Un estate in Giappone. Diario di viaggio - Seconda tappa: Meoto Iwa e Futami Okitama Jinja

Quando si decide di scoprire qualche gioiello della cultura e della tradizione giapponese, uno dei luoghi più incredibili è certamente il santuario di Ise, uno dei luoghi più sacri di tutto l’arcipelago, collocato nella prefettura di Mie. Spesso, tuttavia, si cade nell’errore di concentrarsi solo su questa meta, e di dimenticare quello che si può scoprire nel viaggio; per questo, vi suggerisco di partire dal mare, dal luogo in cui cielo e acqua si confondono nel grigio, e dove le rocce vi osservano da lontano.

 

A poca distanza da Ise, esiste un piccolo angolo di paradiso nel momento in cui l’autobus si ferma davanti al Futami Okitama Jinja, un complesso Shinto disseminato lungo una riva roccioso di fronte alle onde. In epoche precedenti, questo jinja era un complesso di vari santuari, ed era rinomato per il suo legame con la leggenda della caverna Ama no Iwato, dove Amaterasu si rinchiuse dopo un’epica lotta con il fratello Susanoo no Mikoto. Il santuario era anche importante poiché i pellegrini che si incamminavano verso Ise si radunavano qui per una purificazione iniziale nell’acqua di mare (un rituale chiamato hamasangu) prima di iniziare il viaggio.

Mentre si cammina tra le rocce e le onde, è inevitabile notare l’abbondanza di sculture di rane, le miriadi di piccole statuette di questo simpatico anfibio, che rendono inconfondibile il santuario. Come sempre c’è una ragione per questa presenza, ed essa è rintracciabile in una tradizione secondo la quale la rana era un’offerta rituale per acquietare lo spirito del serpente del mare che abita la baia di Ise, ed evitare disastri alla popolazione; inoltre, la rana è considerata il simbolo di Sarutahiko no okami, uno dei kami qui venerati.

L’incontro con questo luogo si è rivelato un amore inatteso: forse per via del mio amore del mare, forse perché il tempo piovoso ha reso ancora più profondo il colore grigio-azzurro dell’atmosfera, o forse perché il vento ha ininterrottamente cantato sull’acqua. Non so davvero dire il perché. Il luogo mi ha rivelato tutta il suo fascino in piccoli dettagli, e mi sono ritrovata a camminare in una dimensione diversa, passeggiando accanto alle acque su un sentiero che guarda direttamente le onde blu dell’oceano.

E poi la magia finale. Circondata dalle piccole rane e dalle numerose offerte disseminate sul cammino, mi sono ritrovata davanti ad una delle icone più famose della tradizione Shinto: Meoto Iwa, le rocce sposate.

Come vuole la leggenda, queste due rocce rappresentano l’unione dei due kami originari, Izanagi e Izanami, la coppia divina dalla quale sono stati generati tutti gli altri dei. La roccia più grande, o-iwa, raggiunge circa i nove metri di altezza e ha un piccolo torii in cima, mentre la più piccola, me-iwa, è alta circa 4 metri. Una fune sacra unisce le due rocce come se si stessero tenendo per mano. La marea qui cambia in fretta, e sono stata così fortunata da incontrare questa coppia immersa nei flutti e nel mare agitato, che ha rafforzato la potenza simbolica di questa corda bianca che unisce i due amanti contro tutte le difficoltà.

È un luogo che in pochi metri racchiude le più profonde radici mitologiche del Giappone, prima ancora di arrivare davanti a Ise, prima ancora di inoltrarsi dei boschi che conducono al cuore più antico dello Shinto; qui, tra cielo e mare, nel grigio profondo della roccia sferzata dalle onde sembra essere racchiusa la più profonda sensibilità di un antico mondo che continua ad osservarci silenzioso e imponente. Qui, in un panorama che dall’apparenza semplice e privo di fronzoli, vibra l’emozionante dell’immagine di queste due rocce che insieme affrontano eternamente le onde, la pioggia e il vento dell’oceano.

Marianna Zanetta

Articolo originale: http://www.mariannazanetta.com/2016/08/24/love-meoto-iwa/


Fuochi d'artificio - I migliori hanabi taikai da vedere tra luglio e agosto

Uno degli elementi più caratteristici delle calde estati giapponesi, sono sicuramente i numerosissimi hanabi-taikai, festival dei fuochi d'artificio. Amatissimi dai giapponesi, questi appuntamenti sono dei veri e proprio must nelle serate estive. In particolare, Tokyo è, tra la fine di luglio e agosto, la meta ideale per chiunque abbia voglia di assistere a spettacoli pirotecnici di alto livello.

Ogni anno, nelle calde sere d'estate, tantissime persone (tradizionalmente vestendo lo yukata, un leggero abito estivo giapponese) osservano stupite lo splendore di fuochi artificiali che, di pari passo con l'avanzamento tecnologico, sono sempre più elaborati e sorprendenti.

L'origine simbolica dei fuochi d'artificio (letteralmente “fiori di fuoco”, hanabi ) risale al 1733, quando, in onore delle vittime di una carestia che aveva colpito la città, vennero per la prima volta lanciati nei pressi del fiume Sumida . Da allora, gli hanabi servono allo scopo di pacificare le anime di chi ci ha preceduto e, allo stesso tempo, scacciare la sfortuna dalla città.

Ogni anno, gli eventi in programma attirano centinaia di migliaia di persone. Qui di seguito, ve ne raccontiamo alcuni tra i più importanti.

Uno degli appuntamenti tradizionali più attesi ricorre il 22 luglio a Tokyo. Fin dal 1924, infatti, vengono lanciati sul fiume Arakawa i fuochi d'artificio di Adachi. Lo spettacolo, completamente gratuito, dura un'ora, dalle 19:30 alle 20:30 e vengono lanciati da due postazioni circa 12.000. Uno dei luoghi più adatti all'osservazione è solitamente la sponda del fiume chiamata Nishi-Arai.

Parlando invece dell'evento pirotecnico simbolo dell'estate di Tokyo non possiamo non citare i fuochi artificiali del fiume Sumida. Come già accennato, si tratta dell'hanabi taikai più antico, risalente addirittura durante il periodo Edo (1603 -1867). Svoltosi regolarmente ogni anno, fu interrotto solo quando, nella seconda metà del XX secolo, l'impressionante sviluppo urbanistico della città ne impedì lo svolgimento. Ripreso nel 1978, oggi è l'evento che vanta il maggior numero di fuochi utilizzati (circa 22.000) e spettatori (circa un milione di persone).

Quest'anno, l'evento si svolgerà sabato 29 luglio dalle 19:05 alle 20:30. Uno dei migliori punti da cui poterli ammirare è il parco di Sumida, lungo la sponda orientale del fiume, zona di Asakusa. Il luogo è centrale rispetto alle due postazioni da cui verranno lanciati i fuochi, ovvero tra il ponte Sakura e il ponte Kototoi, e attorno a quello di Komagata.

Nel mese di agosto, invece, degno di nota è lo spettacolo pirotecnico di Jingu Gaien. Ogni anno diverse migliaia di spettatori percorrono le strade di Harajuku e Aoyama fino a giungere al Jingu Stadium, luogo dell'evento dove ammireranno circa 10,000 fuochi. Lo spettacolo, famoso almeno quanto quello del fiume Sumida, si svolge domenica 20 agosto dalle 19:30 alle 20:30. Quest'anno, inoltre, sarà preceduto da un concerto j-pop. Al contrario degli altri due eventi sopra citati, il taikai di Jingu Gaien è a pagamento. Si può comunque godere dello spettacolo senza entrare nello stadio, cercando, nella circostante area di Shinanomachi, un posto dove potervi assistere gratuitamente.

Marco Furio Mangani Camilli


Un tanka alla settimana

"Non alzo la voce
nel lamento, come invece fa
l'insetto; eppure
copiose le lacrime
fluiscono furtive."

"Mushi no goto
koe ni tatete wa
nakanedomo
namida nomi koso
shita ni nagarure"

虫のごと
声に立てては
なかねども
涙のみこそ
下にながるれ

Kiyohara no Fukuyaru


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Prima tappa: Tokyo

Ormai l'estate ci ha travolti. La voglia di evadere dal caldo delle città sempre maggiore. Così, noi di Giappone in Italia vogliamo proporvi un viaggio. Niente paura: non servirà nessun biglietto aereo, ma basterà seguire le nostre pagine. Un viaggio alla scoperta di otto fantastiche località del Giappone, al di fuori dei soliti itinerari turistici.

Dopo questo primo appuntamento di lunedì, ogni sabato, una nuova pagina di questo diario di viaggio, alla scoperta di luoghi misteriosi, rotte inusuali e suggestioni inedite. E chissà che qualcuno, mosso da questi incantevoli scorci di Giappone, possa decidere di andarci davvero nel suo prossimo viaggio nel Paese del Sol Levante.

La prima tappa ci porta nella capitale, Tokyo. Pronti? Si parte!

 

Tokyo è un luogo che spaventa.

La sua imponente modernità ricca di vetro e di altezze le dona spesso uno strano immaginario; troppo urbana, troppo futuristica, troppo americana. Troppo poco giapponese. Un luogo che suona troppo estraneo eppure in qualche modo già visto, come se fosse assimilabile a qualsiasi altra capitale sparsa in giro per il mondo. Ecco, forse Tokyo sembra spesso il prototipo della metropoli inumana che per qualche motivo non fa parte delle aspettative di chi viaggia in Giappone.

In realtà, Tokyo si sottrae a qualsiasi paragone, e obbliga a interrompere il flusso delle immagini che si accavallano preventivamente quando si parla di questo posto.

Perché Tokyo è il luogo del silenzio. Silenzio inatteso e incredibile, proprio perché si è nel cuore di una delle più grandi aree urbane del mondo. Eppure, appena scesi dal treno, il silenzio è li pronto ad abbracciarti. Il silenzio di un traffico che scorre senza frastuono, di voci che chiacchierano senza invadenza, di biciclette che sfrecciano ai margini della strada. Certamente, ci sono delle isole nella città dove sembra invece verificarsi il fenomeno contrario, una sovrabbondanza di caroselli, musiche insistenti e richiami pubblicitari. Ma il silenzio è il vero padrone, è lui che rimane nell’anima e nella mente, un silenzio discreto e accogliente che sembra voler concedere il tempo – e lo spazio - per assestarsi alla grandezza e alla modernità.

 

 

E se ci si lascia condurre dal silenzio per le vie della capitale, si scopre che Tokyo è una città dalle molte anime. Sembra difficile individuare un unico centro da cui si irradi la vita cittadina. Al suo posto esiste una moltitudine di realtà che si giustappongono e si fondono l’una con l’altra. Succede così: siete usciti dalla stazione, diciamo a Ueno, e state camminando tra la folla seguendo la strada principale con ampi marciapiedi e corsie trafficate. Poi, voltate la testa e vi rendete conto che al vostro fianco c’è un piccolo passaggio tra due palazzi: in quella piccola via un mondo diverso si srotola davanti ai vostri occhi. Porte di legno, piccole lanterne, qualche gatto di quartiere, e vi sembra di essere stati trasportati indietro nel tempo di un centinaio d’anni. Nel mezzo di Tokyo, e allo stesso tempo anni luce lontani.

 

 

Per questo, è estremamente difficile dipingere Tokyo in maniera univoca; è Akihabara con i suoi infiniti piani di anime, ma è anche il silenzioso viale alberato di ciliegi appena fuori Shinjuku; è la purezza del cristallo di Ginza, ma è anche il calore del legno nelle piccole vie di Ueno. È la dimensione quasi paesana che si respira a Nakano, con le sue vie residenziali e le case monofamiliari, con i piccoli negozi di alimentari e i kombini rassicuranti. È la bellezza di una lunga camminata autunnale, mentre gli aceri si colorano di rosso.

 

 

E forse Tokyo da il meglio di sé se la si incontra camminando. Bisogna dedicarle tempo e sospendere il giudizio per poter ascoltare tutto quello che questa città ha da raccontare. E allora si può dimenticare gli itinerari preparati a tavolino e ci si può dedicare a percorrere le strade della città come farebbe uno qualsiasi dei suoi abitanti. Si può partire da Chiyoda, dal cuore del palazzo imperiale, passando attraverso il parco di Hibiya, per incamminarsi verso ovest, e raggiungere Harajuku percorrendo il parco Yoyogi. Poi continuare verso nord, in direzione Shinjuku Est, per arrivare infine, senza fretta, alla luminosa e trafficata Ikebukuro.

Tokyo non ama la fretta, nonostante tutto, e gli occhi vedono meglio quando si cammina con calma. Anche se si finisce quando il sole tramonta.

E proprio questo tramonto ha in Tokyo un’atmosfera diversa; è un tramonto precoce, che arriva prima che altrove, e improvvisamente tinge il cielo di un blu intenso. E mentre si passeggia nell’ora blu, si assiste alla magia della luce: la città si veste di migliaia di colori che brillano contro questo cielo dal colore sorprendente. Sono le infinite luce dei negozi, dei ristoranti, della normale vita che continua anche quando il sole non sta più a guardare, e di quella vita che si popola solo nel cielo più scuro; sono solo luci, eppure hanno il potere di trasmettere un’inattesa sensazione di calore e di accoglienza, mentre torna protagonista il silenzio che accompagna gli esseri umani per le vie della città, in una dimensione che non è solitudine ma quiete, e che sembra riconciliare lo spirito con questa città tentacolare, imponente eppure così profondamente umana.

 

 

Marianna Zanetta
www.mariannazanetta.com
Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2016/09/27/10-things-made-fall-love-tokyo/


Un tanka alla settimana

"È lo stesso cuculo
che, l'estate scorsa,
fu prodigo nel canto,
oppure un altro?
Immutata risuona la voce..."

"Kozo no natsu
nakifurushite shi
hototogisu
sore ka aranu ka
koe no kawaranu"

去年の夏
なきふるしてし
郭公
それかあらぬか
こゑのかはらぬ

Anonimo


Shin Godzilla, il ritorno del moderno Kami

Quando il Giappone ricerca nell’intrattenimento l’esorcizzazione delle catastrofi che lo affliggono, un nome ed un marchio tornano a far sentire il proprio ruggito: Godzilla. Il signore dei kaiju è tornato! Il 3,4 e 5 Luglio approda in Italia, in proiezione limitata, l’ultimo capitolo della decennale saga del re dei mostri, intitolato Shin Godzilla.

 

 

Uscito nelle sale giapponesi il 29 luglio 2016, Shin Godzilla è la trentunesima pellicola della serie, a dodici anni di distanza dall’ultimo Godzilla: Final Wars. A differenza delle precedenti produzioni nipponiche, non si tratta di un seguito del capostipite del 1954, ma di un vero e proprio reboot che ricomincia la saga da zero ambientandola ai giorni nostri. Molto apprezzato dalla critica, il lungometraggio vanta la firma di Hideaki Anno, celebre autore di Neon Genesis Evangelion, che insieme a Shinji Higuchi,  realizzatore degli effetti speciali, tenta di conferire un’impronta originale ad uno degli archetipi mostruosi più celebri della storia del cinema.

Più riflessivo, oscuro e cerebrale rispetto ai precedenti che sembra aver convinto gli addetti ai lavori. Dalla notte dei 40esimi Academy Awards giapponesi ne esce trionfante con sette premi vinti (miglior film, miglior regia, miglior fotografia, direzione artistica, illuminazione, montaggio e sonoro). Mai nessun episodio della saga aveva raggiunto un simile traguardo e il motivo di tale successo di critica ed incassi (oltre 76 milioni di dollari al box office mondiale) è essenzialmente dovuto ad un ragionato ritorno alle origini che la direzione creativa ha deciso di intraprendere.

Battezzato sul grande schermo da Ishiro Honda, all’insegna del terrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki, il re dei mostri ha rapidamente conquistato un vasto pubblico imprimendosi nell’immaginario collettivo come una metafora dell’impotenza dell’individuo nei confronti di una natura degenerata e corrotta dagli errori dell’uomo stesso. Grottesco, materico ed inscalfibile, questo nuovo Godzilla nasce come una concrezione amorfa di materiale biologico devastato dalle radiazioni per poi conquistare una forma definita e il suo classico aspetto bipede.

 

 

Shinto è la via degli dei, e shin, divino, è l’aggettivo che accompagna il nome della creatura. Come un kami moderno, la sua sagoma si erge sulla baia di Kamakura e Tokyo, assolutamente noncurante di ciò che si pone dinnanzi al suo passaggio. L’icona kaiju riacquisisce ancora una volta la caratteristica dell’imparzialità e dell’indifferenza nei confronti dell’operato umano. Il panico generatosi e i conseguenti tentativi di arginare l’emergenza sono un evidente riferimento ai tragici eventi della storia recente. Così come nel ‘54 era necessario trasfigurare in un simbolo l’olocausto nucleare, allo stesso modo “Shin Godzilla” si pone nei confronti dello tsunami del 2011. È un fenomeno naturale e, come tale, semplicemente accade, trattato con timore e riverenza, ma non odiato; né “buono”, né “malvagio”. La nazione deve salvarsi da sola e pertanto il film si focalizza sulle azioni umane intorno all’evento più che sull’evento stesso.

Il tema ecologico, corroborato dal marcescente aspetto che assumono le scorie rilasciate dal mostro, rievoca l’immaginario di Miyazaki e Otomo che spesso ha posto l’accento sul pericolo derivante dalla mutazione forzata della natura. Gran parte del minutaggio è dedicata a tesissime riunioni tra i piani alti del governo, gli scienziati e gli operatori sul campo. Variando tra momenti di satira leggera e sequenze più cupe, l’organizzazione collettiva e le strategie di contenimento descritte dal film ricordano l’azione eroica e sacrificale di quei cinquanta eroi che nel marzo del 2011 decidettero di sacrificarsi per arginare il potenziale distruttivo di Fukushima.

 

 

La macchina da presa è soprattutto impiegata ad altezza d’uomo, inquadrando spesso da vicino i volti concentrati e terrorizzati che rievocano le estremizzate ed enfatiche espressioni dei personaggi degli anime di Anno. Il mostro e l’azione che lo coinvolge sono realizzati con un misto di CGI ed effetti pratici. L’uso di riprese dal vivo e miniature della Tokyo distrutta è integrato con sequenze ricreate in motion capture. Tra modernità e tradizione il Re dei mostri torna nel suo ad affascinarci e terrorizzarci, ribadendo mai una volta di troppo quanto effimero e precario possa rivelarsi l’operato umano di fronte alla forza soverchiante degli elementi.  

Michele Mariani
articolo completo su --> https://goo.gl/nWxQtE


Un tanka alla settimana

"Come la vetta del monte Fuji,
di un fuoco sterile,
se devi bruciare, brucia pure,
levando fumo inutile
che neppure la divinità spegne"

"Fuji no ne no
nuranu omoi ni
moeba moe
kami dani ketanu
munashi keburi o"

富士の嶺の
ならぬおもひに
燃えばもえ
神だに消たぬ
空しけぶりを

Ki no Menoto


Tra gyaru e visual kei: alla scoperta della moda giapponese

Il Giappone contemporaneo non è il Paese rigido e quadrato che molti immaginano. Tra gli strati della società, convivono e si influenzano reciprocamente numerose sottoculture, caratterizzate da altrettanti stili d'abbigliamento. Questo viaggio cercherà di analizzare alcune tra i kei (stili) più importanti e che maggiormente hanno plasmato la moda e l'immaginario giapponese degli ultimi decenni.

 

Decora Fashion: il termine decora è un adattamento fonetico dell'inglese decorative. Come suggerisce il nome, questa moda è caratterizzata dall'uso spropositato di accessori e dai numerosi strati di vestiti, che si sovrappongono gli uni gli altri. Di solito, i colori usati negli abiti sono tinte neon, che rendono questo look facilmente riconoscibile. Non sono rari, tuttavia, toni più neutri, come il rosa chiaro o il grigio. Nato a fine anni '90, raggiunge il picco della popolarità  a metà anni 2000, dopodiché è sfumato nel fairy kei.

 

 

Bōsō Zoku: letteralmente, “bande della guida spericolata”. Il termine indica le gang di motociclisti amanti delle corse, della velocità e dei veicoli modificati. Popolari dalla fine degli anni '80, ancora oggi vengono identificati come teppisti dediti al disturbo della quiete pubblica. Il look è caratterizzato da giacche di pelle molto lunghe, bende, borchie e catene. Spesso i loro abiti sono decorati con kanji e simboli dell'Impero Giapponese. Nella cultura di massa sono celebrati da manga come Shonan Junai Gumi e film come God Speed You! Black Emperor.

 

 

Dolly kei: moda popolare negli ultimi anni, che punta ad avere un vibe fiabesco, rifacendosi all'aspetto di bambole antiche, con abiti ricercati e un po' rococò. Pur dividendosi in molte sottocategorie, ci sono vari elementi ricorrenti: stratificazione degli abiti, diversi tipi di tessuto e abbondanza di laccetti, ricami e fiocchi. Gli immancabili accessori vanno da croci e rosari (tipici della sottocategoria Cult Party kei) fino a teschi, ossa e pezzi di bambole rotte. Anche i colori sono molto eterogenei e si passa dalle tinte pastello del Mori kei (stile della foresta, che fa uso abbondante di motivi legati alla natura e materiali sostenibili) fino a tonalità più scure. Altra sottocategoria è il Fairy kei, che, rispetto al Dolly kei, punta ad elementi più pop, ispirati alle icone degli anni '80. Colore predominante? Rosa, ovviamente.

 

Gyaru: gyaru è la traslitterazione giapponese dell'inglese girl, o gal. Il nome deriva da una marca di jeans, chiamata gurls, in voga negli anni '90, rivolti a un pubblico giovanile. Ora, invece, la moda gyaru è apprezzata tanto da studentesse (chiamate kogals, ovvero giovani gals), quanto da giovani lavoratrici. Anche in questo caso, il look gyaru racchiude un'infinità di sottocategorie. Caratteristiche comuni a tutte sono il look estremamente glamour, la pelle abbronzata, il make up vistoso - con ciglia finte - e una grande attenzione per l'acconciatura (spesso "irrobustita" da parrucche o extension). 

 

Visual kei: stile collegato alla scena musicale J-rock e J-metal, a cui spesso si fa riferimento proprio come visual kei. Caratterizzato da un look molto glam e sfarzoso, derivato dalla moda glam metal anni '80, con capelli cotonati, trucco pesante e abiti esagerati. Abiti che spesso fanno leva sull'ambiguità sessuale, puntando a uno stile androgino, come la famosa band Versailles. Gli iniziatori di questo stile furono gli X Japan a inizio anni '90, che coniarono il termine a partire da uno dei loro slogan: visual shock. Il visual kei annovera tra le sue fonti d'ispirazione anche la moda vittoriana, creando numerosi punti di contatto con lo stile gothic lolita. È popolare soprattutto tra i fan delle band che seguono questo stile.


Un tanka alla settimana

"Sulla montagna estiva,
si ritirò, forse,
colei che ama?
Il cuculo leva
un canto disperato."

"Natsuyama ni
koishiki hito ya
irinikemu
koe furitatete
naku hototogisu"

夏山に
恋しき人や
入りにけむ
声ふりたてて
なくほととぎす

Ki no Akimine


Un tanka alla settimana

"Nella pioggia estiva
scrosciante,
quale pena affligge
il cuculo che si lamenta
tutta la notte?"

"Samidare no
sora mo todoro ni
hototogisu
nani wo ushi to ka
yo tada nakurama"

五月雨の
空もとどろに
郭公
なにを憂しとか
夜ただなく覧

Ki no Tsurayuki