FUSHIKADEN E AKUTAGAWA A SWITCH ON YOUR CREATIVITY 5TH EDITION – AWARDS AND PERFORMING NIGHT
Ultimo appuntamento del nostro viaggio nel mondo di Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night. Il 10 Dicembre, a partire dalle ore 18.30 presso il Novotel di Ca’ Granda, Asian Studies Group ospiterà noi di Giappone in Italia e i nostri tesserati, che per l’occasione avranno uno sconto sulla donazione d’ingresso, in una serata che si preannuncia estremamente ricca di temi ed iniziative.
Asian Studies Group è un’associazione famosa per la sua dedizione e impegno nella didattica delle lingue orientali. Non tutti sanno però che è anche un affermato produttore teatrale. In occasione di Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night, avremo l’opportunità di assaggiare ben due spettacoli, in versione ridotta per meglio adattarsi alla serata, appartenenti al catalogo di ASG-Produzioni: Fushikaden, Tenka no Emozione e Akutagawa, l’Uomo Oltre.
Il primo, con la regia di Paolo Cacciato, è stato premiato col 1° Premio alla Critica al Concorso Internazionale Teatro Nudo di Teresa Pomodoro. E’ un romanzo di formazione, dove una ragazza profondamente coinvolta
nella propria cultura giapponese, incontra improvvisamente un uomo affascinante proveniente da una cultura a lei sconosciuta e lontana. Lo scontro-incontro che ne consegue è ricco di tensione amorosa ma anche di sorpresa e paura. Paura per una cultura nuova e paura di scoprire qualcosa di sé nell’altro. Ma anche e soprattutto sorpresa e ammirazione per le sorprendenti possibilità di crescita di una ragazza nata e cresciuta con un limitato numero di modelli culturali in cui identificarsi. Uno scambio culturale che non si esprime a parole ma soprattutto e, anzi solamente, attraverso le emozioni, unico vero veicolo comunicativo universale.
La straordinaria interpretazione di Nana Funabiki, prima attrice, e di Michele Gorlero, accompagnata dal Pianoforte (Mari Miura) e dalla voce soprano (Mai Inaba), rappresentanti musicali del mondo occidentale e di quello orientale e la scenografia minimalista ma sorprendentemente evocativa di Makoto - Codice Bianco hanno testimoniato l’incredibile capacità comunicativa di questo spettacolo in occasione di ogni replica.
Akutagawa, l’Uomo Oltre, da una sceneggiatura originale di Paolo Cacciato, tratta della figura umana e delle suggestioni provenienti dagli ultimi scritti e da alcune lettere pubblicate postume dell’importante scrittore e poeta del Giappone moderno, Ryūnosuke Akutagawa. Da un’idea di Paolo Cacciato e Piera Rossi, Akutagawa verrà interpretato da Michele Gorlero, già mimo-attore presso il Teatro alla Scala dal 2016 e membro della compagnia di performance-art I figli di Marla. Siamo ansiosi di poter assistere a questa prova aperta di Akutagawa, l’Uomo Oltre, il cui debutto sarà atteso per il 2019.
Giappone in Italia è orgogliosa di poter partecipare a questo evento che si preannuncia capace di fornire a chiunque suggestioni e spunti di riflessioni. Toccando, come abbiamo visto anche nei precedenti appuntamenti temi quali il Design, la Musica e il Teatro, sappiamo che Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night si inserirà nelle nostre agende annuali come un appuntamento da non perdere.
Speriamo che tutti, e in particolare i nostri tesserati, assisteranno insieme a noi a questa serata così varia e ricca.
Noi ci saremo... e tu?
QUANDO: Lunedi 10 dicembre, dalle ore 18:30
DOVE: Novotel Ca’Granda, Viale Giovanni Suzzani 13, Milano
PER INFO: www.asianstudiesgroup.net
Per maggiori informazioni e per iscrivere la propria presenza contattare Asian Studies Group al 02 2951 3110 o a asg@asianstudiesgroup.net
EUROPA E ASIA IN CONCERTO A SWITCH ON YOUR CREATIVITY 5TH EDITION – AWARDS AND PERFORMING NIGHT
In questo secondo appuntamento di focus sulla serata del 10 Dicembre, presso il Novotel di Ca’ Granda dal titolo Switch on Your Creativity 5th Edition – Awards and performing Night, tratteremo di musica. Infatti in tale occasione saranno presenti rappresentanti della musica lirica provenienti dal mondo orientale e occidentale con un repertorio tratto dalla tradizione di entrambe le culture. Ricordiamo, come sempre, che in tale occasione i tesserati di Giappone in Italia avranno diritto ad uno sconto sulla donazione richiesta per sostenere Piattaforma CAI – Fondo per l’Arte, la Creatività e l’Innovazione.
Noi di Giappone in Italia siamo consapevoli che tra popoli con una storia e un passato così differenti possano sorgere contrasti originatisi da rivalità economiche e politiche, spesso ammantate da conflitti religiosi o culturali. Contrasti che troppo spesso assumono tratti razzisti e che portano ad episodi particolarmente infausti incisi nella nostra storia comune. Ma siamo anche consapevoli che è proprio dalla commistione di elementi provenienti da mondi differenti che si può percepire e imparare qualcosa di nuovo.
La musica occidentale può contribuire ad arricchire quella orientale, così come brani classici appartenenti al mondo cinese, coreano e giapponese possono aiutarci a scoprire sia qualcosa di loro che qualcosa di inaspettato in noi.
Concentrarsi esclusivamente sulla propria realtà porta ad un’inevitabile fossilizzazione culturale impedendo di essere capaci di reagire ai cambiamenti del nostro mondo nonché incapaci di fornire ai nuovi interlocutori, che il mutare sociale genera, ciò di cui hanno bisogno. E’ il continuo esplorare il diverso che permette di cogliere venature e riflessi nuovi anche nella propria secolare tradizione.
Ed è proprio nella serata di Switch on Your Creativity – Awards and Performing Night che noi di Giappone in Italia, sappiamo di poter imparare qualcosa di noi attraverso i repertori e le voci provienti dal mondo orientale e da quello occidentale. E’ in questa commistione che noi crediamo di poter trovare una comunicazione biunivoca che ci permetta di mettere da parte rivalità e inimicizie passate per riscoprire la gioia del considerarci tutti semplicemente umani… amanti della buona musica.
Europa e Asia in Concerto è il nome che è stato attribuito a questo insieme di performance di musica lirica sotto la Direzione Artistica di Paolo Cacciato e la Supervisione Artistica di Valentina Volpe Andreazza la quale ha già ricevuto un riconoscimento nell’ottobre del 2016 per il miglior contenuto interculturale tra Europa e Asia, consegnato da Asian Studies Group e da Expo in Città, come interprete e co-ideatrice del concerto “Europa e Asia in Musica” e che ha debuttato nel novembre dello stesso anno presso il Teatro “Alle Vigne” di Lodi, nello spettacolo “Fushikaden Tenka no Emotions – Lo spirito del fiore – Le emozioni del mondo”, interpretando arie della tradizione giapponese, in lingua originale.
Le straordinarie partecipazioni di Mai Inaba come soprano, di Tan Qipeng come baritono, di Kim Yunkyu come tenore e di Mari Miura al piano ci regaleranno un piccolo scorcio della cultura orientale.
Noi ci saremo… e tu?
QUANDO: Lunedi 10 dicembre, dalle ore 18:30
DOVE: Novotel Ca’Granda, Viale Giovanni Suzzani 13, Milano
PER INFO: www.asianstudiesgroup.net
Registered Office: Via Don Gnocchi 10, 26900 Lodi – Headquarter: Via B. Eustachi 9, 20129 Milano
Tel: +390229513110 – Fax: +390232066909 – Email: info@asianstudiesgroup.net
Shichi-Go-San (七五三) - Il festival dei bambini in Giappone
Il Festival Shichi-Go-San (七五三)
Lo Shichi-Go-San è una pietra miliare della tradizione giapponese che celebra il benessere dei bambini di tre, cinque e sette anni, la cui data ufficiale è il 15 novembre.
Tradizionalmente, per celebrare questo evento, i bambini indossano i kimono, vengono fotografati dalle famiglie e visitano i santuari shintoisti.
Shici-go-san significa letteralmente "sette, cinque e tre", in quanto questi anni di età sono considerati fondamentali nella vita di un bambino.
Le origini del festival
Si dice che il festival shichi-go-san abbia avuto inizio nel periodo Heian (794-1185), durante il quale esisteva la tradizione - tra i nobili - di celebrare la fine dell'infanzia dei propri figli.
La data venne istituita durante il periodo Kamakura (1185-1333) dallo Shogun Tsunayoshi Tokugawa, che scelse il 15 di novembre come giorno di celebrazione del rito di passaggio di età del figlio. Questa pratica si diffuse, nel corso del periodo Edo (1603-1868), anche nel resto della popolazione.
L'antica tradizione del shichi-go-san sopravvive e si continua a praticare anche ai giorni nostri. Tuttavia, attualmente il 15 novembre non è considerato giorno festivo e per questo motivo la celebrazione viene rimandata al weekend più vicino.
I genitori erano soliti celebrare lo shichi-go-san basandosi sull'antico metodo di conteggio giapponese di "kazoedoshi" (数え年; "Calcolo dell'età dell'Asia orientale"), in cui un bambino ha già 1 anno alla nascita e diventa un anno più vecchio ogni Capodanno.
Al giorno d'oggi invece, i genitori segnano lo shichi-go-san sulla base del modo occidentale di contare l'età.
Perché proprio gli anni 3, 5, 7?
Sin dai tempi antichi queste età hanno segnato il punto focale dei riti di passaggio. I genitori lasciavano crescere i capelli ai propri figli solo dopo aver compiuto i tre anni, come celebrazione della loro crescita - secondo il libro "Nenju Gyoji Girei Jiten" (年中行事・儀礼事典; "dizionario annuale della cerimonia degli eventi"). Questo evento è noto come "kamioki" (cerimonia in cui si lascia i capelli crescere.
All'età di cinque i bambini indossano il loro primo hakama (indumento tradizionale giapponese che somiglia ad una larga gonna-pantalone o una gonna a pieghe) in pubblico. Per quanto riguarda le bambine, compiuti i sette anni, indossando per la prima volta l'obi (fusciacca o cintura tipica giapponese indossata principalmente con i kimono).
La scelta di queste età specifiche è da ricercare nella filosofia cinese dello Yin-Yang, per la quale si ritiene che i numeri dispari portino fortuna.
Chitose Ame
Dopo la visita al santuario, i genitori comprano per i loro figli i chitose-ame (千年飴; "mille anni di caramelle").
La caramella ha la forma di un bastoncino bianco e rosa, ed è racchiuso in un pacchetto raffigurante le gru e le tartarughe - due animali che nella tradizione giapponese simboleggiano la longevità.
Tsuru wa sennen, kame wa mannen.
鶴 は 千年, 亀 は 万年
Le gru vivono per 1.000 anni, le tartarughe per 10.000 anni.
Il teatro Nō
Il Nō è un forma teatrale tradizionale giapponese, risalente al 14esimo secolo.
Primo codificatore del Nō fu Kannami Kiyotsugu (1333-1384) il quale, servendosi di testi preesistenti, vi introdusse canzoni e danze contemporanee. L’arte fu ulteriormente perfezionata da suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1443) che, a sua volta anche attore, pose l’accento sulla liricità delle canzoni, sulla potenza dei gesti e sulla precisa definizione dei personaggi, siano questi una donna graziosa o un inquietante fantasma. Ciò che lui identificò come la vera anima del Nō è lo yūgen, ovvero la sua attrattiva segreta (Yū, attrattiva e Gen, invisibile): al pari di un fiore di stagione che sboccia portando stupore e gioia, egli credeva che gli attori Nō dovessero avere dentro di sé questo fiore (Hana) ed essere in grado di rendere bella persino la rappresentazione di un demone.
Al momento di essere inscenato, il Nō segue un ordine giornaliero, detto Bangumi. Per primo troviamo uno Shugen (Nō dedicato agli Dei), ovvero uno spettacolo connesso a riti religiosi, come ringraziamento per aver protetto il Paese dai tempi remoti fino a quelli più recenti. Segue uno Shura, un dramma guerresco, rappresentante la pace che Dei e imperatori dettero per mezzo di archi e frecce. Lo Shura, al pari di un rito esorcistico, ha il compito di scacciare i demoni. Terzo viene il Kazura o Onna-mono, un dramma dedicato alle donne, proprio perché dopo la guerra, viene la pace: una pace che è anche calma misteriosa, nella quale si svolgono le imprese amorose. Quarto è l’Oni-Nō, il Nō degli spiriti, in quanto dopo la guerra c’è sì pace e gloria, ma queste sono in genere di breve durata: qui vengono mostrati i peccati e le lotte degli uomini, e vengono innalzati i cuori a Buddha, producendo quello stato d’animo chiamato Bodaishin. Il quinto dramma riguarda i doveri dell’uomo, ovvero Compassione, Giustizia, Gentilezza, Sapienza, e Fedeltà. Tra un Nō e l’altro troviamo inoltre una forma teatrale comica detta Kyogen, atta a smorzare la tensione. Per finire segue un altro Shugen, o scena congratulatoria, per invocare benedizioni sui presenti. Esso funge anche da monito dell’eterno ritorno del tutto.
In Giappone è sempre esistita una differenza tra il dramma serio e quello popolare. Il teatro Nō, col suo ordine di drammi consecutivi, ci propone una visione complessiva della vita. Al contrario del teatro occidentale, dove spesso ci troviamo di fronte a un problema specifico, nel Nō abbiamo una rappresentazione completa dell’esistenza umana.
Essendo inoltre una tradizione ininterrotta (tramandato per via ereditaria dalle sue figure principali, i Tayu), il Nō contiene in sé elementi caratteristici che sono assenti in altre tradizioni teatrali, quali rappresentazioni sacre e misteriche oltre che movimenti rituali. Alla base del Nō troviamo la danza religiosa e leggende locali di apparizioni di spiriti, oltre che che gesta eroiche e fatti storici. Esso è fusione di canto e recitazione.
Gli attori adoperano maschere per rappresentare gli spiriti, per gli dei e per le donne giovani.
Con l’era Tokugawa esso divenne lo spettacolo di corte degli Shōgun, e regole e restrizioni ne prevennero il mutamento nel tempo: prosa, linguaggio, canzoni, azioni, danze, strumenti, costumi e scenografie furono così mantenute.
Non è raro che in un'opera Nō si trovino solo due personaggi, il protagonista (Shite) e il suo supporto (Waki) il quale spesso, vestendo i panni di un viaggiatore, ha solo la funzione di permettere allo Shite di raccontare la sua storia. Generalmente, lo Shite esce di scena alla fine del primo atto per tornare, mostrando la sua vera identità (una divinità, una donna, un fantasma, un demone…) nel secondo atto.
Lo spettacolo Nō inizia con l’entrata in scena di musicisti e corali, i quali formano l’accompagnamento musicale (Hayashi) fatto di quattro strumenti: il flauto (Nō-Kan) e tre diversi tipi di tamburi.
Il palco è quadrato, aperto su tre lati e collegato da una passerella (Hashigakari). Un grande pino è dipinto sul pannello in fondo al palco. Esso, inamovibile, è simbolo di immutabilità. Ci sono inoltre tre veri pini, equidistanti tra loro, posizionati lungo l’Hashigakari, la cui diversa dimensione serve a dare l’idea della prospettiva. Questa disposizione floreale serve inoltre a ricordare i tempi in cui il Nō era inscenato all'aria aperta durante le cerimonia religiose.
Il Nō ha una trama semplice, i suoi testi sono composti da circa trecento battute, molto corti se paragonati alle mille e più battute delle tragedie greche. Il Nō predilige brevità e immediatezza: nelle sue rappresentazioni solo ciò che concerne il personaggio principale è mantenuto.
Nel Nō la natura ha un ruolo fondamentale. Sia infatti che la storia tratti di divinità, dell’ultimo istante di vita di un guerriero o di fantasmi, la rappresentazione si svolge all'esterno, circondata da elementi naturali. Le musiche trattano di altrettante tematiche naturali, come il lento cadere di petali su un fiume, il rintocco di una campana in un vecchio tempio di montagna, o il riflesso della luna sull'acqua di un pozzo. Inoltre, a determinate stagioni corrispondono altrettante opere Nō, per esempio l’opera Kamo, definito come Nō di giugno, è inscenato in estate, o precisamente nel mese di giugno.
Le azioni del Nō sono stilizzate e regolari: ogni situazione ha delle posizioni, posture, e gesti prescritti (kata) eseguiti dai personaggi. Il movimento di questi ultimi è intenzionalmente eseguito con lentezza.
Articolo di Marco Furio Mangani Camilli
Seiha Hogakukai e la musica tradizionale giapponese
Seiha Hogakukai è una prestigiosa istituzione musicale fondata nel 1913 da Utashito Nakashima per promuovere lo studio del koto nel Giappone moderno. A capo di questa scuola si trova ora Yasuko Nakashima, che nel 1978 ha rappresentato il Giappone all'UNESCO International Music Festival di Parigi, facendo conoscere Seiha in Europa e rendendola un punto di riferimento nella promozione della musica tradizionale giapponese in giro per il mondo.
Il gruppo Seiha combina una solida padronanza del repertorio classico a un rivoluzionario approccio verso la nuova musica. Con l'aumentare del numero di opere moderne affidate agli strumenti giapponesi, molti artisti contemporanei di koto hanno trascurato lo studio delle tecniche di melodia e ritmo tradizionali giapponesi, le quali si differenziano notevolmente dallo stile di composizione adottato nella musica moderna occidentale.
Yasuko Nakashima, invece, nonostante il forte desiderio di innovazione che l'ha ispirata negli anni a comporre e a fondare nel 1947 la Seiha Concert Ensemble, ha curato, a nome della sua scuola, una rigorosa antologia di musica classica che rimane un modello per le music library e la NHK (servizio pubblico radiotelevisivo nazionale giapponese).
I lavori del defunto marito, Yuize Shinichi, sono oggi considerate una parte essenziale del repertorio moderno, sia per le ensemble da camera che per le orchestre più grandi.
Oltre ad essere la più importante scuola di koto in Giappone, Seiha è l’unica ad offrire lezioni in inglese di strumenti tradizionali giapponesi. Queste lezioni sono tenute durante i corsi estivi di musica, organizzati nella città di Tokyo.
Nel 2013 è stato celebrato il centenario della Fondazione con un concerto commemorativo alla Kaikan Hall di Tokyo, dove si sono esibiti un migliaio di musicisti provenienti da tutto il mondo.
Kazuko Nakashima è l'attuale Gran Maestro della scuola di koto Seiha Hogakukai. La sua esperienza musicale conta un gran numero di risultati eccezionali. Durante la sua infanzia, oltre ad aver studiato pianoforte e composizione con i famosi pianisti Takejiro e Kozaburo Hirai, Kazuko ha approfondito la sua conoscenza degli strumenti tradizionali giapponesi grazie al padre, Yuize Shinichi, e al celebre musicista di shamisen Akiko Yazaki.
Dopo aver raggiunto nel 1986 il rango più alto nella Seiha, il Dai-Shihan (Grande Maestro), Kazuko Nakashima ha proseguito la sua carriera diventando una figura di rilievo nell'ambito dell'insegnamento musicale. La Nakashima si è esibita in numerosi teatri oltreoceano con la Seiha Hogakukai, in particolare alla Carnegie Hall nel 2009 con Yamamoto Hozan e al National Theatre of Spain nel 2014. Ha inoltre tenuto dei workshop a San Francisco e San Diego, in collaborazione con la succursale americana di Seiha.
Con i concerti di Milano, il gruppo Seiha spera di riuscire a diffondere la conoscenza del Sankyoku, il genere tradizionale giapponese cuore del repertorio del koto, anche in Italia. I brani di questo particolare genere di musica da camera sono concepiti per un ensemble composto da koto, voce, shamisen e shakuhachi (che sostituisce il vecchio kokyu, uno strumento ad arco simile all’erhu cinese).
Le composizioni musicali di Sankyoku sono veri e propri pilastri della storia della musica giapponese e offrono una suggestiva panoramica della pratica eterofonica di questo paese.
Gli spettatori sono invitati a fare un confronto tra questo genere, quintessenza della musica giapponese, e il contrappunto, tecnica che ha dominato la scena musicale corale italiana tra Rinascimento e Barocco.
Uno spettacolo unico, al quale è raro assistere anche in Giappone, nato per preservare le musiche tradizionali giapponesi e i suoi gli strumenti tradizionali anche con arrangiamenti moderni e dal tocco europeo.
Programma
7 Novembre
Laboratorio: 15:00 - 17:00
Concerto: 18:00 – 19:00
Sala Barozzi presso l'Istituto dei Ciechi di Milano, Via Vivaio, 7, 20122 Milano MI
Laboratorio di approccio base agli strumenti musicali aperto al pubblico; entrata libera. Posti a sedere senza prenotazione.
8 Novembre
Casa Verdi
Concerto privato per ospiti e affiliati di Casa Verdi.
9 Novembre
Laboratorio: 15:00 - 18:00
Concerto: 20:00 - 21:30
Auditorium Lattuada, Corso di Porta Vigentina, 15 / a, 20122 Milano MI
Con il patrocinio del Comune di Milano
Organizzato da: Seiha Chamber Orchestra of Japanese Instruments
Co-organizzatori: Istituto dei Ciechi di Milano (7 novembre), Casa Verdi (8 novembre), Civita Scuola di Musica Claudio Abbado (9 novembre)
In collaborazione con: Consolato Generale del Giappone a Milano, Comune di Milano, Associazione Culturale Giappone in Italia, Fondazione Italia Giappone
Tokyo Tsukiji
Abbiamo intervistato Nicola Tanzini, fotografo appassionato, che ha raccontato il mercato di Tsukiji a Tokyo, attraverso una serie di scatti oggi raccolti nel libro "Tokyo Tsukiji", edito da Contrasto
Come è nato questo progetto dedicato al mercato di Tsukiji?
Il progetto è nato casualmente. Ero a Tokyo per svolgere un lavoro fotografico, ma non avevo ipotizzato o preparato nulla su Tsukiji. Sono andato a Tsukiji da turista e, per caso, la prima volta che ci sono stato, sono arrivato quando le attività erano già concluse. Però ormai ero lì e quindi ho deciso di visitarlo: mentre stavo passeggiando per questa struttura enorme, sono stato colpito da una persona che, in maniera molto naturale, stava fumando una sigaretta. Ho cominciato a vedere che intorno a me c'erano tantissime persone che, come lui, si stavano rilassando in tanti modi diversi al termine della giornata di lavoro, dedicando un attimo a se stessi. Certo, una cosa normalissima che viviamo quotidianamente. Ma da lì è nata l'idea. Anche se il progetto è ambientato totalmente dentro il mercato del pesce, non è una rappresentazione di esso: è un lavoro che vuole affrontare un momento quotidiano normalissimo, all'interno di Tsukiji.
Devo dire che oggi questo lavoro sta assumendo anche un altro lavoro al quale io, con tutta onestà, non avevo pensato, che è quello di essere documento anche storico, visto che Tsukiji sta chiudendo e verrà spostato altrove. Ho appreso dalle tante persone con le quali mi sto confrontando, che questo lavoro piace proprio per il suo valore documentale, e la cosa mi fa molto piacere, anche se non era stato pensato con questo spirito
Ha avuto modo di confrontarsi con le persone fotografate?
C'è molta interazione nelle foto, non sono scatti rubati. Non sono ritratti posati, ma loro sapevano di essere fotografati, tranne quelle foto scattate mentre le persone stanno svolgendo un lavoro ecco. Non ho mai avuto riscontri negativi: mi ricordo solo di poche persone che mi hanno chiesto molto gentilmente di non essere fotografate e ho ovviamente rispettato la loro volontà. Un lavoro dedicato alla presentazione di uno stato d'animo e fisico non aveva bisogno di essere in qualche modo rubato: è tutto spontaneo nel senso che non c'è niente di posato, però nelle tante immagini dove c'è stata un'interazione, c'è stata un'assoluta accettazione della cosa da parte dell'interlocutore
Su quali progetti sta lavorando adesso?
Il lavoro su Tokyo non è ancora concluso. E comunque rientra in un progetto più ampio a cui sto lavorando, dedicato ad alcune grandi metropoli: New York, Shanghai, Tokyo, Milano e Londra. Un percorso abbastanza lungo ancora in fase di elaborazione. Un lungo reportage che vuole raccontare, attraverso aspetti particolari della città, sia le ambientazioni che le persone che la popolano.
Una selezione di 30 scatti è esposta fino al 4 novembre 2018 presso Leica Store di Milano: l'esposizione, curata da Benedetta Donato, è patrocinata dall'Istituto Giapponese di Cultura di Roma.
Intervista di Federica Lucrezia Tornaghi
Geisha - Il tirocinio
Continua il nostro viaggio alla scoperta del mondo delle Geisha. Dopo averne indagato le origini, affrontiamo ora il percorso che una giovane deve intraprendere presso le Okiya (Casa delle Geisha).
Lo Shikomi (apprendistato)
All’inizio sarà una Shikomi (仕込み), un’apprendista Maiko, e per un periodo di circa un anno il suo lavoro somiglierà a quello di una domestica. Dovrà, oltre a frequentare i corsi di musica, danza, canto e fare pratica di cerimonia del tè, attendere il rientro delle Maiko e Geisha dai loro impegni serali, di solito a notte inoltrata, e svegliarsi prima di loro per preparare il necessario per la loro nuova giornata di lavoro e poi recarsi ai corsi, che si tengono al Nyokouba (女紅場), la scuola dove si apprendono queste antiche arti dalle Iemoto (家元), le Gran Meastre. Dovrà imparare a indossare correttamente i kimono, ma anche imparare a piegarli e conservarli negli appositi armadi, lavoro non semplice. Per tutto il periodo come Shikomi, indosserà un semplice kimono di cotone. Inoltre un’apprendista di Kyoto dovrà assolutamente imparare il dialetto locale, il Kyo-Kotoba (京言葉)
Dal Minarai (見習い) al Misedashi (店出し)
La vita di una Geisha è segnata da alcuni passaggi e il primo si chiama Minarai (imparare osservando). Appreso per bene queste arti, entrerà nella fase Minarai della durata di circa un mese, dove l’apprendista Maiko può accedere agli Zashiki (座敷) per capire l’arte della conversazione e il modo corretto di servire i clienti. Il viso verrà truccato con la cipria bianca chiamata Shironuri. Appena avrà acquisito le competenze necessarie e il giorno prima di fare il Misedashi (店出し), il debutto come Maiko, dovrà fare la “cerimonia di sorellanza” con una Maiko già esperta, il sopraccitato San San Ku Do (三々九度 ). A questo punto è pronta per debuttare. Il Misedashi consiste in questo: dovrà recarsi in ogni singola Okiya e Ochaya del suo Hanamachi (花街) insieme all’Okasan (お母さん), presentandosi come nuova Maiko per chiedere di essere gentili con lei. L’Okasan si farà carico delle spese necessarie per il suo debutto, come quello di acquistare i kimono e tutto il necessario per le sue serate come Maiko.
In passato, fin da quando una Maiko veniva adottata dall’Okiya, l’Okasan prendeva scrupolosamente nota di tutte le spese sostenute per il suo mantenimento e per l’istruzione e quindi anche delle spese per il Misedashi. Diventava una Geisha verso i 14 anni con due riti molto importanti, il Mizuage (lett. sollevare le acque, in pratica la perdita della verginità) e l’Erikae (cambio del collare).
Il Mizuage (水揚げ)
Una Maiko era e doveva assolutamente restare vergine fino alla fine del suo apprendistato in attesa che un “defloratore” si offrisse per il suo Mizuage. Era obbligatorio e ogni singola Geisha (fino al 1958, quando la prostituzione fu abolita insieme a questo rituale) ha dovuto affrontarlo. Segnava il suo passaggio all'età adulta, anche dal punto di vista sessuale. Essendo le Maiko indebitate con l’Okasan fin dal loro ingresso nell’Okiya, il Mizuage era un’occasione per ridurre di molto il loro debito.
Appena ci si avvicinava all'età fatidica, i vari clienti cominciavano a farsi avanti per avere il privilegio di “far diventare una donna” la futura Geisha. Era una specie di asta e la Okasan doveva valutare, oltre alla cifra più alta, anche il prestigio sociale del pretendente, che di solito era un uomo di mezza età. Se una giovane non riceveva proposte e arrivava a 15 anni senza avere affrontato il Mizuage, avrebbe vissuto l’imbarazzo di sentirsi addosso gli sguardi di tutto l’Hanamachi, come se avesse qualcosa di strano per il quale non riusciva a trovare nessun pretendente. In questo caso intervenivano i “defloratori di professione”, uomini noti nella comunità come amanti delle Maiko ma non così ricchi da poter ambire al Mizuage di una Maiko di successo. Venivano contattati dalle Okasan per evitare che la propria protetta venisse a lungo derisa dalle colleghe e, visto che l’Hanamachi è una realtà estremamente piccola ed essendo una Maiko riconoscibile da molti aspetti del suo abbigliamento, una 15enne vestita e acconciata ancora da apprendista, non passava certo inosservata.
Riguardo la dura e triste esperienza del Mizuage, possiamo aggiungere che era sì un passaggio obbligato per ogni apprendista Geisha, ma la situazione non era poi molto diversa per le figlie di normali famiglie giapponesi, infatti, la prima notte di nozze di una qualunque altra ragazza era altrettanto spiacevole. La maggior parte dei matrimoni era combinata dalle famiglie e tipicamente gli sposi si conoscevano proprio nel giorno delle nozze. All'epoca quasi tutte le giovani avrebbero avuto quindi come primo amante, uno sconosciuto. La condizione di una Geisha, vista da questa prospettiva, era migliore di quella di una semplice ragazza, in quanto non avrebbe dovuto lavorare e convivere con la famiglia del marito, ma anzi, il “defloratore” o il “Danna” (旦那) l’avrebbe mantenuta e fatta vivere in una condizione di vita estremamente agiata. Bisogna sottolineare poi che era dovere della Okasan, oltre a quella di procurare un buon pretendente, quella di vigilare che la Geisha o ancora peggio la Maiko, non avesse amanti non ufficiali. Sarebbe stata una grave perdita di denaro e d’immagine se una Maiko non fosse arrivata vergine al Mizuage. La stessa cosa se una Geisha avesse avuto un amante mentre un Danna la manteneva.
L'Erikae (襟替え)
Erikae significa letteralmente “cambio del collare” (da rosso a bianco). Rappresentava, insieme al Mizuage, il passaggio all’età adulta, ma in realtà sono molte le cose che cambiano nell’abbigliamento da Maiko a Geisha, non solo il collare. Questi cambiamenti sono in uso tuttora:
- gli Okobo (おこぼ) sono tipici dell’abbigliamento di una Maiko, i Geta (下駄) quelli di una Geisha;
- le maniche del Kimono (Furisode 振袖) da lunghe diventano corte, quando si diventa una Geisha;
- l’acconciatura di una Maiko si chiama Ware Shinobu (割れ偲ぶ) ed è molto appariscente in quanto porta molti fermagli chiamati Kanzashi (che cambiano in base alle stagioni), una Geisha invece ha un look più serio e, sull'acconciatura chiamata Ofuku, avrà solo un paio di pettinini di tartaruga.
Un mese prima dell'Erikae, la Maiko porterà un acconciatura chiamata Sakko.
Articolo di Francesca Gambera
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La via del Samurai
Il periodo Tokugawa segna una fase di crisi per la figura del samurai. La classe sociale privilegiata si trova ora destituita dal proprio ruolo militare e dal punto di vista economico è legata a modelli superati. Si assiste così ad un aumentare della violenza, volta a dimostrare il coraggio e la destrezza militare dell’aristocrazia alla ricerca di una conferma della propria identità di classe, mentre gli shōgun procedono nell’opera pacificatrice del Giappone tentando di proibire i duelli che insanguinano il paese, e gli scontri mortali tra studenti dei diversi ryū ingaggiati per dimostrare la superiorità di una rispetto all’altra scuola. Parallelamente gli allievi delle scuole marziali perdono lo stimolo ad impadronirsi di tutte le tecniche utili in guerra per concentrarsi in maniera sempre più specialistica su una sola arte, che da quel momento avrebbe simbolicamente sostenuto lo status del guerriero; così molte scuole di arti marziali smettono di insegnare i colpi più efficaci in combattimento a favore delle tecniche più spettacolari ma di dubbia utilità pratica. Ciò che viene a mancare oltre all'efficacia tecnica è l’approfondimento degli aspetti psicologici che rendevano il samurai preparato ad affrontare i pericoli sul campo di battaglia. Oltre alle scuole che mantenevano stretta aderenza alla realtà del combattimento per cui erano nate, si aggiunge la tendenza ad applicare il bujutsu come “forma di comunicazione sociale, modellata sulle sequenze precise di un rituale fatti di gesti e armi usate simbolicamente, per esprimere un’idea, evocare uno stato d’animo, stabilire e confermare una tradizione”.
Con la fine del periodo feudale, si assiste però ad un ulteriore schema di sviluppo delle arti marziali: gradualmente alcuni maestri non solo accettano di buon grado la trasformazione delle loro arti belliche in metodi sostanzialmente pacifici, ma anzi la favoriscono, recuperando invece con forza l’aspetto psicologico del bujutsu, considerato ora soprattutto un metodo per migliorare il carattere dei suoi praticanti. Con il formalizzarsi delle arti marziali si ha quindi un recupero di valori etici che si ispirano alle grandi religioni orientali che si erano diffuse a più riprese in Giappone e stratificate nel corso dei secoli. Mentre scompare il ruolo storico del samurai con il mutare delle condizioni socioeconomiche, la sua figura di guerriero ideale viene mitizzata così da poter essere mantenuta come modello di comportamento. Questo fenomeno avviene contemporaneamente alla “modernizzazione” e “occidentalizzazione” del Giappone, che coincide anche con la prima divulgazione in occidente della cultura giapponese.
Tra i samurai era sempre esistita la consapevolezza del rapporto diretto tra nemico reale e il proprio limite interiore, ma mentre nel periodo medievale il samurai riteneva generalmente che superare le proprie difficoltà fosse indispensabile per poter sconfiggere il nemico, a partire dall’epoca Tokugawa è il confronto con un avversario a diventare utile come mezzo per aiutare il combattente ad entrare più direttamente in contatto con il proprio carattere. È molto interessante il ritrovare, nella storia giapponese, una tradizione di arti di combattimento (bugei), originariamente create per infliggere ferite e morte sui campi di battaglia, trasformate poi nella Via delle arti marziali (budō), che ha lo scopo di perfezionare l’individuo integrando mente, corpo e spirito.
Un riferimento di questo tipo si può anche associare alla regola confuciana del “governare se stessi per governare il popolo” in un’ottica quindi più politica che spirituale. Questo rovesciamento di mezzi e fini consentì comunque di continuare a riferirsi alla tradizione, reinterpretandola però in senso simbolico: se nel budō l’avversario fornisce l’occasione per superare i propri confitti interiori, egli viene considerato, in termini psicologici, una proiezione esterna delle nostre negatività inconsce che ci creano conflittualità. L’avversario quindi non è più un nemico da abbattere, ma solo metafora di ostacolo interiore da vincere, da superare. Le arti budō, da questo momento in poi, ci indicano un percorso di vita duro e difficile il cui significato simbolico insegna che si può diventare uomini migliori soltanto affrontando le proprie paure e difficoltà, godendo alla fine un’esistenza più piena. All’interno delle scuole di combattimento si cominciò quindi a riferirsi al samurai come figura ideale, non più come realtà storica ma come immagine archetipo di guerriero. La sua immagine venne così mitizzata, ripulita dagli aspetti più sconvenienti, come ad esempio la violenza gratuita di cui era capace nei confronti degli individui più deboli e la sua indifferenza rispetto ai principi etici universali proposti in Giappone dalle diverse tradizioni spirituali che si erano stratificate nel corso dei secoli. Così nelle rinnovate arti del budō, nel periodo Meiji, la figura del samurai acquista quel fascino che conserva ancora ai nostri occhi: egli diventa l’esempio di indomabile forza d’animo, levatura morale, coraggio nell'affrontare le difficoltà della vita, lealtà nei confronti dei propri richiami interiori senza cedimenti al compromesso. La maturazione di questo nuovo ideale fu dovuta ad un maggior approfondimento delle grandi tradizioni religiose presenti da secoli sul territorio nazionale, delle quali si accoglie il tentativo di rendere l’uomo migliore e più sereno su questa terra e non soltanto l’aspirazione a renderlo freddo e impassibile di fronte alla morte. Queste tradizioni concentrano l’attenzione sulla realizzazione dell’individuo nella vita presente, condizione che può essere raggiunta a prezzo di parecchi sacrifici e dedizione instancabile a particolari sistemi di tecniche capaci di veicolare l’esperienza trasformatrice. L’insieme delle tecniche marziali diventa allora solo una via per l’elevazione spirituale: a differenza dello sport, quello che conta non è tanto l’abilità tecnica in sé, quanto il grado di crescita interiore. Il praticante comincia l’apprendimento confrontandosi con il modello del guerriero: egli deve imparare la disciplina, la concentrazione, la forza di volontà e la perseveranza.
Articolo di Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato
Mono no aware e la concezione estetica del reale
Mono no aware è uno dei principi filosofici che maggiormente permea il pensiero giapponese. Una concezione estetica della realtà circostante, un differente approccio nei confronti della natura e del comportamento umano, la ritualità secondo la quale ogni gesto e ogni azione è diretta ad un fine preciso, un obiettivo che non avrebbe un significato se non collegato ad un insieme logico e coerente di norme d’equilibrio e armonia.
Mono no Aware
Il mono no aware può essere dunque visto come uno dei concetti che meglio esprime la weltanschauung giapponese, ossia la visione del mondo e delle cose e la sua categorizzazione. Alla base di questo pensiero possiamo cogliere una visione estetica dello scorrere del tempo e del suo fluire spontaneo nel corso irreversibile dei processi naturali: tutto, dalla vita umana agli elementi naturali alle cose, è soggetto al suo avanzamento inderogabile e ai suoi effetti visibili. Apprendere questa condizione porta nell'animo di chi la osserva e ne diviene cosciente una sensazione di malinconia e solitudine struggenti, e allo stesso tempo la presa di coscienza che la vita umana è così effimera e precaria che non ha senso affannarsi per essa.
Empatia verso le cose
Evidente l'influenza del pensiero taoista cinese nello sviluppo di questo principio, con la sua accettazione dello scorrere implacabile delle cose al quale non serve opporre resistenza, e allo stesso tempo la consapevolezza buddhista dell’inconsistenza materiale della realtà. Come conseguenza di questo pensiero tutto ciò che è segnato dall’età e dalla vecchiaia acquista nel pensiero giapponese un valore senza pari. La perfezione è tacciata come imperfezione e ciò che rende bello un oggetto è proprio ciò che in occidente lo segnerebbe come imperfetto e privo di valore. Mono no aware è infatti empatia verso le cose, ossia cogliere la bellezza nella fragilità e nell'imperfezione del''esistenza e sentirsi emotivamente partecipi di questa condizione.
Articolo di Eleonora Bertin
Il mondo di una Geisha
Una volta affermato il loro ruolo, le Geisha per oltre due secoli rimasero le indiscusse signore della vita notturna giapponese. Dettavano le mode, erano famose come le odierne attrici, le loro storie d’amore erano sulla bocca di tutti e i loro volti erano noti grazie alle stampe Ukiyoe. Erano delle dive. Alla celebrità seguirono però molte rigide regole non scritte, che portarono a una radicale formalizzazione della vita di queste donne. Soppiantando le Yujo, le donne di piacere, le Geisha riuscirono a diventare il simbolo di una nazione e sopravvivere sopravvivere anche agli sconvolgimenti sociali dovuti alla crescita tecnologica del proprio Paese.
Il mondo delle Geisha
Ci sono molti modi per definire il mondo delle Geisha: Karyukai, mondo del fiore e del salice, Mizu Shobai, commercio delle acque (vengono definite così tutte le attività legate alla vita notturna), Hanamachi, città dei fiori (i quartieri delle Geisha) o Ukiyo, mondo fluttuante. Gli Hanamachi a Kyoto sono sempre stati cinque: Gion Kobu, Pontocho, Kamishichiken, Miyagawacho e Gion Higashi. A Tokyo invece erano circa una ventina, tra i quali i più famosi erano Mukojima, Asakusa, Hanagibashi, Fukagawa, Yoshicho, Kagurazaka, Yanagibashi, Akasaka e Shinbashi.
A Kyoto le Geisha vivono e lavorano all'interno del loro quartiere. Se non risiedono nell’Okiya con la Madre, la Okasan, vivono sicuramente in un appartamento non troppo distante. A Tokyo invece non esiste questo concetto di vivere e lavorare nello stesso Hanamachi, ma le ragazze risiedono altrove e si recano nei vari Ryotei, i ristoranti dove sono richieste, come normali lavoratori. All’interno delle Okiya queste donne vivono il rapporto con le altre giovani della casa in una specie di sorellanza. Chiameranno le colleghe Maiko e Geisha Onesan (sorella maggiore) anche se hanno un età inferiore alla loro, perché possiedono maggiore esperienza. Possiamo paragonare la scelta di andare a vivere in un Okiya, con quella di un matrimonio in quanto in passato, le donne che si sposavano era come se venissero adottate dalla famiglia del marito. Andavano a vivere a casa dei genitori di lui e chiamavano Madre la suocera. La stessa cosa succedeva per le apprendiste Geisha, “sposavano” la famiglia che viveva in quella Okiya.
Il rito di iniziazione
Il rito che lega la sorella maggiore alla nuova apprendista è molto simile al rito nuziale Shintoista, si chiama San San Ku Do (3 volte 3, 9 volte) e consiste nel bere a turno 3 sorsi di sake da 3 tazze, una piccola, una media e una più grande. A questo rito parteciperanno, oltre alla sorella minore e alla maggiore, l’Okasan e un'altra sorella della casa da tè. Il San San Ku Do faceva originariamente parte dei matrimoni dei samurai e fa ancora parte dei normali matrimoni giapponesi. Alla Maiko viene dato il suo nuovo nome che la accompagnerà per tutta la sua carriera. Alle Geisha di uno stesso Okiya solitamente viene assegnato un nome con la stessa radice, ad esempio: Umeka, Umeharu, Umesato, Umechika ecc..
Articolo di Francesca Gambera
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