Susuharai

Tradizioni di capodanno: il Susuharai

Il capodanno in Giappone è visto come un nuovo inizio. E per liberarsi simbolicamente delle macchie dell'anno passato, quale modo migliore delle pulizie? Ecco così la tradizione del Susuharai, un vero e proprio rituale per purificare la casa e lo spirito.

I templi e le famiglie tolgono eliminano la polvere dai tatami, lucidano le superfici e, nel far ciò, eliminano tutti i residui spiacevoli del passato, per iniziare il nuovo anno con una visita al tempio, vestiti con un abito nuovo e l'animo sereno.


Contemporaneità e polistilismo

Spesso associato al termine “eclettismo” il polistilismo diventa popolare in musica solo dagli anni ’70 grazie al compositore russo Alfred Schnittke ed al suo testo “"Polystylistic Tendencies in Modern Music”. Proprio a Schnittke il compositore Kano Sohei si rifà direttamente, riprendendone i canoni base per trovare uno stile personale. Conosciuto relativamente ancora poco e noto soprattutto per una sola produzione per l’animazione, Fractale, anime di 11 episodi diretto da Yamamoto Yutaka nel 2011, nonostante questo suo unico exploit nel mondo animato, la sua partitura si distingue dalle altre proprio per l’approccio estremamente innovativo che la sua esperienza come compositore contemporaneo riesce a dare. Fatto ancor più singolare se si pensa che non ci si trova all’interno di una produzione sperimentale, anzi, prodotta da uno degli studi di animazione più importanti in Giappone quale la A-1 Pictures, già nota per serie mainstream come “Sword Art Online” e “Valkyra Chronicles”. L’Anime, nato da un’idea originale del regista, che già aveva lavorato all’interno dello studio Kyoto Animation, e dello scrittore e critico letterario Azuma Hiroki, narra la storia di un mondo futuribile, paragonabile nei paesaggi all’Irlanda a cui la canzone finale, scritta nel secolo scorso da William Butler Yeats “Down by the Salley Gardens”, fa esplicito riferimento. In questo mondo immaginario ma non troppo, la vita di tutti i giorni viene gestita attraverso pseudo avatar che si muovono in città ed ambienti ricreati da un sistema dal nome, appunto, Fractale, e dove agli uomini è dato stare senza lavorare in quanto è il sistema stesso a provvedere a tutti i loro fabbisogni, questo sino a che l’intero stile di vita non rischia di collassare su se stesso per ragioni che a poco a poco scopriremo in corso d’opera. Tralasciando l’aspetto grafico e del character design, che si discosta non poco da altre produzioni coeve, musicalmente parlando l’opera è ricca di spunti e di richiami tra loro più diversi, oltre allo stile proprio del compositore, numerose brani si rifanno a periodi storici e stilistici diversi, che all’interno dell’intervista ci vengono spiegati dallo stesso autore come inserti voluti o necessari ai fini anche e non solo della riuscita dell’Anime da un punto di vista drammatico e finanziario. Lascio quindi la parola al compositore Kano Sohei che oltre che a guidarci all’interno del mondo di Fractale, ci da l’opportunità di seguire da vicino l’approccio di un autore non specificatamente legato al mondo dell’animazione e che quindi, più di altri, è in grado di spiegarcene i meccanismi interni che lo guidano.

Edmondo Filippini: Lei ha scritto una sola colonna conora per uno degli anime più interessanti dedicati ad un possibile futuro, Fractale. Mi piacerebbe sapere come e perché ha scelto questo soggetto come sua prima partitura per questo genere.
Kano Sohei: Il regista dell’Anime, Yutaka Yamamoto, ascoltò il mio lavoro "Scherzo for Wind Orchestra No.2 - The Summer" e gli piacque tanto da contattarmi richiedendomi di lavorare a questo progetto. In realtà non ci conoscevamo direttamente, mi ha contattato infatti attraverso il mio blog. Lo "Scherzo for Wind Orchestra No.2 "The Summer"" era una delle composizioni per un concorso di ensemble di fiati in Giappone e Mr. Yamamoto aveva una profonda comprensione sia della musica classica, sia per la musica per fiati.
n.d.a.: L’autore permette l’ascolto di questa partitura al seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=QvJ25bCeKhM (la musica inizia a 1:08)

E.F.: Com’è stato il suo approccio drammaturgico alla storia come compositore?
K.S.: Avevo due cose in mente mentre lavoravo al progetto. La prima cosa era l’idea di uno stile di vita antico ed uno altrettanto razionale di un futuro di mille anni da oggi coesistenti l’uno con l’altro. La seconda cosa che avevo in mente era prendere il sistema razionale (che sperimenti anche mentre lavori) ed andare contro di esso, pensando alla domanda “cosa significa diventare indipendenti o sostenersi da soli?”. Mi sono avvicinato al primo pensiero utilizzando sia la tecnica classica che la “fredda” tecnica dodecafonica, mentre nel secondo caso usando melodie violente ed effetti sonori. Penso che stavo guardando a me stesso con l’idea di: “guadagnarsi da vivere con la musica”. E.F.: Lei ha mischiato vari stili musicali come il contemporaneo in Hibi no Kate nomi no Roudou to Kueki kara, l’antico e l’elettronico...come pensa questi stili possano dialogare all’interno del mondo musicale contemporaneo? K.S.: Penso che il polistilismo, come può essere anche compreso dalla musica del mio mentore Shuko Mizuno e da compositori quali Schnittke e Zimmerman, sia la chiave. Sono stato devoto al concetto di polistilismo sin dal college e penso che la sua influenza si possa ascoltare nella colonna sonora. Penso inoltre che la musica contemporanea sia stata interamente esplorata in termini di creazione e destrutturazione, sebbene ci possa ancora essere qualcosa ancora da studiare, ed ora noi viviamo in un era in cui la adattiamo e la mixiamo. Io rimango su queste posizioni ed ho ottenuto alcuni successi sino ad ora, lo “Scherzo” prima menzionato è uno di questi.

E.F: All’interno della partitura di Fractale c’erano molti riferimenti alla musica sia neoclassica che barocca, per esempio vari brani eseguiti con un quartetto d’archi, come Nessa no Waltz, Satoyama no Koukei e ancora Ittoki no Ansoku. Come mai ha scelto questo particolare ensemble?
K.S.: Le opere da lei citate sono state registrate come aggiunta sotto richiesta del regista. Egli voleva più musica con gli archi e poiché il budjet rimasto era abbastanza basso si è optato per il quartetto d’archi. Quindi era l’esigenza del momento la ragione principale, sebbene alla fine questi brani in qualche modo caldi e calmi contrastino bene con quelli più vasti e seri.

E.F.: In Dias no prelude lei ha usato uno stile prettamente bacchiano. C’è una ragione speciale per cui ha voluto usare uno stile così antico?
K.S.: Dias è ritratto come una persona fredda. Piuttosto che scrivere qualcosa di melodico pensavo quindi di usare una successione di arpeggi che avrebbe funzionato meglio. Il fatto poi che il regista amava le Suite per violoncello di Bach ha costituito un elemento determinante per questo.

E.F.: Per il brano Kozeriai, Oosawagi ha scelto una musica molto ironica con alcune reminiscenze dalla musica del cinema muto. E’ stata una scelta intenzionale? Si è ispirato proprio a quel periodo?
K.S.: Nella maggior parte dei casi ho seguito lo schema drammatico collegato con l’immagine, impiegando anche le tecniche di Shostakovich e Yasushi Akutagawa. Comunque ho visto molti film di Chaplin quindi potrebbe essere che mi abbiano influenzato un po’.

E.F.: La canzone Hiru no hoshi è una sorta di dolce lullaby molto importante all’interno della storia. La melodia è originale o ha voluto usare una canzone per bambini preesistente?
K.S.: "Hiru no Hoshi" non è stato scritto da me ma da Satoru Kosaki. Credo che sia una sua canzone originale.

E.F.: Ci può dire qualcosa della sua attività compositiva al di fuori del mondo dell’animazione?
K.S.: Quest’anno è stato premiato un mio brano per orchestra di fiati “Five Combination" ed anche il mio brano Prelude for Ground Reviving è stato pubblicato.

E.F.: Ha nuovi progetti per il future a proposito di un possibile anime, film o Drama?
K.S.: Sfortunatamente non ho ricevuto ancora un nuovo progetto. Come progetto da me creato personalmente mi piacerebbe trasformare alcuni anime in opera. "Higurashi no naku koro ni" è stato una produzione personale del 2010 come "Dojin".

Edmondo Filippini


Antiquariato giapponese

Hanbô

Periodo Muromachi (1336-1573)

Ferro laccato

Rara maschera da samurai di tipo hanbô, ovvero che copre mezzo volto ad esclusione del naso.

La dimensione stretta dell'apertura per il naso suggerisce immediatamente una datazione molto antica e la tipologia del ferro e della lacca confermano che si tratta di un oggetto del XVI secolo.

La forma generale della maschera, al contempo forte ma aggraziata, richiama un modello illustrato nel Meikô-zukan-zokushu firmato da Yoshimichi, nonchè l'hanbô firmato Takayoshi della collezione Orikasa: il labbro corrucciato e le linee decise seguno gli stessi lineamenti, mentre al posto del tubicino per il drenaggio del sudore (ase nagashi) questo menpo regge un singolo otayori per il fissaggio dell'elmo e il sudore passa invece per tre fori posti al suo fianco.

Lo yodarekake è a cinque piastre molto sottili, come in uso nelle armature più antiche.

Giuseppe Piva

www.giuseppepiva.com

 


Furoshiki: cento usi di un quadrato di stoffa

Volantino ufficiale distribuito dal Ministero per l’Ambiente nel 2006

 

L’arte giapponese di avvolgere contenere, trasportare oggetti di ogni forma: un’alternativa elegante ed ecologica per preparare originali pacchi dono.

La sensibilità verso l’ambiente cresce e tornano in voga materiali e abitudini antiche, di cui si riscopre la modernità. Dal Giappone si fa strada anche in Europa, tra le altre cose, l’interesse per il FUROSHIKI, l’arte di imballare e trasportare le cose piegando e annodando un telo di stoffa.

Il furoshiki non è altro che un quadrato di stoffa; piegato e annodato in vari modi diventa di volta in volta borsa, imballaggio, contenitore, adattandosi a oggetti di ogni forma e mantenendo sempre stile ed eleganza.

È un oggetto che dimostra la raffinatezza e il gusto estetico così sviluppati della cultura giapponese. Scegliere e annodare un furoshiki è diventata un’arte che si tramanda di generazione in generazione.

Non basta un pezzo di stoffa qualsiasi, è importante scegliere il colore, il disegno e il tessuto secondo l’occasione. Un regalo, ad esempio,  richiede un furoshiki di seta, magari decorato con motivi tradizionali.

Dalle dimensioni della tela al disegno che lo impreziosisce, dalla tipologia del tessuto fino alle sfumature del suo colore, ogni dettaglio risponde a un preciso significato: la scelta del furoshiki, insomma, non si può improvvisare.

Originariamente utilizzato come fagotto per trasportare gli abiti puliti al bagno pubblico, esistono traccie storiche dell’esistenza del furoshiki già a partire dal periodo Muromachi (1392-1573) quando i cortigiani erano soliti portarlo con sé al grande edificio termale costruito dal Generale Yoshimitsu Ashikaga. Noto con il termine di hirazutsumi, questo antenato del furoshiki serviva a contenere il cambio di abiti da indossare dopo il bagno.

È nel periodo Edo (1683-1868) però che diffondendosi ormai anche tra i semplici cittadini l’abitudine di frequentare i bagni pubblici, il fagotto per i vestiti  assume il nome di furoshiki, combinando appunto la parola furo (bagno) e una forma del verbo shiku che significa stendere. Il grande fazzoletto conserva anche nelle epoche successive la sua funzione principale ma lentamente le sue dimensioni cambiano, adeguandosi alle misure di qualunque oggetto si voglia donare o trasportare in modo pratico. Una curiosa abitudine era anche quella di tenere un furoshiki allestito con articoli di prima necessità sotto al futon, per essere pronti ad una rapida fuga in caso di incendio o terremoto.

Le dimensioni  di questo quadrato di stoffa variano dai 50 cm fino a più di due metri, per riporre i futon invernali durante l’estate.

Di solito l’oggetto da avvolgere viene posto al centro del furoshiki, diagonalmente. Se ha una forma allungata, la stoffa che avanza ai lati viene piegata per bene attorno ad esso, prima da una parte e poi dall’altra nella direzione opposta.

C’è una legatura per trasportare bottiglie, una per i libri, gli oggetti tondi come l’anguria, la spesa giornaliera, un regalo e mille altre cose. Il furoshiki  può essere di cotone, di seta, di tessuto sintetico. Multicolore o in tinta unita, double face, dipinto a mano, stampato con le fantasie inesauribili della tradizione nipponica. Cucito a mano o a macchina, a buon mercato o costosissimo data la varietà dei tessuti.

Il revival del furoshiki ha anche una dimensione ufficiale, è stato infatti promosso dal Ministro per l’Ambiente giapponese, che ne ha suggerito l’uso quotidiano come alternativa ecologica all’utilizzo delle borse di plastica. L’iniziativa è stata denominata “Mottainai Furoshiki”.

L’espressione “mottainai” significa “non sprecare”; si tratta di un termine ripreso da buddihsmo che fa riferimento all’essenza delle cose: tutte le cose  hanno un anima, sono lo spirito (kami) del materiale di cui sono state create; gettarle o sprecarle vuol dire non rispettare la loro anima. Dopo lo sfrenato consumismo dell’epoca moderna, la campagna pubblicitaria della Ministra Yuriko Noike rientra nell’obiettivo di aumentare la consapevolezza contro gli sprechi e promuovere il riciclaggio, rifiutando nei negozi le confezioni in eccesso, riducendo gli sprechi dell’imballaggio con un oggetto riutilizzabile.

Avvicinarsi alla filosofia del furoshiki, inoltre, non è solo un vantaggio per l’impatto ambientale ma significa anche ritrovare la bellezza nei gesti  semplici e quotidiani con fantasia e creatività.

Così il furoshiki non è soltanto un pratico accessorio eco friendly, ma può diventare un’alternativa elegante e originale anche alle classiche borse di pelle.

La Libreria Azalai di Milano propone già da un anno serate-laboratorio dedicate a imparare le principali piegature e legature del furoshiki secondo la tecnica tradizionale giapponese.

Iscrizioni e informazioni presso:

Libreria Azalai, Via G.G. Mora, 15, 20121 Milano, tel. 02 58101310

I metodi base di avvolgere gli oggetti con il furoshiki sono tre:

Hirazutsumi (avvolgere) è il modo più elegante, indicato per fare pacchetti-regalo;

Hitotsumusubi (con un nodo);

Futatsumusubi (con 2 nodi).

questi metodi base prevedono numerose variazioni

Otsukaizutsumi , per oggetti quadrati.

Binzutsumi , per le bottiglie.

Makizutsumi , per oggetti cilindrici, come rotoli.

Honzutsumi , per libri.

Suikazutsumi , per avvolgere oggetti tondeggianti, come le angurie.

 


Vestire con arte o arte del vestire?

 

Un itinerario storico, sociale e culturale attraverso il mondo del kimono, per capire e approfondire alcuni aspetti della civiltà giapponese, attraverso uno dei suoi simboli più emblematici. L’abbigliamento, in genere, costituisce un’interessante questione culturale e benché la sua funzione primaria sia quella di ricoprire il corpo, ciò che è più importante è che definisce la nostra persona e rappresenta uno dei più ricchi aspetti della cultura materiale. Il kimono racchiude in sé molte informazioni riguardanti la struttura sociale, la mentalità e la sensibilità estetica del Giappone.

Susanna Marino

 

La Professoressa Susanna Marino terrà domani sabato 1 dicembre alle ore 21.00 nella Sala Conferenze del Palazzo delle Paure a Lecco una conferenza dal titolo: "Un viaggio virtuale nel mondo del Kimono".


Antiquariato giapponese

Scuola Rimpa

Fine del periodo Edo (1615-1867)

Albero di ginko e crisantemi

Paravento a due ante

Inchiostro, pigmenti e gofun moriage su fondo oro e argento

158,8 x 154,8 cm

Dipinto senza contorni e con l’utilizzo di colori molto diluiti in certe zone del dipinto, questo stile viene definito “senza ossa” (mokkotsu). La delicatezza e la raffinatezza di questo modo di dipingere si identifica certamente con il carattere elegante dei committenti, contrapposto al vigore del monocromatismo ordinato e alle forme dure e virili della scuola Kano, scelta come rappresentativa della classe militare.

La stilizzazione molto spinta delle forme è una delle principali caratteristiche degli artisti Rinpa: il fiume sullo sfondo, individuabile dalle eleganti onde che sembrano ripetere un morbido motivo geometrico, ricorda in realtà anche una nuvola e funge più da motivo di sottofondo che da elemento realistico del paesaggio.

Il termine “Rinpa” deriva dal carattere “pa” (scuola) e dalla seconda sillaba del nome “Korin”: Ogata Korin (1658-1716) non fu in effetti il creatore di questo stile, che deve la sua origine invece a Honami Koetsu (1558-1637) e Tawaraya Sotatsu (?-1640), ma ne fu il maggiore diffusore. Sebbene non si possa parlare di “scuola” in senso stretto, i modelli estetici di Ogata Korin influenzarono intere generazioni di artisti fino all’epoca moderna.


I ritmi dello Zen Shiatsu

 

Il ritmi biologici caratterizzano e scandiscono i nostri tempi durante la giornata e durante lo ore del riposo. Se le nostre energie sono globalmente equilibrate, i nostri ritmi si snoderanno in maniera armonica durante l’arco delle 24 e si adatteranno anche ai movimenti più lenti o veloci che la vita ci richiedere di variare in base agli accadimenti.

Anche nel trattamento zen shiatsu l’aspetto del ritmo è fondamentale. Mantenerlo nel trattamento ricalca l’espressione primaria dei ritmi vitali.

Ogni meridiano esprime la sua pulsazione, il suo scorrere energetico, mostrandosi nella sua natura del momento.

E’ opportuno sintonizzarsi in maniera appropriata sul meridiano, rispondendo  all’ascolto con opportune pressioni, in maniera duttile e flessibile,  adattandosi al ritmo che sentirà sotto le mani. Ogni pressione  portata sarà quindi variabile e adattata in base alle risonanze energetiche.

Ecco perché durante il trattamento, pur essendo in una condizione globalmente rilassante, saranno avvertite pressioni  che varieranno nella modalità d’ingresso e di uscita, nella profondità o superficialità del contatto.

Bilanciare l’energia nel corpo, segue il principio giapponese Ho –Sha, rinforzare il Kyo (vuoto) e disperdere il Jitsu (pieno).

Non basta sapersi destreggiare con le tecniche, è importante l’atteggiamento del riequilibrio che deve esserci non per quello che faccio, ma attraverso quello che faccio! Con questo atteggiamento si promuoverà l’aspetto della resilienza del ricevente: disponibilità al cambiamento per auto correggersi, per ritrovare in maniera naturale la capacità di bilanciare le forze nel proprio corpo.

In giapponese il concetto corrispondente è Kibun-o-kaete, la cui traduzione è “cambiare il ki” inteso come cambiamento di atteggiamento o “dirigere il Ki” inteso come cambiare attenzione.

Attraverso l’espressione delle mani, che  è l’espressione dell’energia del cuore, aiuteremo il ricevente a spostare l’attenzione dalla preoccupazione verso una direzione nuova, verso nuovi spazi, aiutandolo ad abbandonare vecchie preoccupazioni, trasformandole in nuove, sane e fresche energie da spendere nel vivere.

Joshin Galani

KAILA

 


Tsuji You, dove l'anima classica incontra l'immagine

Photo by Eiji Kikuchi

Compositore tra i più apprezzati dalla critica cinematografica e sicuramente tra i più amati dal pubblico giapponese, oggi Tsuji You è sicuramente una delle figure di riferimento nel panorama della composizione sia per il cinema che per l’animazione, nonostante i lavori per quest’ultima produzione, si limitino ad alcuni esempi tra i più musicalmente significativi della produzione Anime degli ultimi anni.

Leggi tutto l'articolo su Tsuji Yo

Edmondo Filippini


Antiquariato giapponese

Kanshiro Nishigaki

(1613-1693)

Sukashi tsuba in ferro, scuola Higo

Decorata a traforo a motivo di “gru danzante”

Inizio del periodo Edo (1615-1867), XVII secolo

Mumei, 80 x 76 x 5 mm

西垣 勘四郎

La tsuba raffigura una elegante gru stilizzata, rappresentata con le ali aperte in una sorta di danza. La finitura morbida e accurata esemplifica i livelli più alti raggiunti dalle else giapponesi: il lavoro a traforo (sukashi) è superbo e ben bilanciato, con ogni piuma definita da linee sottili contrapposte a quelle più marcate delle altre parti del disegno. La patina è eccellente e il ferro di ottima qualità; il dinamismo della composizione e la bellezza del materiale concorrono a produrre una sensazione molto ricca ed elegante.

Il disegno della gru danzante è noto: una tsuba di Hayashi Matashichi (1613-1699) conservata al museo Eisei-Bunko mostra lo stesso motivo, con l’unica differenza del diverso trattamento del ferro.

 

Esistevano quattro principali scuole nella regione di Higo: Hirata, Hayashi, Nishigaki e Shimizu; ogni fabbro di queste quattro scuole lavorava sotto la supervisione del raffinato lord Hosokawa Sansai e produsse raffinate tsuba e kodogu. Kanshiro, il primo maestro della scuola Nishigaki, fu primo allievo di Hirata Hikozo, che era alle dirette dipendenze deldaimyô.

Nishigaki Kanshiro aveva una speciale passione per il ferro, considerato nella sua semplicità e naturalezza come materiale di uso quotidiano. Profondo conoscitore delle tecniche di lavorazione, produsse lavori di estrema eleganza e bellezze: il suo ferro, più morbido e rilassato di quello prodotto da Hayashi, è la chiave per capire le differenze tra questa tsuba e quella del museo Eisei-Bunko.

Giuseppe Piva

www.giuseppepiva.com


Per non dimenticare: viaggio a Hiroshima e Nagasaki


I nomi di Hiroshima e Nagasaki riportano alla mente uno dei capitoli più cruenti della storia mondiale e di solito sono delle mete ambite non tanto per il puro gusto del turismo, ma piuttosto per un senso di dovere intellettuale.

Due città accomunate da un unico destino, però ben distinte nel loro modo di vivere e di presentarsi agli stranieri: Nagasaki è una piccola perla del Kyūshū dove si avverte la forte presenza degli europei, tantoché lungo le strade dei portici non sembra neanche di trovarsi in Giappone. A Hiroshima, invece, sembra che il tempo si sia fermato a quella mattina del 1945 e, né un limpido cielo azzurro né la presenza di giovani scolari alla ricerca di gaijin ai quali poter rivolgere delle domande in inglese contribuiscono a dare alla città un’immagine serena. Il ricordo di quel 6 agosto è tuttora vivo e fortemente impresso in ogni angolo del Memoriale della Pace: si percepisce nei coloratissimi origami a forma di gru, nella fiamma della pace accanto al cenotafio e nel museo alla vista dell’orologio le cui lancette segnano 8:15 (l’ora in cui è stata lanciata la bomba). Il silenzio e la “tranquillità” di quel luogo sono tali da far perdere la concezione del tempo e pur volendo andare a esplorare più a fondo la città ci si rende conto che non vi è più rimasto nulla da visitare: al di fuori del parco della pace Hiroshima sprofonda nella monotonia della normale vita quotidiana.

Nagasaki, al contrario, è come un labirinto di luoghi nascosti: dai piccoli dettagli architettonici europei al Sōfuku-ji (un tempio zen che spicca per la sua imponente entrata di colore rosso), dal profumo della kasutera, ovvero un delizioso dolce di pan di spagna, alle immense sculture del Parco della Pace. Nagasaki può essere visitata senza mappa, lasciandosi trasportare dalle piccole stradine che portano inaspettatamente ai luoghi più interessanti, i quali spesso non vengono neanche menzionati. E se per caso uno si dovesse perdere, ci si può sempre affidare alla gentilezza di un anziano che, vedendo tre straniere in difficoltà, non esita ad avvicinarsi con un enorme sorriso, dal quale emerge la gioia di poter condividere con delle gaijin delle informazioni sulla sua cara città.

 

Giulia Bianco