Tomoko Takeda
Tomoko Takeda è un'artista giapponese di "letteratura in 3D".
Che cosa significa? Semplice, la letteratura non più scritta e stampata su carta, ma scolpita.
I romanzi diventano arte perché lei è in grado di trasformarli in oggetti da ammirare.
Sono intagliati nella carta, modellati attraverso gli strati sovrapposti delle pagine del libro.
L'artista cerca, con grande successo, di estrarre dall'opera la sintesi tridimensionale e tangibile del contenuto narrativo.
Come scrive lei stessa sul suo profilo Behance, “i libri di questi capolavori non sono lì per la lettura, ma per essere guardati ed ammirati”.
Lei fa libri di cui si possa godere solo guardandoli.
Alcune opere si riconoscono subito, altre sono decisamente più difficili da individuare, se non si è pratici di letteratura giapponese.
L'opera in fotografia è "Io sono un gatto" di Soseki Natsume.
Novità nella nostra Associazione
L'Associazione Culturale Giappone in Italia desidera ringraziare le tantissime persone che hanno visitato la mostra dell'artista giapponese Kunihiko Murata presso lo Swiss Corner di Milano. Da oggi la nostra Associazione potrà contare su numerosi nuovi soci sostenitori che attraverso il loro generoso contributo ci aiuteranno nella nostra attività di promozione della cultura giapponese in Italia.
Siamo inoltre lieti di annunciare che il Signor Kunihiko Murata ha accettato con piacere di diventare nostro Socio Onorario. Questa decisione nasce dal reciproco desiderio di consolidare una duratura collaborazione tesa a promuovere sempre di più gli scambi culturali tra Giappone e Italia e a dare un importante supporto ai giovani artisti che desiderano affermarsi al di fuori del proprio paese di origine.
Kunihiko Murata - Works 2014 in Milano - donazione all'Associazione
Siamo onorati che il Signor Murata abbia scelto la nostra Associazione per appoggiare l’evento e per collaborare con lui.
Durante la mostra, a ingresso gratuito, i visitatori potranno associarsi e, tramite una donazione, acquistare le opere esposte. Il ricavato sarà a favore dell’Associazione Culturale Giappone in Italia, e verrà impiegato per nuove iniziative di promozione della conoscenza della cultura del Sol Levante nel nostro Paese. «È per me una grande soddisfazione – afferma Murata - notare il profondo interesse che Italia e Giappone nutrono nello scambio delle reciproche culture, e mi auguro che questa donazione possa contribuire a incentivare il legame tra i nostri due grandi Paesi».
"Amici" di Yumoto Kazumi
Yumoto Kazumi
AMICI
Inizialmente, si potrebbe pensare che Amici sia la storia dei tre ragazzi protagonisti. Ma, come il racconto si sviluppa, un quarto amico emerge.Lui è un uomo anziano, spiato di continuo dai ragazzi: Kiyama, lo spilungone; Kawabe, il pazzo occhialuto; Yamashita, il grassone. I tre vogliono imparare a conoscere la morte: cosa significa, come appare, ciò che accade. Il vecchio sembra un buon candidato. Mentre osservano l’uomo, cominciano a interessarsi alla sua vita. Quando il vecchio si accorge di essere spiato, si infuria e forse ha un po’ di paura, in un primo momento, ma sceglie di diventare amico dei tre giovani per trascorrere del tempo insieme dopo l’orario di scuola. Il vecchio è un esempio per i ragazzi, ma non nel modo in cui lo immaginavano in origine. Lui diventa un amico, un amico adulto che insegna loro la vita semplicemente stando insieme e continuando a essere se stesso. Kiyama, Kawabe e Yamashita sono una sorta di disadattati, vittime di bullismo da parte di alcuni compagni di scuola. Diventano così un trio inseparabile, sempre pronti a lottare per crescere.
Anche se il romanzo è ambientato in Giappone, riguarda i problemi degli adolescenti di tutto il mondo. Tutti i ragazzi condividono la preoccupazione di non essere vittime di episodi di bullismo. La maggior parte di loro è curiosa tanto della vita quanto della morte, indipendentemente dall’eventuale condivisione dei sentimenti con un adulto.
Amici racconta una storia che riesce a trasmettere una prospettiva culturale e un tema universale. Il tema della vita e della morte è molto delicato, ma Yumoto Kazumi è riuscita ugualmente a creare un libro assai godibile che al contempo aiuta i ragazzi a riflettere. In definitiva, è una storia per conoscere se stessi e gli altri e il potere taumaturgico dell’amicizia.
«Una storia di eloquente iniziazione che prima tocca e poi trafigge il cuore». Publishers Weekly
Yumoto Kazumi (1959) è nata a Tokyo e si è laureata al Tokyo College of Music (Tōkyō ongaku daigaku). Ha iniziato la sua carriera realizzando script radiofonici e televisivi, poi ha esordito come autrice di libri per ragazzi nel 1992 con il romanzo Natsu no niwa (Amici). Il lavoro ha vinto il JAWC New Talent Award e il Japan Juvenile Writers Association Prize, è stato adattato per il cinema da Sōmai Shinji nel 1996, così come tradotto e pubblicato in oltre una dozzina di paesi in tutto il mondo; l’edizione inglese ha ottenuto il Boston Globe - Horn Book Award e il Mildred L. Batchelder Award. Il suo Nishibi no machi è diventato uno dei finalisti del premio Akutagawa nel 2002, e Kishibe no tabi (in uscita nel 2015 una versione cinematografica di Kurosawa Kiyoshi) è stato finalista al premio Oda Sakunosuke nel 2010.
Traduzione dal giapponese di Daniela Guarino
collana Biblioteca dei ragazzi
Asiasphere (diretta da Gianluca Coci)
IN LIBRERIA E SUI WEB-STORE
Mitsuyo Kakuta, "La cicala dell'ottavo giorno"
28 ottobre 2014 ore 18.30
Istituto Giapponese di Cultura
Via Antonio Gramsci, 74, 00197 Roma
MITSUYO KAKUTA
dialoga con Gianluca Coci
Mitsuyo Kakuta è una scrittrice molto attiva e attenta alle tematiche psicologiche. Autrice di Taigan no kanojo (Woman on the Other Shore), vincitore del Naoki Prize, Kami no tsuki (Paper Moon), Premio Shibata Renzaburo (XXV edizione), e di altri romanzi di successo, ha vinto il Chuokoron Literary Prize con Yokame no semi (La cicala dell’ottavo giorno), in uscita a ottobre per la casa editrice Neri Pozza.
Gianluca Coci è docente di Lingua e Letteratura giapponese presso l’Università degli Studi di Torino e traduttore dell’ultimo romanzo di Mitsuyo Kakuta, La cicala dell’ottavo giorno. In collaborazione con Neri Pozza.
Per ulteriori informazioni: Istituto Giapponese di Cultura in Roma
Hishitoji Iyozane Gusoku. Armatura completa
Questa armatura è stata sottoposta alla Nihon Katchu Bugu Kenkyu Hozan Kai (Associazione per l’Armatura Giapponese) e ha ottenuto il grado formale di Koshu Tokubetsu Kicho (opera particolarmente speciale).
Il kabuto è un fantastico esemplare di ko-boshi suji bachi del primo periodo Edo, composto da 62 placche di ferro sovrapposte e rivettate, con un totale di ben 1860 rivetti ordinati per dimensione crescente. La qualità della manifattura e la presenza di 31 rivetti per fila suggeriscono una attribuzione alla scuola Haruta.
Lo shikoro (protezione del collo) laccato in due colori è di tipo hineno a cinque piastre solide legate in kebiki odoshi, il tipo di allacciatura più antica e resistente. I fukigaeshi (alette laterali) sono prominenti, rivestiti in pelle laccata, e portano il kamon della famiglia Naito. Il maedate è originale, composto di quattro parti, di tipo kawagata-dai con il sole al centro.
Il dō (corazza) è di tipo hishitoj iyozane ni-mai dō costruito in piastre di tipo yozane tenute assieme con una legatura successivamente laccata così da risultare invisibile; i nodi quadrati (hishitoji) sono laccati con una lacca differente e i bordi sono dorati. Sono inoltre presenti due gyogo per proteggere le allacciature - una caratteristica delle armature più pregiate - e un kusazuri (paragrembo) rimovibile laccato a due colori come il resto dell’armatura. Le spalle sono protette da sode laccati alla stessa maniera. Per le braccia, i kote sono di tipo oda, con protezione a maglia e piastre sbalzate, cucite su uno splendido broccato di seta di alta qualità, presente d’altronde su tutta l’armatura. Le gambe sono protette da haidate con 36 piastre laccate per ogni coscia, e da tsutsu suneate (parastinchi) a 6 piastre, foderati in tessuto rinforzato con lavorazione kikko (a guscio di tartaruga) per la protezione del ginocchio.
Tutta l’armatura è in ferro, ad eccezione del kusazuri e dello haidate che sono realizzati in pelle nerikawa.
Le mani nello Zen Shiatsu
I bambini di pochi mesi si perdono nell’incanto dell’osservazione delle loro mani: le chiudono, le aprono, le girano. Successivamente le useranno e nell’ utilizzo si attivèrà lo sviluppo del corpo, dello spirito e della psiche. Nelle mani esiste un’impronta genetica, il nostro temperamento, ma comunichiamo col nostro tocco anche ciò che siamo diventati in base alle esperienze della vita.
Con le mani realizziamo quello che parte dalla nostra immaginazione dalla nostra progettualità, è la creatività che prende forma nelle mille azioni che possiamo intraprendere attraverso la variegata gamma di movimenti che ci è dato di fare.
In antiche tradizioni orientali la posizione delle mani ha significato energetico (mudra) o anche esoterico. Per chi pratica shiatsu è importante la capacità di percepire e l’espressione del tocco. Ogni operatore per coltivare ascolto e tocco dovrà avere un’educazione, un allenamento, una ripetizione di movimenti. All’inizio pressione dopo pressione si conosce il corpo, e lo si conoscerà senza tavole anatomiche, ma con le dita i polpastrelli, il palmo. Si sviluppa la percezione, non il nozionismo dei testi. Attraverso la manualità si comprende la struttura del corpo. Un buon operatore lavora sulla superficie del corpo mettendo in moto dei meccanismi che avranno un eco all’interno. Non si tratta solo di tecnica o di meccanica. Sviluppando la percezione potrà dare risposte con le mani in base alla singolarità della persona, anche se sta trattando un ricevente con lo stesso sintomo lamentato dal ricevente precedente. Non ci sarà l’applicazione di una tecnica univoca ma una risposta specifica a ciò che sente con le mani, rispettando l’unicità della persona. E’ con questa educazione al tocco che ogni pressione, durante il trattamento, raggiungerà stati profondi dell’essere; in quella profondità inizierà il superamento del malessere ed il cambiamento innestato darà movimenti e segnali di ripresa e benessere totale.
Maria Montessori diceva che “ I bambini prima imparano con la mano poi con il cervello”. Se l’operatore saprà mantenere quello spirito da bimbo, quella sorpresa, quello stupore, quella stessa meraviglia del bambino che si guarda le mani, non verrà smarrito lo spirito iniziale e anche dopo molti anni le sue mani continueranno a comunicare purezza.
Joshin Galani
KAILA Centro Studi Zen Shiatsu
Scene dal Soga monogatari
Scuola Tosa
Scene dal Soga monogatari
Periodo Edo, XVIII secolo
Paravento a sei ante
Inchiostro, colore e gofun, su fondo d'oro
370 x 168 cm
Il paravento rappresenta scene tratte dal racconto dei fratelli Soga. Questa storia narra di come nel 1176 i due fratelli vendicarono la morte del padre uccidendo l’assassino Suketune durante un’escursione di caccia. Pur riuscendo nella loro missione Juro, il fratello maggiore, rimase ucciso e Goro, il minore, fu catturato e portato alla corte dello shogun e in seguito giustiziato.
Il gran numero di personaggi rende la composizione estremamente dinamica: molte scene vengono mostrate allo stesso tempo, dando così all'opera una notevole vitalità. I vari passaggi del racconto sono separati da coltri di nuvole d'oro: la parte inferiore del primo e del secondo pannello (partendo da destra) mostra una festa dopo la caccia, mentre la parte superiore del quarto raffigura Oiso, l'amante di Goro, che indica Suketune addormentato ai due fratelli. Nella parte sinistra sono descritte scene di combattimento e, in alto, lo Shogun Yorimoto con i suoi consiglieri mentre giudica Goro, che è stato catturato; lì accanto un ragazzino con le braccia alzate inveisce contro Goro: è il figlio di Suketune.
Per ulteriori informazioni: Giuseppe Piva Arte Giapponese
Obon, la festa delle lanterne
L’estate giapponese è caratterizzata da una delle festività più importanti dell’anno: l’Obon (お盆), che si svolge dal 13 al 16 agosto. Si tratta di una serie di celebrazioni del culto buddhista in onore dei defunti, le cui anime per quattro giorni all'anno ritornano nelle proprie dimore terrene per riunirsi ai propri cari. In occidente è meglio conosciuto come la “Festa delle Lanterne”.
L’Obon è una mescolanza di pratiche cinesi, introdotte con il buddhismo intorno al VI secolo e di riti commemorativi autoctoni praticati in epoche precedenti, che hanno dato origine all’attuale ricorrenza. L’etimologia della parola Obon deriva dal sanscrito Urabon, che è poi stato abbreviato in “bon” accompagnato dal prefisso O- di cortesia.
Il programma previsto per l’Obon è davvero ricco e contribuisce a renderlo un momento tanto atteso per tutte le famiglie giapponesi che possono così ricongiungersi con i propri antenati. Tradizione vuole che il primo di agosto le anime si mettano in viaggio per raggiungere le loro dimore terrene. I giorni 13 e 14 agosto in preparazione all’arrivo dei defunti le case vengono pulite per bene e decorate con piante, frutta e incensi sacri. In seguito vengono accesi fuochi, fiaccole e candele lungo le strade e i sentieri. Queste luci si chiamano Mukaebi (迎え火、Fuochi di benvenuto) e costituiscono la guida per aiutare le anime dei defunti a trovare la strada di casa. Il giorno 15, il giorno dell'Obon vero e proprio, le famiglie si recano assieme al cimitero recitando sutra buddhisti per proteggere gli antenati di famiglia. Successivamente si riuniscono tutti a tavola offrendo cibo e bevande anche per i defunti, ad esempio riso o verdure tagliate contenuti in foglie di loto e appoggiate sugli altari domestici. Caratteristica di questa giornata è anche la danza tradizionale, il Bon Odori 盆踊り, ballata intorno ad un fuoco e accompagnata dal ritmo dei taiko (太鼓、tamburi tradizionali giapponesi), il tutto in una cornice di hanabi (花火、fuochi d'artificio). Il giorno 16 è il giorno dei commiati: vengono riaccesi i fuochi e le lanterne, il cui nome cambia in Okuribi (送り火、Fuochi di accompagnamento), per condurre le anime nell'aldilà. Inoltre, per facilitare il ritorno, gli Okuribi oltre che su strade e sentieri, vengono messi anche lungo i corsi d’acqua, il che genera uno scenario ancora più suggestivo. Questo rito ulteriore si chiama Toronagashi (灯篭流,Flusso delle lanterne).
È interessante riflettere su come la concezione orientale per quanto riguarda la commemorazione dei defunti sia così diversa da quella occidentale. Commemorare i propri cari in Giappone è motivo di festa, di comunione, di convivialità. Il ricordo non è certo permeato da un senso di abbandono e tristezza per coloro che non ci sono più ma, il tutto è vissuto con estrema serenità. È sicuramente una filosofia di pensiero incompatibile con le nostre tradizioni occidentali ben radicate ma costituisce comunque uno spunto per un confronto costruttivo fra culture così diverse.
Alice Santinello
Elmo SUJI-BACHI KABUTO
SUJI-BACHI KABUTO
Periodo Momoyama (1575 - 1615)
di Soshu-Ju Myōchin Jo.
Raro elmo a 32 piastre, ognuna con decori in nunome-zogan (ageminatura) in argento e ottone con motivi di tipo choji-karakusa raffiguranti chiodi di garofano e piante di edera stilizzate.
Le quattro piastre cardinali sono bordate con so-fukurin mentre tutte le piastre riportano un higaki dorato alla base. La piastra frontale è più larga, con uno shinodare centrale. Il tehen-no-kanamono è piatto, come in uso nel periodo Momoyama.
Il kuwagata-dai è più antico e risale al periodo Muromachi.
L’uso del carattere jo (上) nella firma è una caratteristica inusuale che allude probabilmente alla tradizione degli armaioli di Haruta del XIII secolo; i primi elmi in cui appare una firma risalgono difatti a questo periodo e riportavano solo questo kanji.