Penne del Sol Levante - Una perfetta stanza di ospedale di Yoko Ogawa
Buon fine settimana affezionati lettori della rubrica Penne del Sol Levante! Oggi vi propongo una breve raccolta di racconti dell’autrice Yoko Ogawa. Come forse già saprete è la mia scrittrice preferita e ho ritrovato in questa magnifica antologia il suo stile caratteristico e i temi a lei più cari.
Il libro comprende due racconti brevi: Una perfetta stanza di ospedale e Quando la farfalla si sbriciolò. Nel primo, una donna si riavvicina al fratello malato, passando con lui tutto il suo tempo libero, nella stanza dell’ospedale universitario dov’é ricoverato. I due sono molto legati fin da bambini e hanno avuto un’infanzia difficile a causa dei problemi mentali della madre, ormai defunta. La protagonista ammira la perfezione della camera in cui il fratello giace a letto e mangia uva, l’unico alimento che il suo corpo ormai accetta. Pare quasi che tanto la stanza appare intonsa, lucente, pulita e perfetta, tanto più il ragazzo si consumi velocemente, ammalandosi sempre di più. Quasi che nella mente della donna, per sopravvivere a quel profondo dolore, lei debba veicolare la perfezione verso un oggetto inanimato e non più vederla nel corpo del fratello. Le ossessioni della donna risalgono alla sua adolescenza, al disordine e allo spreco di cibo che regnavano nella sua casa, da quando la madre si era ammalata. Sono queste stesse fobie a incanalare la sua visione della vita e del mondo, distorcendola.
Il secondo racconto narra la vicenda di Nanako, che si trova costretta a portare sua nonna Sae in un ospizio. La donna è ormai immobile nel letto, non si alza più e non vuole mangiare, per questo motivo, in cerca d’aiuto, la ragazza decide di affidarla a una casa di riposo. Quando ritorna a casa, però, l’assenza è straziante e lei si sente svuotata di tutto, confusa e incapace di distinguere quella nuova realtà solitaria dalla pazzia.
La scrittura di Yoko Ogawa ci dona due scorci di donne incredibili. Le descrizioni minuziose, accattivanti, morbose rendono questa raccolta simbolica dell’intera produzione letteraria dell’autrice. Se volete saperne di più su di lei, vi lascio alla recensione su Penne d’Oriente. Buona lettura!
Lo Shintō - La religione autoctona del Giappone
Le origini dello Shintō
Considerata la religione nativa del Giappone, le origini dello Shintō si sono perse nel tempo. Sviluppatosi parallelamente al Buddhismo, una netta divisione tra i due fu data solo in epoca Meiji (1868), quando fu dichiarato religione di stato.
Lo Shintō ha un ruolo chiave all’interno dell’istituzione imperiale, come anche confermato dai classici della letteratura giapponese Kojiki (712) e Nihon Shoki (720), i quali identificano Jinmu (discendente della dea del sole Amaterasu) come il primo imperatore della nazione.
I santuari (jinja) sono i luoghi-simbolo dello Shintō e condividono caratteristiche comuni, quali avere dei portali (torii) al suo ingresso e delle corde (shimenawa) adiacenti al luogo di culto, quest’ultimo spesso circondato da un recinto di legno. Spesso i santuari si trovano al centro di ambienti naturali, come anche ai piedi o sulla cima di un monte, vicino a foreste o a cascate: questi infatti sono ritenuti essere la dimora naturale dei kami, le divinità.
In Giappone esistono circa 100,000 santuari, la maggior parte appartenenti al Jinja Honchō, un’organizzazione caritatevole con base a Tōkyō, mentre il resto sono dedicati a Inari, dio del riso, e fanno capo al santuario Fushimi Inari di Kyoto. Data la sua lunga storia, in Giappone è possibile trovare costruzioni shintoiste di epoche molte diverse tra loro: antiche come quelle di Ise e Izumo, o moderne come i santuari Meiji e Yasukuni di Tōkyō. I sacerdoti shintoisti si riconoscono per il caratteristico copricapo nero (eboshi), per gli abiti di seta bianca e per lo shaku, uno strumento in legno usato nelle cerimonie.
Sebbene quello giapponese sia un popolo che difficilmente può essere considerato “religioso” come noi intendiamo, la maggioranza di esso partecipa regolarmente agli eventi dei santuari. La credenza fondamentale è che il kami, richiamato per mezzo della corretta procedura, possa garantire i suoi favori al praticante a prescindere dalla particolare identità o provenienza di quest’ultimo. Le richieste alle divinità spaziano dall’aver successo negli esami, alla guarigione da malattie, alla longevità, alla prosperità di un’attività commerciale, ad un felice matrimonio ecc.
Ogni santuario ha i suoi giorni di festa (matsuri) ma certi eventi, a cui ogni anno moltissimi giapponesi prendono parte, accomunano il calendario rituale shintoista: l’inizio del nuovo anno; la festa delle bambole (hinomatsuri) il 5 Marzo; il giorno dei bambini (tango no sekku) il 5 Maggio; le feste Tanabata e Bon a Luglio e il festival del raccolto autunnale. Allo stesso modo, la venuta al mondo di un neonato, le speciali cerimonie di Novembre per i bambini di tre, cinque e sette anni, come anche la festa per la maggiore età (seijin no hi) e i matrimoni, offrono altre occasioni per praticare lo Shinto.
Nell’entrare in un santuario shintoista ci si attiene a un certo rituale di purificazione psico-fisica che comincia dal padiglione dell’acqua (temizuya). Simbolicamente, ci si lavano le mani e la bocca prima di accedere all’altare. Quì ci si inchina, si battono le mani e si prega, dopodiché si procede col fare un’offerta e suonare la campana (suzu) per richiamare su di sé l’attenzione della divinità.
Penne del Sol Levante - Sei Quattro di Hideo Yokoyama
Buon weekend lettori, bentornati alla nostra rubrica letteraria. Oggi vi parlo di un giallo poliziesco molto particolare, uscito in Italia l’anno scorso, Sei Quattro di Hideo Yokoyama.
Tutto ruota intorno alla figura del poliziotto Mikami, assegnato alla sezione dedicata ai rapporti con i giornalisti. Proveniente dal reparto investigativo veste malamente i panni di addetto stampa, si sente declassato e sogna di poter ritornare al suo vecchio incarico. Nel frattempo, ad esacerbare la situazione, si creano situazioni spiacevoli con i giornalisti e Mikami viene coinvolto, suo malgrado, in un caso del tutto particolare.
Il capo della Polizia, infatti, sta organizzando una visita in città per incontrare Amamiya Yoshio, testimone di un vecchio caso risalente a quattordici anni prima. Il rapimento di sua figlia, una bambina di sette anni di nome Shoko, rimasto insoluto dopo che il rapitore era riuscito a prelevare il riscatto. Il cadavere della bimba era stato ritrovato poche ore più tardi e la polizia non possedeva alcun indizio per individuare il colpevole. Per la famiglia era stato un colpo senza ritorno.
Quando Mikami si reca dall’uomo per organizzare l’incontro con il capo della Polizia, Amamiya Yoshio gli dice che non c’è alcun bisogno di farlo. Si evince chiaramente che è successo qualcosa ai tempi del rapimento finito male, cosa si nasconde nei rapporti dei poliziotti della squadra mobile che si occupavano del caso? Qualcuno sta nascondendo qualcosa, ma cosa? Chi ne è responsabile? E perché sembra ci sia un altro poliziotto che indaga e precede il protagonista presso tutti i testimoni?
A questa situazione d’incertezza e confusione si aggiunge la scomparsa improvvisa della figlia di Mikami, Ayumi, un’adolescente problematica sparita nel nulla senza lasciare traccia. I poliziotti di tutto il Giappone la stanno cercando senza sosta, senza successo. Le telefonate mute che ricevono i coniugi Mikami turbano le loro nottate e condizionano ogni azione alla luce del sole. E' Ayumi che chiama? Perché non parla? Dove si trova?
Ci troviamo di fronte a un romanzo giallo-poliziesco sui generis, dalla trama fitta e intimistica. Sono le riflessioni personali del protagonista ad accompagnarci per tutta la storia, piuttosto che le classiche indagini poliziesche. Se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente. Buona lettura!
Penne del Sol Levante - L'uomo che voleva uccidermi di Yoshida Shuichi
Benvenuti all’appuntamento settimanale con gli scrittori nipponici, oggi parliamo di un romanzo uscito appena l’anno scorso, un giallo davvero particolare, L’uomo che voleva uccidermi di Yoshida Shuichi.
È un romanzo corale, dove varie voci si intersecano e sovrappongono allontanandoci sempre di più dalla verità finale. Ci ritroviamo così a rincorrere il colpevole senza sosta, sempre più confusi.
Sulla statale 263 che collega Fukuoka a Saga, nel sud-ovest del Giappone, all’altezza del valico di Mitsuse, viene ritrovato il cadavere della giovane Ishibashi Yoshino, impiegata in un agenzia assicurativa di Fukuoka. La ragazza aveva passato la serata con le amiche, confidando loro di avere un appuntamento al parco cittadino con il suo fidanzato Masuo. Qualche capitolo più tardi scopriamo che in realtà l’incontro era con qualcun altro, un tale conosciuto su un sito di appuntamenti, Shimizu Yuichi. Ma è andata davvero così? Qual è la verità? Chi ha incontrato davvero Yoshino? E chi l’ha portata fino al valico per ucciderla a sangue freddo? Perché sia Masuo che Yuichi continuano a scappare? Chi è la donna sconosciuta che accompagna quest’ultimo nella sua fuga disperata?
Tutti gli indagati paiono nascondersi e l’indagine si ferma a un punto morto. Uno dopo l’altro conosciamo tutte le persone coinvolte e nessuna pare dirci la verità fino in fondo, ogni personaggio ci racconta la sua versione dei fatti, apparentemente in contrasto con quella di tutti gli altri. Si dipana così una storia difficile da comprendere e dal finale inaspettato.
Nel panorama della letteratura nipponica contemporanea sono ben pochi i romanzi crime che vengono tradotti per noi, purtroppo, e questo si inserisce in questa cerchia ristretta. La trama è interessante e lo svolgimento per nulla banale, il tutto avvolto da una solida struttura narrativa e uno stile di scrittura semplice e rapido, direi disincantato e parco di lunghe descrizioni.
Se il libro vi incuriosisce venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente! Vi auguro un buon fine settimana.
Penne del Sol Levante - La voce delle onde di Yukio Mishima
Bentornati alla rubrica Penne del Sol levante, oggi vi parlo di un mostro sacro della letteratura nipponica, Yukio Mishima e del suo romanzo La voce delle onde.
Forse non uno dei più famosi tra tutti quelli che ha composto, ma sicuramente il mio preferito fino ad ora.
È la storia di due giovani pescatori, Shinji e Hatsue, che vivono a Uta-jima, anche chiamata Isola del canto dai suoi pochi abitanti. I due ragazzi conducono esistenze semplici, dipendenti dal mare e dai suoi capricci. Lui, Shinji, ha appena diciotto anni e vive con la madre e il fratellino; lavora ogni giorno su un’imbarcazione da pesca a motore, alla ricerca di pesci e molluschi. Lei fa la pescatrice di perle ed è la figlia dell’uomo più ricco dell’isola. La loro storia si consumerà al santuario di Yashiro, dedicato al dio del mare, che sovrasta l’isola dal crinale più alto.
I due s’incontrano per caso un tardo pomeriggio, lui è appena sbarcato dalla nave dopo una lunga giornata lontano dalla terraferma. Intravede un volto nuovo vicino a una catasta di attrezzi, è la giovane che si riposa ascoltando il rumore delle onde. Dall’incontro si dipanerà una vicenda d’amore, tragica e dolce; altri personaggi entreranno a far parte della storia, modificandone le sorti nel bene e nel male.
Yukio Mishima è ormai considerato uno degli scrittori classici della letteratura giapponese, ma a mio parere la sua volontà di indagare nell’animo umano, le azioni e i comportamenti dei suoi personaggi, la sua capacità di scavare nell’inconscio e mettere a nudo l’aspetto psicologico dei protagonisti dei suoi romanzi, lo avvicinano ad alcuni degli autori contemporanei di maggiore successo. Questo è ciò che caratterizza il suo stile e ciò che più mi colpisce, ogni volta, quando leggo i suoi scritti. Questo romanzo in particolare non fa eccezione e l’autore focalizza la sua bravura nell’esporci le conseguenze più intime di questo incontro fortuito tra Shinji e Hatsue.
Sperando di avervi incuriosito, vi lascio alla recensione completa su Penne d’Oriente.
Buona lettura!
Penne del Sol Levante - La Casa della luce di Yoko Ogawa
Buon venerdì lettori! Oggi voglio parlarvi della mia scrittrice prediletta, Yoko Ogawa e della sua breve raccolta di racconti intitolata La Casa della Luce.
Si tratta di tre storie narrateci in prima persona da due ragazze e una donna. In queste vicende il tema fondamentale è l’adolescenza, l’estraniamento dalla realtà, la ricerca di un posto nel mondo che possa essere definito proprio. Siamo di fronte alla scrittura tipica della Ogawa, cruda, diretta, alla ricerca costante del piccolo neo, del difetto comune, in una situazione apparentemente idilliaca. Come nel caso del primo scritto, in cui una ragazza ci racconta la gravidanza della sorella maggiore. Vivono tutti e tre, con il cognato, in un piccolo appartamento; l’occhio della ragazza è indiscreto e reagisce ai cambiamenti fisici e comportamentali della sorella, dovuti alla gravidanza, con sguardo stonato, disincantato, morboso.
Nel secondo racconto una donna, in attesa che il marito le scriva di raggiungerlo in Svezia dove si è recato per lavoro, aiuta il giovane cugino a trovare un pensionato studentesco. L’edificio, però, pare avvolto da superstizioni e leggende. Tanto che quando lei ritornerà per incontrarlo scoprirà che il ragazzo è scomparso nel nulla, come se il dormitorio stesso l’avesse inglobato.
L’ultima storia del libro di Yoko Ogawa, che dà il titolo alla vicenda, ci viene narrata da Aya. La ragazza è figlia dei gestori di una casa d’accoglienza per bambini e ragazzi senza famiglia. Diventando i suoi genitori padri e madri di tutti gli ospiti della Casa della luce, Aya si sente quella meno amata. L’unica persona con cui vuole e desidera costruire un rapporto, creare un contatto sincero e umano, è Jun. Il ragazzo è ospite della Casa e un abile nuotatore, lei infatti passa i suoi pomeriggi a guardarlo mentre si allena in piscina.
In questa raccolta Yoko Ogawa ci pone di fronte a delle macchie nere su un foglio immacolato, sbagli, sbavature che non dovrebbero esserci ma che ci sono. La scrittrice ama molto sottolineare le piccole manie, le pericolose morbosità insite nella natura umana, nella persona più comune di tutte. Questa è la vera forza del suo stile e la particolarità che la contraddistingue rispetto agli altri autori.
Sperando che questo articolo vi abbia incuriosito, vi rimando come sempre alla recensione completa su Penne d'Oriente. Buona lettura!
Mishima contro gli studenti - Il dibattito | Seconda parte
Continuiamo la pubblicazione del lungo dibattito tra lo scrittore Yukio Mishima e gli esponenti delle associazioni studentesche giapponesi, di cui potete trovare la prima parte a questo link. La discussione - che fu molto accesa - mette in luce alcune delle idee e delle tematiche care a Mishima, aiutandoci nella comprensione di questa figura estremamente complessa e per certi versi enigmatica. Buona lettura!
Mishima critica l'idea di una teleologia della storia, riflettendo sulle parole, sul loro significato, sul subconscio collettivo e sul tempo in generale
... A partire da quello che hai detto, tu sostieni che una comprensione accettabile del presente potrebbe essere contenuta in una spiegazione teleologica? Sì, ciò sembra pertinente con il tuo argomento. Avrei qualcosa da ridere su di essa, ma proviamo a pensare alla sua continuazione logica nel futuro. E' una possibile via di comprensione. Per me, è assolutamente impossibile approcciare la comprensione del presente mediante un approccio teleologico. Di conseguenza, il presente e il passato, o anche il futuro, hanno la loro dimensione completamente diversa e separata dalle altre, e tali devono essere considerati.
Io non sono né un pittore né un musicista; sono solo uno scrittore. Queste sono solo parole, giusto? In una comunità, l'arte del linguaggio, della poesia e affini, esiste solo grazie alle corrispondenze create dalle parole, e perciò se io, che sono qui davanti a voi, signore e signori, cominciassi a parlare in russo, ebbene quanti di voi potrebbero capirmi? L'unicità del giapponese come mezzo di comunicazione dipende da un accordo volontario sul suo significato, anche se, forse, non potremmo mai raggiungere tale accordo. Nonostante le parole siano insufficienti per descrivere qualcosa, tentiamo di usarle continuamente. Perciò, se le mie parole non hanno un significato consistente e persistente, esse non hanno il potere di essere trasmesse a voi, signore e signori. Tuttavia, se le mie prime parole verso di voi fossero state qualcosa come, per dire, la pubblicità di una penna stilografica, il significato inscritto in esse sarebbe stato totalmente diverso. Quello che genera il significato nelle parole è la loro fissità, non solo nello spazio che descrivono ma anche nella loro consistenza e ordine nel tempo, e la nostra comune comprensione; se dobbiamo usare le parole, esse devono avere questa fissità nel corso del tempo per essere comprensibili e significanti. Possiamo seguire questo ragionamento per determinare che le parole appartengono al passato. Questo tuttavia non è il caso per la generazione iniziale di un linguaggio; in ogni generazione avviene un raffinarsi del linguaggio e della letteratura e il significato delle parole viene all'essere mediante questo raffinarsi. Le parole che uso come mio materiale da scrittore, devono avere il loro precedente nel passato. Quello che riconosco come il presente, invece, lo posso solo descrivere attingendo dalla mia coscienza di cose e idee intorno a me; devo scegliere dal mio armamentario un'idea che serva allo scopo del mio Io attuale, e portarla fuori, nel mondo. Questa selezione ha sempre luogo, poiché una frase è costituita parola per parola, e anche le decisioni più piccole devono essere ponderate: dovrei dire "La donna sta sorridendo" o "La donna sorride"? Dovrei dire "Come un fiore, sorrise", nello stile riconoscibile di Kawabata Yasunari (premio Nobel per la letteratura, amico e mentore di Mishima, morì anch'egli suicida nel 1972, N.d.R.), qualcosa che tutti si aspetterebbero da me? [Mishima ride] Dovrei dire che "Come una triste luna, ella portava un contegno ameno", come potremmo aspettarci da qualcun altro? Inoltre, non è solo la scelta delle parole che deve essere presa in esame nella costruzione del linguaggio, ma anche la disposizione di tali parole. Così è come faccio io, così è come avviene il processo di selezione.
Per me, al contrario di chi presenta il passato e il presente come cose appartenenti alla stessa dimensione, riferirsi al passato è riferirsi al lungo effetto cumulativo del passato, e alla conseguente accumulazione di cultura; questa stessa accumulazione dovrebbe essere tenuta in grande considerazione. Il mio sentimento, il mio avere a cuore le eredità culturali del passato, oggi è disprezzato. E questo perché si è arrivato a considerare tali sentimenti inutili e morti. Anche se non vorrei fare nomi, Nakamura Shinichiro (scrittore giapponese, N.d.R.) e le persone a lui affini, la loro idea sul culturalismo, (bunkashugi, lett. "dominio della cultura") è qualcosa che ho odiato per molto tempo. E questo perché ritengono la cultura solo una serie di relitti venuti dal passato. Essi stessi non riescono a evitare il fatto che il loro lavoro e la loro persona imitano questi relitti; sono intrappolati nella stessa cultura che essi criticano. Per me, la cultura è sia l'accumulazione di idee nel tempo, sia la continuità con l'Io, che si forma nel presente. Nel momento in cui esteriorizziamo la cultura, la interiorizziamo simultaneamente, nel corso del processo di selezione delle idee; esso è ciò che guida la nostra condotta ogni momento. Questi comportamenti e l'accumulazione di scelte su altre scelte modellano la forma delle opere d'arte, delle opere scientifiche, e via dicendo, ma se sorpassiamo, se tentiamo di andare oltre le opere del passato, finiamo per creare qualcosa che verrà immediatamente respinto in un passato. In questo modo, viviamo la stessa vita degli scrittori.
Adesso sarebbe un buon momento per chiedere: cos'è il futuro? Il futuro è un verso libero; è ciò che non è codificato. Il futuro, nel suo stato fluido, è qualcosa che pressiamo mediante i nostri atti di selezione istantanei. Continuando a pressare, il futuro prende forma, ma non appena si solidifica diventa insulso e noioso. E continuiamo a pressarlo questo fluido che diventa solido, e quindi diventa di nuovo noioso, e così avanti a pressare e a vivere la nostra vita, giusto? Ad ogni modo, io trovo questa idea dello stato fluido del futuro un qualcosa su cui non valga la pena scommettere: io vivo nel momento presente, nel momento che sto vivendo ora. Per me, il futuro, il presente e il passato non hanno alcuna relazione significativa; non credo in una teleologia che può intervenire per mediare la loro esistenza. Questo è quello che vorrei dirvi, questa è la mia posizione sulla questione.
Mishima parla della sua concezione dell'imperatore, in una sorta di teologia negativa, e critica l'idea attuale di imperatore
A dire la verità, potrei parlare molto a lungo della questione dell'imperatore. Per voi va bene? Penso che l'imperatore attuale debba starsene nella parte interna del palazzo (detto ridendo, è un eufemismo che sta a significare "nel suo harem, nel suo cantuccio", N.d.R.). Parlando seriamente, direi che il mio punto di vista sull'imperatore è totalmente diverso da quello tipico della cosiddetta Destra. Penso che sia abbastanza chiaro se si ha dimestichezza con il Kojiki (古事記, lett. "Cronache di antichi eventi". È il più antico testo narrativo giapponese pervenutoci, che narra le origini mitologiche del Giappone e di alcune divinità shintoiste, N.d.R.). Il volume finale si apre con il tema della benevolenza dell'imperatore. Se ci chiediamo che significato ha tutto ciò, ci rendiamo conto che la forma di benevolenza di un imperatore confuciano ci è stata imposta erroneamente. Anche la visione dell'imperatore come "colui che ha tenuto i cuori del popolo attivi e prosperi" è stata imposta allo stesso modo. Questa è la traccia che è stata sempre seguita, a partire dal rescritto imperiale (la risposta scritta che l'imperatore dava su questioni di diritto a lui sottoposte, N.d.R.) sull'educazione. Eppure ritengo che l'immagine dell'imperatore nel Kojiki sia totalmente diversa rispetto alla nozione di virtù esposta nel rescritto imperiale sull'educazione. Lì vi è infatti scritto di esercitare "pietà filiale verso i genitori, cameratismo verso i fratelli"; ma nelle cronache del Kojiki l'imperatore e i suoi fratelli non ebbero scrupoli nell'uccidersi fra loro, e non mostrarono ai loro genitori nemmeno un briciolo di riverenza, e la linea di discendenza imperiale non comprende affatto solo chi non ha mai fatto qualcosa di davvero immorale. Su tale punto, vorrei evidenziare quale sia per me la parte più significativa del Kokiji, ossia il mito di Yamato Takeru no Mikoto (lett. "il coraggioso principe di Yamato", personaggio a metà tra la storia e il mito, si pensa che abbia soffocato una serie di rivolte contro il potere centrale e che abbia così contribuito all'unificazione del paese, N.d.R.). La parte del Kokiji in cui si parla del principe non riguarda solo lui, ma anche il significato delle arti e come tale significato sia tutt'uno con il concetto di imperatore. Questo s'intende, infatti, quando si parla della divinità del principe imperiale. Se vogliamo avvicinarci al significato di questa storia, dobbiamo prima capire un evento precedente: il padre di Yamato, l'Imperatore Keiko, fu colpito dalla visione di una donna meravigliosa mentre passeggiava per la campagna. Pianificò di portarla a corte, dichiarando che sarebbe stata la moglie del fratello maggiore di Yamato. A quel punto, il suddetto fratello, Oousu no Mikoto, durante il viaggio si accoppiò con lei e la nascose. In seguito, trovò un'altra donna, la portò a corte e la additò come la bellissima donna in questione, e anche se l'imperatore Keiko era notoriamente irritabile, non disse nulla e lasciò la faccenda così com'era. Yamato, il fratello più giovane, pensò per qualche tempo che ciò che aveva fatto il fratello fosse orribile, avendo mancato di rispetto al padre. Un giorno, durante la colazione, Oousu non si fece vedere, e l'imperatore disse a Yamato: "Perchè mai tuo fratello non è ancora arrivato? Vai a cercare mio figlio!". Yamato entrò, esitante, nella stanza del fratello, e lo uccise improvvisamente, facendolo a pezzi; quando giunse la notizia all'imperatore, questi spedì il più lontano possibile il principe. Durante tale pericolosa spedizione, tuttavia, Yamato non solo sopravvisse, ma si distinse e ritornò a casa; solo per poi essere assegnato ad un'altra pericolosa missione. Yamato si recò dunque al santuario di Ise e chiese piangendo alla sacerdotessa della Dea, sua zia, se il padre voleva davvero mandarlo a morire (per comprendere il passaggio successivo, ossia l'affermazione di una divisione fra il dominio imperiale e quello divino, bisogna aggiungere che la sacerdotessa, mossa a compassione, ricompensa il principe donandogli una spada divina, ndr). Ritengo questo passaggio della storia cruciale, perchè mostra come ci sia una divisione tra il dominio imperiale e gli dei. La divisione tra l'idea divina e l'idea imperiale si verifica davvero in questo passo del Kokiji, a mio parere. Quello che io chiamo l'Imperatore e l'imperatore in carne ed ossa che esercita il potere non sono la stessa cosa. L'imperatore terreno è l'imperatore politico, è spesso legato ai principi confuciani, o addirittura, dopo la restaurazione Meiji (il ritorno di un forte potere centrale imperiale dopo un periodo di dominio degli shogun, nel 1868, N.d.R.) a principi cristiani. La condotta monogama, per esempio, è diventata la norma per la popolazione, è rispettata quasi ovunque. Si tratta di uno sviluppo straordinariamente innaturale per gli esseri umani. Per me, l'Imperatore del Man'yōshū (万葉集 lett. "Raccolta di diecimila foglie", è la più antica collezione di poesie in stile giapponese giunta fino a noi, N.d.R.), al tempo in cui il libero accoppiamento era naturale, è più desiderabile della natura attuale dell'imperatore. Non so se la moderna istituzione imperiale persisterà come sta facendo ora, ma quando parlo dell'imperatore terreno, l'imperatore regnante, sto parlando chiaramente della forma del potere politico dell'imperatore. Quanto parlo dell'Imperatore, parlo degli imperatori del passato mitico, e di come desidererei riprodurre il loro ruolo in questo passato.
L'attuale imperatore terreno e l'illusoria struttura duale dell'imperatore esistono proprio perché l'imperatore esiste a questo livello dualistico. Se ci chiediamo il perché, troviamo una risposta nel fatto che, per esempio, l'imperatore Taisho (Yoshihito, 1879 - 1926, N.d.R.) era malaticcio, mentre l'imperatore Meiji era illustre ed eccellente (Mutsuhito, 1852 - 1912, N.d.R.). Guardate come fu l'uno e come fu l'altro; ciò ci dimostra che non c'è continuità nella singola personalità dell'imperatore. Se l'imperatore fosse davvero una singola entità puramente continua, allora l'individuo stesso non sarebbe un problema. Molti pensano che l'attuale versione dell'imperatore contraddistinta da un'eleganza straordinaria, una strana e mite eleganza rapportata agli odierni costumi, e proprio per quello lo amano e lo servirebbero in ogni circostanza: non c'è verso che io la pensi allo stesso modo. Questi sono i sentimenti di Koizumi Shinzou e dei Vecchi Liberali nei confronti dell'imperatore. La mia visione dell'imperatore è, come ho ribadito in precedenza, basato sui valori guerreschi del Giappone, in altre parole quella che precede ciò che accadde ad Hiroshima.
Traduzione di Stefano Bresciani
Stefano Bresciani, appassionato di cinema e cultura orientale, studia filosofia all'Università di Pavia.
Mishima contro gli studenti - Il dibattito | Prima parte
Yukio Mishima (1925-1970) è senza dubbio uno dei più famosi e apprezzati autori giapponesi contemporanei. Oltre che ai suoi romanzi, tuttavia, la sua fama è anche tristemente legata al suo suicidio - eseguito tramite seppuku dopo aver occupato con una squadriglia paramilitare il ministero della difesa.
Pur rimanendo sempre distante dalla vita politica del suo Paese, Mishima aveva delle idee chiare e forti - talvolta persino scomode - che si rifanno al nazionalismo giapponese. L'esaltazione dell'Imperatore, ritenuto l'emblema dello spirito giapponese, la condanna della Costituzione redatta dopo la seconda guerra mondiale e della subordinazione - a suo parere ingiusta - agli Stati Uniti sono elementi chiave della sua visione storico-politica. Mishima dedicò la sua intera vita alla ricerca del connubio perfetto tra arte, bellezza e azione nel segno di quello che per lui era diventato il valore supremo, ossia il Giappone stesso.
Quelli che riportiamo nella traduzione di Stefano Bresciani sono alcuni frammenti tradotti in italiano del dibattito tenuto da Mishima all'Università di Tokyo, nel maggio del 1969. Durante tutto il 1968 e parte del 1969, associazioni studentesche come lo Zenkyōtō (全共闘, letteralmente "comitato di tutte le università unite nella lotta") e sindacati studenteschi come lo Zengakuren (全学連, nato nel 1948), sull'onda dei movimenti europei ed americani, protestarono contro la presenza massiccia di militari americani sul suolo giapponese, dovuta alla guerra in Vietnam. Si trattava principalmente di gruppi che lottavano anche in nome di istanze care all'estrema sinistra, la matrice opposta a quella in cui oggi lo scrittore viene collocato, spesso a sproposito.
Il dibattito fu acceso (è riportato come molti studenti urlassero e controbattessero ferocemente alle affermazioni dello scrittore) e documentato, anche da alcune fotografie. Dell'intero dibattito - di cui riportiamo solo alcuni brevi passaggi - esiste un'edizione cartacea in giapponese curata dagli stessi studenti che vi parteciparono all'epoca (oggi molti di loro sono affermati accademici). In quest'articolo iniziamo a riportare due punti del lungo dibattito. Per leggere la seconda parte, clicca qui.
Il parere di Mishima sui suoi uditori, i membri dello Zenkyōtō
In ogni caso, in quel periodo (Mishima sta parlando di quanto successo attorno al 1952, N.d.r.), c'era qualcosa che ho pensato guardando le facce delle autorità governative. Il 28 aprile (il giorno di quell'anno in cui il Giappone riacquistò la piena sovranità dall'occupazione degli Usa, N.d.r.), al mattino, nei loro occhi non c'era nulla che desse l'apparenza di ansia o disagio. Questo mi portò ad ammirarli straordinariamente, ma se fossi stato un membro dello Zengakuren, come mi sarei sentito?
Questo mi fece pensare al romanzo di Mauriac, Therese Desqueyroux. In quest'opera, una donna di nome Teresa mette del veleno nella bevanda del marito. Perché sta avvelenando suo marito? Forse lei non lo amava? Non possiamo saperlo con chiarezza. Forse lo odiava? Nemmeno questo si può dire con certezza. Sebbene non siamo capaci di definire chiaramente il movente, il fatto è che lei l'ha avvelenato. Anche se Mauriac stava cercando di affermare delle verità psicologiche, alla fine, Teresa uccise il coniuge perché "aveva visto ansia, paura, disagio negli occhi del marito". Questa è certamente la mia interpretazione, ma al di là di ciò voi, che mi state ascoltando, volete vedere la paura negli occhi delle autorità e del potere, e di questo non c'è dubbio. Ad essere onesti, è qualcosa che anche io vorrei vedere. Vogliamo vedere le stesse cose da una prospettiva diversa. Perché non sopporto gli esseri umani che si sentono sicuri, e a questo punto non mi piace proprio come si sono messe le cose. [ride]
Mishima parla della centralità del tempo nella creazione artistica
Studente (S): Oserei dire che le persone che si sono opposte alla Destra hanno costituito uno spazio specifico di lotta per tale obiettivo. Si avvicinano timidamente alla Destra e ne arrivano a contatto. Si misurano a partire da loro stessi, e come nelle Metamorfosi di Kafka, avanzano come un bruco. Trasformano il dibattito in una danza. Tuttavia la tua (di Mishima, N.d.r.) danza non pare simile alla loro. Anche se in questo dibattito si fanno collegamenti dall'inizio alla fine, non tocchiamo mai totalmente le cose di cui discutiamo.
Mishima (M): Questo tuttavia è dovuto alla natura delle parole, non trovate? La caratteristica speciale di ciò che chiamiamo “parole” è che non vengono mai a contatto con le cose che descrivono; ci provano con tutta la loro forza, ma non toccano, né diventano mai tali cose.
S: Ma, se posso permettermi, quando un lavoro creativo viene scritto, non ha bisogno di riconoscersi nella volontà del suo creatore, sbaglio? Si potrebbe dire che il lavoro creativo si crea, autonomamente, il proprio spazio.
M: Io stesso continuo a ripetere che, tuttavia, quello spazio autonomo, da solo, non è soddisfacente. Se lo conquisti senza aggiungere il tempo all'insieme, non vale nulla.
S: Beh, le cose si stanno facendo serie.
M: Per niente! [ride. Applauso generale]
Traduzione di Stefano Bresciani
Stefano Bresciani, appassionato di cinema e cultura orientale, studia filosofia all'Università di Pavia.
Penne del Sol Levante - Radio Imagination di Seiko Ito
Buongiorno lettori, ben tornati alla rubrica Penne del Sol Levante. Oggi vi racconto un libro unico nel suo genere, una storia fantasiosa ma iperealistica al tempo stesso. Vi presento Radio Imagination di Seiko Ito, edito da Neri Pozza.
Il romanzo è scritto in prima persona da un uomo imprigionato sulla cima di una cryptomeria giapponese, un albero sempreverde della famiglia dei cipressi. Il protagonista, che si darà il nome di DJ Ark, inizia a raccontare aneddoti ed eventi della sua vita come un vero e proprio speaker radiofonico. Tanto che ribattezza la sua radio Imagination. Al lettore, ma anche allo stesso DJ, è fin da subito chiaro che c’è qualcosa che non va nella sua stramba situazione: intanto non ha idea di come possa essere finito su un albero, né d’altro canto il motivo che lo tiene legato proprio lì. Lui però parla e racconta senza sosta al vuoto cosmico che lo circonda, alle persone che forse lo ascoltano...e in effetti un giorno iniziano ad arrivare delle “telefonate” a questa radio evanescente e immaginifica.
Persone, voci, intervengono e raccontano la loro vita, cosa gli è successo, perché si sono ritrovate d’improvviso a sentire Radio Imagination. Il romanzo da monologo si trasforma in coro.
Il mistero verrà svelato più avanti, grazie a una curiosa telefonata che renderà chiaro a tutti ciò che è già intuibile e lampante nel corso della lettura del romanzo di Seiko Ito.
Questo libro si inserisce benissimo in quella categoria di genere giapponese che io individuo nel post tragedia del marzo 2011, quando si susseguirono il terremoto, lo tsunami e la catastrofe nucleare della centrale di Fukushima. Come si può ben immaginare è stato un periodo terribile per i giapponesi (e non solo) e più autori hanno cercato di parlarne, nei modi più svariati. In questo caso la volontà è quella di pacificare gli spiriti dei tanti morti subiti dal paese e d’altra parte anche quella di accompagnare i vivi verso un futuro che ancora può e deve esistere, nonostante il dolore. A suo modo, e per questo motivo, è un libro che merita attenzione.
Nella speranza di avervi incuriosito, vi lascio con la recensione completa su Penne d’Oriente. Buon fine settimana!
Penne del Sol Levante - Battle Royale di Koushun Takami
Bentornati alla rubrica letteraria del fine settimana! Oggi parliamo di un bestseller, un caso letterario più unico che raro. In Giappone pare che sia il libro più letto di sempre, vi presento Battle Royale di Koushun Takami.
La Repubblica della Grande Asia dell’Est ogni anno indice un Programma, organizzato dall’Esercito e dal Governo interno. Vengono estratte a sorte varie classi di terza media e gli studenti prescelti sono destinati a una fine orribile. Nel nostro caso i ragazzi, usciti per quella che sembrava una banale gita scolastica, si risvegliano in un’aula sconosciuta, su un’isola deserta; al collo portano tutti un collare-radio elettronico. Qui un uomo spiega loro che sono stati scelti per partecipare al Programma e fa chiarezza sulle pochissime regole che dovranno rispettare. In realtà ce ne sarà una soltanto, molto semplice: uccidersi l’un l’altro finché non ne rimarrà uno solo. Il fortunato è destinato a vincere un vitalizio in denaro e un foglio autografato dal Grande Dittatore.
Agli studenti viene consegnata una borsa con cibo, acqua e un’arma a caso, da quel momento sono obbligati a uscire dall’edifico e la battaglia ha inizio, senza esclusione di colpi.
Con una scrittura affilata, cruda, sintetica Takami è riuscito a stravolgere il modo di guardare al durissimo sistema scolastico giapponese, alle estenuanti sessioni di studio, agli esami massacranti, alle alte prestazioni richieste anche a livello sociale. In molti hanno voluto vedere nel libro una forte disapprovazione verso questo metodo d’insegnamento, è stata una delle interpretazioni maggior mente condivise sul significato intrinseco della storia.
L’opera di Takami, osannata o fortemente biasimata, ha diviso l’opinione pubblica in Giappone e si è trasformata in un fenomeno di culto. Lo stesso autore ne ha poi tratto un manga, disegnato da Masayuki Taguchi e sono state prodotte serie televisive e film.
Se le mie parole vi hanno incuriosito, ecco a voi la recensione completa di Battle Royale su Penne d’Oriente. Alla prossima settimana e buona lettura!