Tokyo Express

Penne del Sol Levante - Tokyo Express di Matsumoto Seicho

Bentornati alla rubrica settimanale Penne del Sol Levante! Oggi vi incanterò con la storia di un romanzo appena uscito in libreria per Adelphi, Tokyo Express. Un giallo in piena regola, risalente al 1958 e denso di atmosfera.

I corpi di Sayama Ken'ichi e della giovane Otoki vengono ritrovati a Kashii, precisamente sulla spiaggia del promontorio che affaccia sulla baia di Hakata. Sono distesi su una lastra di roccia scura, i vestiti smossi dal freddo vento marino. Dai primi rilievi della polizia è subito chiaro che i due si sono suicidati e le analisi di poco successive confermeranno l'uso del cianuro, anche contenuto in una bottiglietta vuota di succo di frutta posta a fianco dei cadaveri. il caso viene subito etichettato come il suicidio amoroso di due tristi amanti. Iniziano le ricerche per scoprire l'identità dei due corpi e da subito, agli occhi del vecchio ispettore Torigai Jutaro, qualcosa non quadra in quella scena apparentemente perfetta
A dargli manforte arriva da Tokyo un giovane poliziotto della seconda sezione investigativa, quella che si occupa dei casi di corruzione. Pare infatti che la vittima, l’uomo, lavorasse in un ministero coinvolto in un grosso scandalo. Anche per il detective, Mihara Kiichi, quella storia ha qualcosa di sospetto ed entrambi sembrano non darsi pace. I loro dubbi sembrano confermati da strane incongruenze nelle testimonianze di alcuni conoscenti della giovane Otoki. Infatti due ragazze che lavoravano con lei in un locale della capitale e uno dei loro clienti più assidui testimoniano di averla vista, in compagnia di un uomo, salire sull’espresso che da Tokyo porta ad Hakata. Questo e altri indizi porteranno i poliziotti a svolgere una lunga indagine.

 

In questo romanzo i colpi di scena non mancano, il finale è inaspettato e originale. Si tratta di un classico giallo in piena regola, molto godibile e ottimamente narrato. C’è solo da sperare di imbattersi in qualche altro scritto di Matsumoto Seicho per poter godere nuovamente della sua prosa. Ma se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente!
Buona lettura!

Pietra

Nagura, le pietre giapponesi per l'affilatura di lame e katana

I Maestri armaioli giapponesi, abbigliati con costumi immacolati, creano katana in uno stato di totale concentrazione, per creare spade che "non si spezzano, non si piegano e tagliano con precisione”. Tale capacità e qualità di taglio è dovuta anche all'affilatura, praticata con pietre naturali. Tra i Maestri vi era anche Kousuke Iwasaki. Il suo libro Sulle lame (刃物 の 見方) è ancora considerato una delle opere principali di forgiatura giapponese, costruzione rasoi e affilatura. Ci soffermeremo proprio sul discorso dell'affilatura e gli strumenti per attuarla in maniera impeccabile.

 

Vi sono quattro tipi principali di nagura (pietre per l'affilatura): botan (ボタン), mejiro (目 白), tenjou
(天上) e koma (コマ o 細) . La Botan è costituita da particelle grossolane, e leviga velocemente grandi quantità di acciaio durante l'affilatura. La tenjou e la mejiro possiedono particelle fini (コマ o 细). Le botan a volte presentano inclusioni assimilabili a piccoli punti neri noti come "occhi di sabbia". Le nagura sono costituite da un tipo di quarzo denominato tufo riolite. Questa è una roccia vulcanica acida formatasi da un processo deposizionale della cenere in seguito alle eruzioni vulcaniche.
La successione delle pietre durante l'affilatura è la seguente: botan (grossolana), una mejiro (fine) oppure una tenjou (fine). Solitamente quando la fanghiglia che si forma durante il processo di affilatura diventa più scura indica il momento di passare alla nagura successiva. Solo passando il filo del rasoio sull'unghia del pollice ci permette di capire l'aggressività della lama. Il potere abrasivo in presenza di fanghiglia aumenta perché i cristalli vengono rilasciati sulla superficie della pietra e quindi presenti in forma più efficace.
Tra le pietre giapponesi per la finitura  honyama vi sono le maruka che possono essere gialle, rossastre, blu e bianche. Un tempo le gialle erano considerate le migliori ma dopo attente analisi ci si e' accorti che l'abrasivo presente in tutte le pietre e' lo stesso e che, in realtà, il tipo di levigatura era simile a quello delle altre pietre. Altre pietre molto buone per la finitura sono le ozaki di montagna, sono di colore grigio scuro. Si raccomanda di lappare accuratamente tute le pietre giapponesi per l'affilatura e, nel caso di quelle per finitura sopra citate, di rimuovere tutte le intrusioni color porpora e/o color pelle. Queste intrusioni, molto dure, rischiano di scheggiare il filo del rasoio.
Dopo l'uso delle nagura si passa all'uso delle pietre honyama. Le pietre honyama sono lente in genere e quindi si usa creare una fanghiglia su di esse con una nagura. In giapponese, in questo caso, dato che si usano due pietre, è possibile che l'intero procedimento venga esplicitato affermando: "Si affila il rasoio usando una tomonagura" (ovvero una honyama, più la nagura).
Arrivati a questo punto dell'affilatura, si sta usando la honyama per affilare, la nagura è solo un coadiuvante.Il procedimento quindi dovrebbe essere chiamato tomoto (共 砥). Teoricamente che scaturisce da questa operazione risulta si ancora frastagliato, ma pronto per radere. In realtà si può fare di meglio. Il filo cosi come viene lasciato dalla honyama viene chiamato mudaha (ムダ 刃). La nagura, come abbiamo visto, può servire da sola per abradere parecchio acciaio dal filo nei casi in cui vi sia un filo particolarmente difficoltoso da impostare, oppure per formare della fanghiglia su pietre più fini.

SI consiglia, in questo caso, di strofinare la nagura in maniera uniforme in modo da non dover poi lappare la pietra su cui si vuole attuare lo slurry ( fanghiglia), una volta finita l' operazione. Si faccia attenzione a non strofinare troppo energicamente le pietre nagura l'una sull'altra, per evitare che dalla prima si distacchino frammenti troppo grossi.Una quantità copiosa di abrasivi e fanghiglia inoltre può essere controproducente. Può far si infatti che il rasoio risulti sollevato, quindi che il filo non tocchi bene sulla pietra. Si rischia, in questo modo, di ottenere un filo irregolare.
Bibliografia: Sekishi no shoyû tôken (“La spade della città di Seki”), Città di Seki, provincia di Gifu.
Kousuke Iwasaki
(Translated by Jim Rion/Andrea Brattelli)

Penne del Sol Levante - La ragazza dell'altra riva di Mitsuyo Kakuta

Buongiorno cari amici, oggi per la rubrica di Penne del Sol Levante vi racconto un romanzo uscito da pochi mesi in Italia: La ragazza dell’altra riva di Mitsuyo Kakuta.
Le protagoniste sono due donne che non potrebbero condurre vite più diverse. Sayoko è sposata e ha una figlia piccola, Akari, con cui passa le sue giornate; trascina i giorni trasferendosi da un parco giochi all’altro per evitare di dover far amicizia con le altre madri, che si uniscono in gruppetti chiusi. Akari, introversa quanto lei, non riesce mai a farsi degli amici e gioca sempre da sola. Sayoko non sopporta più questa situazione e decide di trovarsi un lavoro, così da avere una buona scusa per mandare la bambina all’asilo dove finalmente potrà interagire con i suoi coetanei. Così si mette a spulciare gli annunci lavorativi, va a diversi colloqui ma nessuno pare volerla assumere visto che è una casalinga e non ha capacità particolari.
Finché non incontra Aoi, giovane donna in carriera a capo di una piccola società di pulizie e viaggi. Fin da subito si intuisce che l’organizzazione interna dell’azienda è confusa e che Aoi spesso vive alla giornata, reinventandosi a seconda dell’affare migliore. Le due donne fanno da subito amicizia e Sayoko inizia a lavorare per lei come donna delle pulizie, nonostante le discussioni asfissianti con il marito e la suocera.
Ai capitoli dedicati al presente di questa piccola azienda si intervallano quelli dove ci viene narrata l’adolescenza turbolenta di Aoi, che scopriremo poi intrecciarsi inconsapevolmente con quella di Sayoko.

L’autrice, Mitsuyo Kakuta, non è una voce del tutto inedita nel panorama italiano. Nel 2014 infatti era uscito il suo primo libro tradotto in italiano (in realtà in Giappone è un nome molto conosciuto e i suoi romanzi e racconti hanno già vinto tutti i premi letterari più prestigiosi del paese). L’avevo letto, e presto ve ne parlerò, ma non mi aveva colpito come questo. Stavolta sono stata ammaliata dalla sua scrittura e da questi due personaggi di donne che tentano di costruirsi un Io, un’indipendenza d’animo rispetto ai doveri e alla società che le circonda.
Un romanzo in cui mi sono ritrovata molto, ma se volete saperne di più trovate la recensione completa su Penne d’Oriente. Buona lettura!

Penne del Sol Levante - Una perfetta stanza di ospedale di Yoko Ogawa

Buon fine settimana affezionati lettori della rubrica Penne del Sol Levante! Oggi vi propongo una breve raccolta di racconti dell’autrice Yoko Ogawa. Come forse già saprete è la mia scrittrice preferita e ho ritrovato in questa magnifica antologia il suo stile caratteristico e i temi a lei più cari.

Il libro comprende due racconti brevi: Una perfetta stanza di ospedale e Quando la farfalla si sbriciolò. Nel primo, una donna si riavvicina al fratello malato, passando con lui tutto il suo tempo libero, nella stanza dell’ospedale universitario dov’é ricoverato. I due sono molto legati fin da bambini e hanno avuto un’infanzia difficile a causa dei problemi mentali della madre, ormai defunta. La protagonista ammira la perfezione della camera in cui il fratello giace a letto e mangia uva, l’unico alimento che il suo corpo ormai accetta. Pare quasi che tanto la stanza appare intonsa, lucente, pulita e perfetta, tanto più il ragazzo si consumi velocemente, ammalandosi sempre di più. Quasi che nella mente della donna, per sopravvivere a quel profondo dolore, lei debba veicolare la perfezione verso un oggetto inanimato e non più vederla nel corpo del fratello. Le ossessioni della donna risalgono alla sua adolescenza, al disordine e allo spreco di cibo che regnavano nella sua casa, da quando la madre si era ammalata. Sono queste stesse fobie a incanalare la sua visione della vita e del mondo, distorcendola.

Il secondo racconto narra la vicenda di Nanako, che si trova costretta a portare sua nonna Sae in un ospizio. La donna è ormai immobile nel letto, non si alza più e non vuole mangiare, per questo motivo, in cerca d’aiuto, la ragazza decide di affidarla a una casa di riposo. Quando ritorna a casa, però, l’assenza è straziante e lei si sente svuotata di tutto, confusa e incapace di distinguere quella nuova realtà solitaria dalla pazzia.


La scrittura di Yoko Ogawa ci dona due scorci di donne incredibili. Le descrizioni minuziose, accattivanti, morbose rendono questa raccolta simbolica dell’intera produzione letteraria dell’autrice. Se volete saperne di più su di lei, vi lascio alla recensione su Penne d’Oriente. Buona lettura!


Lo Shintō - La religione autoctona del Giappone

Le origini dello Shintō

Considerata la religione nativa del Giappone, le origini dello Shintō si sono perse nel tempo. Sviluppatosi parallelamente al Buddhismo, una netta divisione tra i due fu data solo in epoca Meiji (1868), quando fu dichiarato religione di stato.
Lo Shintō ha un ruolo chiave all’interno dell’istituzione imperiale, come anche confermato dai classici della letteratura giapponese Kojiki (712) e Nihon Shoki (720), i quali identificano Jinmu (discendente della dea del sole Amaterasu) come il primo imperatore della nazione.    
I santuari (jinja) sono i luoghi-simbolo dello Shintō e condividono caratteristiche comuni, quali avere dei portali (torii) al suo ingresso e delle corde (shimenawa) adiacenti al luogo di culto, quest’ultimo spesso circondato da un recinto di legno. Spesso i santuari si trovano al centro di ambienti naturali, come anche ai piedi o sulla cima di un monte, vicino a foreste o a cascate: questi infatti sono ritenuti essere la dimora naturale dei kami, le divinità.

In Giappone esistono circa 100,000 santuari, la maggior parte appartenenti al Jinja Honchō, un’organizzazione caritatevole con base a Tōkyō, mentre il resto sono dedicati a Inari, dio del riso, e fanno capo al santuario Fushimi Inari di Kyoto. Data la sua lunga storia, in Giappone è possibile trovare costruzioni shintoiste di epoche molte diverse tra loro: antiche come quelle di Ise e Izumo, o moderne come i santuari Meiji e Yasukuni di Tōkyō. I sacerdoti shintoisti si riconoscono per il caratteristico copricapo nero (eboshi), per gli abiti di seta bianca e per lo shaku, uno strumento in legno usato nelle cerimonie.
Sebbene quello giapponese sia un popolo che difficilmente può essere considerato “religioso” come noi intendiamo, la maggioranza di esso partecipa regolarmente agli eventi dei santuari. La credenza fondamentale è che il kami, richiamato per mezzo della corretta procedura, possa garantire i suoi favori al praticante a prescindere dalla particolare identità o provenienza di quest’ultimo. Le richieste alle divinità spaziano dall’aver successo negli esami, alla guarigione da malattie, alla longevità, alla prosperità di un’attività commerciale, ad un felice matrimonio ecc.
Ogni santuario ha i suoi giorni di festa (matsuri) ma certi eventi, a cui ogni anno moltissimi giapponesi prendono parte, accomunano il calendario rituale shintoista: l’inizio del nuovo anno; la festa delle bambole (hinomatsuri) il 5 Marzo; il giorno dei bambini (tango no sekku) il 5 Maggio; le feste Tanabata e Bon a Luglio e il festival del raccolto autunnale. Allo stesso modo, la venuta al mondo di un neonato, le speciali cerimonie di Novembre per i bambini di tre, cinque e sette anni, come anche la festa per la maggiore età (seijin no hi) e i matrimoni, offrono altre occasioni per praticare lo Shinto.

Nell’entrare in un santuario shintoista ci si attiene a un certo rituale di purificazione psico-fisica che comincia dal padiglione dell’acqua (temizuya). Simbolicamente, ci si lavano le mani e la bocca prima di accedere all’altare. Quì ci si inchina, si battono le mani e si prega, dopodiché si procede col fare un’offerta e suonare la campana (suzu) per richiamare su di sé l’attenzione della divinità.  

Penne del Sol Levante - Sei Quattro di Hideo Yokoyama

Buon weekend lettori, bentornati alla nostra rubrica letteraria. Oggi vi parlo di un giallo poliziesco molto particolare, uscito in Italia l’anno scorso, Sei Quattro di Hideo Yokoyama.

Tutto ruota intorno alla figura del poliziotto Mikami, assegnato alla sezione dedicata ai rapporti con i giornalisti. Proveniente dal reparto investigativo veste malamente i panni di addetto stampa, si sente declassato e sogna di poter ritornare al suo vecchio incarico. Nel frattempo, ad esacerbare la situazione, si creano situazioni spiacevoli con i giornalisti e Mikami viene coinvolto, suo malgrado, in un caso del tutto particolare.

Il capo della Polizia, infatti, sta organizzando una visita in città per incontrare Amamiya Yoshio, testimone di un vecchio caso risalente a quattordici anni prima. Il rapimento di sua figlia, una bambina di sette anni di nome Shoko, rimasto insoluto dopo che il rapitore era riuscito a prelevare il riscatto. Il cadavere della bimba era stato ritrovato poche ore più tardi e la polizia non possedeva alcun indizio per individuare il colpevole. Per la famiglia era stato un colpo senza ritorno.
Quando Mikami si reca dall’uomo per organizzare l’incontro con il capo della Polizia, Amamiya Yoshio gli dice che non c’è alcun bisogno di farlo. Si evince chiaramente che è successo qualcosa ai tempi del rapimento finito male, cosa si nasconde nei rapporti dei poliziotti della squadra mobile che si occupavano del caso? Qualcuno sta nascondendo qualcosa, ma cosa? Chi ne è responsabile? E perché sembra ci sia un altro poliziotto che indaga e precede il protagonista presso tutti i testimoni?

A questa situazione d’incertezza e confusione si aggiunge la scomparsa improvvisa della figlia di Mikami, Ayumi, un’adolescente problematica sparita nel nulla senza lasciare traccia. I poliziotti di tutto il Giappone la stanno cercando senza sosta, senza successo. Le telefonate mute che ricevono i coniugi Mikami turbano le loro nottate e condizionano ogni azione alla luce del sole. E' Ayumi che chiama? Perché non parla? Dove si trova?

 

 

Ci troviamo di fronte a un romanzo giallo-poliziesco sui generis, dalla trama fitta e intimistica. Sono le riflessioni personali del protagonista ad accompagnarci per tutta la storia, piuttosto che le classiche indagini poliziesche. Se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente. Buona lettura!


Penne del Sol Levante - L'uomo che voleva uccidermi di Yoshida Shuichi

Benvenuti all’appuntamento settimanale con gli scrittori nipponici, oggi parliamo di un romanzo uscito appena l’anno scorso, un giallo davvero particolare, L’uomo che voleva uccidermi di Yoshida Shuichi.

È un romanzo corale, dove varie voci si intersecano e sovrappongono allontanandoci sempre di più dalla verità finale. Ci ritroviamo così a rincorrere il colpevole senza sosta, sempre più confusi.

Sulla statale 263 che collega Fukuoka a Saga, nel sud-ovest del Giappone, all’altezza del valico di Mitsuse, viene ritrovato il cadavere della giovane Ishibashi Yoshino, impiegata in un agenzia assicurativa di Fukuoka. La ragazza aveva passato la serata con le amiche, confidando loro di avere un appuntamento al parco cittadino con il suo fidanzato Masuo. Qualche capitolo più tardi scopriamo che in realtà l’incontro era con qualcun altro, un tale conosciuto su un sito di appuntamenti, Shimizu Yuichi. Ma è andata davvero così? Qual è la verità? Chi ha incontrato davvero Yoshino? E chi l’ha portata fino al valico per ucciderla a sangue freddo? Perché sia Masuo che Yuichi continuano a scappare? Chi è la donna sconosciuta che accompagna quest’ultimo nella sua fuga disperata?

Tutti gli indagati paiono nascondersi e l’indagine si ferma a un punto morto. Uno dopo l’altro conosciamo tutte le persone coinvolte e nessuna pare dirci la verità fino in fondo, ogni personaggio ci racconta la sua versione dei fatti, apparentemente in contrasto con quella di tutti gli altri. Si dipana così una storia difficile da comprendere e dal finale inaspettato.


Nel panorama della letteratura nipponica contemporanea sono ben pochi i romanzi crime che vengono tradotti per noi, purtroppo, e questo si inserisce in questa cerchia ristretta. La trama è interessante e lo svolgimento per nulla banale, il tutto avvolto da una solida struttura narrativa e uno stile di scrittura semplice e rapido, direi disincantato e parco di lunghe descrizioni.

Se il libro vi incuriosisce venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente! Vi auguro un buon fine settimana.


Penne del Sol Levante - La voce delle onde di Yukio Mishima

Bentornati alla rubrica Penne del Sol levante, oggi vi parlo di un mostro sacro della letteratura nipponica, Yukio Mishima e del suo romanzo La voce delle onde.

Forse non uno dei più famosi tra tutti quelli che ha composto, ma sicuramente il mio preferito fino ad ora.

È la storia di due giovani pescatori, Shinji e Hatsue, che vivono a Uta-jima, anche chiamata Isola del canto dai suoi pochi abitanti. I due ragazzi conducono esistenze semplici, dipendenti dal mare e dai suoi capricci. Lui, Shinji, ha appena diciotto anni e vive con la madre e il fratellino; lavora ogni giorno su un’imbarcazione da pesca a motore, alla ricerca di pesci e molluschi. Lei fa la pescatrice di perle ed è la figlia dell’uomo più ricco dell’isola. La loro storia si consumerà al santuario di Yashiro, dedicato al dio del mare, che sovrasta l’isola dal crinale più alto.

I due s’incontrano per caso un tardo pomeriggio, lui è appena sbarcato dalla nave dopo una lunga giornata lontano dalla terraferma. Intravede un volto nuovo vicino a una catasta di attrezzi, è la giovane che si riposa ascoltando il rumore delle onde. Dall’incontro si dipanerà una vicenda d’amore, tragica e dolce; altri personaggi entreranno a far parte della storia, modificandone le sorti nel bene e nel male.

Yukio Mishima è ormai considerato uno degli scrittori classici della letteratura giapponese, ma a mio parere la sua volontà di indagare nell’animo umano, le azioni e i comportamenti dei suoi personaggi, la sua capacità di scavare nell’inconscio e mettere a nudo l’aspetto psicologico dei protagonisti dei suoi romanzi, lo avvicinano ad alcuni degli autori contemporanei di maggiore successo. Questo è ciò che caratterizza il suo stile e ciò che più mi colpisce, ogni volta, quando leggo i suoi scritti. Questo romanzo in particolare non fa eccezione e l’autore focalizza la sua bravura nell’esporci le conseguenze più intime di questo incontro fortuito tra Shinji e Hatsue.

Sperando di avervi incuriosito, vi lascio alla recensione completa su Penne d’Oriente.

Buona lettura!


Luna strana

Penne del Sol Levante - La Casa della luce di Yoko Ogawa

Buon venerdì lettori! Oggi voglio parlarvi della mia scrittrice prediletta, Yoko Ogawa e della sua breve raccolta di racconti intitolata La Casa della Luce.

Si tratta di tre storie narrateci in prima persona da due ragazze e una donna. In queste vicende il tema fondamentale è l’adolescenza, l’estraniamento dalla realtà, la ricerca di un posto nel mondo che possa essere definito proprio. Siamo di fronte alla scrittura tipica della Ogawa, cruda, diretta, alla ricerca costante del piccolo neo, del difetto comune, in una situazione apparentemente idilliaca. Come nel caso del primo scritto, in cui una ragazza ci racconta la gravidanza della sorella maggiore. Vivono tutti e tre, con il cognato, in un piccolo appartamento; l’occhio della ragazza è indiscreto e reagisce ai cambiamenti fisici e comportamentali della sorella, dovuti alla gravidanza, con sguardo stonato, disincantato, morboso.

Nel secondo racconto una donna, in attesa che il marito le scriva di raggiungerlo in Svezia dove si è recato per lavoro, aiuta il giovane cugino a trovare un pensionato studentesco. L’edificio, però, pare avvolto da superstizioni e leggende. Tanto che quando lei ritornerà per incontrarlo scoprirà che il ragazzo è scomparso nel nulla, come se il dormitorio stesso l’avesse inglobato.

L’ultima storia del libro di Yoko Ogawa, che dà il titolo alla vicenda, ci viene narrata da Aya. La ragazza è figlia dei gestori di una casa d’accoglienza per bambini e ragazzi senza famiglia. Diventando i suoi genitori padri e madri di tutti gli ospiti della Casa della luce, Aya si sente quella meno amata. L’unica persona con cui vuole e desidera costruire un rapporto, creare un contatto sincero e umano, è Jun. Il ragazzo è ospite della Casa e un abile nuotatore, lei infatti passa i suoi pomeriggi a guardarlo mentre si allena in piscina.

Tipa Ogawa

 

In questa raccolta Yoko Ogawa ci pone di fronte a delle macchie nere su un foglio immacolato, sbagli, sbavature che non dovrebbero esserci ma che ci sono. La scrittrice ama molto sottolineare le piccole manie, le pericolose morbosità insite nella natura umana, nella persona più comune di tutte. Questa è la vera forza del suo stile e la particolarità che la contraddistingue rispetto agli altri autori.

Sperando che questo articolo vi abbia incuriosito, vi rimando come sempre alla recensione completa su Penne d'Oriente. Buona lettura!


Mishima sguardo

Mishima contro gli studenti - Il dibattito | Seconda parte

Continuiamo la pubblicazione del lungo dibattito tra lo scrittore Yukio Mishima e gli esponenti delle associazioni studentesche giapponesi, di cui potete trovare la prima parte a questo link. La discussione - che fu molto accesa - mette in luce alcune delle idee e delle tematiche care a Mishima, aiutandoci nella comprensione di questa figura estremamente complessa e per certi versi enigmatica. Buona lettura!

 

Mishima critica l'idea di una teleologia della storia, riflettendo sulle parole, sul loro significato, sul subconscio collettivo e sul tempo in generale

... A partire da quello che hai detto, tu sostieni che una comprensione accettabile del presente potrebbe essere contenuta in una spiegazione teleologica? Sì, ciò sembra pertinente con il tuo argomento. Avrei qualcosa da ridere su di essa, ma proviamo a pensare alla sua continuazione logica nel futuro. E' una possibile via di comprensione. Per me, è assolutamente impossibile approcciare la comprensione del presente mediante un approccio teleologico. Di conseguenza, il presente e il passato, o anche il futuro, hanno la loro dimensione completamente diversa e separata dalle altre, e tali devono essere considerati.


Io non sono né un pittore né un musicista; sono solo uno scrittore. Queste sono solo parole, giusto? In una comunità, l'arte del linguaggio, della poesia e affini, esiste solo grazie alle corrispondenze create dalle parole, e perciò se io, che sono qui davanti a voi, signore e signori, cominciassi a parlare in russo, ebbene quanti di voi potrebbero capirmi? L'unicità del giapponese come mezzo di comunicazione dipende da un accordo volontario sul suo significato, anche se, forse, non potremmo mai raggiungere tale accordo. Nonostante le parole siano insufficienti per descrivere qualcosa, tentiamo di usarle continuamente. Perciò, se le mie parole non hanno un significato consistente e persistente, esse non hanno il potere di essere trasmesse a voi, signore e signori. Tuttavia, se le mie prime parole verso di voi fossero state qualcosa come, per dire, la pubblicità di una penna stilografica, il significato inscritto in esse sarebbe stato totalmente diverso. Quello che genera il significato nelle parole è la loro fissità, non solo nello spazio che descrivono ma anche nella loro consistenza e ordine nel tempo, e la nostra comune comprensione; se dobbiamo usare le parole, esse devono avere questa fissità nel corso del tempo per essere comprensibili e significanti. Possiamo seguire questo ragionamento per determinare che le parole appartengono al passato. Questo tuttavia non è il caso per la generazione iniziale di un linguaggio; in ogni generazione avviene un raffinarsi del linguaggio e della letteratura e il significato delle parole viene all'essere mediante questo raffinarsi. Le parole che uso come mio materiale da scrittore, devono avere il loro precedente nel passato. Quello che riconosco come il presente, invece, lo posso solo descrivere attingendo dalla mia coscienza di cose e idee intorno a me; devo scegliere dal mio armamentario un'idea che serva allo scopo del mio Io attuale, e portarla fuori, nel mondo. Questa selezione ha sempre luogo, poiché una frase è costituita parola per parola, e anche le decisioni più piccole devono essere ponderate: dovrei dire "La donna sta sorridendo" o "La donna sorride"? Dovrei dire "Come un fiore, sorrise", nello stile riconoscibile di Kawabata Yasunari (premio Nobel per la letteratura, amico e mentore di Mishima, morì anch'egli suicida nel 1972, N.d.R.), qualcosa che tutti si aspetterebbero da me? [Mishima ride] Dovrei dire che "Come una triste luna, ella portava un contegno ameno", come potremmo aspettarci da qualcun altro? Inoltre, non è solo la scelta delle parole che deve essere presa in esame nella costruzione del linguaggio, ma anche la disposizione di tali parole. Così è come faccio io, così è come avviene il processo di selezione.


Per me, al contrario di chi presenta il passato e il presente come cose appartenenti alla stessa dimensione, riferirsi al passato è riferirsi al lungo effetto cumulativo del passato, e alla conseguente accumulazione di cultura; questa stessa accumulazione dovrebbe essere tenuta in grande considerazione. Il mio sentimento, il mio avere a cuore le eredità culturali del passato, oggi è disprezzato. E questo perché si è arrivato a considerare tali sentimenti inutili e morti. Anche se non vorrei fare nomi, Nakamura Shinichiro (scrittore giapponese, N.d.R.) e le persone a lui affini, la loro idea sul culturalismo, (bunkashugi, lett. "dominio della cultura") è qualcosa che ho odiato per molto tempo. E questo perché ritengono la cultura solo una serie di relitti venuti dal passato. Essi stessi non riescono a evitare il fatto che il loro lavoro e la loro persona imitano questi relitti; sono intrappolati nella stessa cultura che essi criticano. Per me, la cultura è sia l'accumulazione di idee nel tempo, sia la continuità con l'Io, che si forma nel presente. Nel momento in cui esteriorizziamo la cultura, la interiorizziamo simultaneamente, nel corso del processo di selezione delle idee; esso è ciò che guida la nostra condotta ogni momento. Questi comportamenti e l'accumulazione di scelte su altre scelte modellano la forma delle opere d'arte, delle opere scientifiche, e via dicendo, ma se sorpassiamo, se tentiamo di andare oltre le opere del passato, finiamo per creare qualcosa che verrà immediatamente respinto in un passato. In questo modo, viviamo la stessa vita degli scrittori.
Adesso sarebbe un buon momento per chiedere: cos'è il futuro? Il futuro è un verso libero; è ciò che non è codificato. Il futuro, nel suo stato fluido, è qualcosa che pressiamo mediante i nostri atti di selezione istantanei. Continuando a pressare, il futuro prende forma, ma non appena si solidifica diventa insulso e noioso. E continuiamo a pressarlo questo fluido che diventa solido, e quindi diventa di nuovo noioso, e così avanti a pressare e a vivere la nostra vita, giusto? Ad ogni modo, io trovo questa idea dello stato fluido del futuro un qualcosa su cui non valga la pena scommettere: io vivo nel momento presente, nel momento che sto vivendo ora. Per me, il futuro, il presente e il passato non hanno alcuna relazione significativa; non credo in una teleologia che può intervenire per mediare la loro esistenza. Questo è quello che vorrei dirvi, questa è la mia posizione sulla questione.

Mishima Yukio


Mishima parla della sua concezione dell'imperatore, in una sorta di teologia negativa, e critica l'idea attuale di imperatore


A dire la verità, potrei parlare molto a lungo della questione dell'imperatore. Per voi va bene? Penso che l'imperatore attuale debba starsene nella parte interna del palazzo (detto ridendo, è un eufemismo che sta a significare "nel suo harem, nel suo cantuccio", N.d.R.). Parlando seriamente, direi che il mio punto di vista sull'imperatore è totalmente diverso da quello tipico della cosiddetta Destra. Penso che sia abbastanza chiaro se si ha dimestichezza con il Kojiki (古事記, lett. "Cronache di antichi eventi". È il più antico testo narrativo giapponese pervenutoci, che narra le origini mitologiche del Giappone e di alcune divinità shintoiste, N.d.R.). Il volume finale si apre con il tema della benevolenza dell'imperatore. Se ci chiediamo che significato ha tutto ciò, ci rendiamo conto che la forma di benevolenza di un imperatore confuciano ci è stata imposta erroneamente. Anche la visione dell'imperatore come "colui che ha tenuto i cuori del popolo attivi e prosperi" è stata imposta allo stesso modo. Questa è la traccia che è stata sempre seguita, a partire dal rescritto imperiale (la risposta scritta che l'imperatore dava su questioni di diritto a lui sottoposte, N.d.R.) sull'educazione. Eppure ritengo che l'immagine dell'imperatore nel Kojiki sia totalmente diversa rispetto alla nozione di virtù esposta nel rescritto imperiale sull'educazione. Lì vi è infatti scritto di esercitare "pietà filiale verso i genitori, cameratismo verso i fratelli"; ma nelle cronache del Kojiki l'imperatore e i suoi fratelli non ebbero scrupoli nell'uccidersi fra loro, e non mostrarono ai loro genitori nemmeno un briciolo di riverenza, e la linea di discendenza imperiale non comprende affatto solo chi non ha mai fatto qualcosa di davvero immorale. Su tale punto, vorrei evidenziare quale sia per me la parte più significativa del Kokiji, ossia il mito di Yamato Takeru no Mikoto (lett. "il coraggioso principe di Yamato", personaggio a metà tra la storia e il mito, si pensa che abbia soffocato una serie di rivolte contro il potere centrale e che abbia così contribuito all'unificazione del paese, N.d.R.). La parte del Kokiji in cui si parla del principe non riguarda solo lui, ma anche il significato delle arti e come tale significato sia tutt'uno con il concetto di imperatore. Questo s'intende, infatti, quando si parla della divinità del principe imperiale. Se vogliamo avvicinarci al significato di questa storia, dobbiamo prima capire un evento precedente: il padre di Yamato, l'Imperatore Keiko, fu colpito dalla visione di una donna meravigliosa mentre passeggiava per la campagna. Pianificò di portarla a corte, dichiarando che sarebbe stata la moglie del fratello maggiore di Yamato. A quel punto, il suddetto fratello, Oousu no Mikoto, durante il viaggio si accoppiò con lei e la nascose. In seguito, trovò un'altra donna, la portò a corte e la additò come la bellissima donna in questione, e anche se l'imperatore Keiko era notoriamente irritabile, non disse nulla e lasciò la faccenda così com'era. Yamato, il fratello più giovane, pensò per qualche tempo che ciò che aveva fatto il fratello fosse orribile, avendo mancato di rispetto al padre. Un giorno, durante la colazione, Oousu non si fece vedere, e l'imperatore disse a Yamato: "Perchè mai tuo fratello non è ancora arrivato? Vai a cercare mio figlio!". Yamato entrò, esitante, nella stanza del fratello, e lo uccise improvvisamente, facendolo a pezzi; quando giunse la notizia all'imperatore, questi spedì il più lontano possibile il principe. Durante tale pericolosa spedizione, tuttavia, Yamato non solo sopravvisse, ma si distinse e ritornò a casa; solo per poi essere assegnato ad un'altra pericolosa missione. Yamato si recò dunque al santuario di Ise e chiese piangendo alla sacerdotessa della Dea, sua zia, se il padre voleva davvero mandarlo a morire (per comprendere il passaggio successivo, ossia l'affermazione di una divisione fra il dominio imperiale e quello divino, bisogna aggiungere che la sacerdotessa, mossa a compassione, ricompensa il principe donandogli una spada divina, ndr). Ritengo questo passaggio della storia cruciale, perchè mostra come ci sia una divisione  tra il dominio imperiale e gli dei. La divisione tra l'idea divina e l'idea imperiale si verifica davvero in questo passo del Kokiji, a mio parere. Quello che io chiamo l'Imperatore e l'imperatore in carne ed ossa che esercita il potere non sono la stessa cosa. L'imperatore terreno è l'imperatore politico, è spesso legato ai principi confuciani, o addirittura, dopo la restaurazione Meiji (il ritorno di un forte potere centrale imperiale dopo un periodo di dominio degli shogun, nel 1868, N.d.R.) a principi cristiani. La condotta monogama, per esempio, è diventata la norma per la popolazione, è rispettata quasi ovunque. Si tratta di uno sviluppo straordinariamente innaturale per gli esseri umani. Per me, l'Imperatore del Man'yōshū (万葉集 lett. "Raccolta di diecimila foglie", è la più antica collezione di poesie in stile giapponese giunta fino a noi, N.d.R.), al tempo in cui il libero accoppiamento era naturale, è più desiderabile della natura attuale dell'imperatore. Non so se la moderna istituzione imperiale persisterà come sta facendo ora, ma quando parlo dell'imperatore terreno, l'imperatore regnante, sto parlando chiaramente della forma del potere politico dell'imperatore. Quanto parlo dell'Imperatore, parlo degli imperatori del passato mitico, e di come desidererei riprodurre il loro ruolo in questo passato.


L'attuale imperatore terreno e l'illusoria struttura duale dell'imperatore esistono proprio perché l'imperatore esiste a questo livello dualistico. Se ci chiediamo il perché, troviamo una risposta nel fatto che, per esempio, l'imperatore Taisho (Yoshihito, 1879 - 1926, N.d.R.) era malaticcio, mentre l'imperatore Meiji era illustre ed eccellente (Mutsuhito, 1852 - 1912, N.d.R.). Guardate come fu l'uno e come fu l'altro; ciò ci dimostra che non c'è continuità nella singola personalità dell'imperatore. Se l'imperatore fosse davvero una singola entità puramente continua, allora l'individuo stesso non sarebbe un problema. Molti pensano che l'attuale versione dell'imperatore contraddistinta da un'eleganza straordinaria, una strana e mite eleganza rapportata agli odierni costumi, e proprio per quello lo amano e lo servirebbero in ogni circostanza: non c'è verso che io la pensi allo stesso modo. Questi sono i sentimenti di Koizumi Shinzou e dei Vecchi Liberali nei confronti dell'imperatore. La mia visione dell'imperatore è, come ho ribadito in precedenza, basato sui valori guerreschi del Giappone, in altre parole quella che precede ciò che accadde ad Hiroshima.

 

Traduzione di Stefano Bresciani
Stefano Bresciani, appassionato di cinema e cultura orientale, studia filosofia all'Università di Pavia.