La dimensione nascosta Kaori Miyayama
Pinacoteca Comunale “Cesare Belossi” di Villa Soranzo
Varallo Pombia (NO)
inaugurazione domenica 9 ottobre ore16:00
9 ottobre – 6 novembre 2011
sabato e domenica 10:00-12:00, 17:00-19:00
a cura di
Matteo Galbiati e Matteo Rancan
testo di
Matteo Galbiati e Viviana Siverio
Con il patrocinio di 後援
Regione Piemonte ピエモンテ州
Provincia di Novara ノヴァラ県
Comune di Varallo Pombia ヴァラッロポンビア市
Consolato Generale del Giappone di Milano 在ミラノ日本総領事館
Promossa con il contributo di 助成
Ministero per gli Affari Culturali del Giappone 文化庁
Nomura Foundation 野村財団
Vanilla Edizioni ヴァニラ出版
A14
Coordinato da 企画
la Commissione Pinacoteca Comunale “Cesare Belossi” di Villa Soranzo
Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (3)
L’estetica del negativo
La sensibilità del poeta di haiku Bashō può essere descritta come quella del silenzio e del negativo. Notate questo esempio:
kono michi ya
yuku hito nashi ni
aki no yūgure
Questa strada
Ah, senza una persona che viaggia
Nel crepuscolo autunnale.
Mentre “senza una persona che viaggia” (meno) e l’autunno, che indica l’avvicinarsi dell’inverno (meno), esprimono un cuore solitario attraverso negativi multipli, esprimono anche la forza spirituale di continuare a forgiare indipendentemente (meno x meno = più). Ciò dimostra perfettamente l’essenza dell’estetica del negativo, costituendo non una semplice debolezza negativa ma una forza interiore nascosta.Leggere di più
Furoshiki: cento usi di un quadrato di stoffa
L’arte giapponese di avvolgere contenere, trasportare oggetti di ogni forma: un’alternativa elegante ed ecologica per preparare originali pacchi dono.
La sensibilità verso l’ambiente cresce e tornano in voga materiali e abitudini antiche, di cui si riscopre la modernità. Dal Giappone si fa strada anche in Europa, tra le altre cose, l’interesse per il FUROSHIKI, l’arte di imballare e trasportare le cose piegando e annodando un telo di stoffa.
Il furoshiki non è altro che un quadrato di stoffa; piegato e annodato in vari modi diventa di volta in volta borsa, imballaggio, contenitore, adattandosi a oggetti di ogni forma e mantenendo sempre stile ed eleganza.
È un oggetto che dimostra la raffinatezza e il gusto estetico così sviluppati della cultura giapponese. Scegliere e annodare un furoshiki è diventata un’arte che si tramanda di generazione in generazione.Leggere di più
Eido Roshi sullo Zen nei kakejiku
Lo scorso mese alla riunione degli Amici nel Tè, Eido Roshi, il responsabile del Daibosatsu, ha tenuto un discorso commentando il significato di alcune famose massime Zen che sono utilizzate spesso sui kakejiku per il tè. Volevo condividere qui qualcuna delle cose che sono state dette. Ho fatto del mio meglio nel prendere appunti nella maniera più accurata possibile ma so che ci sono delle cose che mancano ed è per questo che mi scuso.
Ichigo ichie
“Questa espressione è così immensa che non c’è bisogno che dica niente… È tradotta spesso con “una volta, un incontro”. Letteralmente questa traduzione è inaccurata ma la mia interpretazione è “senza precedenti e irripetibile”. Non ci siamo mai incontrati qui – senza precedenti. Molto probabilmente, fra sei anni, ci saranno volti nuovi. Quindi, irripetibile.Leggere di più
Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (2)
Definire la cultura
I giapponesi esprimono costantemente il desiderio che la propria nazione e le città non siano meramente civilizzate ma acculturate, tuttavia le città che costruiscono in realtà sono una manifestazione del primo aspetto e non del secondo. La ragione di ciò risiede nell’incapacità di distinguere con chiarezza fra civiltà e cultura.
Watsuji Tetsurō spiega allegoricamente che: “quando condiamo una verdura appena colta con l’olio e la mangiamo, questa è civiltà. Quando mettiamo della verdura appena colta in un contenitore e la lasciamo in salamoia per giorni, facendo emergere il corpo del suo sapore nascosto, e poi la mangiamo, allora quella è cultura.” (Leggermente modificato ai fini del presente articolo.)
Il sapore della civiltà espressa dall’insalata di Watsuji è superficiale e monodimensionale. Ma nel caso nella cultura, prendersi il tempo di mettere in salamoia la verdura fa emergere il suo intero “corpo”, o sapore nascosto. Nella tesi di Watsuji, è questo “sapore nascosto” che costituisce la cultura.Leggere di più
Dogu - Oggetti per il chanoyu
Dogu è il termine che indica gli utensili per la preparazione del tè. Mio marito ride di me e li chiama giocattoli per il tè. In effetti, tutto quello di cui si ha bisogno per il chanoyu è chawan (tazza del tè), chasen (frustino per il tè), chakin (panno per asciugare), fukusa (panno per la purificazione), chaki (contenitore del tè) e chashaku (cucchiaio per il tè). Con questi sei utensili, si può praticare il chanoyu dappertutto.
Quando iniziai a studiare il chado, non c’erano molti utensili giapponesi disponibili. Anche se potevo permettermeli, non mi erano accessibili. Incominciai a guardare degli oggetti prontamente disponibili che potessero essere utilizzati per il tè. Ho ancora molti di questi utensili improvvisati: una tazza di ceramica per il kensui, un contenitore dei biscotti come contenitore dell’acqua fredda, contenitori di varie dimensioni e forme per i dolci per il tè.Leggere di più
Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (1)
Nella sua opera Fūdō, il filosofo Watsuji Tetsurō (1889-1960) scrive che “la cultura e il senso estetico di un paese sono radicati nelle sue caratteristiche naturali e nel clima”. Va avanti affermando che il Giappone, situato all’interno della cintura dei monsoni, è un paese umido, caratterizzato da mutamenti stagionali definiti con chiarezza. Di volta in volta, la generosità naturale di umidità rovina sulle persone nella forma di piogge torrenziali, tempeste di vento, inondazioni e addirittura siccità. A fronte della furia della natura, le persone hanno poca scelta se non abbandonare tutte le resistenze e sottomettersi.Leggere di più
Bambole Kokeshi
Sono bambole tradizionali giapponesi, la loro prima comparsa risale all'epoca Edo (1600-1868). Originariamente venivano regalate ai turisti che visitavano i luoghi termali.
Secondo la tradizione antica nipponica, possedere una bambola Kokeshi porta armonia nella casa e allontana la cattiva sorte.
Le bambole Kokeshi sono realizzate in legno stagionato, interamente decorate a mano da artisti locali.
Guardando queste bambole siamo subito colpiti dai loro colori e dalla ricchezza di dettagli che la decorano. Il busto riproduce il tradizionale kimono giapponese, finemente decorato con temi floreali che raffigurano le quattro stagioni.
Le Kokeshi sono un'ottima scelta per un regalo orginale per ogni ricorrenza e occasione. Arricchiscono le nostre case coni loro colori, ci affascinano con la loro delicatezza e ci regalano un sorriso con le loro simpatiche faccine.
Sara Morelli
Se siete interessati alle mie bambole Kokeshi originali, provenienti dalla Prefettura di Kyoto, scrivetemi a questo indirizzo email:
japan.primavera@gmail.com
Antiquariato giapponese
Scuola di Kyoto, XIX secolo
Breve storia del teatro Rakugo
Il termine Rakugo (“parole lasciate cadere”) è attestato per la prima volta nel 1787, ma si è diffuso soltanto durante l’epoca Meiji (1867-1912) ed è divenuto di uso comune nel XX secolo in epoca Shôwa (1926-1989).
Non si sa esattamente quando il teatro Rakugo sia nato, mentre è accertato che ha avuto origine pressoi daimyo (feudatari) che ospitavano alla loro corte attori che li intrattenessero raccontando storie divertenti.
Il teatro Rakugo si è sviluppato in vari stili: shibaibanashi (“storie teatrali”), ongyokubanashi (“storie musicali”), kaidanbanashi (“storie di fantasmi”) e ninjôbanashi (“storie sentimentali”). In alcune di queste forme manca la battuta finale ochi, caratteristica del Rakugo originale.
Nell’epoca di Edo (1603-1867) i commercianti più ricchi (chonin) hanno iniziato ad apprezzare questa forma di teatro che così si è diffusa anche fra i non nobili ed è diventata sempre più popolare. Nel XVII secolo gli attori erano chiamati hanashika (“narratore di storie”), termine che corrisponde all’odierno rakugoka ( “persona che lascia cadere le parole”). L’usanza di concludere il monologo con una battuta forse deriva dai kobanashi, brevi racconti comici con battuta finale (ochi) molto amati fra XVII e XIX secolo, con personaggi del popolo come protagonisti.Leggere di più