Intervista a Kyoko Dufaux
Intervista a Kyoko Dufaux, illustratrice; le sue opere sono in esposizione presso l'Associazione Culturale Arte Giappone fino al 3 Ottobre per la mostra "Il cielo di Parigi".
Ha scelto di rappresentare Parigi da una prospettiva diversa: perchè dipingere proprio i tetti e il cielo della città?
Il vero protagonista di questa mostra è il cielo: è il soggetto che volevo rappresentare, dal momento che è una parte essenziale della nostra vita, uno spazio che ci permette di respirare e vivere.
E in un secondo momento ci si accorge degli animali disposti sui tetti e sui balconi...
Sì, gli animali sono venuti in un secondo momento, quando il paesaggio era già stato dipinto. E' sulla base dell'ambiente rappresentato che ho deciso quale animale potesse inserirsi bene nell'immagine e dove collocarlo.
Al contrario, non ci sono esseri umani.
Preferisco dipingere animali, perchè sono più semplici; penso che sia davvero difficile riuscire a rendere la complessità umana. Questo non vuol dire che io non sia interessata a ritrarre le persone, anzi, mi è già capitato in passato, ma trovo più spontaneo utilizzare gli animali come soggetto.
Scorrendo le immagini delle sue opere passate mi hanno colpito quelle di ambientazione africana. Che rapporto ha con quel continente?
Ho vissuto diversi anni in Costa d'Avorio: la visione della natura e dei paesaggi di quei luoghi mi ha profondamente colpita.
Dall'esterno sembrerebbe che la cultura giapponese e quella africana siano agli opposti. Com'è possibile farle coesistere?
A dire il vero, la cultura africana ha più legami con la cultura giapponese di quanti non ne abbia quella occidentale. Penso che un aspetto in comune molto influente sul nostro modo di pensare sia il panteismo, percepire la divinità in tutte le cose: da questo punto di vista, spesso avevo la sensazione di essere connessa alle popolazioni locali al punto di riuscire a comunicare con loro anche senza parole.
Asia, Europa, Africa - ha vissuto per molti anni all'estero. Questo la rende una vera e propria artista internazionale...
Vivere in Paesi diversi mi ha permesso di raccogliere nuovi spunti; invece di seguire fedelmente le strade tracciate dai Maestri giapponesi, ho cercato di cogliere aspetti nuovi derivanti dal viaggiare e ricevere stimoli insoliti, che ora sono parte integrante delle mie opere.
Vorrebbe dire qualcosa alle persone che leggeranno questa intervista?
Vi aspetto! La mostra "Il cielo di Parigi" è aperta a tutti e mi fa piacere ricevere quanti più commenti e reazioni differenti possibili, siete tutti i benvenuti!
Silvia Pagano
Gunbai in ferro
Gunbai in ferro
Ventaglio da guerra
Mei: Iga no kami Minamoto Kanemichi
Settsu (Osaka), periodo Kanbun (1661-1672)
XVII secolo
Ferro laccato, 46 x 21 cm
Esposizioni:
Tenshukaku del Castello di Okayama, 1980
Raro gunbai uchiwa in ferro forgiato da uno spadaio, laccato su entrambi i lati con un solo nascente rosso su fondo oro.
Utilizzato dai comandanti per impartire gli ordini sul campo di battaglia, il gunbai rimase anche durante il periodo Edo un simbolo di potere ed elevato status sociale. La forma e il tipo di costruzione si trovano analoghi in alcuni altri esemplari, tra i quali quello conservato al castello di Osaka, che mostra una tsuka virtualmente identica a questa.
Le montature sull'impugnatura sono in shakudo, i menuki realizzati a forma di pezzi di shogi - gli scacchi giapponesi - con iscrizioni in honzogan di oro.
Kanimichi è un fabbro spadaio classificato come chu saku e fu probabilmente allievo di Kaneyasu, autore del gunbai di Osaka. E' probabile ci siano state due generazioni di fabbri che firmavano Kaneminchi, ma solo la prima firmava antemponendo al nome il titolo "Minamoto".
Il gunbai è conservato in una antica scatola di legno con l'iscrizione "On uchiwa, hitonigiri" ed è accompagnato da una lettera di ringraziamento del sindaco di Okayama City per il prestito all'esposizione del 1980.
Per maggiori informazioni: http://www.giuseppepiva.com/
Neko Cafè
Se vi trovate in Giappone e amate i gatti, tappa obbligatoria è senz'altro un Neko Cafè, ovvero il bar dei gatti. Un'esperienza sicuramente diversa dal solito che permette di stare a contatto per qualche ora con i nostri piccoli amici a quattro zampe, sorseggiando un drink o leggendo un manga.
Un neko cafè può ospitare anche una cinquantina di gatti, tutti in completa libertà. Si tratta di locali a pagamento (circa 1000 Yen all'ora) a prima vista normali, dotati di divanetti, angolo bar scaffali con manga e libri che si possono leggere liberamente e tv con annesse consolle di videogames. Tutto l'ambiente è strutturato ad hoc per i felini: ceste, giochi dei più svariati, torrette di paglia per farsi le unghie, scatole. Pagato l'ingresso, il cliente dovrà mettere al collo un cartellino con l'orario di visita prefissato, togliersi le scarpe e lavarsi le mani, imbattendosi probabilmente in un micio che beve dal lavandino. Fatto ciò potrà tranquillamente coccolare i gatti, nel rispetto del regolamento che vieta di infastidirli o strapazzarli troppo. In Giappone i neko cafè sono circa un centinaio, di cui la metà si trova a Tokyo; i ritmi frenetici della metropoli non consentono a tutti di poter accudire un gatto, perciò molti giapponesi della capitale ripiegano sulla scelta di dedicare il loro poco tempo ai mici del Neko Cafè, comprando loro del cibo o facendo anche dei piccoli regali acquistabili al momento nel locale.
Quella dei Neko Cafè è una moda relativamente recente; infatti il primo locale, il Neko no Mise, è stato inaugurato a Machida circa otto anni fa. Da allora c'è stato un vero e proprio boom dei Neko Cafè, accompagnato anche alla nascita di blog con tanto di profili personali di alcuni gatti e foto annesse. Moda che sembra in espansione: i Neko Cafè in tempi recentissimi sono stati oggetto di interesse anche da parte di alcuni Paesi europei che hanno voluto riproporre il binomio bar-gatti. Nel 2012, dopo tre anni di trattative, ha aperto il primo Neko Cafè in Europa, a Vienna, di proprietà di un giapponese. Quest'anno ne sono stati inaugurati altri 5 in Ungheria, Germania e Inghilterra e di recente anche Parigi ha visto la nascita di un Neko Cafè all'ombra della Tour Eiffel. Per quanto riguarda l'Italia, ci sono dei progetti in corso ma si dovrà aspettare ancora; il successo sarebbe assicurato.
Non rimane che farci un salto. E se siete allergici ai gatti, non disperate: si può sempre optare per un izakaya.
Alice Santinello
Yurusarezaru Mono di Sang-il Lee
6 Settembre 2013
presso 70. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia
Fuori concorso
Yurusarezaru Mono di Sang-il Lee
Sinossi
La storia si svolge all’alba dell’epoca Meiji, nel 1880, ed è ambientata a Ezo (l’odierna Hokkaido), l’isola più settentrionale del Giappone. Lo shogunato Tokugawa è appena crollato e gli Ainu, la popolazione indigena, lottano per definire il territorio assieme al governo appena istituito. Jubei Kamata è un reduce dello shogunato Tokugawa. Durante lo shogunato, bastava il suo nome a terrorizzare Kyoto, perché l’uomo aveva trucidato innumerevoli lealisti in nome dello shogun. Dopo la caduta dello shogunato Jubei ha combattuto in una serie di battaglie e poi di lui si sono perse le tracce in seguito alla brutale guerra di Goryokaku. Sono passati più di dieci anni. Jubei vive isolato con i figli avuti da una donna di etnia Ainu, riuscendo a malapena a sfamarli. La povertà lo spinge a mettere da parte la sua decisione di seppellire la spada. Così l’uomo si ritrova ancora una volta invischiato in una vita di violenza. Con il suo vecchio compagno d’armi, Jubei affronta gli ipocriti che pretendono di rappresentare la giustizia. E ancora una volta, in questa nuova epoca, ha inizio un circolo vizioso di violenza.
Interpreti principali:
Ken Watanabe (Letters from Iwo Jima,The Last Samurai )
Jubei Kamata
Akira Emoto (Villain, Dr. Akagi
Koichi Sato (Crest of Betrayal, What the Snow Brings )
Yuya Yagira
La conferenza stampa ufficiale si terrà venerdì 6 settembre alle 14:30, presso il Palazzo del Casinò - Lido di Venezia. Il red carpet si svolgerà dalle 21:45 al Palazzo del Cinema, seguito dalla proiezione ufficiale alle 22:00 in Sala Grande. Saranno presenti, oltre al regista Sang -il Lee, Ken Watanabe, Akira Emoto e Yuya Yagira.
Le stagioni nel Kabuki: il cartellone annuale a Edo
Tradizionalmente, l’anno del kabuki seguiva la scansione stagionale perchè “solo tale periodizzazione ha il carattere cerimoniale dei riti annuali”, secondo quanto afferma lo studioso di teatro Kawatake Toshio.
Essendo prassi comune che l’ingaggio degli attori e delle compagnie presso i vari teatri avesse la durata di un anno, il primo appuntamento della stagione era dato da un programma di presentazione delle compagnie al pubblico, il cosiddetto kaomise, in cui appunto gli attori “mostravano il volto” al pubblico e ne chiedevano la cortese benevolenza. Il programma del kaomise si teneva agli inizi dell’undicesimo mese del calendario lunare (mese che andava dal 20 novembre al 20 dicembre secondo il calendario gregoriano) e costituiva l’inizio della stagione , oltre che un vero e proprio evento cittadino caratterizzato da un clima di fervida attesa in tutti gli appassionati. Data l’importanza vitale che l’appuntamento rivestiva per il buon andamento della stagione che stava per iniziare, il programma era scelto con cura, allo scopo di esaltare le caratteristiche interpretative della compagnia. Gli attori davano il meglio di sé per stupire e affascinare il pubblico, e il tutto era immerso in un’atmosfera di sfarzo e splendore come la solennità dell’occasione richiedeva. E proprio a causa della solennità dell’appuntamento, generalmente venivano scelti drammi jidaimono, ovvero drammi d’epoca ispirati ad episodi storici, oppure, a Edo, drammi in stile aragoto, in cui potevano dispiegarsi al meglio le doti interpretative della troupe in un’ampia gamma di ruoli.
Al kaomise facevano seguito periodi di rappresentazione a scadenza bimensile legati al ciclo delle feste stagionali, segno evidente dello stretto legame che un’arte popolare come il kabuki manteneva con le stagioni e le feste e i riti che le caratterizzavano. Il ciclo delle rappresentazioni accompagnava così i giorni di festa che si susseguivano nel corso dell’anno, sia sul piano cronologico come su quello della consonanza tematica. Il calendario, dunque, determinava date e scelta del repertorio.
Nel primo mese Shōgatsu, il Capodanno, portava le rappresentazioni di inizio primavera chiamate hatsuharu kyōgen, e per l’occasione venivano scelti drammi beneauguranti. Era questa l’occasione in cui venivano pubblicati gli yakusha hyōbanki, libretti contenenti critiche agli yakusha (attori) e che davano anche conto dei kaomise appena tenutisi. Dal sesto mese la lunga estate calda e umida del Giappone favoriva la chiusura dei teatri (che spesso approfittavano del periodo per gli indispensabili lavori di manutenzione) ed il riposo degli attori più celebri, ma le rappresentazioni non erano dovunque sospese. Spesso una programmazione estiva (natsu kyōgen), affidata ad attori giovani o di secondo piano e per la quale i biglietti erano proposti a prezzo ridotto, cercava di portare refrigerio al pubblico con la scelta di sewamono (drammi familiari) e di drammi che prevedevano scenografie con presenza di acqua, per comunicare al pubblico una sensazione di frescura. Inoltre molte storie di fantasmi e di spiriti venivano proposte all'approssimarsi del bon, quando il ricordo andava ai defunti. Nel nono mese l'inizio dell'autunno segnava la fine della stagione annuale del kabuki, si sceglieva allora di rappresentare drammi poderosi in cui i protagonisti si dibattevano in conflitti fra giri ninjō, fra dovere e sentimento, fra obblighi sociali e passione e in cui spesso ritorna il tema della separazione: era questa, infatti, l’epoca in cui alcuni attori si congedavano dal proprio pubblico per andare presso altri teatri e compagnie e in questo modo si alludeva a questo distacco.
Nella scelta dei drammi da inserire in cartellone era indubbia la preoccupazione circa gli effetti che il susseguirsi delle stagioni e il clima avevano sull’attenzione e i sentimenti del pubblico, ed era cura costante di zamoto (proprietari e amministratori dei teatri) e zagashira (attori capi di compagnia) di armonizzare il cartellone con le stagioni. Una preoccupazione di consonanza con il ritmo della natura che permea ancor oggi, come una corrente sotterranea, la vita in Giappone.
Rossella Marangoni
www.rossellamarangoni.it
Articolo originariamente pubblicato sul sito di Giappone in Italia il 22 luglio 2010
Il Kabuki nel periodo Edo: le giornate di teatro
Nel periodo Edo, durante i programmi stagionali del kabuki, rappresentazioni di drammi diversi si susseguivano nel corso dell’intera giornata, alternando generi e registri in modo eterogeneo: il gioco della varietà era molto apprezzato dal pubblico. Presentare un programma giornaliero composito non faceva altro che assecondare il gusto per l’alternanza di registri e di generi, per la varietà anche stilistica raccomandata nella messiscena del kabuki: un certo grado di disarmonia avrebbe garantito allo spettacolo profondità e respiro, e rispondeva al canone estetico fondamentale dell’asimmetria che da sempre permea ogni espressione artistica giapponese. Secondo lo studioso Georges Banu, in questi programmi era d’obbligo l’alternanza dei registri: “Ciò che è separato dai generi si trova riunito nella costellazione di una giornata : il tragico e il comico, la danza e il canto. Si individua il percorso di una giornata non secondo le norme di una coerenza, ma, al contrario, secondo quelle di una eterogeneità apparente che deve articolarsi secondo un movimento in cui l’accellerazione è legge. Si riuniscono forme e approcci distinti che si succedono mantenendo la loro autonomia : non si fondono l’un l’altro. Alla fusione preferiscono la contiguità, che è l’ipotesi antica della coesistenza dei contrari.”
Tradizionalmente il pubblico giapponese amava le “giornate di teatro” perché costituivano un momento di puro divertimento, un’occasione per stare insieme, per spostarsi in gruppo da una località all’altra al seguito della compagnia preferita, uscendo all’alba da casa illuminandosi il cammino per mezzo delle chōchin (lanterne di carta), mangiando e chiacchierando secondo il costume dell’epoca (è da ricordare che erano invece proibiti da un’ordinanza dei Tokugawa gli spettacoli notturni).
Il pubblico accorreva fin dalle prime ore del mattino, a volte alzandosi alle 4, per poter assistere a questo rito collettivo di puro divertimento, capace di colpire l’immaginazione degli spettatori che spesso provenivano dalle campagne (erano capi villaggio e ricchi agricoltori) e per l’occasione si recavano in città. Una volta tornati a casa, tentavano con entusiasmo di riprodurre questi spettacoli, la cui fama raggiungeva persino i più remoti villaggi di pescatori ed agricoltori, utilizzando piccole compagnie amatoriali, quasi sempre itineranti, che realizzavano i loro spettacoli negli innumerevoli ji shibai (piccoli teatri) situati in provincia, nelle jōkamachi (città-castello) dei daimyō, nei villaggi, o davanti ai più importanti templi buddhisti e shintō. Le produzioni cui si ispiravano questi più modesti spettacoli erano quelle di Edo e dell’area di Kamigata (Ōsaka e Kyōtō), vale a dire degli ōshibai (i grandi teatri con licenza ufficiale), ma poichè ai contadini era proibito dalla censura dei Tokugawa dare rappresentazioni di kabuki in quanto tali, le produzioni locali venivano autorizzate come teodori (danza di gesti) e ammesse come offerte ai templi durante i matsuri. Il divertimento era così, in ogni caso, garantito.
Rossella Marangoni
www.rossellamarangoni.it
Articolo originariamente pubblicato il 7 settembre 2010 sul sito di Giappone in Italia
Espedienti scenografici del kabuki: lo hanamichi
Lo hanamichi 花道 (letteralmente “cammino dei fiori”) è una piattaforma sopraelevata fatta di assi di legno, larga circa un metro e mezzo, che attraversa la platea per tutta la sua lunghezza sul lato sinistro del teatro, dal fondo al palcoscenico. La platea era suddivisa in box quadrati delimitati da barre di legno, con il fondo a tatami, in cui trovavano posto da quattro a sei spettatori. Un tempo i biglietti venivano venduti ad unità quadrata (masu tan’i 桝単位). Da questi posti gli spettatori si muovevano per andare a comprare al negozio del teatro sake, bentō 弁当, dolci, persino carbone per il braciere. Lo hanamichi passa in mezzo al pubblico, dividendo irregolarmente la platea ed è su questa passatoia che tradizionalmente venivano deposti regali per gli attori dagli ammiratori adoranti che stavano nei posti a tatami della platea (più economici dei palchi laterali) chiamati masuseki 桝席: i regali per gli attori venivano metaforicamente e poeticamente chiamati hana 花 (fiore) e da questi avrebbe preso il nome la piattaforma.
Non si conosce esattamente il periodo in cui lo hanamichi comparve per la prima volta negli edifici teatrali, ma si sa che comparve presto nella storia del kabuki e che nel 1668 il Kawarazakiza di Edo ne possedeva uno. Nei primi teatri era posto in diagonale sulla platea, attraversandola dal centro del palco fino ad un angolo del fondo del teatro. Non sembra azzardato ipotizzare che derivi la sua origine dallo hashigakari 橋掛りdel teatro nō, il ponte di collegamento dalla kagami no ma 鏡の間 (stanza dello specchio) in cui l’attore si prepara, al palcoscenico, e che permette all’attore del nō di fare il suo ingresso in scena. Allo stesso modo lo hanamichi nel kabuki è utilizzato per gli ingressi e le uscite degli attori, ma ha sempre una forte valenza drammatica: alcune scene hanno luogo direttamente sullo hanamichi che è sempre sede privilegiata dei michiyuki, i viaggi di trasferimento dei personaggi da una località a un’altra. A partire dal 1770, e per tutto il XIX secolo, si prese l’abitudine di allestire uno hanamichi provvisorio (kari hanamichi 仮花道), largo solo un metro, lungo il lato destro della platea, ottenendo un ampliamento dello spazio a disposizione degli attori. Si possono ancora osservare teatri con entrambi gli hanamichi nell’isola di Shikoku 四国, in cui si sono conservati straordinari esempi di teatri del periodo Edo e del periodo Meiji, miracolosamente scampati al fuoco e restaurati con amorevole cura.
Come è stato più volte sottolineato, una delle attrattive dello hanamichi è che incoraggia un sentimento di intimità, ponendo il personaggio fra gli spettatori. Lo hanamichi appare infatti come un luogo del tutto particolare, in cui si incontrano gli attori e il pubblico, con tutto ciò che questo significava nel periodo Edo: è sullo hanamichi che si consuma il rapporto d’amore fra il divo e il suo pubblico, un pubblico fatto di gente comune, quello più vicino, quello della platea, che chiama il suo beniamino acclamandolo per nome o urlandone i soprannomi o lodi e incoraggiamenti (home kotoba誉め言葉). Lo hanamichi è il luogo dove sorge l’empatia fra attore e pubblico che costituisce l’essenza del kabuki in quanto grande spettacolo popolare e, come afferma il celebre studioso Kawatake Toshio, è impossibile concepire il kabuki senza questa fondamentale struttura.
Rossella Marangoni
www.rossellamarangoni.it
Originariamente pubblicato sul sito di Giappone in Italia l'11 Novembre 2010
Kabuki: la messa in scena della tradizione
Non avrei mai pensato che quattro ore e mezza di spettacolo teatrale potessero trascorrere così velocemente e piacevolmente… non potevo assolutamente lasciare il suolo nipponico senza aver visto una rappresentazione di kabuki, il teatro tradizionale giapponese.
Specificatamente lo spettacolo a cui mi riferisco si tenne al kabuki-za, un teatro kabuki costruito ispirandosi alle forme tradizionali dell’architettura giapponese che si inserisce con eleganza, ma anche una certa arroganza, tra i palazzoni luccicanti di Ginza a Tokyo.
Sorta come arte popolare il kabuki fonde assieme il dramma, la musica e la danza, integrandole tra loro con grande equilibrio, e si narra abbia avuto origine dalla danza eseguita a Kyoto verso il 1603 dalla sacerdotessa Okuni del tempio scintoista Izumo.
Coinvolgente e ricco di colpi di scena il tempo narrativo è articolato in tre storie differenti tratte dal repertorio del jidaigeki, ossia drammi di ambientazione storica che si avvalgono di costumi tradizionali colorati e sgargianti, e scenografie così verosimili da far talvolta dimenticare d’essere all’interno di un teatro; pitture di vario genere adornano il viso e accentuano le sfumature espressive degli attori che non occorre così si avvalgano di maschere, contrariamente all’altra forma di teatro giapponese tradizionale, il Nō; l’interpretazione è molto stilizzata così come i movimenti, estremamente enfatizzati; una caratteristica fondamentale consiste nel fatto che non sono ammesse donne come attrici, ma sono esclusivamente attori maschili (onnagata) ad interpretare ruoli femminili riproducendone in maniera impeccabile e molto naturale gestualità ed espressioni con la delicatezza che sarebbe propria di una donna ma anche con una certa ironia velata; nonostante inizialmente vi partecipassero anche le donne, la loro presenza fu in seguito proibita per motivi morali dal governo (lo shogunato o bakufu di periodo Edo) e il kabuki assunse la forma attuale.
Ma quello che rende davvero fresche queste rappresentazioni e che non fa sentire il peso di quattro effettive lunghe ore, è lo spettacolo intermedio improntato sulla comicità e ispirato all’antico bunraku (l’arte dei burattini) ma in questo caso messo in scena da attori. Ma ciò che mi stupì di più notare, e che inizialmente mi spiazzò, consiste nel fatto che durante la messa in scena persone del pubblico intervengono costantemente ed intenzionalmente, come da copione, per approvare gli atteggiamenti degli attori o esprimere il proprio stupore nei confronti delle dinamiche delle storie narrate, e questo per creare maggior coinvolgimento emotivo negli spettatori; forse al fine di contribuire al medesimo obiettivo, una pedana, posizionata perpendicolarmente al palco sul quale si svolge la scena, attraversa lo spazio riservato al pubblico per permettere l’ingresso e l’uscita degli attori.
Davvero un’esperienza per cui varrebbe la pena d’acquistare anche il biglietto più costoso per poter godere al meglio dello spettacolo!
Eleonora Bertin
Articolo pubblicato originariamente il 7 aprile 2009 sul sito di Giappone in Italia
Kokeshi, from Tohoku with Love di Manami Okazaki
Kokeshi, from Tohoku with Love by Manami Okazaki
Kokeshi are traditional dolls that are made of wood and are characterized by their lack of arms or legs. They are produced in the Tohoku region of Japan and were originally a children’s toy, although they are more often used as a form of decoration nowadays and displayed in the home. Abroad, kokeshi dolls are considered to be an icon of Japan, and reflect Japanese aesthetic sensibilities with their simple, elegant and minimalist designs.
Kokeshi have the appeal of imperfection and exclusivity as no two dolls are the same, and for lovers of kokeshi, the artisanal nature of this hand-made item represents the romance of a bygone past where things were made one-by-one with time and care. They are often described as “healing” as the modest faces are rather ambiguous -- their expressions are often described as “demure” and don’t demand attention, but are said to have a calming quality that resonates with the soul. Moreover, each kokeshi embodies the qualities of wood, something that is often referred to as “warmth.” In fact, for collectors, more than the freshly made kokeshi, many covet the atmosphere of the vintage kokeshi-- rather than degrading, as with plastic or artificial materials, the wood picks up a dewy, subdued color and the delicately painted features fade gracefully with time.
Otto scene di famiglia
Tsutsui Yasutaka
Otto scene di famiglia
A cura di Maria Chiara Migliore
Edizioni Arcoiris
Nanase è diversa dagli altri. È telepatica. Per celare il suo potere, o meglio la sua diversità, sceglie di fare la domestica, così da poter cambiare spesso il luogo di residenza e quindi nascondersi più facilmente agli occhi degli altri. Osservando dall’interno la vita delle famiglie presso cui abita, Nanase scopre segreti, rancori, desideri inconfessabili e, spietata, li smaschera.
Otto racconti giapponesi di fantascienza New Wave, per la prima volta in traduzione italiana.
Tsutsui Yasutaka è nato a Ōsaka nel 1934. Scrittore versatile, critico letterario, opinionista, sceneggiatore per il cinema, il teatro e la radio, anche attore, ha al suo attivo numerosi scritti che spaziano in vari generi letterari. Dalle sue opere di fantascienza sono stati tratti manga, anime, film e serie televisive.
Per maggiori informazioni: Edizioni Arcoiris