi e sopravvivere in situazioni di estremo pericolo e paura.
La scrittura della Kirino è essenziale, descrizioni ben delineate ed efficaci si accompagnano a una attenzione estrema per la psicologia dei personaggi. Forse il suo pregio più grande è proprio la capacità di coinvolgere il lettore e riuscire a trasmettergli le forti sensazioni della protagonista.
Se la storia vi intriga e volete saperne di più potete trovare la recensione completa sul mio blog Penne d'Oriente, dedicato alla letteratura asiatica.
2018, l'Anno del Cane
Secondo la tradizione cinese, il 16 febbraio inizierà il nuovo anno, che corrisponderà al segno zodiacale del Cane. I festeggiamenti, in realtà, non si esauriranno in una singola giornata ma proseguiranno fino al successivo 21 febbraio per 5 giorni di allegria e divertimento. L'anno del cane si concluderà poi il 4 febbraio 2019.
Come i più attenti tra voi avranno notato, l'anno cinese (da cui deriva il calendario giapponese tradizionale) non coincide esattamente con il nostro anno solare, iniziando circa un mese dopo rispetto al nostro. Per questo motivo, un bambino nato nel 2018 non sarebbe automaticamente del segno del cane. Se nasce prima del 16 febbraio, infatti, sarà del segno dell'anno precedente, in questo caso del Gallo (dal 28 gennaio 2017 al 15 febbraio 2018).
Sono del segno del cane i nati negli anni:
1922 (dal 28 gennaio 1922 al 15 febbraio 1923)
1934 (dal 14 febbraio 1934 al 3 febbraio 1935)
1946 (dal 2 febbraio 1946 al 21 gennaio 1947)
1958 (dal 18 febbraio 1958 al 7 febbraio 1959)
1970 (dal 6 febbraio 1970 al 26 gennaio 1971)
1982 (dal 25 gennaio 1982 al 12 febbraio 1983)
1994 (dal 12 febbraio 1994 al 30 gennaio 1995)
2006 (dal 29 gennaio 2006 al 17 febbraio 2007)
Il cane, così come altri animali dello zodiaco cinese tra cui il gallo, la capra o il bue, deriva direttamente dalla tradizione contadina. A fianco di animali domestici e della vita di tutti i giorni, troviamo invece animali più inusuali (scimmia o tigre) o addirittura creature leggendarie (come il drago) che simboleggiano invece buona fortuna e felicità.
L'elemento associato al 2018 sarà la terra.
Le caratteristiche del segno del Cane
Le caratteristiche principali delle persone del segno del Cane sono, secondo la tradizione, la lealtà, l'onestà e l'intelligenza. La tradizione vuole che il Cane sia un partner solido, sincero e affidabile. Tra le sue caratteristiche negative, invece, troviamo l'eccentricità e talvolta l'egoismo.
Esiste, ovviamente, anche una supposta tabella di compatibilità sentimentale del Cane con altri segni. In particolare, il feeling maggiore si dica esista con i nati nel segno del Coniglio, seguito da Topo, Tigre, Scimmia e Maiale.
Suo segno antagonista per eccellenza è il Drago.
Kokeshi: le bambole in legno giapponesi
Le kokeshi sono bambole giapponesi, realizzate in legno, molto colorate. La loro origine, e il loro significato del loro nome sono avvolti dal mistero.
Le kokeshi sono piccole bambole in legno, colorate, della tradizione giapponese, prodotte prevalentemente nella regione di Tohoku. Le bambole sono realizzate a mano da artigiani. Queste creazioni, formate a partire da un blocco di legno, sono molto stilizzate, prive di arti, formate dalla sfera del viso.
Per quanto riguarda la loro origine, e il significato del loro nome, è tutto avvolto nel mistero. La loro produzione iniziò alla fine del periodo Edo (1600-1868). Furono create per essere vendute ai turisti della zona, tuttavia il vero successo iniziò nel XIX secolo, tanto che ispirarono la famosa matriosca russa.
Per il termine kokeshi esistevano diverse grafie, e diversi dialetti, ed è qui che ha origine il disaccordo riguardante il significato. Secondo alcuni il termine significa "piccoli papaveri", per altri "bambole di legno" o "piccole bambole". Con il Convegno Nazionale Kokeshi del 1939 fu decisa la scrittura convenzionale.
Attorno a una storia poco chiara possono crearsi ulteriori episodi carichi di fantasia, come quello di Alan Booth, causato da un errore nella scrittura. Secondo lo scrittore inglese, che visse in Giappone per un lungo periodo, il termine vuol dire "eliminazione del bambino". Per Alan, questi oggetti, erano dedicati dalle madri ai propri figli uccisi dopo la nascita, tuttavia non c'è nessuna testimonianza che questa interpretazione sia veritiera. Più probabilmente le bambole erano degli amuleti a protezione dei bambini e della casa, o dei portafortuna.
Le bambole si dividono in due gruppi. Le kokeshi tradizionali hanno un busto più lungo e testa piccola, sono decorate in nero, rosso e giallo. Le kokeshi "creative" invece, si caratterizzano per un busto più corto e arrotondato, e i colori sono utilizzati in modo più libero. Per quanto riguarda la lavorazione, il legno viene tagliato nella forma desiderata, levigato e infine colorato. Le decorazioni presentano volti femminili, motivi floreali e i tradizionali kimono.
Marianna Scardeoni
Fureai Sekibutsu no Sato: il parco abbandonato del Giappone
Lo spettrale parco in Giappone, voluto da Mutsuo Furukawa come luogo turistico. Oggi si è trasformato in un luogo spettrale, in cui le statue sembrano fissarti.
"Fureai Sekibutsu no Sato" significa letteralmente "il villaggio dove si possono incontrare statue buddiste". Il parco fu realizzato da Mutsuo Furukawa, imprenditore giapponese, che pagò una cifra altissima, corrispondente a 6 miliari di Yen.
Il parco, nella mente dell'imprenditore, sarebbe dovuto diventare un'attrazione turistica, una zona di riposo per chiunque avesse voluto rilassarsi nella zona. Le sculture, che sono più di 800, furono realizzate nel 1989. Le statue, nella fisionomia, ricordano divinità buddiste, gente comune o persone vicine a Mutsuo Furukawa, in modo da preservarne la memoria e renderli immortali attraverso l'arte. All'epoca erano stati messi a disposizione autobus gratuiti per collegarlo al centro della città più vicina.
Fino agli anni 2000 il parco è stato utilizzato e visitato da molto persone, oggi purtroppo è abbandonato, lasciato in balia delle erbe infestanti e degli agenti atmosferici. Le foto appartengono a Ken Ohki, fotografo giapponese, che mentre stava viaggiando nella prefettura di Toyama, si è imbattuto in quest'opera che appare surreale. Suo pane quotidiano visto che gira per il mondo proprio alla ricerca di quello.
Mi sono sentito come fossi accidentalmente inciampato in qualche zona proibita. Incredibile essere in realtà arrivato in un parco con oltre 800 diverse statue di pietra scolpite a somiglianza di divinità buddiste e persone vicine al fondatore del parco Mutsuo Furukawa. La sua idea era di rendere questo parco una popolare destinazione turistica, dove la gente sarebbe venuta a rilassarsi. Bella idea, certo. Ma, con il passare del tempo le statue hanno fatto svanire l'atmosfera di relax rendendo il parco più raccapricciante.
Questi personaggi in pietra, sembrano fuoriuscire improvvisamente dall'erba. Se all'inizio questi dovevano dare una sorta di sacralità al parco, oggi, lo rendono un luogo spettrale, sembrando un'opera di Medusa.
Marianna Scardeoni
Furoshiki - L'arte del packaging ante litteram
L'imballaggio attraverso l'arte del furoshiki. La stoffa quadrata, preziosa e decorata utilizzata per avvolgere doni e oggetti quotidiani.
Il termine furoshiki indica un tessuto quadrato, più o meno decorato, utilizzato per avvolgere oggetti e scatole con diverse modalità di piegature e nodi, in modo da risultare sempre diverso e innovativo, ma comunque elegante. È un oggetto che dimostra la raffinatezza e il gusto estetico così sviluppati nella cultura giapponese. Scegliere e annodare un furoshiki è diventata un’arte che si tramanda di generazione in generazione.
Nel passato, durante il periodo Nara (710-784), questo era utilizzato per fasciare gli oggetti appartenenti alla famiglia imperiale. Successivamente, durante l'epoca Heian (794-1185) il suo uso si allargò fino a comprendere il trasporto e la conservazione dei kimono, utilizzati dai nobili di corte.
Tracce storiche dell’esistenza del furoshiki esistono a partire dal periodo Muromachi (1392-1573), quando i cortigiani erano soliti portarlo con sé al grande edificio termale costruito dal generale Yoshimitsu Ashikaga. Noto con il termine di hirazutsumi, questo antenato del furoshiki serviva a contenere il cambio di abiti da indossare dopo il bagno.
La parola tuttavia non esisteva ancora; la sua nascita risale al 1600, grazie all'atmosfera dei bagni pubblici. Il furoshiki che nasce dalle parole "furo" (bagno) e "shiki/shiku" (stendere), indica un precursore del moderno asciugamano, che veniva steso a terra per sedersi. In epoca Edo (1603-1868) diviene un oggetto fondamentale per la classe lavoratrice. Lentamente le sue dimensioni cambiano, adeguandosi alle misure di qualunque oggetto si voglia donare o trasportare in modo pratico.
Il furoshiki, alla fine dell'800, cadrà nell'oblio a causa dell'avvento delle buste di plastica. I temi centrali degli ultimi anni, come l'inquinamento ambientale, portano però a una sua riscoperta. Grazie alla coscienza ecologista formatasi, diventa il simbolo dell'imballaggio ecosostenibile, visto che risulta compatto e riutilizzabile, andando a imporsi sulle buste di plastica.
Il furoshiki può essere considerato un antenato del packaging, e oggi presenta una varietà esorbitante di fantasie, dimensioni e materiali. Per i giapponesi questo risulta fondamentale visto che, secondo la loro cultura, è considerato irrispettoso regalare un oggetto che non sia adeguatamente confezionato.
Per informazioni sul corso di furoshiki del 14 dicembre cliccate qui.
Marianna Scardeoni
"Aki no aware": la compenetrazione emotiva nell’autunno di Dolls e Little Forest
Siamo agli albori dell’XI secolo, quando la dama di corte Murasaki Shikibu compone ciò che i critici letterari contemplano come primo esempio di romanzo psicologico, nonché cardine della letteratura giapponese: ci riferiamo senza dubbio al Genji monogatari. Uno dei maggiori contributi dell’opera, che ruota intorno alle vicende amorose del “Principe Splendente”, è quello di aver riportato in auge un concetto basilare dell’estetica giapponese, il mono no aware.
Nel Genji monogatari, infatti, questo termine raggiunge la massima espressione, acquisendo una rinnovata definizione. Più che concetto estetico volto a sottolineare una bellezza che desta un coinvolgimento personale alla vista, il mono no aware assume un carattere di melancolia derivante dalla consapevolezza che ciò che si osserva sarà destinato a sfiorire.
La “sensibilità (aware 哀れ) delle cose (mono 物)” delinea così una percezione che accomuna ciascun soggetto nella partecipazione emotiva alla trasformazione degli elementi naturali nel tempo. Alla base della cultura estetica, della poesia e della letteratura giapponese, questo concetto ha fortemente influenzato anche gran parte delle opere cinematografiche moderne e contemporanee.
Registi del calibro di Mizoguchi Kenji e Ozu Yasujirō, in film come Tarda primavera (Banshun, 1949) e Tardo autunno (Akibiyori, 1960), hanno tentato di suscitare l’empatia dello spettatore nei confronti dei personaggi attraverso una poetica incentrata sull’ordinarietà della vita quotidiana e l’inevitabile susseguirsi delle stagioni. E di certo, a rivelare maggiormente la sensazione di caducità, disillusione e isolamento dell’essere umano nel suo rapporto complesso con la natura è, tra tutte le stagioni, l’autunno (aki 秋).
Il capolavoro Dolls (2002), diretto da “Beat Takeshi” Kitano, ne è una chiara testimonianza. Il film si svolge su un intreccio di tre vicende che indagano il tema dell’amore. Quello rappresentato da Kitano, però, non è l’amore ardente e impulsivo che prelude a un intuibile lieto fine. Al contrario è silenzioso e all’apparenza celato, tuttavia carico di una potenzialità emotiva che sfocia in disperazione, follia e inevitabilmente violenza.
In particolare, la condizione di incomunicabilità che affligge i personaggi (tematica affrontata in modo magistrale da Michelangelo Antonioni nel cinema italiano) è evidente nel primo episodio, il più emblematico. I due “vagabondi legati”, Matsumoto e Sawako, iniziano infatti un lento cammino senza meta, quasi come unica reazione possibile a un legame ormai compromesso. E’ in questo processo di accettazione del destino che il senso di solitudine, il silenzio e la frustrazione prendono il sopravvento sulle personalità dei personaggi, indifferenti alle risa dei passanti e all’incessante scorrere del tempo.
La cura dell’altro e la dipendenza reciproca generano così un progressivo autoannullamento dei due innamorati, fisicamente legati soltanto da una corda rossa durante l’intero cammino. Nessuna possibilità di evasione, ma in fin dei conti nessuna vera intenzione. Qui l’allusione romantica del regista è riconducibile al “filo rosso del destino” (Unmei no akai ito), una leggenda popolare cinese diffusa in Giappone secondo cui ogni persona è legata alla propria anima gemella da un indistruttibile filo rosso.
Il principale riferimento culturale della pellicola, da cui la scelta del titolo, riguarda però le marionette dello spettacolo bunraku. Il film si apre infatti con una scena dell’opera teatrale I Messi dell'Inferno (Meido no hikyaku) di Chikamatsu Monzaemon. E’ proprio il drammaturgo del periodo Edo, ribattezzato lo "Shakespeare del Sol Levante", ad aver rappresentato in alcuni suoi drammi la pratica dello shinjū (心中), letteralmente il “doppio suicidio d’amore”.
La totale assenza di dialogo o di contatto fisico definisce così l’apatica fuga delle “bambole”, che percorrono le quattro stagioni tra giardini in fiore, spiagge deserte, boschi autunnali e interminabili distese di neve. E dove non riescono i personaggi nell’intento di esprimere le proprie emozioni, il compito è lasciato all’impatto visivo della natura e dei suoi colori ricorrenti, primo su tutti il rosso della foglia d’acero che percorre le vicende trasportata dal fiume, creando una perfetta analogia con il sangue sull’asfalto.
Insomma, più mono no aware di così, si muore.
L’imprescindibile legame tra essere umano e natura è tema fondamentale anche in Little Forest di Mori Jun'ichi, una miniserie basata sull’omonimo “slice of life” manga di Igarashi Daisuke. Complessivamente, l’opera è divisa in 2 parti: Summer/Autumn (2014) e Winter/Spring (2015).
Il racconto si svolge nella fittizia e circoscritta comunità di Komori (“piccola foresta”) nella regione del Tōhoku, dove la giovane Ichiko, interpretata dall’incantevole Hashimoto Ai, vive da sola in seguito all’inaspettata partenza della madre. In totale armonia con l’ambiente rurale che la circonda, Ichiko è immersa nelle tradizioni culinarie giapponesi e si dedica con meticoloso impegno a tutte le attività agricole necessarie per il proprio sostentamento. In base alle variazioni climatiche scandite dalla graduale evoluzione delle stagioni, la protagonista ci mostra la ripetitività delle azioni quotidiane nella vita agreste, come la coltivazione del riso, il taglio del legname e infine la preparazione dei piatti.
Anche Little Forest presenta pochissimi dialoghi, perlopiù inerenti agli incontri di Ichiko con gli amici Yūta e Kikko e con gli altri abitanti della comunità. Gran parte del parlato consiste di fatto in monologhi e descrizioni dettagliate delle ricette e dei metodi agricoli, nonché commenti conclusivi sulla riuscita o meno dei piatti. A intervallare i momenti di solitudine sono alcuni flashback, in cui la ragazza ricorda gli insegnamenti di cucina della madre, e gli autoreferenziali “itadakimasu” pronunciati prima delle degustazioni.
Nonostante lo stile pressoché documentaristico del film e la staticità generale della trama, Little Forest offre una miriade di spunti riflessivi. Innanzitutto, l’opera rimanda implicitamente alle differenze di vita tra campagna e città, un leitmotiv del cinema giapponese moderno. Ichiko mostra infatti sentimenti contrastanti riguardo al suo ritorno nel paese natale, una scelta perlopiù forzata, e rivela in varie occasioni le sue incertezze riguardo a una permanenza futura.
Accompagnato da una colonna sonora piuttosto suggestiva e da favolose immagini dei paesaggi circostanti, il film espone così il conflitto interiore della giovane nel suo delicato viaggio introspettivo alla ricerca di un posto nel mondo, nella costante riflessione su una possibile ricongiunzione con la madre.
Decisamente consigliato per gli appassionati di cucina giapponese. Come afferma Ichiko nell’episodio dedicato all’autunno, “nel periodo in cui gli alberi cambiano colore, le castagne candite diventano protagoniste”. Un invito da cogliere al volo, no?
Lorenzo Leva
Lorenzo Leva nasce a Fermo nel 1990 ed è laureato in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia (Università di Bologna). Ha approfondito le sue conoscenze riguardanti l'economia, la cultura e la società giapponese durante un periodo di sei mesi presso la Université Paris Diderot-Paris VII di Parigi, con un Master in Asian Studies presso l'Università di Lund e un'esperienza di fieldwork presso la Waseda University a Tokyo.
Coltiva da anni una forte passione per il cinema orientale e giapponese in particolare, di cui ha analizzato l’evoluzione e le caratteristiche.
Contatti:
lorenzo.leva@gmail.com