Giardini giapponesi: l'arte di migliorare la natura (3)
Il principio di “Seguire la richiesta”
Quando è allora possibile creare un’illusione tale di casualità e naturalezza mentre si distilla selettivamente e si rappresenta l’atmosfera caratteristica di una scena particolare? Come può essere conseguita “una bellezza artificiale” che è “calcolata per apparire quanto più naturale è possibile”?
La risposta può essere trovata nel principio di design più importante e intrigante dei giardini giapponesi, kowan ni shitagau (seguire la richiesta), proposto per primo nel Sakutei Ki e a cui si è aderiti fedelmente da quel momento. Originariamente proposto come un metodo di disporre le pietre, questo principio richiede che il designer selezioni la pietra principale osservando da vicino le sue caratteristiche native e di scegliere e disporre le altre pietre per fare da complemento alla pietra principale. Secondo il Sakutei Ki, il giardiniere “dovrebbe inizialmente installare una pietra principale, e quindi posizionare le altre pietre, in numeri necessari, in moto tale da soddisfare l’umore che la pietra principale richiede.” L’unità dell’intero arrangiamento si consegue con la selezione e la disposizione che accentuano le caratteristiche di ciascuna pietra attraverso il contrasto piuttosto che la ripetizione. Ad esempio, il Sakutei Ki suggerisce che le pietre “che corrono via” dovrebbero essere accompagnate da pietre “che rincorrono”, una pietra che si appoggia da una pietra che sostiene, una pietra “che calpesta” da una pietra “che è calpestata”, una pietra “che guarda in alto” da una pietra “che guarda in basso” e una pietra eretta da una pietra sdraiata. Analogamente le Illustrazioni raccomandano il posizionamento verticale della “pietra che non invecchia mai” (pietra appuntita con una grana netta e definita) che sarà completato dal posizionamento orizzontale della “pietra dei diecimila eoni” (una pietra relativamente liscia con una gentile superficie superiore simile a un cuscino).Leggere di più
Design con una mente giapponese – una conversazione con Takeshi Wakabayashi
Mi chiamo Takeshi Wakabayashi. Devo molto alla natura di Kyoto. Quando ho bisogno di stare solo, faccio spesso una passeggiata a Tadasu no Mori, “la foresta della verità”. Sono felice e in pace con me stesso in questa foresta. È naturale, non potata né piantata dagli esseri umani. Mi piace anche la brezza del tardo pomeriggio in primavera. Un tipo di brezza è esattamente quello che descriveva l’eccentrico monaco e poeta buddista Zen Ikky Sojun (1394-1481): “Aprite a forza un ciliegio e non ci sono fiori ma la brezza primaverile trasporta miriadi di fioriture”. La brezza porta via i torti del mio giorno e mi mette a mio agio.
Dai tempi antichi fino al presente, i giapponesi hanno celebrato la bellezza della natura e la pregnanza del ritmo stagionale della luna, delle fioriture di ciliegio, dei fiumi e della foresta. Ispirati dagli impulsi naturali, hanno creato meditazioni sulle fuggevoli stagioni della vita e, attraverso di esse, espresso verità essenziali sulla natura dell’esperienza umana.Leggere di più
Giardini giapponesi: l'arte di migliorare la natura (2)
Creazione dell’effetto scenico
Dal primo resoconto esistente sulla realizzazione di giardini in Giappone, il Sakutei Ki (il libro della realizzazione dei giardini), di un aristocratico dell’XI secolo, Tachibana-no-Toshitsuna, possiamo cogliere che i giardini giapponesi non furono mai intesi essere copie letterali e indiscriminate o miniaturizzazioni della natura. Anche se la natura fu considerata in generale degna di rispetto estetico, Toshitsuna afferma con chiarezza che non tutte le parti della natura sono apprezzabili:
Alcune persone hanno sottolineato che le pietre posizionate e i paesaggi realizzati dall’uomo non potranno mai superare il paesaggio naturale. Ciononostante, viaggiando attraverso numerose province ho notato in molte occasioni che quando ero profondamente impressionato dalla bellezza di un qualche sito scenico famoso, ho sempre trovato delle visioni non degne di nota che esistevano nelle vicinanze… Nel caso di un paesaggio realizzato dall’uomo, dal momento che le uniche parti attraenti e le migliori dei luoghi sono studiate e modellate, le pietre e le caratteristiche insignificanti sono fornite raramente insieme all’opera umana.Leggere di più
Antiquariato giapponese
Itomaki tachi koshirae
Montatura per tachi
Metà del periodo Edo (1615 - 1867)
XVIII secolo
Lunghezza totale: 99 cm.
Origami:
Questo koshirae è stato giudicato hozon tosogu dalla NBTHK nel maggio 2008.
Montature di questo stile, in lacca nashiji decorata con kamon in maki-e e fornimenti in shakudo bordati di ottone dorato, sono le più tradizionali e raffinate. Sebbene i primi esemplari risalgono al periodo Muromachi (1336-1573), la produzione di itomaki koshirae rimase pressoché invariata fino alla fine del periodo Edo e oltre.Leggere di più
Giardini giapponesi: l'arte di migliorare la natura (1)
Introduzione
I giardini giapponesi sono frequentemente apprezzati perché incarnano l’atteggiamento di armonia e rispetto verso la natura, riflesso nel loro aspetto informale e “naturale”. Ad esempio, un commentatore trova nei giardini giapponesi “un atteggiamento di umiltà e di profondo rispetto per i materiali”, mentre un altro vede in essi “la partnership dell’uomo con la natura”. Queste osservazioni sono fatte in raffronto ai giardini formali occidentali, che sono caratterizzati da una rigida simmetria, motivi geometrici e ordine rigoroso. Il design risultante nei giardini formali occidentali rivela chiaramente l’opera dell’uomo, interpretata comunemente come l’atteggiamento del dominio umano sulla natura, in contrasto con i giardini giapponesi.
Sotto un certo punto di vista, questo presunto contrasto fra i giardini giapponesi e i giardini formali occidentali può essere fuorviante. L’apparenza cosiddetta naturale dei giardini giapponesi non significa che poca attività umana sia coinvolta nella loro produzione o manutenzione. Non importa quanto “naturali” possano apparire i giardini giapponesi, sono comunque i prodotti dell’artificio umano, che risulta dalla modifica estensiva e dalla manipolazione della natura. Semplicemente in virtù del fatto di essere giardini invece che tratti di natura incontaminata, sia i giardini giapponesi che i giardini formali occidentali condividono lo stesso obiettivo: rappresentare un’immagine ideale della natura, migliorandola da come esiste nel suo stato intatto. Sono creati per comunicare la natura nella sua forma ideale, qualcosa che la natura non riesce a realizzare da sola. A tale riguardo, la differenza negli stili dei giardini è relativamente insignificante perché un qualsiasi giardino, secondo un commentatore, “rimane una dichiarazione di potenza” nella misura in cui la sua arte consiste nel ridisporre e riformare gli oggetti naturali per conseguire un fine desiderato.Leggere di più
L’aikidō: conclusioni
Uno degli aspetti che permettono di assimilare l’aikidō a una pratica religiosa, si può individuare analizzando il rapporto fra l’allievo e il maestro. Per l’allievo è fondamentale la costante presenza del maestro che viene considerato come il depositario e dispensatore di una conoscenza; a lui è dovuta una completa obbedienza e sottomissione. Queste sono le condizioni da rispettare per progredire lungo la strada segnata in primis dal fondatore.
Nella pratica del budō. il periodo di apprendistato è dedicato principalmente all’acquisizione della tecnica, solo quando questa e già perfezionata, nei primi gradi dan si inizia a parlare di via: l’allievo comincia a sperimentare direttamente l’esistenza di un insegnamento di vita che trascende il livello fisico atletico. Il faticoso e lungo cammino ha portato il maestro ad essere molto di più che un semplice tecnico: egli sa che la tecnica e solo un veicolo per comprendere la vera essenza dell’aiki e i discepoli per compiere il medesimo percorso devono abbandonarsi a lui.Leggere di più
Il Chado nel mondo reale
Amo entrare nella stanza del tè, vedere il kakemono e i fiori e annusare l’incenso. La stanza del tè è un luogo sicuro in cui le regole dell’etichetta garantisce che tutti sappiano quello che accadrà e come comportarsi. Siamo tra persone che condividono gli ideali del wa, kei, sei e jaku. Questo è il mondo del tè.
E tuttavia, c’è questa dualità. La mia vita nel tè, o la mia vita quando non pratico il tè. Qual è il mondo reale? Talvolta sembra che la stanza del tè sia più reale del resto della mia vita quando mi preoccupo dei conti, dei conflitti sul lavoro, della mia famiglia, dello shopping e di molte altre cose. Nella stanza del tè, mi preoccupo soltanto di preparare un buon tè, mi preoccupo dei miei ospiti e di fare del mio meglio.
Per molti anni, ho dovuto guidare attraverso la città dopo il lavoro per frequentare la classe del tè. Nel bel mezzo del traffico più odioso ero sulla circonvallazione e guidavo verso la casa della mia sensei. Talvolta mi ci volevano più di due ore per arrivarci e io avevo il terrore di fare quel viaggio. Quando arrivavo a lezione, ero in ritardo, frustrata e distratta. Una sera notai, tornando a casa, che tutte le volte che andavo a una lezione sul tè, ero molto felice sulla via del ritorno. Il più delle volte, il traffico era molto leggero, ma talvolta era altrettanto pesante dell’andata. Non importava, ero felice di guidare verso casa.Leggere di più
Aikidō: le caratteristiche della pratica
L’aikidō si pratica su un tatami, indossando il keikogi, la classica divisa di cotone bianco usata per il jūdō, ma sono accettate anche le divise da karate e da kung fu, purché bianche. Ad eccezione dei bambini, per i quali solitamente si tengono apposite lezioni, i corsi sono aperti a tutti indipendentemente dal sesso o dall’età poiché l’aikidō si prefigge di essere una disciplina praticabile da chiunque. Ai principianti vengono in primo luogo insegnate le tecniche di caduta (in avanti e all’indietro), gli spostamenti e le tecniche di base. Le lezioni iniziano in ginocchio, seduti sui talloni, con un breve momento di concentrazione, seguito dal rituale saluto a un’immagine del Fondatore dell’aikidō e all’insegnante, e continuano con esercizi di respirazione profonda e di concentrazione (kokyū soren, controllo dell’energia totale attraverso il metodo della respirazione). Preparati così mentalmente e spiritualmente, si eseguono velocemente alcuni esercizi di riscaldamento, di allungamento muscolare e le cadute. L’apprendimento avviene principalmente per imitazione.
Come nella realtà non esiste una sola possibilità di attacco, così nell’aikidō (a differenza per esempio dal jūdō) non esistono prese prestabilire al keikogi dei praticanti poiché l’allenamento mira ad abituare mente e corpo a neutralizzare diversi tipi di aggressione (una presa al polso o alla giacca, un pugno allo stomaco, un colpo alla testa, un tentativo di immobilizzazione da tergo, ecc.).Leggere di più
Aikidō: aspetti rituali
La pratica dell’aikidō è fatta di gesti e comportamenti ben codificati. Non esiste l’improvvisazione. Non ci sono professioni di fede o credo da recitare, conoscere i testi non viene richiesto per salire di grado. Tuttavia ci sono delle regole da seguire.
Durante la pratica bisogna stare in silenzio, attenti e rispettosi degli altri. In più ci sono precisi rituali da osservare salendo e scendendo dal tatami, all’inizio e alla fine della lezione. Questo inchino rituale segna una chiara demarcazione tra lo spazio di pratica e quello esterno. Così come il saluto rituale all’inizio e alla fine della lezione,
l’inchino al kamidana del dōjō. Anche gli esercizi preliminari di riscaldamento diventano rituale. Gli speciali esercizi chiamati aiki taisō sono stati mutuati dalla tradizione shintō e sono tradizionali pratiche esoteriche. Per poter osservare le componenti religiose di alcuni comportamenti rituali coinvolti nell’aikidō, saremo guidati dal sistema di osservazione delle azioni rituali descritte nel testo Rethinking Religion di Lawson e McCauley.Leggere di più
Il cucù estivo
natsu no yo no
fusu ka to sureba
hototoguisu
naku hitokoe ni
akuru shinonome
In una notte d’estate,
non appena mi ero distesa
ecco che appare la prima luce
pallida dell’alba – annunciata
da un’unica canzone del cucù.
L’hototogisu è un tipo di cucù giapponese (Cuculus poliocephalus). Il canto dell’hototogisu segnala tradizionalmente l’arrivo dell’estate. In alcuni racconti, il grido funereo di un hototogisu in un bosco solitario era associato al desiderio degli spiriti dei morti di ritornare dai propri amati ancora in vita. L’hototogisu è stato a lungo un tema popolare nella letteratura e nella poesia giapponesi, apparendo sia ne Il racconto di Genji che ne Il libro del cuscino, e comprendendo praticamente un intero genere di haiku dedicati all’hototogisu. È una parola comoda che contiene 5 sillabe e quando si aggiunge yama (montagna), ne comprende 7.Leggere di più