Contemplare il vuoto: spunti di riflessione attorno al giardino zen (2)
II
Furono i religiosi zen che, a partire dal XIV° secolo, crearono uno stile nuovo di giardino, esaltato dal genio di Musō Soseki (nome postumo: Musō Kokushi, 1276-1351), importante maestro zen e consigliere degli shōgun del governo militare (bakufu) di Kamakura. Musō disegnò numerosi giardini nei quali l’importanza è data più alla sistemazione di sabbia e pietre che alla vegetazione.
Nel 1339 Musō crea un giardino nel recinto dello Saihōji (conosciuto popolarmente come Kokedera, “tempio dei muschi”), su più piani, e realizza una novità rispetto al giardino dello stile shinden: si può passeggiarvi e a ogni angolo il paesaggio cambia, mentre vi è evidente utilizzo in senso spirituale delle pietre (impiegate a simboleggiare il monte Sumeru, cascate, isole). I laici vi sono esclusi, essendo, questo luogo, destinato esclusivamente ai monaci e alla disciplina religiosa.
Nel 1342 Musō apporta ancora una innovazione nell’arte dei giardini creandone uno per il Tenryūji: il giardino e il lago che vi si trova nel mezzo sono concepiti per essere apprezzati stando seduti sulla veranda del padiglione della residenza dell’abate (hōjō): non più luogo di piaceri, il giardino è per l’ammirazione statica, meglio, diventa luogo della contemplazione della realtà profonda, luogo della meditazione zazen.Leggere di più
Una tradizione vivificante: per una introduzione al teatro giapponese
Foto di Flavio Gallozzi
Il panorama teatrale giapponese si muove su un percorso caratterizzato da una duplice direttrice: il primato della rappresentazione sulla scrittura drammatica e la coesistenza di una grande tradizione classica in cui sono conservate forme antiche (il nō, il kyōgen, il kabuki e il jōruri) e di una ricerca tutta contemporanea di nuove forme della rappresentazione: dallo shinpa e dallo shingeki o “nuovo teatro” sviluppatesi fra la fine del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo, alle avanguardie della seconda metà del XX secolo, sino agli esperimenti della scena contemporanea, la commistione dei generi, l’interesse per forme nuove della rappresentazione che devono molto alla televisione e alla cultura pop.
Il teatro giapponese è un teatro di performance, un teatro in cui il gesto, la forma codificata dalla tradizione (il kata), la corporeità dell’attore, il suo gioco sulla scena hanno la meglio sulla parola, sul testo. Questo è vero almeno sino alla fine del XIX secolo, quando le opere teatrali iniziarono ad essere apprezzate anche per il valore intrinseco del testo e scritte per la lettura e non solo per la rappresentazione. Tuttavia i costumi sfarzosi del teatro classico, le scene rutilanti del teatro popolare, tutto concorre ad esaltare la figura dell’attore, la sua fisicità, il suo fascino.Leggere di più
'La luce', lo splendore dell'arte giapponese contemporanea
Il 10 febbraio 1582 iniziò, con la missione in Europa di quattro giovani giapponesi inviati dal padre gesuita Alessandro Valignano, l'incontro tra la cultura giapponese e quella occidentale. Il dialogo fu ripreso dopo l'epoca Sadoku (''paese chiuso''): da allora la cultura del Giappone ha interagito con il mondo occidentale sia dal punto di vista spirituale sia da quello tecnologico. Ne sono oggi esempio l'artigianato e il design, portatori di una tradizione estetica risalente alla seconda meta' del sedicesimo secolo, oggi apprezzati a livello internazionale.
L'intento della mostra 'La luce. Lo splendore dell'arte giapponese contemporanea' - ai Mercati di Traiano dal 20 al 30 ottobre - è far sì che possa proseguire anche oggi l'interscambio culturale così a lungo maturato, diventando la luce che lega Oriente e Occidente e rafforzando gli scambi culturali e l'amicizia tra Italia e Giappone.
L'arte giapponese riscopre e prosegue la sua tradizione adoperando materiali moderni, la sperimentazione è insita anche nella contrapposizione antico-contemporaneo, opera laterizia-alluminio, pieno-vuoto, colore-noncolore. Tra le 343 opere dei numerosi artisti presenti in mostra, spiccano quelle del ceramista Imaemon Imaizumi, del bambolaio Shinkyo Nakamura e di Runa Kosogawa, creatrice di delicati oggetti in vetro.
Le opere sono estremamente varie: pitture giapponesi, pitture a china e ad olio, acquerelli, prodotti dell'arte giapponese della calligrafia, poesie, piccole sculture, fotografie, ceramiche, vetri, ''bambole'', monili. Le tecniche e le forme tradizionali sono riproposte in un linguaggio innovativo, nella continuità del dialogo tra la cultura giapponese e quella occidentale iniziato più di quattrocento anni fa.
Confronti tra Italia e Giappone durante la Restaurazione Meiji (1868-1912)
Primi passi verso l’Occidente
Ė noto il periodo di infatuazione collettiva che ha avuto l’Europa per l’arte giapponese alla fine dell’Ottocento: l’immaginario artistico comune riconduce il Giappone a quelle stampe in cui il mondo nipponico appare etereo, poetico, fatto di geisha e paesaggi nitidi. Tuttavia in pochi conoscono il fenomeno opposto: la sete di conoscenza e di contatti con l’Europa che hanno caratterizzato il periodo della Restaurazione Meiji.
Ancor meno conosciuto è l’apporto fondamentale che hanno dato personalità italiane allo sviluppo artistico giapponese. Ė straordinario osservare l’esperienza di Antonio Fontanesi, Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone e trovare in essi una tale curiosità intellettuale. Tre uomini distanti per formazione e provenienza, eppure così affini per spirito di osservazione, hanno lasciato un’impronta profonda nella storia giapponese, a loro volta toccati dalle modalità di espressione artistica nipponica.
La Restaurazione Meiji determina forti cambiamenti in Giappone. Un paese che fino a quel momento aveva fatto della chiusura e della tradizione un punto di forza, decide di entrare nella competizione economica e di supremazia con le altri grandi potenze mondiali. Per raggiungere questo obiettivo stabilisce di affrontare il tutto in maniera accademica: comprende infatti che per battere un avversario è necessario prima studiarlo da vicino. Ciò sfocia in un periodo di indagine e di confronto con le maggiori potenze straniere in ogni ambito, dalla guerra all’economia per giungere alla cultura, e in particolar modo, all’arte. Il confronto artistico avviene con la nazione considerata maggiormente rappresentativa in questo campo: l’Italia. La conoscenza dell’arte occidentale viene quindi veicolata dal nostro Paese e, in particolar modo, da tre personaggi, Antonio Fontanesi, Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone, i quali lasceranno un’impronta ben visibile del loro contributo.Leggere di più
Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (4)
“Il godimento risiede nel non fatto”
Zeami, (1363?-1443?), nell’opera Kakyō che egli scrisse per trasmettere i segreti del teatro noh, parla del fatto che “il godimento risiede nel non fatto.” “Il non fatto” si riferisce alla cessazione di tutte le espressioni, musicali o vocali, durante brevi e silenziosi intervalli che si realizzano quando un passaggio di danza o di canto si muove verso quello successivo. Non è né un vuoto arresto né una pausa silenziosa, ma l’utilizzo di un breve intervallo in cui trasuda la tensione interiore dell’artista ed è trasformata in qualcosa dal forte impatto come un’espressione senza espressione. L’arte di un maestro deve includere l’espressione dell’inespresso e “il godimento risiede nel non fatto” è la spiegazione di Zeami di questa estetica dell’intervallo nel teatro noh.
La parola “omoshiro(ki)” che Zeami utilizza per esprimere il godibile è scritta oggi con i kanji di “faccia” e “bianco” ed è utilizzata di solito per esprimere una sensazione piuttosto superficiale di divertimento o piacere. L’antica raccolta di poesie Manyō Shū, comunque, scrive “omoshiro” utilizzando due kanji che denotano l’emozione, il cui significato combinato si traduce con qualcosa come “pietoso”. “Omoshiro” esprime così un movimento emotivo del cuore che coinvolge l’amore della bellezza e una tenera sensazione di pathos. “Il non fatto” di Zeami connota un filtrare verso la tensione interiore, così questo “godimento” denota chiaramente il significato più antico e più profondo di omoshiro utilizzato nel Manyō Shū.
Contemplare il vuoto: spunti di riflessione attorno al giardino zen (1)
Il giardino secco di Ryoanji. Foto di Rossella Marangoni
“Quando i sentimenti di giudizio della coscienza intellettuale terminano, solo allora potete vedere sino in fondo. E quando vedrete, allora, come nei tempi antichi, il cielo è cielo, la terra è terra, le montagne sono montagne, i fiumi sono fiumi.”
Yuanwu Keqin (1063-1135), Biyanlu (Raccolta della Roccia Blu)
Gli interrogativi che solleva il rapporto fra lo Zen e le arti sono ancora oggetto di dibattito fra gli studiosi. Molto è stato scritto e detto da quando Daisetsu Teitaro Suzuki (1870-1966) divulgò fuori dal Giappone, e in special modo nel mondo anglosassone, le arti giapponesi le cui origini volle attribuire tout court allo Zen. A distanza di un secolo, se ancora l’influenza delle sue teorie permane a livello di “vulgata”, possiamo affermare però che la critica almeno se ne sta affrancando, ponendosi degli interrogativi circa la vera natura delle arti zen. Che cos’è l’arte zen? È quella che si è sviluppata nella temperie culturale dello Zen o piuttosto, è quella che si realizzò all’interno dei monasteri e che spesso è molto lontana da quelli ideali estetici di povertà, di semplicità, di severità che attribuiamo allo Zen? Nel guardare allo sviluppo dell’arte dei giardini in Giappone dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo nel cuore della medesima questione, una questione di rara complessità, che il poco spazio a disposizione ci impedisce di sviluppare. Ci limiteremo pertanto a proporre solo qualche spunto di riflessione circa alcuni aspetti peculiari dell’arte del giardino e del karesansui in particolare.Leggere di più
Antiquariato giapponese
Seinyû
XIII Raku Kichizaemon
La dimensione nascosta Kaori Miyayama
Pinacoteca Comunale “Cesare Belossi” di Villa Soranzo
Varallo Pombia (NO)
inaugurazione domenica 9 ottobre ore16:00
9 ottobre – 6 novembre 2011
sabato e domenica 10:00-12:00, 17:00-19:00
a cura di
Matteo Galbiati e Matteo Rancan
testo di
Matteo Galbiati e Viviana Siverio
Con il patrocinio di 後援
Regione Piemonte ピエモンテ州
Provincia di Novara ノヴァラ県
Comune di Varallo Pombia ヴァラッロポンビア市
Consolato Generale del Giappone di Milano 在ミラノ日本総領事館
Promossa con il contributo di 助成
Ministero per gli Affari Culturali del Giappone 文化庁
Nomura Foundation 野村財団
Vanilla Edizioni ヴァニラ出版
A14
Coordinato da 企画
la Commissione Pinacoteca Comunale “Cesare Belossi” di Villa Soranzo
Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (3)
L’estetica del negativo
La sensibilità del poeta di haiku Bashō può essere descritta come quella del silenzio e del negativo. Notate questo esempio:
kono michi ya
yuku hito nashi ni
aki no yūgure
Questa strada
Ah, senza una persona che viaggia
Nel crepuscolo autunnale.
Mentre “senza una persona che viaggia” (meno) e l’autunno, che indica l’avvicinarsi dell’inverno (meno), esprimono un cuore solitario attraverso negativi multipli, esprimono anche la forza spirituale di continuare a forgiare indipendentemente (meno x meno = più). Ciò dimostra perfettamente l’essenza dell’estetica del negativo, costituendo non una semplice debolezza negativa ma una forza interiore nascosta.Leggere di più
Furoshiki: cento usi di un quadrato di stoffa
L’arte giapponese di avvolgere contenere, trasportare oggetti di ogni forma: un’alternativa elegante ed ecologica per preparare originali pacchi dono.
La sensibilità verso l’ambiente cresce e tornano in voga materiali e abitudini antiche, di cui si riscopre la modernità. Dal Giappone si fa strada anche in Europa, tra le altre cose, l’interesse per il FUROSHIKI, l’arte di imballare e trasportare le cose piegando e annodando un telo di stoffa.
Il furoshiki non è altro che un quadrato di stoffa; piegato e annodato in vari modi diventa di volta in volta borsa, imballaggio, contenitore, adattandosi a oggetti di ogni forma e mantenendo sempre stile ed eleganza.
È un oggetto che dimostra la raffinatezza e il gusto estetico così sviluppati della cultura giapponese. Scegliere e annodare un furoshiki è diventata un’arte che si tramanda di generazione in generazione.Leggere di più