GLI AINU DEL GIAPPONE – VI. CULTURA MATERIALE E ALTRI RACCONTI
L’annessione formale dell’Ezo (attuale Hokkaidō) nella frontiera giapponese nel 1868, originò numerosi cambiamenti sociali nel popolo Ainu, che aveva sviluppato sino ad allora una cultura propria, a partire dalla forte relazione con l’ambiente naturale circostante.
Differenti per la carnagione bianca, i capelli ondulati e gli occhi senza “plica mongolica”, essi hanno sempre vissuto di caccia e di pesca. La caccia era effettuata da parecchi cacciatori con i cani al loro seguito. La stagione invernale vedeva le donne fiancheggiare gli uomini nella pesca dei salmoni in riva al fiume. Era tagliata legna da ardere, pestato il miglio nel mortaio, sgusciati i legumi…Durante la stagione estiva, invece, era molto diffusa la pesca della trota. Altra distinzione si poteva fare tra la pesca fluviale, per la quale ogni villaggio o individuo aveva un territorio ben definito e quella marittima, in cui venivano utilizzate barche lunghe 3-4 m. I più pescati erano tonni, mammiferi marini, molto ricercati per farne delle pellicce, così come per altri utilizzi lo erano balene e delfini. Sempre durante la stessa stagione estiva veniva preparata la corteccia d’olmo per la realizzazione degli abiti, mentre in autunno ci si dedicava alla raccolta dei frutti che la natura riservava loro. Inoltre era praticata la raccolta della corteccia di frassino o di betulla per il tatuaggio e ancora altri legni come quello del salice, della magnolia, del lillà, per la realizzazione degli inau. Donne e bambini si recavano in montagna per la raccolta di castagne, di uva selvatica e ancora aglio, angelica, noci, funghi, radici, venivano raccolti aiutandosi con diversi utensili. Per quanto riguarda le risorse ittiche dei mari e dei fiumi, erano costituite da crostacei di vario genere, tartarughe marine, foche, balene e salmoni.
Il villaggio tradizionale detto kotan nella lingua Ainu. Nell’Ezo Zoshi, (“Il libro di Ezo”) si legge che villaggi erano costituiti da 5-7 case, quelli con più di 10 case invece erano da considerarsi grandi, dislocati nelle valli fluviali o lungo la costa dove il cibo risultava più facilmente raggiungibile, soprattutto quando trote e salmoni risalivano la corrente per la deposizione delle uova. Nell'Ottocento furono costretti a trasferire i propri agglomerati in prossimità degli stabilimenti ittici dei giapponesi dove vennero convogliati al lavoro forzato. Il risultato fu la comparsa del villaggio tradizionale con le caratteristiche case di corteccia e foglie di bambù, con la grandezza di 7m x 5m, provviste di tre finestre, compresa la rorun-puyar (“la finestra sacra”), un'apertura questa, sul lato opposto dell'ingresso, attraverso la quale gli dei entravano ed uscivano e si immettevano gli strumenti cerimoniali ed era proibito affacciarvisi.
Casa tipica Ainu detta “Chise”, presso il villaggio di Biratori. Foto dell’autrice.
La casa prendeva il nome di chise ed era più un luogo di adorazione dei Kamui (“divinità”). La casa Ainu ai nostri occhi risulterebbe come una grande stanza, una sorta di loft moderno, ma con una visione un tantino diversa: vi era una parte “altissima”, nel senso religioso, ossia l'angolo nord-est in cui era posizionato l'inau di Chise-Koro-Kamui, il nume protettore della casa; molto “alto” era anche la rorun puyar, la finestra sacra. Dal focolare verso la porta d'ingresso, si cominciava a scendere verso il “basso” della casa. Questo il motivo per cui gli ospiti e il padrone di casa stavano in “alto”, mentre le donne e i bambini avevano posto in “basso”. Due rotoli di stuoia distesi per terra o sul pavimento fungevano da sedie. Sulle pareti e sul soffitto erano appesi i loro beni: spade decorate, utensili domestici, abiti, vasi. Al centro della stanza in una buca rettangolare di un metro per un metro e mezzo, era posizionato il camino, su cui pendeva una pentola sospesa ad un gancio regolabile. Lungo le pareti erano disposti tavolati, isolati da paraventi di stuoia, che costituiscono il letto. I più benestanti si coprivano con pellicce, mentre gli altri dormivano vestiti tenendosi stretti per scaldarsi.
Gli edifici attigui alle case erano dotati di servizi igienici separati, okkayoru per gli uomini e menokoru per le donne, ad esse era affidato un deposito per la conservazione degli alimenti detto pu.
Un abito tradizionale Ainu detto “Attush”, presso il Museo dell’Hokkaidō. Foto dell’autrice.
Gli Ainu realizzavano i propri abiti tradizionali con pelle d'uccello e piume di gabbiano o cormorano, con rovesci di orso, di cervo, di cane, o indumenti in pelle di pesce, come trota o salmone. Ancora giacche in fibra di corteccia dette attush in tessuto d'olmo, che una volta ricamate o decorate divenivano capi da cerimonia. In seguito al commercio con il Giappone, all’inizio del Novecento, gli Ainu acquistarono massicce quantità di cotone, prendendo cosi a ricamare.
Di questi abiti si distinguono delle varianti, come i chikarkarpe ossia “cose decorate da noi”, gli abiti ricavati dalle fibre delle ortiche detti retarpe ossia “bianco”, dal colore del tessuto, assai diffusi presso gli Ainu di Sachalin. Altre tipologie erano i kaparamip ossia “vestiti sottili”, per la cui realizzazione era utilizzata una grande quantità di cotone bianco; i ruunpe vestiti ricamati con piccole applicazioni. Tra gli accessori delle donne vi erano la matanpushi ossia una fascia ricamata, i ninkari gli orecchini a cerchio (entrambi portati originariamente dall'uomo), una collana detta rekutunpe realizzata con una striscia di stoffa stretta e lunga con piastre di metallo, oppure collane sempre femminili, la cui lunghezza raggiungeva il seno, dette tamasay o shitoki con sfere di vetro. Le donne più anziane utilizzavano grembiuli maidari ornati con i tradizionali motivi. I sandali venivano realizzati con la corteccia, oppure fatti di vite durante il clima mite, mentre quelle di pelle di salmone, essendo più ruvide risultavano essere ottime per camminare sul ghiaccio o ancora vi erano scarpe fatte di legno e cinghie di pelle.
Collane tipiche dette “Tamasay”, presso il Nibutani Culture Museum, Biratori. Foto dell’autrice.
I primi cambiamenti che segnavano l’ingresso nell’età adulta, riguardavano l’indossare un abito lungo a tunica, simile ad un kimono kaparamip per intenderci, si assumeva l'acconciatura tipica, oltre che la crescita della barba, segno di grande virilità e saggezza. Per quanto riguardava le donne, esse prendevano ad indossare abiti lunghi ed ampi, fermati da cinture di tessuto e a tatuarsi. Il matrimonio, nella cultura Ainu, era di tipo ambiliano, vale a dire che era l’uomo ad accogliere nella casa paterna la sua sposa, ma dopo un breve periodo trascorso con i genitori, gli sposi prendevano a costruire la loro capanna. Una volta concluso il matrimonio, il marito poteva completare il tatuaggio attorno alle labbra della moglie, cominciato all’atto del fidanzamento, e che si concludeva con dei puntini sino alle orecchie.
Una importante pratica tradizionale era il tatuaggio. Questo tipo di ornamento veniva eseguito dall’età di 12-13 anni, proseguendo fino agli anni del matrimonio; intorno ai 19-20 anni per gli uomini, 16-17 anni per le donne. Il tatuaggio alle labbra era essenziale per il matrimonio; si cominciava dalla pubertà per essere completato al raggiungimento del 18° anno di età; quello alle braccia era consuetudine completarlo a 20 anni ed infine il tatuaggio alle mani, poteva anche essere terminato dopo il matrimonio, ma non dopo la nascita del primogenito. A scopo ornamentale su sopracciglia, avambraccio, dorso della mano, mentre le dita venivano decorate con disegni di anelli e di altri gioielli. Gli uomini ricorrevano al tatuaggio di rado o solo per scopi terapeutici. Per realizzare il tatuaggio si utilizzava la corteccia di frassino o di betulla tagliata a pezzi e bollita, producendo così un infuso di colore verdastro, che non influiva in alcun modo sul tatuaggio. Dei piccoli tagli erano inferti sulla parte interessata e si procedeva con l’applicazione del nerofumo depositato sul fondo del recipiente, infine per mezzo di un canovaccio, si applicava l’infuso per tre volte. Durante il ciclo femminile, il lavoro era interrotto per la maggiore sensibilità provata. Per accelerare il processo di guarigione bisognava astenersi dal mangiare carne e grasso e rimanere in casa per almeno una settimana.
Donna Ainu con tatuaggio tradizionale intorno alla bocca, foto scattata presso il Museo Kawamura Kaneto, Asahikawa.
Altro aspetto della cultura Ainu è la lingua. Priva di un sistema di scrittura proprio, di conseguenza i racconti, le leggende sono state trasmesse oralmente. Il genere più diffuso era detto Yukar (yukara in giapponese), genere in cui venivano raccontate le gesta di eroi e in cui il divulgatore di storie poteva essere una donna anziana o un anziano uomo, scelti in base alle spiccate qualità nel saper raccontare, nel gioco mnemonico, nella recitazione. Un altro genere di letteratura orale detto Yaysama, ma in questo caso era una donna che cantava una canzone, improvvisata e frutto delle sue emozioni.
La produzione artistico-artigianale era piuttosto povera, nonostante il senso artistico molto sviluppato che manifestano nell’intaglio, dove sono maestri. Sono famose le loro guaine di spade e le impugnature dei loro coltelli con rappresentazioni sacre. Anche il ricamo è molto sviluppato, caratterizzato da simboli come spirali che si interrompono e si intrecciano, venendo a formare vaghe figure di cuori o rosoni, di croci o di scaglie di pesce. Hanno dimenticato da secoli la produzione della ceramica, provvedendosi di recipienti, vasi, bottiglie e quant’altro dai giapponesi, contro scambi in natura (pelli d’orso, penne di rapaci per le frecce, pesce secco, alghe secche e simili), non hanno si direbbe, mai sviluppato una loro metallurgia, per simili ragioni.
Nonostante la “scelta” di molti Ainu di convertirsi alla cultura maggioritaria, quello a cui si assistette dopo è l’esempio di come una tradizione culturale non scompare, bensì si trasforma.
Sabrina Battipaglia
GLI AINU DEL GIAPPONE – V. PRESERVAZIONE CULTURALE E MEMORIA
La situazione contemporanea degli Ainu, è intimamente connessa con la strategia adoperata durante gli anni di assimilazione. In genere, quando si fa riferimento alla cultura giapponese, la si intende come una cultura “omogenea”, nonostante vi siano attualmente differenti gruppi etnici. Per quanto concerne gli Ainu e la tradizione culturale, possiamo considerarla come un lavoro di costruzione o come un prodotto soggetto alla condizione di trasformazione. Ciò ha richiesto periodi di intensa attività finalizzati all’affermazione dei propri diritti e dei propri aspetti religiosi, come pure momenti di grande passività, fino a includere una fase in cui essi erano tentati ad integrarsi nelle credenze del gruppo dominante. Quest’ultimo atteggiamento era dovuto alla considerazione che essi avevano della loro tradizione, come appartenente oramai al passato.
Le teorie sulla modernizzazione, pongono in relazione antagonistica la tradizione e il cambiamento e il primo passo verso la rivitalizzazione necessita proprio di una sintesi tra di essi. L’immagine che noi, come pure gli Ainu hanno della loro tradizione culturale, è certamente il risultato della loro specifica storia, la quale ha subìto e subisce ancora differenti interpretazioni. In realtà, non vi è un’unica immagine di un processo continuo di costruzione della stessa, ma uno spettro di possibili costruzioni dato dal fatto che gli individui apprendono dall’esperienza e riconsiderano il loro punto di vista. Ciò può essere visto e interpretato, come un lavoro di costruzione/trasformazione. Più precisamente, essi sperimentano i mutamenti della moderna società giapponese e quegli elementi essenziali vengono etichettati come “memoria”.
Mi piace ascoltare la mia amica Sachiko, quando mi racconta del mondo Ainu. Mi parla dell’esistenza di una complessa relazione fra il mondo degli dèi (Kamui Moshiri) e il mondo degli uomini (Ainu Moshiri); una interazione costante, tanto che attraverso i sogni è possibile connettersi con i propri antenati e ricevere indicazioni su vicende quotidiane. Tale relazione, uomo - divinità o Kamui, è alla base della tradizione orale, intrisa di storie che parlano di benedizioni ricevute dopo aver correttamente eseguito le cerimonie. Scongiuri e altre formule tentano di onorare le divinità e ottenerne i favori. Di fatto, il rituale stesso viene considerato come avente un forte potere manipolatore delle energie.
Nella cosmologia Ainu, tre sono i concetti chiave, Ramat, Kamui e Inau. Tutto ciò che esiste è dotato di Ramat. Esso è l’essenza di tutte le cose. E’ l’anima degli uomini, il principio vitale degli animali e delle piante, la forza che muove il vento, che agita il mare, che trascina i fiumi, il sostrato degli oggetti casalinghi o di quelli utili alla caccia. Solo gli organismi morti, gli oggetti rotti, ciò che deve decomporsi per rimettere in circolazione la materia di cui è costituito, non ha Ramat. Questa percezione animista del mondo, fa sì che essi attribuiscano potere sacro a oggetti come ad esempio gli amuleti offerti alle divinità per averne i favori. E’ possibile discolparsi per mezzo di rituali e offrendo loro Inau, bastoncini di legno intagliati nel legno del sacro salice, lunghi da pochi centimetri ad oltre un metro. Essi presentano una punta ad una estremità per poterli conficcare nel suolo, mentre all’altra, possono presentare trucioli (kike) come a formare dei capelli o un mantello sacro con potere protettivo. In questa complessa cosmogonia, dove il mondo degli déi e quello degli uomini si trovano in un universo parallelo, vanno così a formare una dimensione armonica.
“Inau”, presso il Museo dell’Hokkaidō. Foto di Flavio Risi.
La dinamica inerente i valori alla base della tradizione religiosa, era favorita dal fatto che le ideologie religiose continuano ad esistere non solo nella memoria, ma anche nella pratica, come dimostra il fatto che gli Ainu celebrano ancora diversi rituali religiosi. Essi includono le cerimonie: Iyomante (“sacro invio dell’orso”, esso era la manifestazione terrena del dio supremo delle montagne, Kira-Mante-Kamui (o Kim-un-Kamui), che assumeva tale travestimento per discendere sulla terra. Il rito prevedeva la cattura di un cucciolo d’orso, che veniva allevato come un animale domestico, fino all'età di tre-quattro anni, nutrito con il cibo migliore e a cui venivano offerte birra sacra di miglio e preghiere. In passato, quando l’animale era molto piccolo e senza denti, una delle donne del villaggio diventava la sua ‘madre putativa’ e lo allattava al seno. L’idea fondamentale che è alla base di questi costumi e dello Iyomande stesso, è che il dio-orso gioisce delle stesse cose di cui gioiscono gli esseri umani); Shakushain (il nome di Shakushain si deve alla più importante ribellione Ezo nel 1669, quando il capo Shakushain venne ucciso. Dal 1946, il 23 settembre di ogni anno, viene organizzato un evento che commemora proprio la figura di Shakushain); Marimo Festival (il termine marimo deriva da mari, che in lingua giapponese è tradotto come “biglia”, mentre mo è un termine generico per le piante che crescono in acqua. Il primo “Marimo Festival”, venne celebrato presso il lago Akan, nel 1950. Cerimonie simili in passato, vennero etichettate dalle autorità giapponesi, come “cruenti”, “incivili” o “inventate” e inoltre, quando l’Hokkaidō fu annesso al Giappone, nel 1868, la pratica dello Iyomante venne proibita. Per quanto riguarda il Marimo Festival, con il tempo ha acquisito un importante riscontro, non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Infine la cerimonia di Shakushain, vide la creazione di una statua a Shizunai che è possibile visitare nel Parco Mauta, sulla costa meridionale dell’Hokkaidō. Accanto alla statua sorge lo “Shakushain Memorial Museum”, costruito nel 1978 da un castello abbandonato, che è possibile visitare durante tutto l’anno, con ingresso gratuito.
Cerimonia dell’orso “Iyomante”, foto scattata presso il Museo dell’Hokkaidō.
Quando parliamo di rituali religiosi e di attività culturali, intendiamo pratiche il cui potenziale è stato sottostimato per secoli. L’attuale pratica, non è meramente una questione di rappresentazione, ma diviene una modalità o una interpretazione in versione moderna, grazie alla quale gli Ainu si servono per attrarre turisti e giornali. In questo modo, percepiscono la loro tradizione religiosa come quel frammento che è andato perduto, come qualcosa di esterno a se e che essi stessi si sforzano di recuperare. Si tratta dunque di un patrimonio religioso e culturale che è stato ridimensionato per sfruttarne una nicchia commerciale.
Tra gli Ainu sussiste il forte ideale secondo cui, il cammino di coesistenza tra essi stessi e i giapponesi non-Ainu, potrebbe svilupparsi in una maniera costruttiva includendo rispetto per ognuna delle due culture, sia nelle piccole comunità regionali, sia nella grande società giapponese.
Esiste in realtà, una diversa maniera fra gli individui di intendere la promozione della cultura Ainu, poiché diversi sono i punti di vista e diverse le idee. Essa rappresenta un elemento di inestimabile valore del proprio patrimonio e una risorsa preziosa sia per gli Ainu stessi, che per la società giapponese la quale, attraverso una politica di promozione, tenta di realizzare una società multiculturale, traducendo questo impegno in un immenso sforzo per sostentare il popolo Ainu.
Sabrina Battipaglia
GLI AINU DEL GIAPPONE – IV. ALLA RICERCA DI UN DIALOGO ARMONICO
Al termine del Secondo Conflitto Mondiale, il Giappone venne occupato militarmente e posto sotto la tutela americana. Il generale Douglas McArthur, comandante delle forze americane nel Pacifico, ebbe il compito di creare tutte le condizioni favorevoli per un Giappone democratico, nonché una parte decisiva nella redazione della nuova Costituzione, entrata in vigore nel maggio 1947. Il Giappone diventava una democrazia parlamentare nella quale l’imperatore restava solo un simbolo dello stato e dell’unità nazionale, senza avere alcuna parte nella nomina del governo. Il Giappone vedeva imporre da McArthur una drastica riforma agraria che annientò il ceto dei latifondisti e ridistribuì fra i coltivatori le grandi proprietà e le terre date in affitto, per un totale pari a più di un terzo della superficie coltivata.
Tali terre ora confiscate, vennero donate agli Ainu grazie alla LPN o Legge di Protezione dei Nativi che entrò in vigore nel marzo del 1899. Vi fu la possibilità di assegnare agli Ainu cinque ettari di terra e attrezzi per coltivarla, concessione revocabile se la terra non veniva coltivata per 15 anni. Gli Ainu in questo modo si trovarono di fronte ad un crocevia: rimanere fedeli alla propria identità rinunciando all’assistenza e al sostentamento o accettare la nuova proposta. La maggioranza degli Ainu “scelse” la prima strada. Si assistette a un trasferimento degli Ainu in zone decise da precisi piani regolatori, essi vennero impiegati nei campi, ricevettero l’assistenza medica e l’istruzione.
Veduta sul fiume Saru, area sacra agli Ainu. Foto dell’autrice.
L’inizio di questa nuova epoca nella storia giapponese, fu contrassegnata dalla miseria della maggior parte dei suoi abitanti, incluso gli Ainu. Fu necessario così un punto di confluenza che prese forma a partire da una nuova lettura della tradizione e della storia Ainu. Un ispiratore fu Yamamoto Tasuke che inculcò negli attivisti degli anni sessanta e settanta, la necessità di far rivivere la tradizione culturale e, in questo modo venne ripresa l’arte del ricamo, si riprese a danzare, a celebrare i rituali ancestrali, col fine di rinvigorire i simboli della etnicità in una cornice di resistenza. Sebbene alcuni ekashi più conservatori ritenevano queste cerimonie una farsa e che addirittura arrecavano offesa agli dei, non erano pochi quelli che invece appoggiavano queste celebrazioni, intendendole come una opportunità di creare e di consolidare un sentimento di appartenenza a una comunità con gli stessi ideali e lo stesso passato culturale. Proprio in questi anni, era cominciato un interesse verso i processi di resistenza indigena che si stavano riscontrando nel resto del mondo, così gli ideali di autonomia vennero abbracciati da leaders Ainu e da Nomura Giichi (avvocato e attivista, il primo Ainu ad entrare a far parte della Dieta giapponese). Nel maggio del 1997 il governo giapponese approvò la Law for the Promotion of the Ainu culture and for the dissemination and advocacy for the traditions of the Ainu and the Ainu culture, legge che abolì le disposizioni della legge del 1899 ancora in vigore. Molti attivisti accettarono con poco entusiasmo la promulgazione di questa nuova legge. Si decise di approvare il testo senza apportare alcuna modifica ma, venne emessa una risoluzione supplementare nella quale, all’unanimità, i membri della Dieta dichiaravano che gli Ainu erano un “popolo indigeno” del Giappone.
Parco Akan intorno al villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.
Pochi giorni prima del G8 sul lago Tōya, in Hokkaidō, dal 7 al 9 luglio 2008, si svolse un altro vertice, dal 1 al 4 luglio 2008, una sorta di ‘Controvertice della società civile’. Centinaia di rappresentanti da tutto il mondo, erano lì per discutere di diritti umani delle minoranze, per proporre una “via indigena” alla sostenibilità. Su spinta del G8 da un lato e dell’ONU dall’altro, si giunse ad un provvedimento importante, vale a dire la risoluzione del 6 giugno del 2008, in cui il popolo Ainu venne riconosciuto come minoranza etnica. Un altro passo avanti è stato compiuto quando un nuovo atto, che riconosce legalmente gli Ainu come popolo indigeno del Giappone è stato promulgato il 26 aprile 2019 ed è entrato in vigore il 24 maggio 2019.
Esso propone nuove sovvenzioni ai fini del turismo nell'isola di Hokkaidō e inoltre lo Stato permetterà agli Ainu rimasti di abbattere gli alberi nelle foreste di proprietà nazionale, per l'uso nei rituali tradizionali.
Diverse sono state le occasioni, nel corso degli anni, in cui si è cercato un punto d’incontro tra le due culture, quella maggioritaria e quella degli Ainu. La costruzione dei villaggi indigeni ne è un esempio importante. Si può affermare dunque che, enormi passi avanti sono stati compiuti e, siamo in attesa che possano verificarsene di nuovi, sulla scia di una sempre più armoniosa convivenza dei due gruppi.
Sabrina Battipaglia
GLI AINU DEL GIAPPONE – III. APPUNTI DI UN INCONTRO PER CASO
Secondo le stime, il numero degli Ainu esistenti in Hokkaidō si aggirerebbe intorno alle 24.000 persone o 13.000 secondo un censimento del 2018. Uso il condizionale poiché ricercare un numero preciso non è cosa di poco conto.
Durante le interessanti conversazioni con Sachiko, ella mi raccontava a più riprese, della lunga storia degli Ainu, delle vicende legate ai primi contatti con i giapponesi e a come le vicissitudini si siano evolute col fine di trovare un accordo comune, per una pacifica convivenza. Storie che vi narrerò in questo e nel prossimo racconto.
Di come nel corso del tempo, per sfuggire alle discriminazioni, gli Ainu abbiano persino negato la propria origine e attraverso i matrimoni misti creato una via di fuga, ma ciò non è bastato. Come in ogni incontro che si rispetti, ciascuna delle due parti in causa porta con se il suo bagaglio culturale e fino a che non venga raggiunto un dialogo, un punto di incontro, non si può parlare di contesto armonioso.
Durante i periodi Tokugawa (1603-1868) e Meiji (1868-1912), i giapponesi imposero riforme e assimilazione alle comunità Ainu. I tentativi di assorbire gli Ainu e le loro terre, ebbero inizio almeno dalla seconda metà del VII sec. dopo la costituzione del “ritsu-ryō” (lo stato basato su codici penali ed amministrativi modellati sull’impero cinese dei Tang). Durante il periodo Heian (794-1192), il governo centrale cominciò a sgretolarsi, Ezo (il nome antico dell’Hokkaidō) rimase nelle mani della famiglia Abe, che sospese i tributi a Kyōto. Negli anni successivi, carestie e pericoli nell’Honshū, spinsero un consistente numero di immigrati a trasferirsi sull’isola. Altra ondata migratoria si verificò in seguito alle campagne fra le famiglie imperiali e militari che si estesero fino alla regione di Ōu (nell’Honshū). Continue guerre fra famiglie costituirono i presupposti per le migrazioni verso un nuovo mondo.
Agli inizi del periodo Kamakura (1192-1333), il commercio andò sviluppandosi e i giapponesi presero a commerciare con gli Ainu. Durante il periodo Muromachi (1338-1573) i traffici vennero gestiti dagli Ashikaga e il commercio riguardava prodotti come sakè, riso e altri in cambio di salmone, alghe, pelli di animali, piume d’aquila.
Quando il numero degli immigrati aumentò notevolmente, cominciarono i problemi legati a richieste di zone di pesca più ampie. Tale richiesta urtò il lavoro dei nativi, dando luogo ad episodi spiacevoli, come quello del 1456, quando un fabbro di Kajimura (oggi Hakodate) venne ucciso da un capo clan. I nativi per ribellarsi massacrarono gli immigrati. L’anno seguente il capo clan Kosamaynu, tentò l’assalto a Fukuyama, e colonia dopo colonia cadde nelle mani dei nativi, mentre i rifugiati trovarono riparo presso Matsumae e Kaminokuni.
Ezo era abbandonato a se stesso tra mercanti e rivolte dovute a falsificazione di pesi e misure, del divieto per gli Ainu di conoscere la lingua e la cultura giapponese. Il malcontento si diffuse presto culminando nel 1644, quando il capo Henauke, incitò una rivolta presto sedata.
Statua del capo Shakushain, Shizunai. Foto dell’autrice.
La più importante ribellione Ezo vi fu nel 1669, quando Shakushain capo degli Ezo stanziati ad est dell’isola presso il fiume Shibuchari, uccise Onibishi, capo degli Ainu stanziati ad ovest di Ezo, presso il fiume Saru, a seguito di una disputa su alcuni territori di caccia e pesca.
Shakushain cercò un compromesso con i giapponesi, ma perse la vita in questa occasione.
A Nosyappu, è stato innalzato un monumento ai caduti giapponesi in questa battaglia, mentre la statua di Shakushain si trova a Shizunai.
Shakushain Memorial Museum, Shizunai. Foto di Flavio Risi.
Il governo Tokugawa nel 1806, inviò truppe sull’isola di Ezo, sulle isole Curili e Sachalin occupando con le sue guarnigioni i territori settentrionali. Nel 1855 il governo era impegnato in una politica di controllo su tutta l’area e di assimilazione dei nativi. Seguiva la Restaurazione Meiji del 1868, ed era tempestivamente avviata la colonizzazione dell'Hokkaidō (“Circuito del mare del nord”), il nuovo nome dell’Ezo datogli dal 1868. A Tokyō, il nuovo nome di Edo dal 1868, sorse il Kaitakushi (“Ufficio per lo sviluppo del territorio”), la principale istituzione amministrativa della conquista dell’Hokkaidō.
L'intero Hokkaidō fu mappato, suddiviso in appezzamenti, ridenominati in giapponese e trascritti in kanji. Sapporo (dalla lingua ainu Sat-poro-pet “grande fiume secco”), fu scelto come capoluogo amministrativo e si diede inizio a lavori di deforestazione e di costruzione di vie di comunicazione.
Si assistette ad una politica di assimilazione. Dichiararsi Ainu voleva dire sentirsi attribuire aggettivi come “inferiore”, “ignorante”, “sudicio”. Paradossalmente, gli Ainu soffrivano la discriminazione razziale, mentre la loro esistenza veniva negata, sotto la convinzione che in Giappone tutto formava parte di un unico popolo.
L’impegno degli Ainu della successiva generazione, fu all’insegna di una ripresa dell’autocoscienza Ainu di essere culturalmente differenti e del recupero della dignità come condizione indispensabile della lotta contro l’emarginazione tanto materiale quanto morale.
Sabrina Battipaglia
GLI AINU DEL GIAPPONE – II. STORIE SULL’ORIGINE.
In questi mesi l’attenzione è rivolta al Giappone, nazione che ospiterà i Giochi Olimpici nel 2020 e come ad ogni evento, si attende ansiosi lo spettacolo di apertura che il paese di turno offrirà. La novità è che il Giappone si sta impegnando anche con un altro progetto, parallelo potremmo dire, che vedrà la sua realizzazione proprio nel 2020. Si tratta del primo Museo Nazionale interamente dedicato alla cultura degli Ainu. Siamo in Hokkaidō, sull’isola più a nord del Giappone, dove per l’occasione l’area in cui sin dal 1976 sorgeva il villaggio “Poroto Kotan”, è stata totalmente riqualificata, per fare spazio al nuovo progetto.
Un immagine del “Poroto Kotan” come appariva prima del 31 Marzo 2018 quando è stato chiuso. Fonte: https://www.japan-guide.com/e/e5375.html
Ma facciamo qualche passo indietro.
La prima domanda a cui voglio rispondere è chi fossero gli Ainu. La parola “Ainu”, può essere tradotta come “essere umano”, usata più precisamente per distinguere le entità che non appartengono né al mondo delle divinità, né al mondo degli animali. I giapponesi li conoscevano come “Emishi” (il termine indicava le popolazioni che vivevano a nord dell’Honshū) e indicavano il territorio con la parola “Ezo” (ridenominato Hokkaidō a partire dal 1868, ossia dall’Era Meiji).
Ragazza Ainu in abito tradizionale. Teatro “Ikor”, presso il villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto di Flavio Risi.
Riguardo la loro origine, diverse sono state le ipotesi nel corso degli anni da parte degli studiosi. Caratteristiche come la distanza degli occhi, la scarsa prominenza degli zigomi e l’abbondante pelosità, accosta gli Ainu agli Europei e ai Russi. Numerose ipotesi inoltre sono state avanzate fino ad ora, come chi li considera un ramo settentrionale di una “razza oceanica” diffusa dall’Indocina alla Polinesia, chi li vede come parte di una razza caucaside che nell’antichità avrebbe popolato tutta l’Asia nord-orientale e poi si sarebbe scissa in due rami a causa del movimento di popolazioni mongole e turche. Successivamente le ipotesi “meridionali”, in cui sono state notate somiglianze con le popolazioni delle Ryūkyū e delle isole dei Mari del Sud, giudicandole la conseguenza di fenomeni migratori e sostenendo la discendenza da un’antica popolazione europide dell’Asia orientale, che formò la base della razza europea. Appartenenza meridionale che si poteva notare dalla cultura materiale, dalla organizzazione sociale di tipo matrilineare, ma adattandosi al “clima” settentrionale avrebbero conservato gli elementi della cultura originaria come ad esempio le frecce avvelenate o il culto di un animale che in un clima freddo si è trasformato in sacrificio. Oppure chi vi intravede il carattere mesolitico della cultura Jōmon, stabilendo che sotto la pressione delle popolazioni neolitiche (austronesiani, cinesi e tungusi), gruppi mesolitici, sarebbero stati spinti verso la periferia del continente portando nell’arcipelago la cultura Jōmon. L’uomo Jōmon dunque, sarebbe stato il progenitore degli Ainu ed un fattore determinante nella formazione del tipo razziale giapponese moderno.
La questione delle origini rimane tutt’ora dunque aperta. Essa potrà essere risolta solo dopo le attente analisi da parte degli esperti e presenta un filo conduttore con l’apertura del nuovo Museo.
Tra l’Era Meiji (1868-1912) e il 1972 sono stati presi scheletri Ainu da parte di antropologi ricercatori, per scopi di ricerca, l’identificazione però è risultata difficile a causa del trascorrere del tempo e delle condizioni di conservazione non sempre ottimali.
Qualsiasi profanazione, anche involontaria durante gli scavi archeologici, provoca sconvolgimenti spirituali che di conseguenza hanno un forte impatto psicologico sulla comunità, mettendo in crisi il benessere di quest’ultima. Un altro dato interessante è il parallelo che intercorre tra le pratiche funerarie differenti. In un paese in cui convivono due religioni, buddhismo e scintoismo, ed esiste la pratica della cremazione del corpo e in aggiunta un decreto legge che obbliga i giapponesi ad incenerire tutti i defunti, ha trovato ovvi contrasti con la tradizione Ainu per la quale il corpo è sacro e l’oltraggio è qualcosa di inconcepibile. Da una parte la paura della contaminazione e la speranza di una rinascita concepita come una trasmigrazione dell'anima, dall’altra parte la profanazione considerata un crimine di gravità insondabile.
Il rimpatrio degli scheletri si pone dunque, come obiettivo, il porre fine alla sofferenza.
E’ in questo frangente che l’azione collaborativa tra ricercatori universitari e comunità Ainu, segna importanti passi avanti.
Lavori in corso nell’area in cui sorgeva il “Poroto Kotan” e in cui nell’aprile 2020 verrà aperto il nuovo museo e mausoleo, a Shiraoi. Foto dell’autrice.
L’idea di un complesso che fungerà sia da mausoleo che da museo, pensato in occasione dei Giochi Olimpici di Tōkyō 2020, avrà lo scopo sia di rimpatriare gli scheletri sparsi un po’ ovunque nelle Università giapponesi, che di esporre elementi della cultura materiale Ainu.
La costruzione del mausoleo, costruirà un ponte tra i due gruppi per una pacifica convivenza caratterizzata da una sempre maggiore diffusione della tradizione ancestrale.
Sabrina Battipaglia
GLI AINU DEL GIAPPONE – I. IN VIAGGIO VERSO L’HOKKAIDŌ
Chi ha detto che atterrare in Giappone sia ovunque la stessa cosa?
Vi porterò con me in viaggio in un mondo in cui non ci sono geisha nè samurai, in cui non ci sono templi, dove il Fujiyama non è l’attrazione principale, dove il sushi non è il piatto tipico, dove la tecnologia non la fa da padrona, un universo ancora pervaso dal mistero, ove il contatto con la natura e l’importanza delle cerimonie religiose restano fondamentali, i cui inverni rigidi regalano metri di neve al paesaggio e le estati sono rinfrescate da pioggia e vento.
Vi parlerò di una terra, l’Hokkaidō, di cui sono profondamente innamorata e che considero la mia seconda casa, del suo territorio e di un popolo, gli Ainu, che mi ha insegnato cosa significa “sentire” le proprie radici, il senso di appartenenza al proprio territorio e la difesa di tutto questo. Ho imparato che il termine “resilienza” non può essere usato a caso.
Prima di raggiungere Sachiko e Kohei, la mia “famiglia Ainu” che vive presso il lago Akan, a Kushiro, mi trovo intanto presso l’aeroporto di Chitose. Essere qui è come iniziare a seguire delle tracce. Scopro ristoranti con simboli Ainu, negozi di gadgets con sezione Ainu o shop interamente dedicati ai manufatti indigeni; vassoi lignei, borse, abiti tradizionali, calamite, peluches, t-shirt, asciugamani, sottobicchieri, portachiavi, stickers e tanto altro.
Aeroporto di Chitose. Foto dell’autrice.
Arrivata alla stazione di Sapporo la ricerca continua, scopro manufatti indigeni negli alimentari, nei tabacchi, una grande scultura Ainu accoglie i visitatori al centro di un lungo corridoio, inoltre ricami tradizionali all’interno di teche e una istallazione con scultura e sedute per video sulla cultura Ainu.
Esposizione di ricami tradizionali Ainu presso la stazione di Sapporo. Foto dell’autrice.
Da Sapporo ci si può muovere verso il “Pirka Kotan”, museo e villaggio dimostrativo, in questo museo ti viene comunicato all’ingresso che si possono toccare i tessuti, cosi da trasformare la tua visita in esperienza tattile e sentire il materiale con cui sono fatti gli “attush” ossia glia abiti tradizionali, inoltre nella ricostruzione del villaggio all’esterno, si può entrare in una casa Ainu tradizionale.
Interno di una casa tradizionale. Ricostruzione presso il “Pirka Kotan”, Sapporo. Foto di Flavio Risi.
Un’altra visita che si può fare è quella al museo di Hokkaidō, all'interno del Parco Naturale Prefetturale di Nopporo Shinrin Kōen, che ospita una mostra permanente dedicata alla storia, alla cultura, alla natura dell'Hokkaidō e che presenta anche una sala dedicata esclusivamente alla cultura degli Ainu. Anche qui è possibile guardare all’interno di una tipica abitazione, ma rispetto al precedente museo, questa ricostruzione è ricca di tutti gli oggetti tradizionali contrassegnati dal loro nome in lingua Ainu.
Interno di una casa tradizionale. Ricostruzione presso il Museo Hokkaidō. Foto di Flavio Risi.
Far visita ai villaggi, ai musei, ai ristoranti tipici, oltre ovviamente a godere delle bellezze del paesaggio e del buon cibo, mi mette in una strana condizione, come quella di chi è consapevole di trovarsi in Giappone, ma in una sorta di dimensione parallela. Non scatto la foto con il mio primo sushi, ma con uno dei miei piatti Ainu preferiti, quelli a base di “kitopiro”, un aglio selvatico, oppure non mi faccio riprendere assieme alle geishe, ma assieme ad alcuni Ainu presso il teatro “Ikor” nel villaggio Akan, dopo aver assistito agli spettacoli di danza e soprattutto, dopo aver pianto tanto dalla forte emozione. Non ero in Giappone per trovare chissà quale altra nuova lettura interpretativa, ero lì per stare con loro, con gli indigeni e basta. Se Claude Lévi-Strauss fosse stato ancora in vita gli avrei chiesto di fare questo viaggio assieme, perché ammaliata dai suoi “Il crudo e il cotto” e “Dal miele alle ceneri” e perché fin da piccola ero attratta dai villaggi e da sempre ho cercato i “miei” indigeni.
Sabrina Battipaglia
DIRETTE INSTAGRAM DI GIAPPONE IN ITALIA! Qui il calendario completo
Non si ferma l'impegno di Giappone in Italia!
Un calendario di appuntamenti è pronto a darvi spunti e contenuti interessanti: collegatevi su instagram, tutti i pomeriggi a partire dalle 15, scoprite il programma qui sotto !
vi aspettiamo!
White Day, un secondo San Valentino
di Mayuko Okuno
奥野 真悠子
Il 14 marzo è il White Day in Giappone.
In questo giorno gli uomini contraccambiano i regali che hanno ricevuto dalle donne a San Valentino. Passato quest’ultimo infatti, al reparto vendite speciali di San Valentino in grandi magazzini, supermercati, pasticcerie si sostituisce quello del White Day. In questo periodo, ci sono più acquirenti uomini del solito nelle città: chi si preoccupa di cosa poter regalare ad amiche e colleghe per ricambiare i girichoco (lett. “cioccolato d’obbligo”, che si regala sul luogo di lavoro, cfr. San Valentino in Giappone) di San Valentino, chi pensa di regalare qualcosa alla propria ragazza o moglie, ecc. C’è anche chi non sa cosa regalare come girichoco, e che quindi chiede aiuto nella scelta alla moglie.
Il White Day ha una forte impressione di “contraccambio” rispetto a San Valentino, in cui le donne regalano agli uomini spontaneamente. Che regali si aspettano allora le donne, soprattutto negli ultimi anni? E cosa gli uomini regalano loro effettivamente?
In cima alla lista sicuramente c’è cioccolata e dolci leggermente costosi, accessori, una cena al ristorante ecc. In passato, si diceva che i regali fossero sanbaigaeshi, ossia il valore del regalo deve essere almeno tre volte superiore di quello ricevuto però recentemente sono aumentate le ragazze che, al posto di sanbaigaeshi , desiderano che gli uomini spendano più per l’anniversario e il compleanno ecc.. tuttavia si aspettano comunque che i regali per il White Day siano almeno dello stesso valore di quelli che hanno fatto loro a San Valentino.
Per quanto riguarda girichoco non tutte si aspettano dei regali, per quanto riceverne faccia molto piacere, e si tratta in ogni caso di dolci e cioccolatini.
Secondo me è molto gentile regalare cioccolata o dolci, perché si possono conservare, in certi casi anche a lungo. È diventata popolare anche la Starbucks card, una carta prepagata che si può utilizzare da Starbucks caricando in anticipo qualsiasi importo da 1,000 a 30,000 yen.
Dal canto loro gli uomini hanno la tendenza a scegliere cioccolatini e dolci leggermente costosi o accessori per le loro fidanzate, mogli, o le ragazze che si sono dichiarate a San Valentino. Anche se non si contraccambiano i sentimenti della ragazza che si è dichiarata, è meglio sempre donare qualcosa, ma si dovrebbe scegliere qualcosa che non rimanga da conservare, come dei dolcetti.
È fantastico, i regali degli uomini concordano con i regali che le donne si aspettano! Penso che la maggior parte degli uomini faccia ricerche accurate sui regali, in questi ultimi tempi grazie ad internet, ma c’è anche chi regala dolci troppo economici o accessori che non si adattano al gusto di chi li riceve. Dovrebbero fare più attenzione per non deludere..
Per i regali in cambio a girichoco, tanti uomini regalano cioccolatini o dolci, fazzoletti da donna, o crema per le mani. Nell’ufficio in cui lavoravo in Giappone, c’erano tanti colleghi che regalavano i cioccolatini. Il mio ex-capo mi ha regalato Starbucks card una volta e, a dire la verità, mi sono accorta solo in quel momento che può essere un regalo per il White Day. In questo periodo la Starbucks card ha un bel disegno di Sakura (i ciliegi) che richiama l’arrivo della primavera perciò è molto apprezzata.
Anche se non c’è l’usanza del White Day in Italia chi ha ricevuto i regali a San Valentino provi a contraccambiare per il White day! Magari gli italiani potrebbero imbarazzarsi perché non sono abituati a questa usanza ma basterebbe spiegare che in Giappone si usa così. Ringraziare non è mai sbagliato!
ホワイトデー
3月14日はホワイトデー。日本では、バレンタインにチョコレートをもらった男性が女性へお返しのプレゼントを贈る日となっています。バレンタインがすぎると、デパートやスーパー、お菓子屋さんなどでは、バレンタインの特設コーナーはホワイトデーの特設コーナーにとってかわります。職場などで受け取った義理チョコのお返しに頭を悩ます男性や、彼女や奥様からのチョコへのお返しを考える男性など、この季節になると、街中では、普段より男性の買い物客が多く見受けられます。中には、義理チョコに対して、何をお返しするのが良いかわからず、自身の奥様にプレゼントを選んでもらう男性もいます。
自発的にプレゼントをするバレンタインデーに比べて、「お返し」の印象が強いホワイトデー。近年の日本では、女性は男性にどのようなプレゼントを期待しているのでしょうか。また、男性はどのようなプレゼントを女性へ贈っているのでしょうか。
彼氏や旦那様、告白した男性からのお返しで、女性がもらって嬉しいプレゼントには、少し高級なチョコレートやお菓子、アクセサリーやレストランでの食事がよく挙げられます。昔は、バレンタインにもらったプレゼントの金額の3倍返しということも言われていましたが、最近では3倍返しを求めていない女性も多いようです。ホワイトデーにお金をかけるよりは、二人の記念日や誕生日などにお金をかけて欲しいと思う人が増えているように思います。とはいえ、プレゼントした金額の同等額以上のものを女性は期待していることでしょう。
義理チョコに対してのお返しには、お返し自体あまり期待しない女性も多いようです。しかし、やはりプレゼントはもらえると嬉しいですよね。義理チョコのお返しで女性が嬉しく思うのは、チョコレートやお菓子類でしょう。できれば日持ちするものだと親切かと思います。また、最近はスターバックスカードも女性に人気があります。スターバックスカードとは、日本では事前に1,000円〜30,000円まで好きな金額をチャージして使えるプリペイドカードです。
一方、男性は本命の相手へのプレゼントとして、少し高級なお菓子やアクセサリーを選ぶ傾向にあります。女性の期待するものに一致していますね。インターネットの普及のおかげもあり、男性は、女性へのプレゼントをよくリサーチしているのだと思います。ただ、中には、安すぎるお菓子や女性の趣味に合わないアクセサリーをプレゼントしてしまう男性もいるので、女性をがっかりさせないように気をつけた方が良いでしょう。
義理チョコのお返しには、チョコレートやお菓子類、ハンカチやハンドクリームなどの小物を贈る男性が多い印象です。私が以前働いていた会社では、やはりチョコレートを贈る男性社員が多かったです。元上司からは、スターバックスカードをもらったこともあります。実は、このとき初めて、ホワイトデーのプレゼントとしてスターバックスカードという手もあるのかと気づきました。この時期には、桜柄で春のおとずれを感じられる素敵なデザインのカードも販売されているので、桜柄のスターバックスカードをプレゼントする男性も増えているようです。
イタリアにはホワイトデーをする習慣はないと思いますが、バレンタインデーにプレゼントをもらった方は、ホワイトデーにお返しをしてみてはいかがでしょうか。イタリア人には馴染みのない文化で戸惑われるかもしれませんが、日本にはホワイトデーという日があると一緒に説明してみてください。感謝の気持ちを伝えて、悪い気をする人はいないはずです!
HINA- MATSURI , LA FESTA DELLE BAMBINE
di Mayuko Okuno
奥野 真悠子
In Giappone, il 3 marzo si celebra la Festa delle Bambine: “Hina-Matsuri” (lett. la festa delle bambole), chiamata anche “Momo no Sekku” (lett. la festa dei peschi), si festeggia decorando Hina-Ningyo (bambole ornamentali), mangiando e offrendo Hina-Arare (snack di mochi), Hishi-mochi, Chirashi-Zushi1, Zuppa di vongole ecc.
- Che cos’è Sekku?
Ci sono 5 giorni che si chiamano “Sekku” o “Go-Sekku”(nome generico). In Giappone Sekku è stato tramandato dalla Cina: è un evento in cui si prega per la fertilità del terreno, buona salute, discendenti e prosperità, si fa un’offerta e ci si purifica per il cambiamento di stagione.
Hina-Matsuri originariamente non era un evento solo per le bambine, ma anche per augurare buon inizio allontanando disastri e sfortuna durante il rinnovo stagionale. In Cina le persone avevano l’abitudine di lavare il corpo in fiume, invece in Giappone le persone facevano le bambole in forma umana con la carta e se le passavano sul corpo per spostare il male da sè a queste, per poi farle scorrere nel fiume.
Inoltre un gioco di bambole chiamato “Hina-Asobi”, simile a quello di oggi, era in moda tra le bambine nobili. Si dice che questo gioco combinato con quell’usanza di fare scorrere le bambole al fiume, sia all'origine di “Nagashi-Hina”(fare scorrere le bambole al fiume) rimanente anche oggi. Con lo sviluppo della tecnologia di produzione di bambole, hanno iniziato a esserne prodotte di belle e di maggior pregio, così che negli anni siano cambiate da quelle da fare scorrere a quelle da decorare.
Allora, in Giappone come si festeggia Hina-Matsuri? Di seguito vi presento alcuni aspetti tipici.
- Decorare Hina-Ningyo
Hina-Ningyo sono le bambole da decorare per Hina-Matsuri, e ce ne sono diversi tipi a seconda dei livelli della struttura di appoggio e del numero delle bambole: a sette scale o cinque scale, “Shinnokazari (ornamenti di principe)” cioè solo Odairi-sama e Ohina-sama (il principe e la principessa), ecc.. Le Hina-Ningyo rappresentano il matrimonio dell’imperatore, Odairi-sama e Ohina-sama, rispettivamente l’imperatore e l’imperatrice, indispensabili, ed esprimono il desiderio di avere un matrimonio felice come quello imperiale. Generalmente si decorano Hina-Ningyo dal primo giorno di primavera (intorno al 4 febbraio) fino a metà febbraio, e dopo che finisce Hina-Matsuri si deve metterle via il prima possibile, al massimo metà marzo. Si dice infatti “se dimentichi di mettere via Hina-Ningyo il tuo matrimonio sarà ritardato”, che ha il significato educativo “una ragazza che rimanda a mettere in ordine non può diventare una donna affascinante”.
- Nagashi-Hina o Hina-Nagashi (fare scorrere le bambole al fiume)
Rappresenta forse la pratica più antica, raccontata anche nel Genji Monogatari. Si fa scorere carta o piante umanoidi nel fiume desiderando salute per i bambini. Oltre fare scorrere le bambole di carta a forma umana, si tengono vari eventi di Hina-Nagashi in vari luoghi, come per esempio la mostra di Hina-Ningyo, in cui appaiono Odairi-sama e Ohina-sama, e lo spettacolo per fare vedere come si indossa jūnihitoe (un tipo di kimono molto elaborato per le donne di corte) .
- I cibi legati a Hina-Matsuri
Ogni piatto (o cibo) ha un significato legato alla fortuna. Nel Giappone attuale, vendono le torte e i dolcetti decorati di Hina-Matsuri e, oltre ai piatti tradizionali di Hina-Matsuri, alcune persone festeggiano mangiando questi.
- Hina-Arare, un tipico snack di Hina-Matsuri, fatto da riso mochi: si prepara un boccone di riso mochi poi si abbrustolisce. Dicono che i quattro colori, rosso (rosa) e verde e giallo e bianco, esprimano le quattro stagioni, e così il desiderio che la figlia possa essere felice si estende a tutto l’anno.
rosso (rosa) → primavera
verde → estate
giallo → autunno
bianco → inverno
Hina-Arare generalmente ha quattro colori ma esiste anche Hina-Arare di tre colori. In questo caso i colori sono bianco e verde e rosso. Il bianco esprime la terra coperta di neve, il verde esprime gli alberi che germogliano, il rosso esprime il sangue e la vita.
Il sapore di Hina-Arare è diverso da regione a regione, in Kanto si mangia condito con zucchero, invece in Kansai si mangia con salsa di soia o sale.
- Hishi-Mochi, fatto tagliando i mochi di tre colori, verde e bianco e rosa (rosso), in losanga e stratificandoli. Dicono che il verde abbia significato di salute e lunga vita, il bianco quello di purezza, il rosa quello di scongiuro. Inoltre questi tre colori sono stratificati nell’ordine del rosa → bianco → verde, e questo ordine significa “nella stagione che si avvicina, la primavera, sotto la neve le piante germogliano e i fiori di pesco spuntano sulla terra ancora innevata”. È fantastico che le persone del passato abbiano espresso la stagione così con solo tre colori!
Il mochi verde è fatto da assenzio che ha un effetto di aumento del sangue, il mochi bianco è fatto da semi di Castagna d’acqua che abbassano la pressione, il mochi rosa è fatto da gardenia che ha un effetto disintossicante. Ci sono varie teorie perché è diventata la forma di losanga ma in tutte c’è il desidero dei genitori per la salute della figlia.
- Zuppa di vongole. La vongola ha 2 conchiglie, e se queste sono parte della coppia giusta si adattano insieme, altrimenti non si incastrano. Per questo le vongole esprimono la coppia che va d’accordo, e il desiderio che la figlia possa stare felice con il marito e vadano d’accordo per sempre.
- Chirashi-Zushi ( è uguale con Chirashi-Sushi. In giapponese, generalmente quando una parola si compone di 2 parole la pronuncia cambia, in questo caso “Zu” è il suono sonoro di “Su” n.d.a.), un tipico piatto di Hina-Matsuri che in realtà non ha alcun significato di fortuna in sé, ma lo hanno gli ingredienti: innanzitutto sulla Chirashi-Zushi si puo mettere cerfoglio, uova, fiori di colza ecc, e il colore diventa così bello e primaverile tanto da averlo reso un piatto tipico di Hina-Matsuri, mentre nella preparazione si usano i gamberi (simboleggiano la lunga vita, assomigliando ad anziani con la loro barba lunga e la schiena curva), le radici di loto (simboleggiano il poter guardare bene in anticipo per via dei loro buchi) e i legumi (simboleggiano la salute e una persona che lavora diligentemente).
- Qual è una bevanda per Hina-Matsuri? La risposta dovrebbe essere “Shiro-Zake”!!(Shiro significa bianco, zake significa il sake. “Za” di “Shiro-Zake” è il suono sonoro di “Sa” di “Shiro-Sake” n.d.a.). Si dice si bevesse originariamente Toukashu (il sake con I petali dei fiori di pesco), tramandato dalla Cina come un tipo di bevanda alcolica medicamentosa; la pesca, infatti, nella tradizione purifica dal male e porta energia e forza per lungo tempo. Nel periodo Edo, le persone hanno iniziato a bere più Shiro-Zake di Toukasyu, ed è rimasta questa usanza anche ai giorni nostri. Tuttavia lo Shiro-Zake è una bevanda alcolica perciò le bambine, che sono le protagoniste di Hina-Matsuri, bevono l' Amazake che è simile ma analcolico.
Nella stagione di Hina-Matsuri, io festeggiavo decorando Hina-Ningyo, mangiando i cibi legati alla festa con la mia famiglia. All’asilo facevo Ohina-sama e Odairi-sama con gli origami e cantavo la canzone di Hina-Matsuri. Nelle scuole elementari e medie, in questo giorno i pranzi scolastici diventavano più ricchi e prelibati, e noi bambini non vedevamo l’ora che arrivasse! Diventando adulta, gli impegni mi hanno impedito di trovare il tempo di decorare le Hina-Ningyo negli ultimi anni, ma al giorno di Hina-Matsuri mia madre mi cucinava Chirashi-Zushi e zuppa di vongole e festeggiavamo così, anche senza bambole, e adesso che vivo in Italia vorrei continuare, il 3 marzo, a festeggiare Hina-Matsuri.
Provate a festeggiare anche voi!!
日本では、3月3日は「ひなまつり」という女の子の健やかな成長を祈る行事です。「桃の節句(※)」とも呼ばれ、ひな人形を飾ったり、ひなあられや菱餅をお供えしたり、ちらし寿司やハマグリのお吸い物を食べたり飲んだりしてお祝いします。
- 節句とは
日本には節句と呼ばれる日が5つあり、総称して五節句と呼ばれています。節句とは、もともと中国から伝わったもので、季節の節目に五穀豊穣、無病息災、子孫繁栄などを祈り、神さまへお供え物をしたり、邪気を払ったりする行事のことです。
ひなまつりは、もともと女の子のための行事ではなく、季節の変わり目に、災難や厄を祓い、良い幕開けができるよう願う行事でした。中国では、川で身を清める習慣がありましたが、日本では、紙などで人型の人形をつくり、自分の体を撫でて穢れをうつして川に流すことで、邪気払いをする行事として広がって行きました。
また、この行事がはじまる頃、平安貴族の女の子の間で「ひなあそび」と呼ばれる、現在のままごとに近い人形遊びが流行していました。この遊びと、人形を川に流す風習が結びついて、現在でも残る「流し雛」のルーツになったと言われています。時代とともに人形作りの技術が発展したことで、立派な人形が作られるようになり、やがて人形は流すものから飾るものへと変わっていきました。
日本ではどのようにひなまつりをお祝いするのでしょうか。下記にて、代表的なものをご紹介します。
- ひな人形を飾る
ひな人形とは、ひなまつりに飾る人形のことで、7段や5段飾りの豪華な段飾りのもの、お内裏様とお雛様だけの親王飾りなど、さまざまな種類があります。女の子がいる家庭では、ひな人形を飾り、ひなまつりをお祝いします。ひな人形は天皇陛下の結婚式を表現しており、どのひな人形にも欠かせないお内裏様とお雛様は、天皇と皇后を表していて、二人のように幸せな結婚ができるようにとの願いが込められています。ひな人形は、一般的に立春(暦上で春が始まる日、2月4日頃)〜2月中旬にかけて飾り、ひなまつりが終わったらなるべく早めに、遅くとも3月中旬までにはしまいます。「ひな人形をしまい忘れると婚期が遅れる」という迷信がありますが、これは、「片付けを後回しにするような女の子は、素敵な大人の女性になれませんよ!」という教育的な意味が込められています。
- 流し雛
流し雛とは、雛流しとも呼ばれるひなまつりの伝統行事です。紙や草木を人型にしたものを、子供の無病息災を願いながら川に流します。流し雛は源氏物語の中にも出てくるほど歴史ある行事で、現在でも各地で流し雛が行われています。人型の紙の人形を流す他にも、雛人形が展示されたり、お内裏様とお雛様が登場したり、十二単を着付ける様子を見ることができたりなど、各地でさまざま流し雛イベントが開催されます。
- ひなまつりにまつわる食べ物
ひなまつりには、下記のような物を食べ、お祝いをします。それぞれの料理には、縁起の良い意味が込められています。現代の日本では、ひなまつりの季節になるとひなまつりのデコレーションがされたケーキやお菓子が販売されており、下記のような伝統的な料理の他にも、ケーキなどを食べてお祝いする人々もいます。
- ひなあられ
ひなあられは、一口大のもち米を炒って作るひなまつりの代表的なお菓子です。赤(ピンク)、緑、黄、白の4色でそれぞれ四季を表していると言われています。四季を表すことにより、「1年中娘が幸せに過ごせるように」という願いを込めています。
赤(ピンク)→春
緑 →夏
黄 →秋
白 →冬
また、ひなあられは基本的には4色ですが、3色の場合もあり、この場合は白・緑・赤で構成されます。白が雪の大地、緑が木々の芽吹き、赤が血と命を意味していて、自然のエネルギーが得て、健やかに成長してほしいという願いが込められています。
ひなあられの味は、関東と関西で異なっており、関東は砂糖で味付けした甘いひなあられ、関西は醤油や塩で味付けしたひなあられが食べられています。
- 菱餅
菱餅は、緑、白、ピンク(赤)の3色の餅をひし形に切って重ねたものです。緑は「健康長寿」、白は「清浄」、ピンクは「魔除け」を意味していると言われています。また、この3色は上からピンク→白→緑の順で重ね、この順番には「春が近づく季節、雪の下には緑の草が息づきはじめ、雪が残る大地には桃の花が芽吹く」という意味合いがあります。3つの色だけで、このように季節を表す昔の人々の考えはとても素敵ですね。
緑の餅には増血作用のあるよもぎ、白の餅には血圧を下げる効果のあるひしの実、ピンクの餅は解毒作用があると言われるクチナシが使われています。菱形になった経緯には諸説ありますが、どの説にも親が娘の健康を願う気持ちが込められています。
- ハマグリのお吸い物
ハマグリは2枚の貝殻をもつ2枚貝です。貝殻は対の貝殻であれば、ぴったりあいますが、それ以外の貝殻があうことはありません。このことから、ハマグリは仲の良い夫婦を表しており、「一人の相手と永遠に仲良く過ごせますように」という願いが込められています。
- ちらし寿司
ちらし寿司は、ひなまつりの定番メニューですが、実は、ちらし寿司そのものにはいわれは何もありません。しかし、使われている具材に縁起の良い意味があり、また、三つ葉や卵、菜の花などをちらすことで彩りが華やかになり、春を運んでくれる料理として、ひなまつりの定番となったようでうす。具材には、えび(長生きできますように)、れんこん(先が見通せるように)、豆(健康でマメに働けるように)などが使われます。
- 白酒
ひなまつりの飲み物といえば、白酒です。もともとは桃の花びらをつけた桃花酒というものが飲まれていたと言われています。桃は古くから、邪気を払い、気力や体力の充実をもたらすということで、薬酒のひとつとして中国から伝えられました。江戸時代になり、桃花酒より白酒の方が親しまれるようになり、現在でもひなまつりには白酒を楽しむ風習が続いています。とはいえ、白酒は大人の飲み物ですので、ひなまつりの主役である子供は、白酒に似た、ノンアルコールの甘酒を楽しみます。
私は、ひなまつりの季節になると、家族と一緒にお雛様を飾り、ひなまつりにまつわる食べ物を食べ、お祝いしていました。幼稚園では、お雛様とお内裏様を折り紙でつくったり、ひなまつりの歌をよく歌っていました。小学校や中学校では、ひなまつりの日は給食が少し豪華になるので、給食を楽しみにしていた記憶があります。大人になるにつれて忙しくなり、なかなかお雛様を飾る機会も減りましたが、ひなまつりの日には母が毎年ちらし寿司とハマグリのお吸い物を作ってくれ、ひなまつりのお祝いは毎年していました。現在、私はイタリアに住んでいますが、これからも3月3日はひなまつりのお祝いを続けていきたいと思います。みなさんも、3月3日は、日本風にひなまつりをお祝いしてみてはいかがでしょうか。
Anime al Cinema 2020
di Irene Scapolan
La nuova stagione di Anime al Cinema per l'anno 2020, distribuita da Nexo Digital in collaborazione con Dynit e col sostegno dei media partner Radio DEEJAY, MYmovies.it, Lucca Comics & Games e VVVVID, propone cinque imperdibili appuntamenti a partire da febbraio.
Si parte 3, 4 e 5 febbraio con PROMARE, film del 2019 prodotto dallo Studio Trigger e diretto da Hiroyuki Imaishi, creatori di altre serie di successo come Gurren Lagann e Kill La Kill. Con uno stile unico, colorato e strabiliante, Promare si spinge oltre e sfida nuovamente i limiti del cinema d’animazione robotico giapponese. A 30 anni dall'apparizione dei Burnish, una razza di esseri fiammeggianti apparsi per caso per via di una mutazione, che ha gettato il mondo nel caos e distrutto metà del pianeta, un gruppo denominato Mad Burnish ha ripreso a seminare distruzione. Il protagonista Galo Thymos, nuovo membro dei Burning Rescue ovvero la squadra anti-Burinish, si troverà a combattere contro Lio Fotia, leader dei Mad Burnish.
Il secondo appuntamento sarà dal 19 al 25 marzo con MY HERO ACADEMIA THE MOVIE 2 – HEROES: RISING, che arriva al cinema dopo il successo del primo film, che ha incassato più di 21 milioni di dollari in tutto il mondo. Questo nuovo cortometraggio conferma lo staff delle serie animate e del film precedente: il regista Kenji Nagasaki, lo sceneggiatore Yousuke Kuroda, il character designer Yoshihiko Umakoshi, il compositore della colonna sonora Yuuki Hayashi e lo studio di animazione Bones. In questo film Deku, Bakugo, Ochaco, Todoroki e tutti gli altri membri della Classe A, dopo il ritiro di All Might come simbolo della pace, dovranno scontrarsi con un nuovo e misterioso villain, Nine, che può essere considerato come il peggior nemico della serie.
La stagione proseguirà il 20, 21 e 22 aprile con RIDE YOUR WAVE, una commovente storia d’amore del visionario regista Masaaki Yuasa, astro nascente dell’animazione giapponese. Ride Your Wave racconta la storia di Hinako, una giovane studentessa amante del surf che dopo essere rimasta intrappolata nel suo appartamento da un incendio, viene soccorsa da Minato, un vigile del fuoco. I due si innamorano ma improvvisamente Minato perde la vita in un incidente in mare. Hinako è sconvolta ma un giorno scopre che cantando una canzone può magicamente evocare Minato nell'acqua. Ma qual è la vera ragione dell’improvvisa ricomparsa di Minato?
Con l'arrivo dell’estate il 30 giugno e 1 luglio arriverà anche SEVEN DAYS WAR, con la regia di Yuta Murano, uno dei giovani autori più interessanti del panorama dell’animazione giapponese. L’anime è tratto dal romanzo di Osamu Sōda che, pubblicato nel 1985, divenne un’opera di culto per i teenager giapponesi vendendo più di 20 milioni di copie. Il giorno prima dell'inizio delle vacanze estive un’intera classe di una scuola media scompare nel nulla. Si pensa a un incidente o un rapimento di massa, ma si scoprirà che i ragazzi si sono barricati in una fabbrica abbandonata in segno di ribellione contro gli adulti
La stagione si chiuderà il 21 e 22 luglio con FATE/STAY NIGHT Heaven’s Feel III. Spring Song, l'ultimo appuntamento della terza e più cupa storia di Fate/stay night. Maghi e Spiriti Eroici combattono e si affrontano nella Guerra del Santo Graal, al fine di ottenere la coppa onnipotente in grado di esaudire qualsiasi desiderio. In quest'ultimo film la storia, iniziata con Fate/stay night: Heaven's Feel - I. presage flower e Fate/stay night: Heaven's Feel - II. lost butterfly troverà la sua conclusione, riuscirà Shirou Emiya a proteggere Sakura, la ragazza che ama, e fermare la Guerra?
Maggiori informazioni: http://www.nexodigital.it/