Kurosawa Kiyoshi dirigerà il suo primo film francese

Dopo la gavetta fatta durante gli anni ottanta nei pink eiga, i film softcore giapponesi, e rivelatosi al pubblico giapponese ed internazionale a cavallo fra i due millenni attraverso il genere horror, Kurosawa Kiyoshi è diventato in questo ultimo decennio un abituè del circuito festivaliero mondiale. Nel 2008 il suo Tokyo Sonata compariva in molte best 10 list di critici e riviste specializzate ed è dello scorso anno la sua partecipazione al festival del cinema di Roma dove vinse il premio come miglior regia con Seventh Code. Il regista giapponese ha rivelato alla rivista Variety che il suo prossimo progetto sarà un lungometraggio prodotto e girato in Francia e fra i protagonisti ci sarà anche Tahar Rahim. Il motivo di questa scelta esterna è molto semplice ma allo stesso tempo deprimente per l’industria cinematografica nipponica:

Si tratta di un film basato su un’idea originale e in Giappone è praticamente impossibile ottenere i finanziamenti per un lavoro che non sia un adattamento di un franchise o di un manga e che abbia un budget di un certo spessore.

Le parole di Kurosawa sono di una verità disarmante, ma la sua è una visione lucida di chi si intende di cinema. Negli anni novanta fu uno degli autori, assieme a Miike Takashi, che usò il V-cinema, i film realizzati direttamente per il mercato delle videocassette, per rivelarsi al pubblico. Quasi sempre nell’arcipelago le grandi produzioni sono basate su manga, serie animate, libri o, sempre di più recentemente, su serie televisive di successo. D’altro lato il settore indipendente si destreggia con micro budget, molta volontà di far del bene, ma spesso pochezza nelle idee, soprattutto realizzative e di scrittura, dettate anche da fondi ridicolmente bassi. Ci sono delle esaltanti eccezioni naturalmente, il talento riesce a venir fuori anche con mezzi scarsissimi, ma ciò che manca nell’attuale panorama cinematografico attuale è un cinema che non sia d’intrattenimento sostenuto da un budget di certo livello.

Fonte: ScreenWEEK


Save the Japanese Modern Architecture Project

Bottega Veneta lancia un’iniziativa volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’architettura modernista in Giappone. Come? Celebrandone il patrimonio.

Partner del brand è Casa BRUTUS, la più prestigiosa rivista giapponese di architettura e interior design.

L’iniziativa è stata ideata poiché gran parte degli edifici del dopoguerra rischiano di essere demoliti o modificati. E ora che il paese si prepara per le Olimpiadi del 2020, molti dei più importanti gioielli modernisti del paese, come il famoso Hotel Okura, sono in pericolo.

Il Direttore Creativo di Bottega Veneta Tomas Maier, grande appassionato di architettura, ha voluto fare luce sulla questione e supportare la causa.

Dopo il simposio che si è tenuto presso il Kanazawa 21st Century Museum of Contemporary Art patrocinato da Bottega Veneta, durante il quale un panel di esperti ha discusso dell’architettura modernista giapponese in pericolo, il brand collaborerà con Casa BRUTUS. E il numero di gennaio 2015 del magazine sarà dedicato al patrimonio architettonico modernista del Giappone, con il contributo speciale di Maier.

"Essendo da tempo un ammiratore del modernismo giapponese, mi rattrista profondamente il pensiero di poter perdere entro breve questi fantastici edifici”, commenta Maier. "Speriamo che Bottega Veneta possa contribuire a promuovere la consapevolezza del problema, perché crediamo che il design di qualità sia senza tempo. Nell’ottica del patrimonio culturale del futuro, sarebbe una grande perdita per le nuove generazioni non poter ammirare in prima persona la bellezza di questi edifici iconici”.

Fonte: Vogue


Manga: il colosso digitale della letteratura giapponese

Secondo un rapporto della Yano Research il brand dei manga in formato digitale vale all’incirca 65 miliardi di Yen (€ 472,5 milioni) l’anno in Giappone. Questo dato è stato calcolato durante l’anno fiscale giapponese del 2013 (aprile 2013-marzo 2014). Nel paese del “sol levante” equivale a circa l’80% dei libri sul mercato (il totale è di circa 618 milioni di Euro). Si stima che sia cresciuto del 19,7% in quell’anno e crescerà del 23,5% in quello seguente.

Questo dato indica come è aumentata la portata del formato digitale sia in Giappone sia nel mondo intero. Inoltre, per il 2017, si stima una crescita produttiva pari a 1,4 miliardi di Euro nel settore dei libri digitali, soprattutto grazie alla produzione di fumetti e graphic novel.

Fonte: C4 Comic


Sano Chōkan - Tazza da tè in lacca

Sano Chōkan (1791-1863)
Struttura di Seiseian
Tazza da tè in lacca, in stile Raku
XIX secolo
Altezza: 7 cm

Questo chawan, in stile Raku, è fatto quasi esclusivamente in lacca, modellata affinché simuli la porcellana; l’effetto è così realistico, che si rimane sorpresi nel constatare la leggerezza di questo oggetto. Non è chiaro se la struttura interna, realizzata da Seiseian sia in legno estremamente sottile o in cartapesta.
Sano Chōkan (1791-1863) laccatore nato a Kyōto, viaggiò molto durante la sua carriera, studiando e sperimentando diverse tecniche e stili.

Piva Arte Giapponese


Premio Isamu Noguchi

Il Noguchi Museum ha annunciato i vincitori della seconda edizione del Premio Isamu Noguchi che viene attribuito ad artisti che abbiano dimostrato spirito d’innovazione e sensibilità verso temi globali,  nell’ambito di uno scambio tra Giappone e America.
Jasper Morrison e Yoshio Taniguchi, designer il primo e architetto il secondo, ecco i nomi scelti che verranno premiati il 19 maggio 2015 nell’ambito di una cerimonia speciale, inserita in un anno ricco di celebrazioni per il trentesimo anniversario dalla fondazione del Noguchi Museum.

Il carattere e l’abilità. Le idee musicali del Metodo Suzuki.

«Il bambino ha un carattere semplice, si innamora di qualcosa anche in un solo istante, e la fa propria» – mi ha detto una volta Luca Taccardi, il mio maestro di violoncello, a distanza di anni da quando sono uscito dalla Scuola di Musica Suzuki di Milano. Mi ha sorpreso allora ricordarmi quei momenti in cui, da piccolo, suonavo con lui e i miei compagni e scoprire che in essi c’era sempre stato l’aiuto di un’idea, da cui è nato un metodo per insegnare la musica a dei ragazzi così giovani. Fu ideato dal maestro giapponese Shinichi Suzuki (鈴木 鎮一), nel corso degli invidiabili cent’anni in cui fu al mondo.
Nacque a Nagoya, nel 1898, cullato dalle tre corde dello shamisen, il liuto di origine cinese che la madre aveva imparato a suonare e il padre a costruire, prima di appassionarsi allo strumento che ricominciava a circolare dopo il divieto anticristiano dei Tokugawa: il violino! Nella fabbrica di liuteria del padre, il giovane Shinichi strinse amicizia con lo strumento prima con le mani che con l’orecchio, poi ascoltò il tocco di Mischa Elman da un vecchio grammofono e fu amore vero. Andò in Germania come allievo di un ottimo maestro, che a sua volta aveva studiato con Joachim, ma più che la musica, il viaggio nutrì la sua mente. Conobbe Einstein e molti altri intellettuali e artisti, che parlarono al suo animo soprattutto grazie ai principi filosofici e pedagogici che allora vivevano una dinamica diffusione in Europa. Tornato in Giappone, si dedicò perciò sia allo studio della musica che della cultura da cui si era appena separato – portandosi con sé colei che diverrà la compagna di una vita – e intanto lavorava alla fabbrica del padre, finché la guerra le impose di convertirsi alla costruzione di aeroplani, facendola così diventare obiettivo dei bombardamenti americani. La fabbrica venne distrutta e la moglie tedesca fu costretta ad espatriare per breve tempo. In quel periodo concepì gli ideali che promuoverà nella scuola di musica poi aperta a Matsumoto, dando vita al Suzuki Method o, come avrebbe detto lui, suzuki mesōdo (スズキ・メソード).
La prima convinzione di Suzuki, mutuata dallo studio delle teorie della Montessori, era che l’uomo fosse figlio del proprio ambiente, il che si sposava bene con la sensibilità giapponese, esaltatrice del contesto più che delle verità assolute. Di conseguenza, conviene che i ragazzi si avvicinino alla musica sin da molto giovani e che all’inizio si istruiscano anche i genitori, di modo da creare un ambiente musicale familiare. All’interno della scuola poi, il Talent Education Institute, si arriva ad un amalgama culturale più ampia, che include arti come la calligrafia e la poesia haiku, vere e proprie nutrici del talento. Suzuki, infatti, era scettico nei confronti del genio innato. Uno dei suoi migliori biografi, Evelyn Hermann, scriverà: «Suzuki does not believe in genius». Il secondo principio è l’imitazione come via d’apprendimento, così come fu pensata già a suo tempo da Haydn. Suzuki non dimentica però ciò che diceva sempre la Montessori sulla libertà come condizione in cui i bambini imparano le prime nozioni. Imitare un modello, allora – come per noi violoncellisti poteva essere, ai suoi occhi, Pau Casals – passa attraverso la sincerità con se stessi. Egli non scordò mai, infatti, quella frase letta in un romanzo di Tolstòj, secondo cui «ingannare se stessi è peggio che ingannare gli altri». Imitare non è copiare, dunque, ma avviene così come per il linguaggio: lo si impara ripetendo gli altri, poi ce ne si serve a piacimento. Qui, per Suzuki, fu preziosa la lezione di Piaget secondo cui il linguaggio media dall’autismo iniziale alla ricerca di socialità. Nel linguaggio materno, il maestro giapponese comincia allora a vedere la chiave di tutto lo sviluppo ontogenetico, equiparandolo alla musica, come efficace modalità di comunicazione. Perciò è utile apprenderla sin dall’infanzia. «Music is a language that goes beyond speech and letters» (Kendall, 1966), era solito dire Suzuki, aggiungendo che la sua forma più alta è allora l’orchestra, in cui portava anche i giovanissimi. Se ben gestita, è in essa che si confronteranno, evolvendosi, i rapporti umani nel segno dell’amore. I suoi amici e colleghi ricordano sempre, ad esempio, l’episodio in cui Suzuki – che aveva svolto profonde pratiche Zen sugli stati di salute e malattia – riuscì a guarire il grande violinista Leonid Kogan in tempo per la sua esibizione. Un vero atto d’amore.
Suzuki era così, riusciva a far combaciare il carattere europeo, da cui la musica ha avuto origine, con l’abilità orientale, coltivata con la tipica cura per la disciplina. Ma si potrebbe anche parlare del carattere giapponese, così marcato anche in lui, unito a quella tecnica occidentale che ha portato alle vette della musica moderna e contemporanea. Suzuki riesce quindi a prestare questo suo carattere alla rivisitazione della nostra musica, rivalutando brani ed autori considerati minori – come il Concerto No. 5 di F. Seitz o la Sonata in C Major di Breval – e allo stesso tempo venir considerato un artista pienamente giapponese, tanto da meritarsi il Ningen Kokuhō, il titolo di “Tesoro Nazionale Vivente” tributato solo a pochi maestri. Evidentemente, come amava ripetere, il carattere viene prima dell’abilità, cosa di cui è stato sempre convinto anche Luca, il mio maestro. In più, secondo lui, ci possono anche essere bambini più o meno dotati, ma la realtà è che, nel precoce amore per la musica, si può solo dire che «ci sono caratteri che amano semplicemente e ci sono caratteri che amano passando per strade più tortuose, ma alla fin fine, si ama a prescindere dal carattere che si possiede». Io ero uno di quelli tortuosi. A volte l’ho fatto disperare!
Ricordo però quei giorni d’estate trascorsi a Cuceglio, nella campagna piemontese, assieme ai miei compagni di musica, durante i ritiri di fine anno. Ridevo, mi distraevo, non accorgendomi neppure che, nel frattempo, il pomeriggio lo passavo attorno al mio piccolo violoncello che io, piccolo come lui, già impugnavo, circondato a mia volta dal bosco in cui i maestri ci portavano a provare. Avveniva lo stesso quando guardavo la partitura: non sapevo cosa volesse dire “leggere” le note, ma lo spartito mi suggeriva il da farsi, senza consapevolezza. E ora, quando riascolto l’inizio del Concerto in G minore per due violoncelli di Vivaldi, sento il primo violoncello dare il carattere, escogitando la melodia, mentre il secondo, che riesce subito ad imitarlo creando il duetto, imprimere l’abilità. Ringrazio per questo il mio maestro e il Metodo Suzuki.

Federico Filippo Fagotto


Scoperte lettere sconosciute di Tanizaki

Secondo quanto riportato dallo yomiuri shimbun japanese newspaper sarebbero state trovate 288 lettere sconosciute tra lo scrittore Tanizaki (una delle maggiori figure della letteratura giapponese moderna), sua moglie Matsuko e la sorella Shigeko (la quale sembra essere l'ispiratrice del personaggio principale del capolavoro "Sasameyuki").
All'inizio dell'era Showa (1926-1989) Tanizaki scrisse due lettere come promessa di matrimonio a Matsuko. Contengono frasi come "ti servirò con lealtà" e mostrano la forte ammirazione che provava per lei.
Le espressioni utilizzate nelle lettere offrono intuizioni della drammatica storia d'amore che lo scrittore stava avendo con Matsuko.
Le lettere recentemente trovate sono da ritenersi documenti storici di prima classe, sia in termini di quantità sia di qualità, sulla base delle quali l'essenza letteraria dell'autore può essere esplorata.
La corrispondenza è stata scambiata per 36 anni dal 1927, con 180 lettere scritte da Tanizaki, 95 da Matsuko e 13 da Shigeko.
Tanizaki conobbe Matsuko, all'epoca moglie di un ricco mercante di Osaka, il 2 Marzo 1927.
Nonostante anche Tanizaki fosse sposato e avesse un bambino, decise di divorziare dalla moglie nel 1930, dopo una serie di scandali che coinvolsero lo scrittore Haruo Sato.
Tanizaki sposò un'altra donna, Tomiko, anche se lui provava ancora dei sentimenti verso Matsuko. Divorziò anche dalla seconda moglie.
Matsuko scrisse allo scrittore, in una lettera datata 3 dicembre 1928: "Continuavo a vederti nei miei sogni fino al risveglio all'alba".
La prima delle lettere di recente scoperta scritta da Tanizaki fu scritta il 14 Agosto del 1932, più o meno durante la stesura di “Shunkinsho”, uno dei suoi romanzi più rappresentativi, che narra la relazione tra una donna cieca che ha imparato a suonare lo shamisen e il suo servo. Tanizaki rivela la sua adorazione per Matsuko nella sua lettera riferendosi a sé stesso come un servo, anche se il suo lavoro creativo era il riflesso del vero amore della sua vita.
Nel Dicembre dello stesso anno, scrisse il suo impegno di matrimonio a Matsuko, dicendo che si era separato da Tomiko con il suo consenso.
Nel Maggio del 1933, quando divorziò formalmente dalla seconda moglie, si impegnò a servire Matsuko come un servo fedele, senza dimenticare la sua grande benevolenza.
Lo scrittore si dedicò interamente a lei, scrivendo: " Ogni cosa che mi appartiene- la mia vita, il mio corpo, la mia famiglia, mio fratello e il mio reddito- vi appartiene".
All'età di 48 anni, Tanizaki sposò la trentunenne Matsuko in una cerimonia di matrimonio, e rimasero insieme per il resto della sua vita.
Il Professor Shunji Chiba della Waseda University, specializzato in letteratura giapponese moderna, ha detto: "Posso dire che il suo impegno per le sue storie d'amore, il quale va oltre ogni immaginazione, ha avuto un impatto sulle sue opere letterarie. Ora dovremmo rivisitare quelle opere. "

 

 


Anniversario Yukio Mishima (25/11/1970-25/11/2014)

Il 25 Novembre del 1970 Yukio Mishima occupò, insieme ad altro quattro persone, l'ufficio del generale Mashita dell'esercito di autodifesa e dal balcone, di fronte a un migliaio di uomini del reggimento di fanteria, oltre che a giornali e televisioni, tenne il suo ultimo discorso: l'esaltazione dello spirito del Giappone, identificato con l'Imperatore, e la condanna della costituzione del 1947 e del trattato di San Francisco, che hanno subordinato, secondo Mishima, alla democrazia e all'occidentalizzazione il sentimento nazionale giapponese.
Al termine del discorso, dopo aver inneggiato all'Imperatore, si tolse la vita tramite seppuku, il suicidio rituale dei samurai
, trafiggendosi al ventre e facendosi poi decapitare. Aveva quarantacinque anni.

                         " La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre"

(Biglietto d'addio trovato quello stesso giorno a casa di Mishima)


"Washi", la carta giapponese sarà Patrimonio Unesco

Il Giappone è il paese della carta, la raffinata "washi" che dovrebbe diventare a dicembre 2014 "Patrimonio culturale immateriale dell'Umanità" dell'Unesco.
E' una produzione delicata e complessa, a cui si dedicano ormai solo pochi e anziani artigiani, alcuni dei quali sono nominati "tesori nazionali viventi".

"Oggi la carta è diventata come l'aria: la usiamo dalla mattina alla sera. Ma nell'antichità era un bene prezioso" ha raccontato il maestro Nobushige Akiyama, un artista contemporaneo le cui opere sono esposte al Museo nazionale di Arte Orientale di Roma, fino all'11 gennaio 2015, che ha fornito una dimostrazione della laboriosa produzione tradizionale della "washi".
"Durante il periodo Edo (1603-1868) ogni provincia aveva la sua produzione specifica di carta e quella di qualità migliore, scelta da funzionari appositi, veniva inviata allo Shogun con la massima cura", ha raccontato ancora Akiyama, precisando che la perdita o il deterioramento della preziosa merce poteva costare la vita a chi si occupava del trasporto.

 


Addio a Ken Takakura, grande attore giapponese

Il 10 novembre è deceduto, a 83 anni, l'attore Ken Takakura all'ospedale di Tokyo, ma la notizia è stata diffusa solo oggi.
E' apparso in 205 film nella sua carriera ed è stato, con Toshiro Mifune, l'attore nipponico più famoso in occidente.
Ha recitato in film come "Yakuza" di Sidney Pollack, "Black Rain" di Ridley Scott, "Campione...per forza" di Fred Schepisi. Ha inoltre recitato per Takeshi Kitano e Zhang Yimou, Juzo Itami.
Nel 2013 è stato insignito dell'Ordine della Cultura dall'imperatore Akihito.