Yayoi Kusama raccontata dal Wall Street International Magazine
13 dicembre 2015
Vi riportiamo integralmente un articolo molto interessante, dedicato da Giovanna Lacedra all'artista Yayoi Kusama per il webzine Wall Street International Magazine. Un viaggio alla scoperta della storia che si cela dietro l'eccentricità della nota artista del pois (e non solo).
Yayoi Kusama
L’ossessione che mi ha salvato la vitaSe non fosse stato per l'arte mi sarei uccisa molto tempo fa
(Y. Kusama)Siamo in America, agli albori del neofemminismo. Le donne rivendicano il diritto di essere se stesse: di esprimersi, di contestare, di criticare. E usano ogni mezzo per farlo. Il corpo stesso diventa linguaggio. La lotta per la parità dei diritti e contro ogni forma di discriminazione porta le donne a unirsi in associazioni, spazi di confronto, laboratori e gallerie in cui produrre – e proporre – un’arte sempre più polemica, sferzante ed eversiva. Gruppi come il WAR (Women Artists Revolution), nato nel 1968 dalla costola dell’AWC (Art Workers Coalition) associazione di critici, artisti e autori e curatori, o l’A.I.R. Gallery (Artists in Residence), residenza aperta per contaminazioni tra artiste, esprimono una chiara disapprovazione nei confronti di un sistema dell’arte da sempre maschiocentrico, e portano alla luce artiste come Ana Mendieta, Nancy Spero, Judy Chicago, Miriam Shapiro, Louis Borgeois, Eva Hesse e altre.
Tra queste altre ce n’è una che arriva da molto lontano. Approda negli Stati Uniti con la speranza di divincolarsi da una serie di costrizioni che la sua terra d’origine le ha cucito addosso. Si chiama Yayoi Kusama, viene dal Giappone. È molto fragile ma molto ostinata, e desidera solo trovare la sua strada.
Nata nel 1929 a Matsumoto, un piccolo paese tra le montagne vicino a Tokyo, Yaioi inizia a dipingere giovanissima, ma presso la scuola d’arte di Kyoto viene iniziata a una pittura di grande rigore formale, attraverso la quale non trova la possibilità di esprimere il proprio potenziale creativo. Il Giappone è ancora un paese troppo conservatore e lei vorrebbe andarsene. Quella di allontanarsi, però, non è certo una scelta facile, e non lo è soprattutto a causa della sua fragilità. Sin da piccola, infatti, Yayoi soffre di allucinazioni e disturbi ossessivo-compulsivi. La rigidissima educazione familiare non la agevola in questo, anzi, pare alimentare la sua depressione latente. La sua infanzia e la sua adolescenza vengono poi indelebilmente segnate dal rapporto malato che esiste tra i suoi genitori, nonché dall’atteggiamento ossessivo e controllante della madre nei confronti di suo padre. Attanagliata dal timore del tradimento, infatti, la madre obbliga la figlia a pedinare il marito. Yayoi si fa complice. Lo controlla. Vive nella paura. E questo le nuoce. Poi arriva la guerra. E il duro, sfiancante, ripetitivo lavoro nelle industrie tessili della zona. Tutta la sua vita appare una prigione. Un loop ossessivo dal quale vuole liberarsi. Cresce. Sogna. Dipinge. E cerca il coraggio di osare. Alla fine ci riesce. È il 1956 quando, iscrivendosi alla Art Students League di New York, riesce a ottenere un visto per studenti che le permette di partire. Si stabilisce nella grande metropoli e prende subito a frequentare l’ambiente artistico della città.
Nascono i suoi primi lavori pittorici, non più condizionati dalla tecnica tradizionalista appresa in Giappone, ma guidati dalla sua tendenza alla ripetizione morbosa di un solo elemento: un solo segno, una sola ossessione, da riproporre instancabilmente e all’infinito. Infinity Net è infatti il titolo che da a questa serie di tele monumentali (alcune sono lunghe persino dieci metri) interamente invase da piccolissimi segni ondulati che creano trame fittissime. Infinity Net diventerà poi il titolo della sua autobiografia, edita in Giappone agli inizi del Duemila e in Italia nel 2013.
I primi tempi del lungo soggiorno newyorkese – che la porterà a collaborare con Andy Warhol, ad avere uno studio nello stesso stabile in cui lavorano Judd, Oldenburg, Cornell e a vivere una lunga relazione con quest’ultimo – sono decisamente duri. Senza soldi, ma piena di sogni, Yayoi sopporta il freddo e la fame. Come racconta nella sua autobiografia “il freddo mi arrivava alle ossa e i crampi per la fame non mi lasciavano dormire, così non potevo fare altro che stare in piedi e dipingere”.
Nel 1960 lei e Rothko sono i soli ad essere rappresentati in un sondaggio internazionale riguardante l’astrazione contemporanea organizzata da Udo Kultermann al Museo di Leverkusen, in Germania. In questo periodo Yayoi realizza le prime mostre personali e vende un’opera a Frank Stella. Dipinge, ma già accarezza l’idea di un’arte più totale. Invasiva. Infinita nella sua stessa forma. La tela, soltanto, non può più bastare. Occorre andare oltre. Oltre la parete. Oltre la superficie bidimensionale. E da questa esigenza nascono le sue Accumulation e Sex Obsession, vere e proprie invasioni ambientali dal carattere allusivo e sensoriale. Siamo intorno alla metà degli anni Sessanta quando a queste installazioni vanno ad aggiungersi vere e proprie azioni performative, che mettono in campo il motivo decorativo-ossessivo che più d’ogni altro l’ha resa celebre: i pois. Yayoi realizza performance in luoghi pubblici come il Central Park o in spazi istituzionali come il MOMA, durante le quali dipinge pois sui corpi nudi di volontari partecipanti. Queste azioni vedono, però, il frequente intervento delle forze dell’ordine.
L’arte, lo sappiamo bene, è terapia. Il dolore, il trauma, il disagio trasposti sulla tela, nella materia o nell’azione comportamentale, portano a sublimare, a liberarsi, a portare fuori da sé ciò che ci avvelena. Come diceva Ana Mendieta “Ho due opzioni: essere una criminale o un’artista… ”. Scegliere di essere un’artista è certamente salvifico, anche se non sempre risolutivo. In ogni caso, il groviglio incandescente che si ha dentro, può alchemicamente prendere altre forme. Può diventare qualcosa d’altro, qualcosa che “l’altro” può accogliere, leggere, ricevere e interpretare. Per questa ragione, i pois ripetuti all’infinito sono metafora, trasposizione, sublimazione di una ossessività che Yayoi riesce a convertire. Nel 1966 partecipa con Louise Borgeois ed Eva Hesse a una mostra collettiva titolata Astrazione Eccentrica. Lo fa con una installazione dai riferimenti niente affatto casuali: in un sistema ancora incentrato sul patriarcato, la moltiplicazione infinita della forma fallica – che ne simboleggia potere e virilità, supremazia e totalitarismo – appare più che idonea.
E allora, ecco che lo spazio viene invaso da sacchetti fallici bianchi e pieni di ovatta. Una vera e propria accumulazione in cui specchi riflettenti accolgono un tappeto invaso da candide protuberanze. Nello stesso anno Yayoi viene censurata alla Biennale di Venezia. Ben incastonata nella cornice polemica di quegli anni, l’idea dell’artista è quella di indossare un kimono dorato per poi sedersi in un prato di sfere metalliche messe in vendita a un prezzo simbolico. Il chiaro riferimento al funzionamento del sistema dell’arte non viene accolto positivamente dagli organizzatori della Biennale, che le vietano di esibirsi, benché siano stati essi stessi a invitarla ufficialmente. In definitiva, la performance Narcissus Garden viene annullata. Ma la Kusama tornerà in Biennale più avanti, esattamente nel 1993, realizzando una delle sue più note installazioni site specific: una sala di specchi occupata da monumentali zucche pervase di pois neri. Sculture giganti analoghe a questa le verranno commissionate altrove, negli anni a seguire. Una delle più note si trova proprio in Giappone, a Naoshima, un’isola di pescatori. Si intitola Pumpkin, è una zucca gialla a pois neri situata nel mare di Seto.
Ma torniamo all’esperienza americana. Questa si rivela rigogliosa e rivelativa: le permette di conoscere se stessa, di elaborare il proprio linguaggio. Ma dura meno di un ventennio. Nel 1973, in seguito alla morte di Cornell, Yayoi rientra in Giappone. Dipinge, scrive poesie, lotta con il proprio malessere. Torna a New York. Espone. Torna ancora una volta a Tokyo, si fa ricoverare presso il Seiwa Hospital di Tokyo. Poi riparte per New York, ma le sue condizioni psichiatriche – che già nel corso degli anni l’avevano più volte portata all’esaurimento nervoso – peggiorano. Viene sempre più frequentemente sorpresa da allucinazioni e attacchi di panico. E così, nel 1977 decide di sua spontanea volontà di rientrare in Giappone e farsi ricoverare in un ospedale psichiatrico, per ricevere le giuste cure e il controllo opportuno. Quel ricovero diviene permanente. Tanto che ancora oggi la Kusama vive in quell’ospedale. Ha uno studio, all’interno di un monolocale con ingresso indipendente, nel quale si chiude ogni giorno, dipingendo pois a un ritmo serrato. "Un pois ha la forma del sole, che è un simbolo dell'energia di tutto il mondo ed è la nostra vita vivente, e ha anche la forma della luna, che è calma (…). Un pois è movimento in divenire e tanti pois sono un modo per indagare l’infinito…”.
Ogni giorno lavora a un’opera, anche fino alle tre del mattino. La pittura è il suo tutto: la tiene in contatto con il mondo, le permette di reinventarsi l’infinito. I pois generano costellazioni. Ampliano la realtà. Sono un percorso che non ha mai fine. Sono il suo alfabeto e negli ultimi anni l’hanno persino portata a collaborare con una delle case di moda più note al mondo, la Louis Vuitton, per la quale ha realizzato una linea di borse, portafogli, occhiali da sole, foulard e accessori vari, fino a una intera collezione di capi d’abbigliamento.
Yayoi Kusama è oggi una delle artiste viventi più pagate nel circuito delle aste. Esposta in musei come il Walker Art Center di Minneapolis, il MOMA di New York e la Tate Gallery di Londra, vive e lavora presso il Seiwa Hospital di Tokyo.
Articolo originale: http://wsimag.com/it/arte/18645-yayoi-kusama
Viaggio In-Giappone
Giovedì 8 ottobre 2015
Vi segnaliamo Viaggio In-Giappone libro di Leonardo Romanelli, diario di un viaggio di tre mesi in Giappone compiuto dall'autore. Il libro è stato pubblicato nel 2011 in italiano, ma quest'anno è uscita la sua versione in inglese. Disponibile su Kindle.
Descrizione
Scrivere questo libro è stata un'avventura in quanto sarà un'avventura per chi la legge!
Questo libro si presenta come una lettura meditativa. Oggi è molto facile viaggiare, ma vivere il viaggio è un'altra. Un diario per raccontare un viaggio di tre mesi in Giappone, dove ho lavorato come volontario in azienda agricola biologica, in cambio di vitto e alloggio. Durante questo soggiorno in Giappone, ho assistito al tragico tsunami. L'intenzione del viaggio; come la maggior parte dei miei viaggi in tutto il mondo, era di viaggiare senza un piano o un programma, ma lasciarmi fluire. Cercando di rimanere nel momento presente senza giudizio e accettare qualsiasi evento senza desiderare di cambiarlo. Questo libro non vuole essere una guida o di dare consigli. Questo libro potrebbe inspirare a conoscere altre culture e soprattutto se stessi.
Presentazione dell'autore
Dopo aver viaggiato per molti paesi nel mondo, ho sentito l’aspirazione di scrivere un Diario di Viaggio. Tutto è stato spontaneo ed il fatto che è stato scritto in Giappone è stato solo un caso (forse). Essendo scritto da un essere umano, spesso riflette il modo di vedere dell’autore, le opinioni e i condizionamenti. Ma l’idea di scrivere il Diario era proprio quella di cercare di scrivere con attenzione, ma con distacco, tutto quello che accadeva fuori e dentro di me. Mantenendo vivo lo scopo di rimanere distaccato, tutto è stato vissuto con estrema intensità percettiva, osservando e notando tutti i minimi particolari che accadevano. Durante un viaggio in una cultura diversa da quella in cui sei vissuto per tanti anni, tutto viene scombussolato, corpo, mente, abitudini: è impossibile tornare da un viaggio e rimanere quello che eri prima! Con un giusto atteggiamento, tutto può sembrare divertente ed eccitante, con molte sorprese, curiosità e intuizioni. Questo accade nella vita di tutti i giorni, ma quando si viaggia per altri paesi, in altre culture, tutto viene triplicato: è come se si vivesse un’altra vita in questa vita. Il viaggio è stato senza programmazione, pianificazione e meta, modalità grazie alla quale si può notare e vivere la bellezza della spontaneità, dove tutto si incastra come un puzzle momento per momento. I luoghi, le situazioni, le persone incontrate: ognuno ti lascia qualcosa, un messaggio, un'emozione o un'intuizione. Viaggiare oggi non è molto difficile, ma vivere il viaggio è tutta un’altra cosa. Inoltre c’è un'associazione che ti permette di essere ospitati in aziende agricole biologiche a conduzione familiare, lavorare (collaborare) in cambio di vitto e alloggio. Oltre a lavorare a contatto con la natura, la cosa più bella è vivere e immergersi nella cultura del posto, in cui si incontrano persone semplici, a cui piace condividere tutto quello che hanno, persone straordinarie. Durante questo viaggio ho potuto vivere anche la catastrofe dello Tsunami; ero molto distante da Fukushima circa a 800 Km. Non ho avvertito niente della scossa, ma ho potuto vedere e vivere la reazione dei giapponesi di fronte ad una tragedia del genere. Coscienti di vivere in uno dei paesi più a rischio al mondo per questi eventi naturali (spesso catastrofici a causa dell’essere umano), ho potuto notare la freddezza, la solidarietà e l'organizzazione di questa cultura. Una signora giapponese mi ha raccontato che la figlia aveva perso la vita nel terremoto in Nuova Zelanda: era un suo sogno andare in Nuova Zelanda ed è morta facendo quello che ha sempre voluto fare! Ciò può descrivere bene, secondo me, questo popolo incredibile.
Descrivere un viaggio con tanto distacco mi ha dato la possibilità di viverlo intensamente; spero che ciò possa accadere a chi legge questo libro e condividere intuizioni, idee, curiosità e altro.
Buon Viaggio a tutti.
I film di Ozu in Blu-ray con la Tucker Film
5 novembre 2015
Vi riportiamo in allegato il comunicato stampa con cui la Tucker Film annuncia l'intenzione di portare in Blu-ray sei dei più grandi capolavori del popolare regista giapponese Ozu Yasujiro. La Tucker Film da un po' di tempo sta infatti portando avanti un progetto dedicato a Ozu, quello di riportare in auge i suoi capolavori, per il quale già lo scorso giugno sono stati riproposti al cinema sei film restaurati del grande regista. Dopo il successo nelle sale, il passo successivo è ora con il blu-ray quello di trasferire tale diffusione anche online. Dato il costo di tale operazione è aperta una raccolta fondi che scadrà il prossimo 30 novembre.
Comunicato stampa, Istruzioni Kickstarter
Per ulteriori informazioni:
tucker@tuckerfilm.com
+39 0434 520404
Uscito il libro “Il cimitero del sole” di Beniamino Biondi
Vi segnaliamo l'uscita del libro di Beniamino Biondi Il cimitero del sole. Il cinema della nouvelle vague in Giappone edito da Pungitopo. Di seguito, la presentazione:
Beniamino Biondi
Il cimitero del sole.
Il cinema della nouvelle vague in GiapponePag. 136 – € 16,00
Il termine nuberu bāgu appare per la prima volta sulla rivista“Shūkan Yomiuri” – dopo l’uscita del secondo film di Nagisa Ōshima, Racconto crudele della giovinezza (1960) –, maturando l’opinione di un’influenza della nouvelle vague sul lavoro dei giovani cineasti giapponesi, che, invece, hanno sempre rifiutato la genesi di questa definizione respingendola con forza. Più giustamente, invece, col termine nuberu bāgu è possibile fare riferimento allo spirito di rigenerazione culturale del cinema dei primi anni sessanta e all’origine del clima politico della cosiddetta Nuova Sinistra. Le analogie tra i giovani cineasti si assegnano a una fisionomia comune che risalta nella decostruzione degli elementi della tradizione cinematografica – collocati a una nuova forma di rappresentazione – e nel carattere innovativo dei temi svolti e delle tecniche di stile adoperate. Rifiutando i modelli precedenti con uno stile personale e inedito, i registi della nuberu bāgu hanno maturato una «coscienza autoriale soggettiva» (sakkatoshite no shutaisei) dialettizzando uno sguardo critico attraverso nuove forme di espressione, in polemica con gli assunti moderati e rigidi del cinema del passato.
Alla riedizione di un testo di Donald Richie sulla nouvelle vague giapponese, con un capitolo sui precursori del movimento e un brevissimo profilo d’introduzione, seguono alcune sezioni monografiche sugli autori più significativi del Nuovo Cinema degli anni Sessanta (con la riscoperta di un cineasta radicale e controverso come Akio Jissoji), scegliendo però di non affrontare le carriere di Nagisa Ōshima e Shōhei Imamura – in quanto a loro sono già stati dedicati ampi studi in lingua italiana – e ancora di Seijun Suzuki e Kaneto Shindo, figure di primo piano ma sostanzialmente laterali al movimento.
Beniamino Biondi è nato e risiede ad Agrigento. Ha compiuto studi classici e si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo. Scrittore e saggista, si occupa di poesia e di cinema. Collabora con riviste di letteratura e critica cinematografica, cura rassegne di cinema d’autore e ed è direttore di collana per alcuni editori. Come relatore partecipa a numerosi convegni e giornate di studio. È membro del Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici e Presidente di Giuria del Festival del Cinema Archeologico di Agrigento. Ha curato l’edizione delle poesie complete del filosofo Aldo Braibanti ed ha pubblicato numerose opere di letteratura e saggistica critica e teorica.
Per il cinema, di lui sono usciti:Il volto della Medusa. Il cinema di Nikos Koundouros (2010); Fata Morgana. Il cinema catalano e la Scuola di Barcellona (2011); Sangue nudo. Il cinema terminale di Hisayasu Sato (2011); Messico! Cinema e rivoluzione (2011); Cronaca di una farfalla in lutto. Scritti sul Nuovo Cinema giapponese (2011); Giappone Underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70 (2011); Il cinema di Michael Winner (2011); Il cinema di Don Siegel (2011); Prometeo in seconda persona. Il Nuovo Cinema greco (2012); Giganti e giocattoli. Il cinema di Yasuzô Masumura (2013); Il cinema di Kim Jee-Woon (2013); Francis Ford Coppola. Il romanticismo pre-digitale (2014).
Contatti:
www.beniaminobiondi.it
Per acquistare il volume on-line su IBS clicca su
http://www.ibs.it/code/9788897601661/biondi-beniamino/cimitero-del-sole.html
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Mondo Ikebana: scomparsa la Maestra Jenny Banti Pereira
27 ottobre 2015
Ieri, ci è pervenuta notizia di un'importante perdita per il mondo dell'Ikebana: si è spenta la signora Jenny Banti Pereira, apprezzata maestra e fondatrice della prima sezione europea della Scuola di Ikebana Ohara. Queste le parole che il maestro di Ikebana Luca Ramacciotti dedica alla signora nell'articolo del suo sito relativo alla sua scomparsa:
Quando iniziavo ad interessarmi all’ikebana mi fu donato da una cara amica di Firenze (quasi una sorella) un libro di Jenny Banti Pereira inerente la scuola Ohara. La Banti l’avevo vista durante la dimostrazione che tenne all’Istituto Giapponese di Cultura in Roma quando io partecipai al workshop che avrebbe dato il via al tutto.
Di lei, attraverso librerie online e di antiquariato, recuperai tutti i libri e alla prima occasione di incontro le feci firmare proprio quel libro che mi avevano donato. Fu in occasione di una conferenza di Mauro Graf a Roma.
Avrei di nuovo incontrato la signora Banti un’altra volta. Quando con Ikebana International organizzammo una dimostrazione (presso il Museo di Arte Orientale di Roma) per inaugurare il Chpater Romano invitammo le rappresentanti delle scuole Sogetsu ed Ohara e la sig.ra Banti accettò l’invito. Le fu tributato onore e fu molto festeggiata come meritava. Ecco io la voglio ricordare così. In festa, sorridente, che salutava un pubblico in piedi che le riconosceva il grande lavoro che lei aveva svolto nell’arte dell’ikebana.
L'Associazione Culturale Giappone in Italia si stringe attorno alla famiglia della signora, al figlio, agli amici e a tutti coloro che le erano vicino e le volevano bene: le nostre più sentite condoglianze.
Antiquariato giapponese: novità autunnali
Highlights International Art Fair
28 ottobre - 1 novembre
Residenzstrasse 1, München (Monaco di Baviera)
Flashback
5 - 8 novembre
via Cernaia 14, Torino
Due, gli eventi principali previsti per questa stagione autunnale che vedranno la partecipazione di Giuseppe Piva Arte Giapponese: “Highlights International Art Fair”, a cavallo tra ottobre e novembre, avrà luogo in Germania mentre per “Flashback”, che sarà subito dopo, si tornerà in Italia, a Torino. Per quanto riguarda il primo, trattasi di un'importante fiera di antiquariato dedicata ai capolavori dall'antichità classica fino al Novecento, la cui fondazione risale al 2009; mentre per quel che riguarda il secondo, si tratta di una manifestazione dedicata all'arte antica e moderna secondo la filosofia dell'arte come sempre contemporanea e attuale. Per chi fosse interessato ad acquistare i biglietti per tali eventi, è pregato di contattare la mail indicata sotto.
Giuseppe Piva Arte Giapponese illustra inoltre le novità, per quanto riguarda le sue recenti acquisizioni, tra cui si distingue - per via della rara finitura in lacca rossa - un Kabuto (l'elmo tipico dei Samurai) risalente agli inizi del XVII secolo.
Per ulteriori informazioni:
info@giuseppepiva.com
+39 02 36564455
L’arte di Kiyoko Hirai a Firenze per Expo 2015
Dal 10 al 25 settembre 2015
ICLAB - Intercultural Creativity Laboratory
Sarà oggi inaugurata alle ore 17 la mostra organizzata dall’Associazione Toscana Cultura che vedrà artisti di varie nazionalità, con una o più opere di: pittura, scultura, fotografia, grafica, arte digitale, incisione e installazioni. La manifestazione è stata inserita nel calendario di Expo 2015 e ha il contributo della Banca di Cambiano. Tra gli artisti qui riuniti in occasione di Expo 2015, vi sarà anche la scultrice giapponese di Osaka Kiyoko Hirai.
In allegato, il Comunicato Stampa
Ulteriori informazioni:
ICLAB
info@iclab.info
+39 055 284722
TOSCANA CULTURA
www.toscanacultura.it
Gli Edamame
Il termine "Edamame" sta a indicare i fagioli di soia che generalmente vengono cotti, lessati o al vapore, per pochi minuti e consumati da soli leggermente salati, oppure all’interno di zuppe o insalate.
I fagioli di soia sono un piatto tipico del Giappone. Durante l’epoca Edo, venivano venduti cotti come cibo veloce in strada insieme ai rami ai quali erano attaccati, una sorta di antico street food. Il nome deriva infatti dalla combinazione delle parole “eda” (枝) , che significa “ramo”, e “mame” (豆) che significa “fagiolo”.
I giapponesi consigliano di mangiarli come snack accostandoli alla birra (allo stesso modo in cui da noi si accostano le patatine all'aperitivo) ed effettivamente gli edamame, dal gusto delicato, sono molto apprezzati.
Gli edamame sono ricchi di vitamina C, di vitamina E, di magnesio e potassio e sono un’ottima fonte di proteine. Fondamentale è che i tempi di cottura non siano mai troppo lunghi (4/5 minuti al massimo) perché il prodotto deve comunque rimanere croccante. Non è facilissimo reperirli freschi, se non nei negozi dedicati alla cucina etnica, però è più facile trovarli surgelati. Uno dei modi più rapidi per cucinarli è quello di cucocerli al vapore con il loro baccello per una decina di minuti e salarli in superficie. Se invece li comprate surgelati e già sgranati sono perfetti in zuppe, minestre o in un sugo rosso per la pasta. Esistono anche delle ricette dolci realizzate con questi fagioli: una delle più famose è lo Zundamochi, dolce estivo tipico dell'area di Miyagi.
Missione Fukushima #nofilter
Fukushima #nofilter
Nell’ambito delle iniziative promosse dalla Prefettura di Fukushima 「ふくしまからはじめよう」(trad. ufficiale “Future from Fukushima”) volte a valorizzare i luoghi di maggior interesse della provincia, ogni anno a partire dal 2013 studenti provenienti da Università straniere vengono invitati a conoscere a fondo la realtà locale e attrazioni della Prefettura.
Dopo l’esperienza con alcune università asiatiche, la Prefettura ha diretto lo sguardo all’Europa e, complice la presenza di Expo, ha scelto l’Università degli Studi di Milano per la missione del 2015.
Un gruppo di studenti di lingua giapponese dei corsi di laurea in Mediazione Linguistica e Culturale e Lingue e Culture per la Comunicazione e Cooperazione Internazionale è partito a fine luglio per una missione di studio e scambio culturale della durata di dieci giorni al fine di conoscere da vicino e confrontarsi con le realtà locali.
Gli studenti sono stati guidati in un viaggio straordinario entro i confini della Prefettura di Fukushima, alla scoperta dei più importanti luoghi di interesse naturalistico, artistico culturale e agro-alimentare, sperimentando il folclore dei matsuri ed entrando in contatto con la comunità locale. Hanno incontrato e intervistato i produttori di frutta e sake, visitato gli impianti di controllo della produzione agro-alimentare, ascoltato i racconti degli artigiani che da 400 anni si tramandano l'arte della laccatura a mano del legno e si sono confrontati con gli studenti dell'Università di Aizu.
Hanno avuto inoltre la possibilità di ascoltare le testimonianze di sopravvissuti allo tsunami. Il viaggio si è concluso con una visita di cortesia al Governatore della Prefettura e all’Ambasciata d’Italia a Tokyo.
La missione, patrocinata dal Dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica e di Studi Intercculturali e dal CARC (Contemporary Asia Research Centre) dell’Università degli Studi di Milano, prevede che gli studenti raccontino la propria esperienza - senza filtri - attraverso i social network e un blog dedicato.
Facebook, Twitter e Instagram saranno gli alleati di viaggio.
Queste esperienze verranno poi riproposte a ottobre in due eventi pubblici nell'ambito di Expo2015 attraverso le immagini e le voci raccolte in viaggio.
Seguite la missione alla pagina FB di Fukushima #nofilter
https://www.facebook.com/fukushimanofilter
In allegato il Comunicato stampa ufficiale
Docente accompagnatore: Tiziana Carpi
Social media expert: Prof. Stefano M. Iacus
Per informazioni:
Tiziana Carpi Ph.D.
Assegnista di ricerca
Dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica
e di Studi Interculturali
Università degli Studi di Milano
P.za Indro Montanelli 1, 20199 Sesto San Giovanni (MI)
Email: tiziana.carpi@unimi.it Cell: +39 339 6512764
Teiera con foglia di loto e rana
La poesia è di Otagaki Regetsu (1791- 1875) ed incisa da lei stessa su un'elegante teiera, opera di Kuroda Koryo (1823-1895).
Una voce
mi scende sulle maniche
mentre raccolgo germogli
sul monte Uji, lontano dal mondo:
ah, un piccolo cuculo ..
La teiera, finemente eseguita, ha la forma di un fiore di loto. Sul coperchio, che rappresenta la foglia del loto, è adagiata una piccola rana.
Solitamente il monte Uji nella poesia waka, evoca il tè dato che fu piantato in questo luogo tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo dal monaco Eisai che portò in Giappone lo Zen Rinazai e i primi semi di tè da un pellegrinaggio in Cina
Dal momento che il cuculo annuncia l’arrivo dell’estate, il periodo ideale per utilizzare questa teiera sarebbe in primavera inoltrata, quando sta per arrivare, o all’inizio dell’estate, quando i cuculi sono appena arrivati.
Un oggetto virtualmente identico è pubblicato sul catalogo "Poetry and Artwork from a Rustic Hut" (Nomura Art Museum, Kyoto, 2014) pag. 100.
Otagaki Rengestu fu poetessa, calligrafa, pittrice e ceramista. Suora buddista, è stata una della più importanti artiste donne giapponesi. Orfana, venne adottata da una famiglia di samurai e passò la sua infanzia, fino all’età di sedici anni, nel castello di Kameoka come cortigiana. Durante la sua permanenza nel castello, Otagaki eccelse nella poesia waka, un verso classico giapponese particolarmente popolare tra le donne durante il periodo Edo. In seguito ad un periodo sfortunato durante il quale morirono i suoi due mariti e tre figli, decise di cambiare radicalmente vita: nella notte in cui morì il suo secondo marito, si tagliò i capelli, palesando così la decisione di dedicarsi alla vita monacale e di non sposarsi mai più. All’età di 33 anni prese il nome di Rengetsu, Loto di Luna, e divenne monaca della setta buddista della Terra Pura.
Nonostante le difficoltà che Rengetsu incontrò durante la sua vita, la produzione artistica non ne risentì; al contrario, fu caratterizzata da una serie di delicati e sofisticati dipinti e di calligrafie che non rispecchiano affatto la durezza della vita dell’artista. Nella sua poetica, Rengetsu predilesse la celebrazione di ciò che sperimentava nella vita di tutti i giorni, unendo lo spirituale con il tangibile, senza però mai fare espliciti riferimenti al buddismo.
Per ulteriori informazioni: Giuseppe Pica Arte Giapponese