Makiko Kasuga, “Mizugame” e la poesia giapponese “tanka”
Paolo Lagazzi
Makiko Kasuga, “Mizugame” e la poesia giapponese “tanka”
- I -
Rispetto alla fortuna, nell'Occidente moderno, dello haiku – forma classica del lirismo giapponese sigillata in tre soli, folgoranti e leggerissimi versi (quinario, settenario, quinario) –, assai più contenuta è stata la circolazione, attraverso le antologie europee e americane, del tanka, l'altra forma canonica, presente fin dai tempi più remoti della tradizione poetica del Sol Levante. In realtà il tanka ha giocato un ruolo cruciale nella civiltà nipponica, tanto da essere a lungo inteso come la modalità per antonomasia dell'espressione lirica; per questo, un tempo, era designato come waka, cioè come "poesia giapponese" tout court. Articolato in cinque versi (quinario, settenario, quinario, settenario, settenario), il tanka possiede, in confronto alla brevità volante e mistica dello haiku dei maestri, qualcosa come un germe di narratività, un seme discorsivo, un principio di dilatazione della voce, ma sa contenere tutto ciò in una tessitura stringata di accordi, come se l'idea poetica, appena tentata di lanciarsi in una fuga di immagini, venisse richiusa dalla mano dell'autore al modo di un flessibile ventaglio. Accostabile, in un certo senso, al nostro madrigale, proprio come quest'ultimo il tanka ha saputo incarnarsi nel corso dei secoli in colori, timbri, riverberi assai diversi tra loro, pur conservando sempre la stessa struttura sillabica. Anche i suoi temi sono molto cambiati nel tempo: dagli argomenti topici della cultura feudale (anzitutto un'idea dell'amore assai prossima allo spirito "cortese" dell'Europa medievale), il tanka si è aperto via via a contenuti diversi (basti pensare ai personalissimi, deliziosi e un po' ebbri componimenti di un Ryōkan, sorta di santo clown della tradizione zen vissuto nell'epoca Edo), per arrivare infine a dispiegarsi, attraverso l’era Meiji e il Novecento, in una serie di pronunce più o meno sperimentali, comunque assai spesso capaci di riplasmare l'antico modello metrico alla luce d'una sete di novità che deve molto, senza dubbio, alle avanguardie moderne dell'Occidente.
Figlia di un famoso autore di tanka, Tsunenori Matsuda, redattore della più celebre rivista giapponese (“Mizugame”) dedicata a questa forma poetica, Makiko Kasuga ha pubblicato la prima raccolta nel 1972. Da allora la sua attività come creatrice di tanka e come organizzatrice di attività per la diffusione del tanka si è sviluppata con forza inesausta, tanto da porla in quel crocevia di attenzioni e riconoscimenti che occupano solo le figure dei maestri. A tutt'oggi le sue raccolte ammontano a dieci. La nuca di Maitreya (a cura di Yasuko Matsumoto e Paolo Lagazzi, Moretti & Vitali 2011) è la sua prima scelta antologica offerta al pubblico italiano.
A monte della parabola lirica della signora Kasuga occorre ricordare i dibattiti, le idee, le polemiche nella cultura giapponese riguardo alla pratica e al destino del tanka dalla fine dell'Ottocento ai nostri giorni. Dalle opere, in contrasto tra loro, di Akiko Yosano e Shiki Masaoka (tesa, la prima, a una concezione romantica, appassionata e soggettiva del tanka, votato, il secondo, a un'asciutta pratica realistica delle forme poetiche), alla convivenza incrociata all'inizio del Novecento fra i tanka "naturalisti" e quelli d’imprinting surrealista; dalle critiche al tanka (visto, insieme allo haiku, come un'espressione d'arte minore, inadeguata alla complessità moderna) formulate dopo la seconda guerra mondiale da Takeo Kuwabara, fino alla riscoperta della sua vitalità a partire dagli anni Cinquanta-Sessanta attraverso pratiche ludiche e addirittura parodiche dello stile, o attraverso robuste iniezioni di termini attinti al linguaggio quotidiano, il terreno di questa forma poetica è stato arato in lungo e in largo, esplorato, rivoltato e difeso, usato per produrre frutti molteplici. Di fronte a tutto ciò la voce di Makiko Kasuga ha saputo trovare delle vie espressive profondamente originali, per quanto mai refrattarie al dialogo con le posizioni altrui.
Uno fra i testi più struggenti della signora Kasuga parla del Giappone come di una "piccola terra" esposta ai terremoti e agli tsunami, "facile da ferire". Dopo l'immane catastrofe sismica che ha colpito questo paese nel marzo 2011, versi simili suonano più che profetici: sono un richiamo a quella coscienza della loro fragilità che dovrebbe accomunare tutti gli uomini, non certo solo i giapponesi. Di fronte alle cieche illusioni della modernità, alla sua presunzione di dominare il mondo, la poesia resta forse l'ultima voce non ideologica, capace di opporre alle "onde d'urto" del nonsenso il battito dei nostri cuori. Mentre dalla storia e dalla natura stravolta nascono sempre nuove minacce, i tanka di Makiko Kasuga ci parlano ancora della possibilità di resistere semplicemente ritrovando dentro ciascuno di noi ciò che ci fa unici, ricchi anche nella povertà, irriducibili al nulla:
Seppure siano
curvati o ventilati
i suoi rami,
un olmo solo sta in piedi
sino alla fine del cielo.
- II -
Lo scorso 7 aprile, in occasione del centenario della nascita di “Mizugame”, si è tenuto a Tokyo, presso l’hotel Keiō Plaza, un dialogo sull’incontro fra la poesia giapponese e quella italiana e sul futuro della poesia nel mondo (“La luce sia nelle parole”). Patrocinato dalla signora Kasuga, il dialogo ha avuto luogo tra Hiroshi Shino (poeta e presidente dell’associazione dei letterati), il sottoscritto, Yasuko Matsumoto e Suketada Sakai (critico letterario e consigliere tecnico della redazione di “Mainichi”, uno dei più importanti quotidiani giapponesi). Nell’occasione il professor Shino mi ha sottoposto sei tanka contemporanei (tra cui uno composto da lui stesso) chiedendomi di commentarli dal mio punto di vista di lettore e critico italiano. Li cito qui nella versione di Yasuko Matsumoto, facendo seguire a ciascuno di essi il mio commento.
Se non m’addormento
divento un fuoco,
poi lo spengo
nel momento in cui
biancheggiano le cose.
Saishū Onoe
Mi hanno sempre affascinato le poesie che sanno esplorare le situazioni "di soglia", i momenti di passaggio da un esterno a un interno o viceversa, il trascolorare dell'estate nell'autunno o dell’autunno nell’inverno, l'incontro-scontro tra le voci e il silenzio, l'abbraccio del giorno con la notte o della luce col buio... Questo tanka esprime proprio una situazione del genere: quando non riesce a dormire, il poeta "brucia" nel buio notturno; la sua insonnia diventa una forma di lenta arsione che si placa solo nel momento in cui giunge l'alba. In "biancheggiano le cose" l'alba non viene nominata esplicitamente, ma l’espressione sfuma la figura del "fuoco" entro uno spazio vasto, vago e rigenerante offrendo al nostro sguardo – dapprima colpito, quasi ferito da un bagliore eccessivo – una luce dolcemente aperta al rinnovarsi quieto del mondo.
In italiano c'è una poesia giovanile di Attilio Bertolucci che si potrebbe avvicinare a questa; s'intitola Insonnia e suona così:
Come cavallo
che meridiana ombra impaura
s’impunta il sonno,
finché l'alba sbianca l'oriente.
Allora, stanco, si rimette a trottare
per borgate che si svegliano,
davanti a osterie che riaprono
da cui escono voci
e un fresco odore di grappa.
Il testo di Bertolucci è più lungo di quello di Saishū Onoe: si sviluppa per nove versi. Benché la differenza tra le due poesie sia evidente, in un certo senso il cavallo di Bertolucci, metafora per l'insonnia (o per il sonno che "s’impunta", che recalcitra, che resiste ai richiami) si può avvicinare al fuoco di Onoe poiché entrambe le figure ci comunicano una sorta di irrequietezza, il senso di un attrito, di una dissonanza, di una tensione. Allo stesso modo le cose che "biancheggiano" nel tanka si possono confrontare col "fresco" finale di Bertolucci, col suo spirito leggero, segnato da un abbandono liberatorio al sonno, da una pace del corpo e dell'anima finalmente possibile mentre "l'alba sbianca l'oriente".
***
Dal Giappone
vogliono espatriare
sia il pinguino
imperatore
sia il suo allevatore.
Kunio Tsukamoto
Questo tanka, chiaramente ironico, dissacra la figura dell'imperatore con parole che un tempo sarebbero state impensabili nella cultura giapponese, benché tra i grandi artisti e poeti del Giappone sia sempre stato presente anche lo spirito taoista e zen della leggerezza, del paradosso, dello humour e del gioco (basti pensare a Sengai Gibon). Il "pinguino imperatore" è una razza particolare di pinguini, ma qui è anche, maliziosamente, l'imperatore visto nel suo lato grottesco, vacillante, ormai insostenibile di fronte alla storia. Se qualcuno ci ricorda questo "pinguino" imperiale è l'immortale, umanissimo vagabondo creato da Charlie Chaplin. Barcollando come quell'omino insieme buffo e triste, questo imperatore reincarnato in un pinguino desidera "espatriare" forse per dimenticare chi è stato, quanti e quali errori si sono commessi in suo nome, quanto ridicola sia ogni pretesa di onnipotenza di fronte all'evanescenza delle creature, alla fragilità delle idee e delle cose.
***
A notte fonda
quando mi sveglio, anche se è notte
nitidamente
cadono senza sosta
i fiori di ciliegio.
Akiko Baba
Come nel tanka di Saishū Onoe che abbiamo letto prima, anche qui c'è un contrasto fra il buio della notte e un chiarore che gli resiste: in questo caso si tratta della caduta senza tregua dei fiori di ciliegio, una specie di delicatissima ma "nitida" nevicata che palpita come lo sfarfallio degli istanti. Questo tanka me ne ricorda uno, molto intenso, della signora Kasuga:
Nel giorno lungo,
nuvoloso, schizza l'acqua
dal tonfo dei fiori
di camelia che continuano
a cadere dai rami piegati.
Anche nei versi di Makiko Kasuga il precipitare dei fiori di camelia è una "figura" dello scorrere incessante del tempo. Mentre nel tanka di Akiko Baba, però, l'effetto è puramente ottico, immerso in un profondo silenzio notturno, in quello diurno della signora Kasuga è come se udissimo una musica d'acqua, una serie di cadenze fatte di piccoli "tonfi". Forse i due tanka alludono a due diversi sentimenti del tempo, uno pacato e fluttuante, l'altro sottilmente drammatico, benché entrambi evocati su un fondo d’anima irriducibile al linguaggio verbale.
***
Mi appassiona
la parola di
Larousse:
"Semino, affidandomi
a tutto il vento".
Hiroshi Shino
Questo originale tanka del professor Shino si ispira all’emblema di una delle più famose case editrici francesi, la Larousse, un'immagine in cui, attorno a una donna che ha in mano un soffione ed è in procinto di disperderlo, soffiando, in piccolissimi frammenti, sono scritte queste parole: Je sème à tout vent, “ Semino a tutto vento". Interpretandole come può fare solo un poeta, Hiroshi Shino le trascrive così: "Semino, affidandomi / a tutto il vento". In questa trascrizione il motto francese diventa un inno alla libertà di sperimentare, di fare delle proprie parole dei semi, delle tracce, delle scintille da gettare in ogni direzione, da abbandonare a quella forza che attraversa e sposta tutte le cose, e che potremmo chiamare il vento del possibile.
***
Nell'attimo
di accendere un fiammifero
la nebbia sul mare
si estende, c'è una patria
per cui immolarmi?
Shūji Terayama
Il tanka di Shūji Terayama è straordinariamente pregnante, capace di condensare un'intera riflessione storica, ideologica e morale in un'immagine. Mentre sfrega un fiammifero, forse per accendersi una sigaretta, un uomo (il poeta stesso in veste di soldato?) intravede, oltre il bagliore vacillante della fiammella, un banco di nebbia che si espande sulla superficie del mare. Questa nebbia pare sommergere tutto: ogni certezza, ogni forma, ogni pensiero chiaro e distinto. Che senso ha, di fronte allo svaporare della realtà, pensare alla patria e credere che sia giusto immolarsi per difenderla? Anche se il tanka non aggiunge altro, vorrei continuare a lasciarlo vibrare dentro di me: prima ancora che una qualsiasi risposta sia affiorata nella coscienza dell'uomo, ecco che la fiammella si è già spenta mentre la nebbia continua a dilagare...
Non occorre molto altro per denunciare l'insensatezza di ogni guerra e di ogni logica bellica. Nella sua bruciante brevità, questo tanka ha la stessa forza di certi indimenticabili film antimilitaristi: penso in particolare a La grande guerra di Mario Monicelli e a Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick.
***
Gira, rigira
ruota panoramica!
Il ricordo a te
rimane un giorno,
per me è di una vita.
Kyoko Kuriki
Dopo “l'eterno ritorno” di Nietszche, molte sono, nella letteratura, nell'arte e nel cinema del Novecento, le immagini di giostre, ruote, trottole o cose simili che possiamo leggere come metafore dell'infinito movimento circolare della vita, del suo rifare gli stessi percorsi in un gioco che non porta a null'altro se non al proprio ripetersi. Se dovessi indicare tra queste immagini una delle più simboliche e ricche di pathos, proporrei la ruota panoramica al Prater di Vienna nel film di Carol Reed Il terzo uomo interpretato da Orson Welles. Anche tra le poesie in versi liberi di Kikuo Takano (raccolte in parte nell’antologia Nel cielo alto edita nel 2003 da Mondadori) ce n’è una che s'intitola La trottola, un bellissimo testo in cui lo strambo coraggio di girare su se stessa, sfidando le vertigini, di una trottola diventa una struggente, tragica metafora della condizione umana, del suo essere appesa a un bisogno sfrenato e illusorio di stordirsi per dimenticare la propria vanità, la "noia" del proprio nulla:
Neanche l'amore più profondo
o la più alta solitudine
possono farti stare ritta.
Per te stare ritta è girare
inutilmente intorno a te stessa.
Eppure
girando invano
intorno a te
quali capogiri,
quanta vita hai trascorso!
E chi mai, in questo modo,
a tanta noia ancora
proverebbe a resistere?
Nel tanka di Kyoko Kurai il girare e rigirare della ruota panoramica sembra legato alla dolorosa rottura di una storia d'amore: se chi se n'è andato ricorderà ciò che è avvenuto solo per un giorno, chi è stato abbandonato continuerà a ricordare per tutta la vita. Questo significa, come ha scritto Eliot, che Time the destroyer is time the preserver, "Il tempo che distrugge è il tempo che conserva": la ruota che ci allontana dal passato ci riavvicina ad esso, perché nulla è mai davvero perduto, nulla è mai davvero conquistato nella dolcezza e nel tormento delle nostre illusioni.
Watsuji Tetsurō e l'etica dell'inter-essere
Oliviero Frattolillo
Watsuji Tetsurō e l'etica dell'inter-essere.
La costruzione di una relazionalità intersoggettiva (Mimesis Edizioni, 2013, Euro 12,00)
Watsuji Tetsurō (1889-1960), membro periferico della «Scuola di Kyōto» in prima fila negli anni compresi tra le due guerre, fu una figura assai controversa per diversi decenni dopo. Il sistema filosofico di Watsuji è stato in tempi più recenti “riabilitato” dalla responsabilità di un supposto geo-determinismo ed apprezzato per il suo carattere pionieristico che condurrebbe ad una sorta di costruttivismo sociale. Un graduale processo di revisionismo storico, basato sulla reinterpretazione delle fonti originali (che erano state spesso ignorate), ha fatto infatti nuova luce sul pensiero del filosofo. La teoria della coesistenza relazionale può essere oggi considerata espressione di un nuovo cosmopolitismo. L’etica dell’inter-essere e la ricerca di una nuova soggettività storica antitetica alla tradizione occidentale si rivelano in grado di abbracciare l’idea del Dasein heideggeriano con quella di coesistenza relazionale del filosofo giapponese.
Oliviero Frattolillo è ricercatore presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, dove insegna Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale e Storia delle relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa. Già Guest Researcher alla Okinawa University of Arts, è Visiting Researcher presso la Aoyama Gakuin University di Tokyo e Invited Visiting Scholar presso il Nanzan Institute for Religion and Culture (Nagoya). Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, tra cui Diplomacy in Japan-EU Relations, London-New York 2013; Interwar Japan Beyond the West, Newcastle 2012; Il Giappone e l’Occidente, Napoli 2006; Pellegrinaggio alle antiche chiese d’Italia, Palermo 2005 (traduzione di Watsuji T., Itaria koji junrei, 1935).
Storia del Tanka - dal XVII secolo a oggi
Makiko Kasuga
Breve panorama storico del tanka
seconda parte - clicca qui per leggere la prima parte
4) Il waka nell’era moderna
Dopo il periodo dello Shin-kokin-waka shū il waka cadde nel mondo del manierismo.
Nei confronti di questo waka tradizionale cominciò a sorgere una reazione da parte della critica nel periodo fra il 17° e il 18° secolo.
Nell’epoca Edo, sotto il dominio dello Shogunato dei Tokugawa, Mabuchi Kamo e altri studiosi della letteratura giapponese antica proposero un ritorno al Manyō-shū, rivalutandolo.
Dopo la sera,
il vento di riva nato
dal mare spira
fino alla città di corte
e pivieri cantano.
Kamo-no-Mabuchi
Mabuchi propose uno stile ispirato al Manyō, sostenendo che nel waka si possono esprimere sentimenti veri. Quindi, verso la fine dello shogunato dei Tokugawa, in località distanti sia da Edo che da Kyoto comparvero poeti, amanti del Manyō-shū, che scrissero riprendendone le forme e lo spirito.
Nel lungo giorno
di primavera avvolto
nella foschia,
vivo per il presente, giocando
a palla coi bambini.
Ryōkan
Ryōkan lasciò numerosi waka composti in tono di straordinaria purezza e semplicità secondo lo stile Manyō, vivendo nel suo paese natale, Echigo².
Fumo serale,
lascia che si levi
solo per oggi,
domani troverò legna
solo per domani.
Tachibana-no-Akemi
Anche Akemi scrisse tanka nel gusto del Manyō. Nei suoi versi esprimeva sempre un interesse verso l’uomo e la vita con un tono semplice.
Un poeta che invece trovò il suo ideale nel Kokin-shū fu Keiki Kagawa.
Keiki, sostenendo l’opinione per cui il tanka deve essere concepito come una creazione essenzialmente musicale anziché come l’espressione di un pensiero astratto, compose tanka raffinati, chiari ed eleganti.
Anche se è buio,
dal cielo sereno
scende un acquazzone,
mi fa dubitare che
cadano le stelle.
Keiki Kagawa
Keiki fondò l’associazione di waka “Kei-en-Ha” che sarebbe durata fino al periodo della Restaurazione Meiji; poi il gruppo penetrò nell’ambito imperiale chiamato “O-uta-dokoro-Ha”, e riuscì a influenzare il mondo del waka all’inizio dell’era Meiji.
Il tanka appartenente a questo gruppo venne, in seguito, chiamato “tanka della vecchia fazione” e fu costretto a scontrarsi col movimento per un nuovo waka.
I tanka composti nel periodo compreso tra Kamo–no-Mabuchi e i poeti del gruppo “Kei-en-Ha” vennero chiamati waka dell’era moderna.
5) Il tanka moderno
Con la Restaurazione Meiji venne importata la cultura occidentale, il Giappone progredì nella modernizzazione e fiorì il movimento innovatore del waka.
Naobumi Ochiai era un giovane studioso, ricco di spirito, profondo conoscitore della letteratura giapponese. Fondò l’associazione “Asaka-sya” nel 1893.
Curiosi, i fiori di hagi³
nel tempio di Hagi:
sceglierei qui
proprio la mia tomba
per la vita effimera!
Naobumi Ochiai (da Hagi–no-ya)
Ochiai ebbe l’idea di risuscitare il waka in un’ottica moderna, esprimendo un’idea di poesia ripresa dai testi europei importati e calando questi elementi europei all’interno del waka tradizionale.
Egli, inoltre, coltivava giovani poeti quali Saishū Onoe, Tekkan Yosano, Kun-en Kaneko ed altri, proponendosi loro come guida ma rispettando la personalità di ciascuno. Soprattutto creò l’associazione “Shin-shi-sha” con Tekkan Yosano, poi fondò nel 1900 la rivista “Myojō”, la cui portata sarebbe stata grandiosa.
L’attività di “Myojō” venne sorretta dalla sfarzosa antologia “Midaregami” (Capelli scomposti) del 1901 che raccoglieva tanka di Akiko Yosano.
Lo stile poetico di “Myojō” venne chiamato anche gusto “Seikin” (stella e viola), espresse liberamente i temi della sensualità e dell’io, portato della modernizzazione, e affrontò il diffondersi dello spirito romantico presso la gioventù.
Quanto è bella
la primavera sontuosa
dei capelli neri
ondulanti entro il pettine
di quella ventenne.
Akiko Yosano (da “Midaregami”)
Akiko descriveva spesso i suoi capelli neri come simbolo egocentrico, esibendo il suo narcisismo nei confronti della propria giovinezza.
Sulla rivista “Myojō” scrissero anche Utsubo Kubota, Hakushū Kitahara e Takuboku Ishikawa.
In contrasto con “Myojō”, Shiki Masaoka fondò l’associazione di tanka “Neghishi”. Osservando lo stile Manyō, propose un tanka teso a disegnare dal vero. Questo modo di disegnare dal “vero” fu approfondito in svariate maniere dai poeti del gruppo “Araragi”, formatosi dopo.
Sulle spine
nelle gemme della rosa
rossa cresciuta
in due shaku4 cade dolce
la pioggia primaverile.
Shiki Masaoka (dalla Raccolta di tanka di Shiki)
C’è un silenzio
sul lago come se stesse
per congelarsi
in armonia col cielo
bruciato dal tramonto.
Akahiko Shimagi (da Kiribi)
Cade la pioggia
su centinaia di grappoli
d’uva nera,
come se dicesse che
guarda il mio mutismo.
Mokichi Saitō (da Shōen)
“Afferrare, in modo giusto, la realtà e gli oggetti con la nostra anima e con i nostri occhi, e riflettere la vita di noi stessi e della natura come un tutt’uno”: con queste parole Mokichi sostenne l’idea di una poesia disegnata dal vero.
La rivista “Myojō” cessò la pubblicazione col numero 100 nel 1908, mentre lo stile della rivista “Araragi” ha dominato il mondo del tanka fino all’era Taishō (1912- 1926) e nei primi anni dell’era Shōwa (1926-1989).
Alla svolta della guerra russo-giapponese fra il 1904 e il 1905, fiorì il naturalismo teso alla voglia di scrutare la verità attraverso la realtà. In controtesi nei confronti della posizione presa dal gruppo “Myojō”, il poeta Saishū Onoe fondò nel 1905 il gruppo “Sha-zen-sō”.
E dalla scuola di Saishū sorsero Yūgure Maeda e Bokusui Wakayama in quanto poeti naturalisti.
Anche Utsubo Kubota, proveniente dal gruppo “Myojō”, produsse un’opera di tendenza naturalistica nel periodo di transizione dall’era Meiji all’era Taishō, fra il 1911 e il 1912.
Nell’ora in cui
rosseggia il fuoco
lasciato acceso
per bruciare gli sterpi,
si rattrista il monte.
Saishū Onoe (da Nikki-no-hashi )
Quando si alza
ondeggiante il girasole
bagnato d’olio
d’oro su tutto il corpo,
quanto è piccolo il sole!
Yūgure Maeda (da Ikuru-hi-ni)
Non sarà triste
il cigno che galleggia
senza esser tinto
né di azzurro del cielo
né di blu del mare?
Bokusui Wakayama (da Umi-no-koe )
Se l’acqua
di sorgente della fonte
s’alzasse su, poi
cascasse giù, di nuovo
s’alzerebbe più in alto.
Utsubo Kubota (da Izumi-no-hotori )
Il naturalismo teso a esprimere fedelmente la vita, il modo di vivere ma anche uno spirito poetico contrapposto sia alla società che all’epoca, vive coraggiosamente nel tanka contemporaneo.
Giorno in cui penso che tutti gli amici valgano più di me!
Compro dei fiori e sono
intimo con mia moglie.
Takuboku Ishikawa (da Ichi-aku-no-suna)
La poesia di Takuboku è amata per la sua alta cantabilità, i suoi versi appaiono familiari all’orecchio giapponese per la leggerezza del ritmo e il filo conduttore dello stile colloquiale. (Si noti anche il testo volutamente strutturato da Takuboku su tre versi.)
Non cantare,
non cantare, uccello
di primavera!
Il tramonto tinge di rosso
la superficie delle erbe.
Hakushū Kitahara (da Kiri-no-hana)
Hakushū, esprimendo il senso di tedio nella gioventù e l’oscillare dell’anima con delicata sensibilità, rinnovò la poetica nel mondo del tanka.
E’considerato uno dei due pilastri del tanka moderno insieme a Mokichi.
Fra il periodo Taishō e l’inizio del periodo Shōwa furono fondate tante associazioni di tanka fra cui spiccano “Mizugame”, “Chō-on” e “Kokumin-bungaku”, che si sono succedute fino ai nostri giorni.
Oltre a queste associazioni bisogna ricordare il poeta Chōkū Shaku, al secolo Shinobu Origuchi.
I fiori di kuzu5,
rinnovati nel colore
dopo il calpestio:
c’è uno ch’è passato
su questo sentiero.
Chòkū Shaku (da Umi-yama-no-aida)
E’ stato grande il merito di Origuchi per la letteratura giapponese e l’etnologia; egli ha influenzato le generazioni più giovani ma ha continuato ad aspirare a quell’antichità in cui l’attività dell’uomo era sorretta pure da un nonnulla.
Nel primo periodo Shōwa (sino alla fine della guerra), il naturalismo dello stile Araragi teso a disegnare dal vero e il realismo sono diventati la corrente principale. Eppure esisteva anche un mondo poetico ispirato al surrealismo.
Voglio andare
a divertirmi in città
nel bel tempo d’autunno
seguito da bestie e
uccellini in fila.
Samio Maekawa (da Shokubutsu-sai)
La poesia di Maekawa ha un’ispirazione libera e lontana dal realismo. L’autore, che non è di solito allegro, si diverte nel cogliere uno stato d’animo insolito.
Se sul colle
stendessi una vela bianca
fra due braccia,
il vento diventerebbe
vivo canto corsaro.
Fumi Saitō (da Gyo-ka)
Questa poesia splendida e allegra, disegnata in uno stile di favola, ha sorpreso i lettori per la freschezza dell’ispirazione, l’introduzione di uno stile colloquiale e l’apertura alla poesia occidentale.
6) Dal periodo successivo alla guerra fino ai nostri giorni
Dopo il periodo di rinnovamento del tanka nell’era Meiji che ne volle riplasmare la forma poetica tradizionale, che durava fin dal periodo Manyō, a partire dal Pensiero personale sull’estinzione del tanka di Saishū Onoe cominciò a diffondersi un’opinione negativa sul tanka.
Da allora in poi furono prodotti vari commenti sul crollo del tanka. Nonostante ciò il tanka continuò a resistere, come una molla che stimola i commenti sulla sua estinzione.
Dopo la seconda guerra mondiale Takeo Kuwabara si pose la domanda se potessero esistere o non esistere dei tanka in un ambito esterno al mondo dei tanka attraverso saggi quali La logica dell’arte secondaria e Il destino del tanka. Egli sosteneva la tesi che non si potesse contenere una coscienza così complessa come quella moderna all’interno di una forma poetica breve.
Contro questa tesi della negazione dei tanka alcuni poeti sopravissuti all’esperienza bellica, quali Yoshimi Kondō, Shūji Miya e Satarō Satō, hanno risposto con la loro opera concreta, propugnando un metodo con cui approfondire la possibilità per l’uomo di essere autentico nella realtà attraverso la consapevolezza della sconfitta del Giappone in guerra.
La logica dell’arte secondaria è diventata il nutrimento del rinnovamento del tanka nel dopoguerra e si è fatta la molla della prosperità dei tanka d’avanguardia, di cui proponiamo due esempi:
Pur proteggendo
l’idea sostenuta
dalla nazione,
proprio ora l’anima
detesta la guerra!
Yoshimi Kondō
Come se stessimo
ascoltando il suono
di una fonte oscura,
sia mia moglie che io,
mentre brucia una candela.
Shūji Miya
Nel periodo dal 1950 al ’55 è fiorito intorno al poeta Kunio Tsukamoto un tanka d’avanguardia nutrito dall’esigenza di un metodo nuovo. Differente dalle opere in cui viene cantata un’emozione della vita privata, il tanka d’avanguardia è stato un movimento di riforma espressiva con cui si tentava di elevare il tanka fino a un’espressione ideologica.
Dal ’55 al ’65 a questo movimento parteciparono Takashi Okai, Shūji Terayama e Takeshi Kasugai, ed essi ottennero il sostegno schiacciante dei giovani poeti. Questi autori avevano una forte disposizione per l’espressione metaforica, rinnegata dopo il rinnovamento del tanka nell’era Meiji, oltre che per un linguaggio studiato,innervato dal gusto di giocare e dal piacere della parodia.
Si sta trasformando
in liquido poco a poco
il pianoforte appoggiato
dai poeti di canto
rivoluzionario.
Kunio Tsukamoto
C’è una landa
estesa oscuramente
nel grembo materno,
quando mi volgo ad essa
sono un soldato di piombo.
Takashi Okai
Nell’attimo
di accendere un fiammifero
la nebbia sul mare
s’estende, c’è una patria
per cui immolarmi?
Shūji Terayama
Invece nella prima metà degli anni ’70 i giovani poeti evitano di lottare contro il tempo e la realtà e tendono di più verso un canto che rilancia l’interiorità personale in uno stile chiamato “il piccolo mondo dell’ideologia microscopica”. Si è parlato del pericolo corso dai giovani poeti di scivolare nell’indifferenza di fronte alla crisi della società.
Sale sull’erba
la locusta dello Spirito
Santo, allora
splende la luce bianca
nel mondo desolato.
Kimihiko Takano
Il critico Hiroshi Shino ha sostenuto, in funzione di un nuovo realismo, l’importanza delle sensazioni corporee, propugnando l’amplificazione dei materiali e il risanamento della cognizione del tempo.
D’altra parte Tadashi Iwata ha scavato nelle radici dell’uomo mettendo a fuoco i costumi territoriali, i caratteri etnici, il clima e l’ambiente in funzione post-avanguardistica. Il suo pensiero ha suscitato perfino un boom dell’ideologia del costume territoriale, influenzando le opere di Toshio Mae e Akiko Baba.
La tristezza
m’assale da quanto è
chiaro il cielo,
un albero, d’un tratto,
è ricoperto d’ombra.
Toshio Mae
Fior di ciliegio,
con tante primavere
nel mio corpo che,
invecchiando, rimbomba
come il suono d’un corso d’acqua.
Akiko Baba
Nel 1987 l’antologia Il giorno commemorativo dell’insalata di Machi Tawara ha registrato un milione di copie vendute e ha avuto molta risonanza nel mondo sia interno che esterno al tanka.
La poetessa ha afferrato il senso vitale dei giovani del suo tempo attraverso una scrittura colloquiale capace di mettere in rilievo il linguaggio quotidiano e dialogico; il suo libro ha avuto una forte risonanza presso la generazione giovanile, trascinandola verso i tanka.
Come ti permetto,
con due barattoli di
kanchū-hai 6,
di dirmi una cosa
come “Sposati!” ?
Machi Tawara
La Tawara descrive con una scrittura fresca il sentimento della donna che vive nei tempi moderni la sua esperienza dell’amore. In apparenza sembra che si esprima in modo del tutto naturale e schietto, eppure, scrutando in fondo la sua scrittura, essa si rivela sorretta da una forza espressiva esercitata e matura, capace di padroneggiare il ritmo dello schema fisso, la tecnica del makura-kotoba 7 usata fin dal Manyò-shū e altri artifici retorici.
Invece Hikaru Koike scrive tanka attraverso cui fa intravedere la profondità dell’essere, descrivendo cose qualunque in un modo realistico.
Soffia il vento
come se fosse un pezzo
di garza soffice,
facile da coprire
il cuore ferito.
Hikaru Koike
Scrivendo tanka, Hikaru evidenzia la sua consapevolezza della teoria linguistica di Ferdinand de Saussure. Egli crea emozioni attraverso le parole con cui si esprime, invece di creare parole stimolate dall’emozione.
Di recente sono entrate in scena opere considerate la “nouvelle vague” del tanka contemporaneo, opere che ruotano intorno a Hiroshi Homura e ad altri.
La loro poetica mira all’estremo del presente, arrivando al punto più lontano dal tanka moderno che aveva espresso le esperienze intime.
Mentre sul dorso
della tartaruga marina
che depone uova
strappo lo spillo di una bomba
a mano, l’alba rosseggia.
Hiroshi Homura
Poi sono apparsi anche numerosi tanka che hanno ingegnosamente utilizzato i segni e i costumi metropolitani.
Ricordiamo infine alcuni tanka del 1995, frutto d’uno stile che usa le parole in modo dimostrativo, individuando come nucleo poetico una piccola scoperta quotidiana.
Un esempio:
Alla finestra
c’è un paio d’occhiali
tolti per baciarti,
il cielo d’estate
si estende assai limpido.
Hiroshi Yoshikawa
(traduzione dal giapponese di Yasuko Matsumoto e Paolo Lagazzi)
Note:
1) Poesia praticata nel periodo della monarchia Kan in Cina.
2) Nome di un antico stato del Giappone; attualmente indica la maggior parte della prefettura di Niigata.
3) Arbusto appartenente alla famiglia delle leguminose, fa fiori di colore rosa-viola e bianco fra l’estate e l’autunno.
4) Unità di lunghezza antica, tuttora praticata; uno shaku è circa 30 cm.
5) Appartiene alla famiglia delle leguminose perenni; fiorisce in autunno in forma di farfalla di colore rosa e viola. Dalla radice viene prodotto un antiepilettico. La farina di kuzu è commestibile, e i tralci rampicanti vengono utilizzati per produrre un tessuto.
6) Bevanda alcolica a base di sake, confezionata in barattoli di latta.
7) Epiteto che viene usato nel waka per modificare alcuni termini fissi; in genere è di cinque sillabe.
Bibliografia essenziale:
- 10° volume (Introduzione al tanka) di Le opere di Yoshimi Kondō
edite da Iwanami-shoten;
- Storia dei tanka (n.° 18) a cura di Tadao Shimazu ed altri,
edita da Izumi-shoten;
- Leggere il classico (dal Manyō-shū) di Makoto Ooka,
edito da Iwanami-shoten;
- Grande enciclopedia del tanka contemporaneo
edita da Sansei-dō.
Storia del Tanka - Dalle origini al XIII secolo
Makiko Kasuga
Breve panorama storico del tanka
1) Manyō-shū
E’ la più antica antologia poetica esistente nel Giappone.
E’ costituita da circa quattromilacinquecento poesie divise in venti volumi e in forme metriche diverse (“chōka”, “tanka” e “sedōka”), scritte nello spazio di tre secoli, dal quinto alla metà dell’ottavo durante il quale prosperò l’era Nara. Raccoglie autori provenienti da ogni classe sociale dell’antico Giappone.
Sebbena gli imperatori e i funzionari pubblici raccolti attorno alla corte imperiale occupino la parte centrale dell’antologia, ci sono anche poesie di contadini (dette Azuma-uta), di soldati (Sakimori) e di anonimi.
Kakinomoto no Hitomaru è il maggiore autore del Manyō- shū.
Giacché è divino
il mio Imperatore,
potrebbe anche
abitare sul tuono
fra le nubi celesti.
Kakinomoto-no-Hitomaro (vol. III, 235)
Se canti tu,
piviere, fra le onde
serali nel lago
Biwa, resto triste
e penso al passato.
Kakinomoto-no-Hitomaro (vol. III, 266)
Hitomaro fu poeta di corte; scrisse sia poesie solenni per occasioni cerimoniali a corte sia poesie in cui esprimeva emozioni e sentimenti umani individuali (si vedano rispettivamente il primo e il secondo tanka citati).
Pur essendo un’antologia di liriche, il Manyō-shū riflette gli sconvolgimenti nel consolidarsi del regime imperiale antico e contiene anche poesie di carattere epico. Questo è un aspetto caratteristico del Manyō-shū che non sarà più presente a partire dal Kokin-shū, la seconda grande antologia della tradizione lirica giapponese.
Altri poeti del Manyō-shū, come Yamabe-no-Akahito, Otomo-no-Tabito, Yamanoue-no-Okura e Otomo-no-Yakamochi, rappresentano sentimenti legati alla classe sociale di ognuno di loro.
Vola l’allodola
nel giorno primaverile
illuminato,
sereno; penso a me,
solo ed accorato.
Otomo-no-Yakamochi (vol. XIX, 4292)
La fusione fra il sentimento malinconico dell’uomo e il paesaggio naturale è un leitmotiv nel Manyō-shū, ma allo stesso tempo vi cogliamo l’anima, l’intimità profonda di Yakamochi, una sensibilità che avrebbe influenzato notevolmente i tanka moderni dopo l’era Meiji e Taishō.
2) Kokin-waka-shū (Kokin-shū in breve)
Dopo circa centocinquant’anni dalla compilazione del Manyō-shū venne redatto il Kokin-shū, un’altra antologia contenente circa millecento poesie in venti volumi.
Per la maggior parte gli autori sono poeti di corte del primo periodo Heian. Nella corte imperiale si tenevano delle gare di waka, cioè di poesie in forma di tanka (gare chiamate uta-awase) su temi assegnati da arbitri- giudici. I nobili gareggiavano tra loro in raffinatezza, scrivendo poesie in occasione di banchetti.
Questo tipo di gara c’era già nell’epoca del Manyō-shū, ma in quel periodo i tumulti politici si riflettevano chiaramente nelle opere dei poeti.
Sembra che gli autori del Kokin-shū non abbiano voluto esprimere le sofferenze del loro tempo, anzi volutamente nasconderle.
Questa è la differenza fondamentale degli autori del Kokin-shū rispetto a quelli del Manyō-shū.
Per il ricordo
del vento che ha sparso
i fiori di ciliegio,
si alzano le onde
nel cielo senz’acqua.
Ki-no-Tsurayuki (vol.II, 89)
Tsurayuki fu il compilatore del Kokin-shū e anche uno dei suoi autori più rappresentativi. Il suo è un mondo poetico raffinato, spiritoso e nutrito d’un’alta tecnica retorica.
Proprio questo impasto fu la caratteristica cruciale del Kokin-shū. Tsurayuki classificò e dispose millecento poesie secondo il soggetto. Ad esempio, partendo dal primo giorno di primavera secondo il calendario lunare, e arrivando alla fine dell’anno, allineò poesie secondo il cambiamento della stagione. Nella parte in cui si tratta dell’amore, distribuì i testi secondo l’andamento delle storie d’amore; dal primo momento in cui ci s’innamora di una persona ancora sconosciuta fino alla delusione e al dolore.
Questo modo di organizzare i testi venne, d’allora in poi, preso come modello da tutte le antologie compilate per ordine imperiale.
Se non ci fossero
fiori di ciliegio
nel mondo, sarebbe
più serena
l’anima in primavera.
Arihara-no-Narihira (vol.II, 53)
Mentre le poesie dedicate ai fiori di ciliegio tendono spesso all’estetismo, nelle opere di Narihira emerge una forte emozione.
E’ già svanito
il colore dei ciliegi,
mentre pioveva
a lungo, mi tormentavo
invano per un amore.
Ono-no-Komachi (vol. II, 113)
In questa poesia Komachi esprime il mutamento dei fiori di ciliegio, sovrapponendo ad esso la sua sofferenza per un amore tormentato.
Così nel Kokin-shū viene espresso con dolcezza lo spirito delle cose umane e della natura in ogni stagione, attraverso un linguaggio sommamente raffinato.
3) Shin-kokin-waka-shū (Shin-kokin shū in breve)
Dopo trecento anni dalla compilazione del Kokin-waka-shū, all’inizio del tredicesimo secolo venne realizzato lo Shin-kokin-waka-shū, comprendente millenovecentottanta poesie in venti volumi.
In questo periodo la cultura imperiale diventò troppo sontuosa, il suo potere politico cominciò a declinare e infine perì. Ed a sostituirla nacque il corpo dei guerrieri (Bushi-dan). Alla fine della lotta armata fra gli Heike e i Genji venne gettata la base del governo dello Shogun a Kamakura (Kamakura-Bakufu).
Durante quel periodo bellico venne compilato lo Shin-kokin-waka-shū per ordine dell’Imperatore abdicato Gotoba; tra i compilatori un ruolo centrale lo ebbe Fujiwara–Teika.
Mi guardai intorno:
non c’erano né fiori
né aceri,
sulla capanna nella baia
scendeva la sera d’autunno.
Fujiwara–Teika (vol. IV, 363)
La poesia di Teika è preziosa, elaborata, seducente e anche simbolica. Si nota nelle sue opere il desiderio di mantenere la tradizione dell’estetismo, almeno per quanto riguarda il tanka, anche se si trovava in un periodo di disordine e di guerra. Alla base delle opere raccolte nello Shin-kokin-shū c’è la ricerca di illusioni remote o di fantasie capaci di allontanare la cruda realtà.
Osservando il mondo tipico della poesia classica cinese Kan-shi¹, oppure quello della poesia giapponese arcaica, assumendolo come la sorgente della lirica, i poeti espansero le loro possibilità creative, approfondendo l’espressione dei waka.
E’ da notare, soprattutto, la presenza di numerose donne poeti in questo periodo.
Se non so nemmeno
del tuo letto, non dico
come t’ho visto,
non parlare del sogno
di notte primaverile.
Izumi-Shikibu (1160)
Oh se finisse la vita,
se fosse in mio potere,
perché quanto più
vivo tanto più perdo
la pazienza.
Principessa Shokushi (1034)
Nel mondo estetico espresso nello Shin-kokin–shū, intrecciati alle espressioni del sentimento amoroso emergono timbri di viva voce, difficili da osservare altrove fra le opere maschili.
Per quanto insensibile,
anch’io ho compreso bene
l’emozione
mentre vedo beccacce sulla riva
nella sera d’autunno.
Saigyō-Hōshi (362)
Saigyō sottolinea nei suoi versi il valore dell’ esistenza parlando della natura e del suo amore per il mondo, e cerca una liricità capace d’infrangere il guscio del waka del periodo Heian.
Nello Shin-kokin-shū ci fu dunque un’evoluzione del waka nel senso dell’intensità poetica.
In seguito, pur essendoci molte altre compilazioni per ordine imperiale, non si fece che ripetere lo stile dello Shin-kokin-shū fino a renderlo stereotipato, quindi i risultati furono poveri di sostanza.
Clicca qui per leggere la seconda parte dell'articolo
Wagashi: l'arte della pasticceria giapponese
Sabato 15 giugno 2013
Dalle 15.00 alle 18.00
Wagashi: l'arte della pasticceria giapponese.
Evento organizzato dall'Associazione Culturale La Via del Sakè.
Sabato 15 giugno, nella cucina di Kitchen, in via De Amicis 45 (Milano) ci saranno tre turni di degustazione, ognuno dei quali prevede:
- storia della pasticceria giapponese, con proiezione di foto (15′)
- preparazione di Tè Verde Matcha secondo i canoni della Cerimonia del Tè
- Degustazione di 5 dolci tradizionali, direttamente importati dal Giappone, accompagnati dal tè
- Presentazione del viaggio Estivo Giappone Gourmet [http://www.laviadelsake.it/viaggi/giappone-gourmet-viaggio-estivo-2013/]
- Consegna di una dispensa in lingua italiana sulla pasticceria Giapponese e di un dolce tipico da portare a casa.
I tre turni sono così organizzati:
1° turno 15:00 / 15:45
2° turno 16:00 / 16:45
3° turno 17:00 / 17:45
Per ogni turno ci sono al massimo 15 posti disponibili.
Il prezzo, tutto compreso, per ogni turno è di €20 da pagare in cassa all’ingresso.
Non è necessario prenotare, ma farlo vi garantisce l’accesso al turno di degustazione di vostro gradimento.
Potete presentarvi sabato pomeriggio direttamente presso Kitchen, in via De Amicis 45 e sarete accomodati al primo turno disponibile. Per prenotare il vostro posto potete inviare una mail con il vostro nome, numero di telefono e numero di posti desiderati a info@laviadelsake.it e RICONFERMARE per essere sicuri di avere il posto il giorno stesso sempre via mail.
Per maggiori informazioni, ecco la pagina Facebook dell'evento.
Kaze Tachinu
Il 20 Luglio si avvicina e con esso l'uscita dell'ultimo film firmato Hayao Miyazaki.
Kaze Tachinu, basato su un manga di Miyazaki stesso pubblicato nel 2009, riprende in maniera romanzata la biografia di Jiro Horikoshi, designer di aerei bellici per il giappone durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il sito internet dello studio Ghibli tiene alta l'attenzione: ormai sono sei i poster a disposizione dei fan, twittati a partire da fine Maggio.
Tutti i volti (e le voci) dei personaggi principali sono visibili sul sito: in particolare, il protagonista, Jiro, segnerà il debutto come doppiatore di Hideaki Anno, regista dell'anime Evangelion. E, a proposito di voci, la colonna sonora è cantata da Yumi Matsutoya, che i fan di Miyazaki hanno già avuto modo di ascoltare in Kiki Delivery Service.
Un film da non perdere, sotto tutti i punti di vista.
Shin Yoshiwara
Shin Yoshiwara
Il quartiere dei piaceri di Edo
Piccolo paravento a sei ante (ko-byobu)
Inizio del periodo Edo (1615-1867)
Inchiostro, pigmenti e gofun su carta
38x103,8 cm
Il quartiere dei piaceri del Nuovo Yoshiwara fu inaugurato nel 1657 in una zona a nod di Edo, la moderna Tokyo: sviluppato su un'area di circa di 234x324 metri proponeva ogni tipo di svago, dalle case del te' all'artigianato artistico. Il dipinto raffigura quindi numerosi personaggi di ogni età e ceto sociale: samurai con un grande cappello calato sulla testa per non farsi riconoscere, cortigiane, venditori ambulanti, servi e quant'altro. A quel tempo difatti il quartiere era costellato di negozi di ogni genere che servivano tutti, che successivamente andarono sparendo, sostituiti da più lussuose case del tè i cui gestori combinavano incontri con le cortigiane di alto rango.
Giuseppe Piva Arte Giapponese
via San Damiano, 2
20122 Milano
tel +39 02 3656 4455
info@giuseppepiva.com
www.giuseppepiva.com
Abstract speaking al Padiglione Giappone della Biennale
Dal 1 giugno al 24 novembre
presso la Biennale di Venezia
Padiglione Giappone presso 55. Esposizione Internazionale d’Arte Contemporanea
Abstract speaking - sharing uncertainty and collective acts
Venezia, Giardini di Castello
collaborazione speciale: Ishibashi Foundation
Nell’ambito della 55. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia - Il Palazzo Enciclopedico, diretta da Massimiliano Gioni - il Padiglione Giappone propone la mostra "Abstract speaking – sharing uncertainty and collective acts" di Koki Tanaka, ispirata all’umano interagire, tra condivisione e lettura personale.
Commissario: The Japan Foundation
Curatrice: Mika Kuraya
La produzione recente di Koki Tanaka si incentra sulle modalità dell’interazione umana. A tal fine, l’artista: 1) affida un compito a uno specifico gruppo di individui e ne filma l’atto collaborativo, oppure 2) compie azioni con qualcuno sulla base di idee indefinite, registrandone gli esiti in immagini o parole. Cinque compositori al lavoro sullo stesso pianoforte o cinque poeti concentrati sugli stessi versi: azioni che ricadono nella categoria 1), ovvero immagini video. In esse è mostrato il processo di gente di uguale professione, che utilizza lo stesso linguaggio tecnico e si confronta. Di contro, la categoria 2) è costituita da quegli atti che Tanaka definisce “collettivi”, ovvero esperimenti vari di esito indefinito.
L’11 marzo 2011 il Giappone subisce terremoto e tsunami di dimensioni colossali, aggravate da un incidente nucleare. A due anni dall’accaduto, la criticità permane, irrisolta. Tanaka tenta di incanalare i fatti in una singolare foggia astratta. “Nove hairstylist su unico taglio – secondo tentativo (2010)” è girato prima del sisma, ma a chi vive ora il Giappone e ha attraversato l’esperienza definitiva del disastro, il video sembra una metafora del lavoro congiunto per la ricostruzione. Così i compiti e gli atti assegnati da Tanaka possono essere letti in maniera differente, a seconda del contesto personale di chi osserva.
Grazie alla possibilità di una molteplice lettura, i lavori di Tanaka forniranno una piattaforma per la sovrapposizione di sempre nuove interpretazioni, anche nella distante Venezia. All’atto dell’ingresso nel Padiglione - contrassegnato dalla scritta 9478.57 km (la distanza tra il reattore 1 dell’impianto di Fukushima e il Padiglione) posta ad hoc accanto alla dicitura “Giappone” dell’insegna permanente - le connessioni tra gli innumerevoli visitatori e ogni sorta di contesto inerente vengono di fatto a stabilirsi.
Mika Kuraya
Padiglione Giappone, curatrice
Biografia dell’artista
Nato nel 1975, Koki Tanaka attualmente vive e lavora a Los Angeles. Artista poliedrico, si esprime attraverso media differenti, come video, fotografie, installazioni e azioni collettive definite interventional projects, tramite i quali visualizza e rivela la molteplicità di contenuti latenti negli atti quotidiani. Nei progetti recenti documenta i comportamenti inconsci di chi affronta situazioni desuete. Nove stilisti su un unico taglio, o cinque pianisti che si esibiscono contemporaneamente allo stesso pianoforte, ci consentono così di accedere al lato recondito di gesti che normalmente tendiamo a ignorare.
Ha esposto spesso, in patria e all’estero: Hammer Museum (Los Angeles), Mori Art Museum (Tokyo), Palais de Tokyo (Parigi), Taipei 2006 (Taipei), Gwangju Biennial 2008 (Gwangju), Asia Society (New York), Yokohama Triennale 2011 (Yokohama), Witte de With (Rotterdam) e Yerba Buena Center for the Arts (San Francisco). Prenderà parte a 2013 California-Pacific Triennial presso lo Orange County Museum of Art nel giugno 2013.
Sito web: http://www.kktnk.com/
Biografia del curatore
Mika Kuraya, chief curator presso il Department of Fine Arts, The National Museum of Modern Art, Tokyo (MOMAT), ottiene il titolo di MA presso l’Università di Chiba. Di recente ha curato Waiting for Video: Works from 60s to Today (2009, The National Museum of Modern Art, MOMAT Tokyo; co-curata con Kenjin Miwa), Lying, Standing and Leaning (2009, MOMAT), Meaningful Stain (2010, MOMAT), On the Road (2011, MOMAT) e Undressed Painting: Japanese Nudes 1880-1945 (2011-2012, MOMAT). Nel 2010 ha pubblicato il saggio Where’s Reiko? Kishida Ryūsei’s 1914-1918 Portraits (Bullettin of the National Museum of Modern Art, Tokyo, No. 14, 2010 ).
Sito ufficiale del padiglione giapponese presso la Biennale.
Intervista alla curatrice e all'artista di Abstract speaking.
Intervista a Niki Francesco Takehiko
Intervista con Niki Francesco Takehiko, autore della mostra “Social Network diary”, in esposizione fino al 10 Luglio in vicolo Ciovasso, 1 – Milano.
Da dove viene l'idea della sua mostra, Social network diary?
Ci ho pensato a lungo e penso che l'idea iniziale venga dai Timeline dei social network, dove sono completamente assenti i confini temporali e tematici: una mancanza di categorizzazione che permette una percezione immediata e non gerarchizzata. Questo principio si trasmette anche all'esterno della pagina: se un tempo i rapporti nella comunicazione erano piramidali, con un'emittente e uno o più destinatari, oggi chiunque può essere la fonte delle informazioni, rilanciare i contenuti e commentarli.
Questo comporta un cambio di percezione del tempo?
Il presente è l'unico momento tangibile. Fotografie passate possono inserirsi nel presente di qualcuno nel momento in cui le tagga, anche ad anni di distanza dalla pubblicazione del post. Questo contribuisce all'annullamento dei confini temporali e, di conseguenza, riconduce tutto nell'ambito attuale, a un pubblico che risponde nell'immediato.
Da questo punto di vista, i social network si contrappongono ai mass media precedenti all'epoca di Internet. Chi lavora come me nell'ambito delle riviste ha bene in mente il sistema delle scadenze e come questo proietti tutto nel futuro: gli articoli su cui stiamo lavorando ora verranno pubblicati fra una settimana, un mese, quindi sono confezionati per un pubblico ancora immateriale.
Dove si colloca la fotografia fra passato e presente?
La fotografia coglie un momento unico, valido per la prospettiva della singola persona; questo la rende un'opera strettamente soggettiva. Ricordo un episodio avvenuto qualche anno fa, quando ho trovato per caso un cavalletto abbandonato in Piazza Duomo a Milano e l'ho utilizzato la sera stessa per scattare alcune fotografie della Madonnina con la luna piena. In qualsiasi altro momento, quegli scatti non sarebbero esistiti, perchè sono nati da circostanze irripetibili o quasi.
Riguardare vecchie fotografie è dunque un modo per rivivere quei momenti unici nel presente, così non svaniscono nel passato ma restano attuali.
Che rapporto hanno le immagini esposte fra di loro?
In questa mostra ho cercato di abbandonare qualsiasi progettazione: la scelta delle fotografie da esporre è avvenuta per analogia, senza criteri cronologici o razionali, ma piuttosto è stata guidata dalla presenza di una certa poesia trasmessa da esse. Sono presenti immagini pubblicate, non pubblicate, fotografie che sono tutt'ora vive per me e altre che rappresentano un momento importante del passato.
Mentre ne stampavo una, ricordavo improvvisamente un altro soggetto importante, immortalato anni prima, e stampavo anche l'altra fotografia, fino a raggiungere la quota di 108 opere esposte. Un numero simbolico per la filosofia orientale che rappresenta il numero degli Attaccamenti.
Quali sono le immagini che ricevono più like?
Le fotografie di donne e quelle di angeli.
Mentre il suo soggetto preferito?
Gran parte dei soggetti non sono scelti razionalmente, ma mi attirano perchè possiedono una forma di energia, o mi colpiscono per la luce. Altri scatti sono ricordi di momenti che mi hanno cambiato la vita.
Una delle poche eccezioni sono le rappresentazioni di angeli, che ricerco intenzionalmente: fotografarli rappresenta una mia forma di preghiera.
Silvia Pagano
Intervista con Maya Quaianni, WOW Spazio Fumetto
Intervista con Maya Quaianni di WOW Spazio Fumetto, seconda sede espositiva del Milano Manga Festival. Sarà possibile visitare la mostra sui Doujinshi, curata dallo studioso Osamu Takeuchi, fino al 15 Giugno.
Ingresso gratuito.
Cosa sono i doujinshi?
I doujinshi sono opere giapponesi auto prodotte; riviste pubblicate privatamente a mediobassa tiratura che vengono distribuite al di fuori del sistema editoriale “ufficiale”.
E' importante sottolineare che non si distinguono dai manga per criteri qualitativi, anzi, il confine è molto permeabile: accade spesso che autori noti che lavorano per le case editrici decidano di pubblicare autonomamente delle opere e, viceversa, che alcuni dei disegni nati come doujinshi vengano acquisiti dalle case editrici.
In cosa si caratterizzano i doujinshi?
In realtà è difficile individuare delle caratteristiche comuni, perché le scelte stilistiche e tematiche variano da autore a autore. E' possibile trovare opere satiriche o temi impegnativi, storie che coinvolgono personaggi presenti in altri manga o completamente originali. Esteticamente, alcune si rifanno strettamente ai canoni del manga, altre invece sono il prodotto di scelte più innovative.
Com'è organizzata la mostra?
Le tavole sono disposte in due aree tematiche in base alla manifestazione in cui sono state presentate, Comiket o COMITIA.
Il COMITIA è riservato esclusivamente alle opere originali. L'ingresso è gratuito, previo l'acquisto di un catalogo – entrambe le manifestazioni sono facilmente accessibili. Si caratterizzano entrambe per un rapporto 'alla pari' fra gli artisti e i visitatori.
Il Comiket, invece, nasce nel 1975 come luogo di ritrovo alternativo agli eventi organizzati dalle case editrici e da allora è cresciuto, fino a raggiungere quota 560.000 visitatori. Il raduno ospita sia opere originali che revisioni comiche o erotiche di personaggi noti.
560.000 visitatori? Un bel successo...
Sì, il fatto che siano prodotti indipendentemente non implica che siano create da autori meno noti. Alcune delle opere qui esposte hanno ricevuto riconoscimenti e premi al Japan Media Arts Festival, organizzato dal ministero della cultura in Giappone; a volte queste opere vengono pubblicate a livello internazionale e sono acquistabili nel mercato occidentale.
Sulle didascalie è indicato un circolo per ogni tavola. Di cosa si tratta?
Spesso un gruppo di autori si riunisce in uno di questi “circoli” (in originale 同人サークル dojin saakuru) per pubblicare le proprie opere e come tali si presentano ai ritrovi. Sia COMITIA che Comiket possono accoglierne un numero limitato per ogni edizione, quindi le piazze d'esposizione vengono assegnate tramite sorteggio.
Quali sono le tavole esposte che trova più interessanti?
Koori no Te, Siberia Yokuryuu-ki (Frozen Hands: Tales of a Siberian Prison Camp Survivor) di Yuki Ozawa per il tema: l'autrice illustra la storia del padre, detenuto nei campi di prigionia siberiani. L’opera ha vinto il New Face Award all’edizione 2012 del Japan Media Arts Festival. Per l'estetica, invece, Goodchild di Yuka Watanuki e Kanzen Shootengai di Panpanya, hanno uno stile grafico molto particolare.
Silvia Pagano