Hinamatsuri

Akari o tsukemashou bonbori ni
Ohana o agemashou momo no hana
Gonin bayashi no fue taiko
Kyo wa tanoshii Hinamatsuri

Terzo giorno del terzo mese: oggi in Giappone si celebra Hinamatsuri, la festa delle bambine.

Letteralmente "festa delle bambole" e chiamata anche "festival dei fiori di pesco" secondo la stagione del calendario lunare, la tradizione ha origine anticamente in Cina, dove era usanza trasferire la sfortuna su alcuni fantocci per allontanarla da sè: per farlo, dopo aver soffiato su una bambola, la abbandonavano alle acque in un rito di purificazione che scacciasse il male dalla famiglia.

L'usanza è stata ufficialmente importata in Giappone durante il periodo Edo (1603-1868), anche se la tradizione del hinanagashi è precedente. Ancora oggi viene ripetuta in alcune zone del Giappone, con un occhio all'ecologia: le barche con le bambole vengono recuperate dal fiume per impedire che finiscano nelle reti dei pescatori, per poi essere bruciate e purificate in un tempio shintoista.

Più diffusamente, Hinamatsuri viene festeggiato in casa dalle famiglie con figlie femmine, esponendo le hina-Ningyo, bambole che rappresentano la corte imperiale del periodo Heian (794-1192). Ognuna di esse è vestita con i costumi dell'epoca; in particolare l'imperatrice porta il juuni-hitoe, il kimono dei dodici strati.

hinamatsuri

Nelle case più piccole è diffusa la versione composta unicamente dalla coppia imperiale, ma il set completo attualmente raccoglie 15 bambole, che vanno collocate secondo un ordine ben preciso sul hinadan, struttura "a gradini" coperta da un drappo rosso con bordo multicolore.

L'ordine di disposizione è gerarchico e parte con Imperatore e Imperatrice (piccolo strappo alla correttezza storica: al tempo l'Imperatore non aveva una sola consorte) sul primo gradino, per passare alle tre dame di corte, poi ai cinque musicisti. Sul quarto sono disposti due ministri, subito sotto tra samurai, per terminare con gli oggetti di corte sul sesto e settimo gradino.

Le figure sono in una posizione specifica e sono intervallate da elementi decorativi rituali; in particolare, gli hishimochi, dolci tipici dell'Hinamatsuri, vengono posizionati accanto ai ministri di corte.

Esistono set di bambole molto antichi, tramandati di generazione in generazione come parte della dote quando la figlia si sposa. Nel corso del tempo sono diventati oggetti da collezione, che possono raggiungere costi impressionanti.
Nel caso invece non siano presenti in famiglia, è compito dei nonni o dei genitori comprare un set per il primo Hinamatsuri della bambina.

Immancabili decorazioni della festa sono i fiori di pesco, che racchiudono le qualità attribuite tradizionalmente alla donna: gentilezza, compostezza e serenità. Proprio per questo sono tradizionalmente legati anche al matrimonio.
Una forte simbologia è legata anche agli hishimochi. Sono infatti composti da tre strati di colori diversi: rosa, per allontanare gli spiriti malvagi, bianco per la purezza e il verde per la salute. Alcuni invece vedono in questa disposizione una rappresentazione della primavera, dove il verde è l'erba sui cui si posa la neve bianca, da spuntano i fiori di pesco.

La tradizione culinaria non si limita agli hishimochi.
Per l'occasione si beve il shirozake, una bevanda non alcolica derivata dalla fermentazione del riso, accompagnata da prelibatezze come arare, osekihan e chirashi.
Le bambine si ritrovano per offrire piccoli cibi alle bambole ed assicurarsi così una buona fortuna.

L'intera collezione di bambole viene esposta a partire da metà Febbraio e riposta accuratamente subito dopo la festa. Infatti la superstizione insegna che ogni giorno di ritardo provocherà un ritardo nel matrimonio della figlia.


Van Gogh Alive: le opere giapponesi

Dal 6 dicembre 2013 al 9 marzo 2014
Fabbrica del Vapore
Via Procaccini 4 - Milano

Van Gogh Alive

“Studiando l’arte giapponese, si vede un uomo indiscutibilmente saggio, filosofo e intelligente, che passa il suo tempo a far che? A studiare la distanza fra la terra e la luna? No; a studiare la politica di Bismarck? No; a studiare un unico filo d’erba.

Ma quest’unico filo d’erba lo conduce a disegnare tutte le piante, e poi le stagioni, e le grandi vie del paesaggio, e infine gli animali, e poi la figura umana. Così passa la sua vita e la sua vita è troppo breve per arrivare a tutto.

Ma insomma, non è quasi una vera religione quella che ci insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono in mezzo alla natura come se fossero essi stessi dei fiori? E non è possibile studiare l’arte giapponese, credo, senza diventare molto più gai e felici, e senza tornare alla nostra natura nonostante la nostra educazione e il nostro lavoro nel mondo della convenzione.”

Vincent Van Gogh era legato al Giappone da una visione quasi utopica ed idealizzata, che ha profondamente influenzato la sua produzione artistica dal 1887 nei colori, negli sfondi.

Alcune di queste opere sono state selezionate presso la mostra Van Gogh Alive, attualmente in corso presso la Fabbrica del Vapore.

Un nuovo modo di vivere e conoscere l’arte: affascinante ed educativo. Van Gogh Alive – realizzata in coproduzione con il Comune di Milano – è un’esperienza multimediale per tutta la famiglia. I capolavori di Van Gogh prendono vita, in una vibrante sinfonia di luci, colori e suoni.

Oltre 3000 immagini proiettate in altissima definizione grazie all’innovativo sistema SENSORY 4 comporranno uno straordinario museo impossibile e offriranno un viaggio attraverso l’universo creativo e visionario dell’artista: dagli intensi cromatismi, alla tumultuosa vicenda esistenziale.

Per info:
http://www.vangoghalive.it/
Tel 02-33606436

Sulla nostra pagina Facebook alcune immagini della mostra


Yūgen - Galleria Piva

Yūgen
L’impalpabile profondità dell’arte giapponese

Alcune delle differenze fondamentali tra l’arte occidentale e quella orientale riguardano il rapporto degli artisti con il mondo esterno. Fin dal rinascimento, pittori e scultori europei hanno sempre mirato a riprodurre fedelmente la realtà tramite diverse tecniche quali l'uso della prospettiva o l'estrema attenzione al dettaglio.

Gli artisti orientali hanno da sempre avuto un approccio diverso: il loro scopo, infatti, non è stato quello di creare qualcosa che somigli alla realtà, ma qualcosa che provochi nello spettatore delle sensazioni; lo scopo di questa diversa estetica non si compie attraverso una rappresentazione dettagliata e precisa del reale né tramite la semplice raffigurazione di ciò che gli occhi vedono.

In tutte le forme d’arte giapponese sembra sempre che ci sia qualcosa di non detto, qualcosa che è solo vagamente suggerito: un lato profondo e impalpabile, caratteristica fondamentale di questa estetica.

Il termine "yūgen" puó essere tradotto come "impalpabile profondità"; questo suggerisce che ci sia qualcosa sotto la superficie, qualcosa di celato e arduo da percepire. Secondo questo concetto, la vera bellezza si nasconde in pochi colpi di pennello o in una semplice tazza di ceramica grezza, se questi non vengono osservati superficialmente ma cogliendo le emozioni e le sensazioni più profonde che ne scaturiscono. Ed è proprio questa bellezza celata che può risvegliare nello spettatore profondi e remoti sentimenti.

Yūgen non è un concetto isolato. Altri termini possono designare sentimenti simili: shibui, wabi-sabi, shinzen, kanso, eccetera. Tutti questi, strettamente legati all'estetica zen, descrivono la bellezza delle forme semplici, delle imperfezioni e del deterioramento naturale delle cose. La contemplazione della bellezza in questo caso è qualcosa di molto intimo e malinconico, molto distante dalla funzione decorativa che l'arte ha sempre avuto in Europa.

Certe forme d’arte sono certamente più vicine al concetto di yūgen di altre: la ceramica, la calligrafia e tutte le arti connesse con la cerimonia del tè sono in genere quelle che più esprimono questo principio. Nonostante ciò, tutte le manifestazioni artistiche giapponesi sono state profondamente influenzate da questo concetto: le decorazioni delle lacche possono essere sontuose, ma spesso includono un semplice oggetto che si riferisce a una particolare poesia o che esprime una certa sensazione per una stagione; i volti delle sculture buddiste sono sempre sereni ma allo stesso tempo illeggibili, così lo spettatore viene toccato dalla loro bellezza nella parte più profonda dello spirito; anche un’armatura può trasmettere energia e forza attraverso i suoi colori e la raffinatezza dei dettagli. La nihonto, nota per essere la miglior spada in termini di bellezza ed efficienza, è probabilmente il più antico esempio di arte astratta: oltre ad essere un’arma è sempre stata considerata una delle espressioni più raffinate di artigianato artistico, con una lavorazione che traccia sull’acciaio motivi e disegni creati esclusivamente per essere ammirati, quasi fosse un’opera d’arte informale.

Fonte: http://www.giuseppepiva.com/


La spada non spada di John Stevens

John Stevens
LA SPADA NON SPADA
Una via all'illuminazione zen
A cura di Claudio Regoli

Fondatore della scuola di scherma “Itto Shoden Muto Ryu”, la scuola della ‘non spada’ da cui si è sviluppato il moderno kendo giapponese, Yamaoka Tesshu fu uno spadaccino invincibile, un illuminato e un grande calligrafo. Questo libro narra la sua storia e propone una selezione delle sue opere.

Fondatore della scuola di scherma "Itto Shoden Muto Ryu", Yamaoka Tesshu fu uno dei pochi cultori di arti marziali ad aver penetrato l'essenza di tante vie diverse: la via della spada, lo zen e la calligrafia. Questo libro di John Stevens, docente di buddhismo all'Università di Sendai, in Giappone, ma anche maestro di aikido, calligrafo e traduttore, ripercorre, attraverso fonti e documenti storici, le fasi salienti della sua vita e del suo insegnamento: la passione per la spada, l'addestramento; l'impegno politico al fianco dell'imperatore e poi il ritiro dalla scena pubblica per dedicarsi all'insegnamento della scherma fondando una propria scuola; la pratica dello zen nella tradizione di Tekisui e il conseguimento del risveglio a quarantacinque anni, e infine l'amore per la calligrafia, testimoniato da oltre un milione di opere, con cui usava sovvenzionare il restauro di templi o aiutare i bisognosi. Il volume è arricchito da una selezione di scritti di Tesshu tradotti dagli originali conservati nella biblioteca dello Shumpukan e da numerose riproduzioni delle sue opere pittoriche e calligrafiche.
Già uscito in Italia col titolo Lo zen e la via della spada e da tempo esaurito, esce oggi con una nuova accurata traduzione.

John Stevens, nato nel 1947 a Chicago, è docente di buddhismo presso la Tohoku Fukishi University di Sendai, in Giappone, dove vive dal 1973. Maestro di aikido, calligrafo, traduttore e studioso di buddhismo (è stato per nove anni monaco della scuola Soto), è autore di molti libri sul pensiero e la cultura orientali.

collana CIVILTÀ DELL’ORIENTE (argomento: ZEN-ARTI MARZIALI)
ISBN 978-88-340-1661-9
anno 2014
pagine 200, ill.
prezzo € 18,00

www.astrolabio-ubaldini.com


Innamorati in Giappone: San Valentino

Il 14 Febbraio è il giorno di tutti gli innamorati, si sa.

Ma se in occidente è tradizione che sia l'uomo a prendere l'iniziativa, in Giappone sono le ragazze a fare il primo passo, dichiarandosi con una scatola di cioccolatini alla persona amata. E non è semplice cioccolata: si tratta di dolcetti fatti in casa o acquistati appositamente in pasticceria. In questo caso si tratta di Honmei Choko (cioccolato per il prescelto) e sono presentati in confezioni più elaborate e riconoscibili.

Introdotta con successo in Giappone solo nel 1958, l'usanza di regalare cioccolatini è ormai radicata e vale anche nei confronti di amici, famigliari e colleghi maschi, cui si regalano dei pacchettini di Giri Choko (cioccolato di "dovere"), che indicano un rapporto affettivo meno intenso.

Un mese dopo, è il turno degli uomini. I ragazzi che hanno ricevuto i cioccolatini e ricambiano i sentimenti hanno la possibilità di ricambiare il 14 Marzo, chiamato White Day: vengono così offerti doni o cioccolatini bianchi per dimostrare il proprio amore. Attenzione, in questo caso vale il principio del sanbai gaeshi: il regalo deve avere valore doppio o triplo rispetto a quello ricevuto.


Etegami - Firenze

20 Febbraio 2014, dalle 18:00 alle 20:00
presso l’Associazione Culturale Lailac
Via G. Starnina, 68 – 50143 Firenze (FI)

Incontro per la creazione di Etegami

“Etegami” significa lettera o cartolina con disegno o schizzo.
Gli Etegami non sono vincolati da regole. Basta lasciarsi inspirare e mettere i propri pensieri e sentimenti su carta attraverso schizzi o disegni e poche parole.

L’Associazione Culturale Lailac in collaborazione con l’Associazione Etegami Giappone organizza incontri mensili, per la precisione un giovedì al mese dalle 18:00 alle 20:00, poter creare tutti insieme queste “lettere con disegno” da inviare poi ad amici e familiari.

La tecnica etegami è molto semplice e non richiede nessuna abilità artistica ma solo voglia di comunicare e ispirazione positiva per creare una immagine sincera e spontanea: il motto del fondatore dell’Etegami è proprio: “Va bene anche se non siete bravi, anzi, è meglio”.

Oltre a questi incontri con l’Associazione giapponese, Lailac ha avviato un “Progetto di Scambio di etegami” tra italiani e giapponesi ed a novembre, durante la 15° edizione della nostra manifestazione annuale Festival Giapponese di Firenze, ha raccolto 25 adesioni.
In questi mesi i primi etegami stanno viaggiando per e dall’Italia per creare una rete di scambi attraverso queste cartoline disegnate. Chi aderisce al progetto è però obbligato a scrivere in giapponese e questo può essere un dettagli interessante per chi desidera esercitarci e praticare la lingua giapponese scritta.

E’ possibile aderire anche al singolo incontro.

durata: 1 incontro (si può aderire anche ad incontro iniziato)
minimo partecipanti: 1 persona
quota: €10,00 a volta incluso materiale e francobolli

LAILAC
Associazione Culturale Giapponese
Via G. Starnina, 68 -50143 Firenze
Tel +39 055 702870 - Fax +39 055 7130134
info@lailac.it - www.lailac.it

Immagine: ©Scatti unici di A. Poggi


Cibo Giappone, un nuovo punto informazioni sulla cucina giapponese

Da venerdi 14 febbraio 2014 a domenica 16 Marzo
Cibo Giappone - Japan Food info point
in Corso Garibaldi 117 - Milano

Apre il temporary shop CIBO GIAPPONE- JAPAN FOOD INFO POINT

Venerdì 14 febbraio a Milano sarà possibile avvicinarsi al cibo giapponese e alle sue proprietà presso il nuovo temporary shop "Cibo Giappone" di corso Garibaldi 117.

Questa straordinaria iniziativa promossa dal MAFF, Ministry of Agricolture, Forestry and Fisheries, offrirà agli appassionati l’opportunità di degustare alcuni alimenti e bevande giapponesi come sakè e té verde e di acquistare gli alimenti direttamente importati dal Giappone.

Ogni settimana arriveranno ingredienti nuovi, per testimoniare il valore di una cucina salutare e di lunga tradizione, che nel 2013 ha ottenuto un riconoscimento importante: la tradizione culinaria giapponese Washoku è stata inserita nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell’Unesco.

Tramite questo progetto, il MAFF si propone di offrire uno spunto di approfondimento della varietà e delle proprietà degli ingredienti di una cucina molto amata nel nostro Paese, diffondendo così la conoscenza dei cibi tradizionali e della cultura del cibo giapponese.

Pagina facebook :
https://www.facebook.com/CIBOGIAPPONE

Programma di “CIBO GIAPPONE - JAPAN FOOD INFO POINT”

・Presentazione di alimenti e della cultura alimentare giapponese.
Realizzazione di mostre che illustrino e trasmettano il concetto di cibo giapponese e diano l'opportunità di approfondirne la conoscenza.

・Vendita di prodotti alimentari giapponesi.
Vendita di prodotti alimentari "made in Japan" che arrivano direttamente dal Giappone.

・Degustazioni di cibi e bevande giapponesi.
Ogni giorno, ogni settimana, si potranno degustare cibi e bevande in vendita.

・Presentazione di vari tipi di sakè
Verranno esposti vari tipi di sakè, tra i più rappresentativi del Giappone, per presentarne al pubblico l'ampia varietà

CIBO GIAPPONE- JAPAN FOOD INFO POINT:

Corso Garibaldi 117 , Milano
Orari di apertura: da ven. 14 febbraio a dom. 16 marzo dalle ore 11:00 alle ore 19.30
Orario continuato/Entrata gratuita
Tel 02-653466


Storia del cinema giapponese: l'influenza americana

L’industria cinematografica giapponese è stata soggetta nel corso degli anni a notevoli trasformazioni, dovute principalmente al confronto con realtà esterne che sin dal principio hanno esercitato sul Paese del Sol Levante un grande fascino. L’interesse per le innovazioni straniere, tuttavia, ha da sempre dovuto scontrarsi con un atteggiamento ricorrente di fronte a qualsiasi tipo di novità: iniziale curiosità ed entusiasmo prima della piena assimilazione dell’idea e del conseguente adattamento ai propri modelli.

Tra le modernità importate, il cinema registrò da subito un’immediata popolarità. Il rapido processo di divulgazione della “settima arte” fu così attuato dalle prime case di produzione, che diedero un contributo essenziale alla nascita del sistema industriale cinematografico, nell’intento di ottenere una repentina espansione all’estero, attraverso l’importazione di nuovi macchinari provenienti dalla Francia.

Il successo riscosso dall’apertura del nuovo circuito di sale Fukuhodo di Tōkyō nel 1909 confermò i buoni propositi nel redditizio settore della produzione: la Fukuhodo fu tre anni dopo accorpata alle altre case in un grande trust plasmato sulla Motion Picture Patent Company americana, la Nikkatsu Corporation.

Dopo la costruzione di un nuovo studio nelle vicinanze di Asakusa, la prima major giapponese si specializzò nella realizzazione di drammi dello shinpa (la “nuova scuola”), arrivando già nel 1914 a produrre 14 film al mese e a possedere nel 1921 più della metà delle 600 sale cinematografiche dell’intero paese. Nel frattempo, con lo scoppio della prima guerra mondiale, gli Stati Uniti iniziarono a estendere il proprio dominio su Francia e Italia, i due paesi esportatori più importanti fino a quel momento.

L’egemonia del cinema americano nel primo dopoguerra e conseguentemente per l’intero decennio successivo fu testimoniata in particolar modo dalla nascita dello "studio system", un efficiente apparato industriale che prevedeva la fusione delle piccole compagnie in aziende maggiori a concentrazione verticale, capaci dunque di controllare produzione, distribuzione e proiezione delle pellicole, tramite l’acquisto o la costruzione delle sale.

Altre novità consistevano nella specializzazione dei ruoli attraverso l’introduzione di una nuova figura accanto a quella del regista, il producer, e nella nascita dello "star system": l’attore principale, spesso legato alla rispettiva casa da contratti a tempo indefinito, rappresentava dunque il mezzo fisico attraverso cui pubblicizzare i film, nonché il cardine di questo nuovo sistema produttivo che avrebbe funto poi da modello per lo sviluppo dell’industria cinematografica giapponese.

All’inizio degli anni Venti, il contributo più rilevante verso una nuova fase di radicale rinnovamento e prosperità provenne dall’intervento di Kido Shirō, direttore dei nuovi studi di Kamata della casa Shōchiku, che incrementò la produzione di opere gendaigeki: queste consistevano in drammi di ambientazione contemporanea, in forte contrapposizione con i film in costume denominati jidaigeki, ai quali era stato prevalentemente rivolto l’interesse del pubblico fino a quel momento.

In particolare, a favorire la proliferazione di opere jidaigeki fu l’imprescindibile influenza del teatro tradizionale sul cinema degli albori. Le prime produzioni cinematografiche, infatti, consistevano in rappresentazioni di geisha danzanti, attori famosi di kabuki e melodrammi popolari shinpa: questa forma teatrale ebbe origine in seguito alla restaurazione Meiji per l’impossibilità del kabuki di presentare commedie d’ambientazione contemporanea. Pur avendo esordito come teatro rivoluzionario e di propaganda della politica liberale e antifeudale, mantenne figure tradizionali come l’oyama (l’attore che interpretava i ruoli femminili, anche denominato onnagata).

La forte influenza del teatro si era manifestata inoltre nella necessità di trovare un personaggio che riuscisse a dare una spiegazione anticipatoria della rappresentazione, a fornire la voce ai vari personaggi, tradurre e commentare le scene in lingua straniera dei film importati e descrivere le tecniche cinematografiche utilizzate durante la proiezione. Questi compiti erano stati affidati al benshi, ruolo svolto principalmente da uomini che si sarebbe poi rivelato decisivo nello sviluppo del cinema giapponese.

Il potere incantatore dei benshi si sposava alla perfezione con le esigenze del pubblico e costituiva uno scoglio notevole per chi tentasse di scardinarlo o, addirittura, proporre nuove tecniche di ripresa; nonostante ciò, verso la fine degli anni Dieci era stato introdotto in Giappone il flashback, in seguito agli esperimenti tecnici di D. W. Griffith. Quest’ultimo aveva svolto un ruolo decisivo nell’applicazione all’interno del cinema americano del director system, che prevedeva la centralità nella figura del regista, e nell’elaborazione dell’innovativo montaggio alternato.

Il Paese, dunque, non era ancora preparato a un intero sconvolgimento del sistema tradizionale: il maggiore ostacolo al processo di “americanizzazione” era ancora rappresentato dalla presenza dei benshi, la cui popolarità aveva raggiunto il picco massimo tra la fine del primo conflitto mondiale e la metà degli anni Venti.

Lorenzo Leva

 

Lorenzo Leva nasce a Fermo nel 1990 ed è laureato in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia (Università di Bologna). Ha approfondito le sue conoscenze riguardanti l'economia, la cultura e la società giapponese durante un periodo di sei mesi presso la Université Paris Diderot-Paris VII di Parigi, con un Master in Asian Studies presso l'Università di Lund e un'esperienza di fieldwork presso la Waseda University a Tokyo.
Coltiva da anni una forte passione per il cinema orientale e giapponese in particolare, di cui ha analizzato l’evoluzione e le caratteristiche.

Contatti:
lorenzo.leva@gmail.com


Setsubun

In Giappone oggi si festeggia il Setsubun per eccellenza, il Risshun, giorno precedente al passaggio dall'inverno alla primavera. E quale modo migliore del mamemaki per celebrare il cambio di stagione?

Benchè non sia riconosciuta come una festa nazionale ufficiale, il 3 Febbraio è una data simbolicamente importante, che segna l'inizio del nuovo anno secondo il calendario lunare, seguito anticamente in Giappone. Proprio per questo si eseguono alcuni riti propiziatori per allontanare la sfortuna e il rischio di malattie, come il lancio dei fagioli della fortuna.

Al grido di Oni wa soto! Fuku wa uchi!, infatti, si scatena il mamemaki, un rito che si propone di allontanare gli spiriti maligni ( Oni wa Soto) tramite il lancio di fagioli, lasciando così libero accesso alla buona sorte (Fuku wa uchi). La tradizione si ripropone nei templi e nei santuari, ma anche nelle case, dove i fuku mame vengono lanciati fuori dalla porta o, in alternativa, contro un membro della famiglia, che interpreta il ruolo di demone nascosto dietro la tradizionale maschera.

Nei templi e nei santuari i festeggiamenti assumono dimensioni imponenti, con lancio di piccoli dolci o regali alla folla in festa, accorsa anche per assistere ai tornei di sumo o per incontrare personalità note invitate per la celebrazione.

Non è l'unica tradizione adottata per festeggiare: sempre per garantirsi una salute di ferro, tutti mangiano un numero di fagioli pari alla propria età, più uno per il nuovo anno. Questo rituale, originario del Kansai, si è presto diffuso all'intera nazione.

Un po' meno praticata è invece la tradizione di mangiare in silenzio un ehomaki tutto intero, guardando nella direzione dettata dallo zodiaco cinese di quell'anno, ovvero la direzione da cui arriva la fortuna.


I segreti dell'arte giapponese

I segreti dell'arte giapponese: intervista a Giuseppe Piva
Intervista a cura di MM One Group.

Giuseppe Piva Arte Giapponese è una delle più prestigiose gallerie di oggetti di valore dell'antiquariato nipponico allestite in Italia. Le opere esposte sono il frutto di un accurato lavoro di ricerca e selezione, riscontrabile nello stato di conservazione e nel grado di rarità della maggior parte dei manufatti.
Fra i pezzi più interessanti della Galleria un ampio assortimento di armature da samurai complete di kabuto (elmi) e di menpô (maschere), nonchè di accessori legati alle attività marziali come i foderi per armi in asta (Yarisaia) realizzati in legno, lacca e crine, alcune Nihonto (spade e katana del XVI secolo) e dodici Yanone, punte di freccia di varie forme e dimensioni risalenti al periodo Edo (1615-1867).
Oltre agli articoli a carattere militare, la Galleria dispone anche di numerosi Netsuke e le opere esposte comprendono diversi esempi di arte giapponese: dipinti ad inchiostro sumi su seta o su carta accompagnati da poesie e sigilli, stampe erotiche o decorative, una tromba da Yamabushi (monaco asceta) ricavata da una conchiglia di 45 cm, sculture in legno raffiguranti le divinità del buddismo esoterico ed appartenenti a diverse epoche, dal XIV al XVIII secolo, e una selezione di paraventi e kimono. Abbiamo intervistato Giuseppe Piva, il direttore dell'omonima Galleria.

Domanda: Signor Piva, quando nasce la sua passione per l'antiquariato e per l'arte giapponese?

Risposta: È una passione nata fin da bambino e che mi ha sempre accompagnato.

D: Qual è il profilo del vostro cliente tipo?

R: Il nostro cliente medio è un collezionista, e sicuramente stiamo parlando di un collezionista molto appassionato: oltre alla competenza in materia, deve essere attratto da un tipo di estetica sostanzialmente differente da quella tradizionale europea o americana.

D: Qual è l'oggetto che desidererebbe avere nella sua Galleria?

R: Non si tratta di una particolare tipologia di articolo. La Galleria, come ha potuto vedere dal nostro sito, ha un vasto assortimento di oggetti di diverse epoche e tipologie. Il discorso potrebbe semmai riguardare quel livello di qualità che si può identificare nelle opere dei migliori musei del mondo; potrei farle l'esempio di un paravento del Cinquecento o di altri oggetti rari...

D: Che criteri utilizza per selezionare e verificare le caratteristiche delle opere che espone?

R:La selezione deve essere rigorosa: di base l'attenzione va posta sull'autenticità dell'opera o del manufatto, oltre che ovviamente sul suo stato di conservazione (un aspetto fondamentale) e sulla qualità complessiva che possiede. E poi la scelta è guidata anche dal gusto e dalla passione per un determinato stile. Personalmente, quando si tratta di valutare ed acquistare un'opera, cerco di ragionare come un collezionista.
La preparazione e l'esperienza vanno sempre arricchite, poter visitare di frequente il Giappone aiuta, e un utile punto di riferimento sono sicuramente i più importanti musei d'arte giapponese (anche quelli americani ed europei) e le mostre internazionali.

D: Come si arriva ad acquisire una scultura del periodo Nanbokucho (1336-1392, n.d.r.) o un'armatura da samurai completa di elmo ed accessori? Immagino non sia semplice.

R: Come per ogni oggetto d'arte di livello è indispensabile avere un canale di conoscenze consolidate. Nel mondo giapponese questo aspetto è ancora più importante che in quello europeo. Nella loro cultura conta molto il fatto di essere presentati da persone stimate ed affidabili: i nostri referenti vogliono sapere chi hanno di fronte, preferiscono conoscere i professionisti con cui stanno avendo una transazione e capire se sono in grado di riconoscere il valore e la qualità di un oggetto d'arte. In un certo senso sono interessati ad instaurare un rapporto quasi di natura personale, e in genere anche con le opere hanno un legame che va al di là del puro valore economico.

D: Parliamo dei Netsuke. Che origine hanno? Hanno semplicemente una funzione decorativa?

R: I Netsuke hanno in origine una funzione pratica: nel XVIII secolo questi oggetti di piccole dimensioni, generalmente realizzati in avorio e legno, venivano usati come contrappeso per appendere borsette o piccole scatole alla cintola del kimono, che come sappiamo è un indumento privo di tasche. Gli esemplari di questo periodo mostrano spesso lievi segni dell'usura derivante dal fatto di essere stati maneggiati.
Nell'epoca d'oro del 1800, i Netsuke avevano invece già acquisito lo staus di un oggetto da collezione e nei pezzi più belli si riconoscono particolari scultorei sempre più dettagliati.

D: Una domanda profana. Indicativamente quanto può arrivare a costare un'oggetto di antiquariato giapponese, come ad esempio un'armatura completa (e ovviamente originale)?

R: In realtà il valore non dipende dalla tipologia dell'articolo. Nemmeno l'epoca di appartenenza è così determinante. I fattori decisivi sono sostanzialmente la qualità dell'opera e il valore artistico del suo autore. Antico non significa per forza "di valore" e, come per i contemporanei, anche gli artisti di un tempo avevano diversi livelli di qualità. Detto questo, il range può essere larghissimo: il prezzo di un "semplice" Netsuke può andare da circa 300 euro agli oltre 100 mila.

Per maggiori informazioni: sito Galleria Piva