Danjiri Matsuri: la corsa dei carri

Il Danjiri Matsuri è uno dei festival più caratteristici del Giappone e senz'altro il più iconico di Osaka. Nato nel sedicesimo anno dell'era Genroku (1703) sulle basi del già esistente Inari Matsuri, fu creato dal daimyo (signore feudale) del castello di Kishiwada al fine di pregare per un abbondante raccolto. Molti signori di Kishiwada si alternarono negli anni ma il festival, che fin da subito riscosse un enorme partecipazione popolare, rimase un appuntamento fisso della città. Solo per quell'occasione i cancelli che impedivano agli abitanti della città l'accesso al castello venivano lasciati aperti e tanta era l'entusiasmo che il festival venne soprannominato Kenka Matsuri (matsuri del combattimento), in quanto una vera e propria forma di competizione venne presto ricercata dai partecipanti.

Abitando vicino Tokyo avevo solo sentito parlare di questo matsuri, come del più animato e perfino pericoloso del suo genere. Nel mese di settembre però, ospite di Yasuhiro, un amico di Osaka, ho deciso di andare a vedere coi miei occhi di cosa si trattasse. Quando arriviamo alla stazione di Kishiwada sono circa le dieci del mattino e le strade sono già piene di gente. Vedo subito molta gente vestita in abito tradizionale da festival, disposta attorno a degli speciali carri, i danjiri, delle costruzioni in legno alte 3.8 metri, lunghe 2.5 e con ognuno un peso di 4 tonnellate. Ogni carro, decorato con intarsi (horimono) rappresentanti scene di celebri battaglie e racconti di guerra, viene trainato dalle 500 alle 1000 persone per mezzo di funi lunghe circa 200 metri. Seppur i partecipanti ridano e parlino animosamente tra loro, nell'aria si avverte il fermento di una grande festa che sta per iniziare.

Il gruppo in carica di trainare ogni danjiri è composto dagli abitanti di un cho (un'area composta da un certo numero di isolati), ognuno con dei kanji distintivi impressi sugli abiti: ciò porta a un senso di comunità tra gli abitanti di Kishiwada e della città stessa.

I carri e le persone iniziano a muoversi lentamente verso uno dei tre santuari della zona per ricevere il miya-iri, la benedizione shintoista prima della corsa. Osservando, noto che ogni persona attorno ai danjiri ha un ruolo ben preciso, come infatti Yasuhiro, ormai grande conoscitore dell'evento, mi conferma: c'è chi ha la funzione di trainare il carro, chi di aprire la strada al suo passaggio, chi di tenere alto lo spirito dei partecipanti con incitamenti e percussioni di tamburi ed infine chi, solo uno per ogni gruppo, ha l'onore di posizionarsi sopra il carro durante la corsa. Essi sono i daigu-gata, i carpentieri del quartiere che hanno preso parte attiva alla realizzazione del danjiri, e sulla cui sommità si esibiscono in danze evocative.

Oramai ci siamo, i carri sono usciti dai santuari cominciano a compiere il loro tragitto attorno all'area del castello aumentando sempre di più la loro velocità. Siamo quindi nel vivo del matsuri, e io e Yasuhiro decidiamo di posizionarci in uno dei punti dove è possibile assistere allo yari-mawashi, ovvero la svolta dell'angolo. Esso è uno dei tratti distintivi del danjiri matsuri in quanto, senza diminuire la velocità, gli enormi carri vengono fatti svoltare in delle strette curve, mentre gli osservatori assistono in trepidazione alla scena.

Vista anche la pericolosità della manovra (in passato ci sono stati incidenti molto gravi) certe aree sono chiuse per i “non addetti ai lavori” e l'unico modo di entrarci è indossare un indumento che dimostri la propria appartenenza, o familiarità, con uno dei quartieri di Kishiwada.

Io e Yasuhiro ci troviamo quindi al limite dell'area consentita al pubblico e in mezzo a tanta altra gente ci sporgiamo un po' di qua e un po' di là per riuscire a veder meglio lo spettacolo. Forse incuriosita dalla presenza di uno straniero tra gli spettatori oppure mossa da semplice bontà, una donna già nel vivo della celebrazione mi mette al collo una sciarpa coi kanji del quartiere dicendomi: “ Vai, ma solo per 5 minuti!”. Io e Yasuhiro ci guardiamo un attimo e subito oltrepassiamo la zona interdetta al resto del pubblico trovandoci, tra gli sguardi stupiti dei presenti, molto vicino a dove il danjiri svoltava dopo la curva. Assistiamo quindi alla scena da vicinissimo dopodiché, soddisfatti, torniamo a riconsegnare il “lasciapassare” alla donna insieme coi nostri ringraziamenti.

Alla fine della giornata lascio Kishiwada per andare a vedere un'altra zona di Osaka, ma con la sensazione di aver assistito a qualcosa di speciale, un evento capace di unire tutti gli abitanti della città attorno ad un'unica tradizione, parte integrante della loro identità.         

      

Marco Furio Mangani Camilli


Un tanka alla settimana

"I fiori di crisantemo
visti in alto
sopra le nubi sublimi
mi abbagliano
quali stelle nel cielo"

"Hisakata no
kumo no ue nite
miru kiku wa
ama tsu boshi to zo
ayamatarekeru"

久方の
雲のうへにて
見る菊は
天つ星とぞ
あやまたれける

Fujiwara no Toshiyuki


Un tanka alla settimana

"Non cadono ancora,
eppure già rimpiango
le radiose foglie d'autunno,
ora che le vedo
nello splendore estremo."

"Chiranedomo
kanete zo oshiki
momijiba ha
ima wa kagiri no
iro to mitsureba"

散らねども
かねてぞをしき
もみじ葉は
今は限の
色と見つれば

Anonimo


Un tanka alla settimana

"Sono rami dello stesso albero,
ma, distinta, muta di colore
la fronda dell'ovest,
dalla direzione, ecco,
ove sorge l'autunno."

"Onaji e o
wakite ko no ha no
utsurou wa
nishi koso aki no
hajime narikere."

おなじ枝を
分きて木の葉の
うつろふは
西こそ秋の
はじめなりけれ

Fujiwara no Kachion


Un tanka alla settimana

"Pensieri mesti
sfilano sulle ali
delle oche selvatiche
che volano lamentose
notte dopo notte, in autunno"

"Uki koto wo
omoi tsuranete
karigane no
naki koso watare
aki no yona yona"

憂きことを
思つらねて
かりがねの
なきこそわたれ
秋の夜な夜な

О̄chikōshi no Mitsune


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio

La nostra rubrica estiva 2017 vi conduce alla scoperta di sette località, sette mete lontane dai classici itinerari turistici, alla scoperta di un Giappone più vero, più autentico. Uno stimolo a visitare questo paese, o a ritornarci, con gli occhi aperti su realtà diverse. Tutti gli articoli sono di Marianna Zanetta di Japan Soul Travel.

 

Prima tappa: Tokyo

www.giapponeinitalia.org/un-estate-in-giappone-1-tokyo

 

 

Seconda tappa: Meoto Iwa e Futami Okitama Jinja

www.giapponeinitalia.org/24074-2-meoto-iwa-futami-okitama-jinja

 

 

Terza tappa: Enoshima

www.giapponeinitalia.org/day-trip-from-tokyo-enoshima

 

 

Quarta tappa: Nagoya

www.giapponeinitalia.org/viaggio-giappone-estate-nagoya

 

 

Quinta tappa: Misawa, Hachinohe, Aomori

www.giapponeinitalia.org/unestate-giappone-diario-viaggio-quinta-tappa-caccia-matsuri-nel-nord-del-giappone

 

 

Sesta tappa: Hiroshima

www.giapponeinitalia.org/unestate-in-giappone-hiroshima

 

 

Settima tappa: Osorezan nella provincia di Aomori 


www.giapponeinitalia.org/unestate-giappone-diario-viaggio-settima-tappa-losorezan-lincontro-le-anime


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Settima tappa: l'Osorezan e l'incontro con le anime

Esiste un luogo, nel nord della prefettura di Aomori, dove spazio e tempo si modificano sensibilmente, e dove le barriere del nostro mondo cedono al potere degli spiriti. È un luogo carico di Potenza e di malinconia, dove si sperimenta l’incontro con coloro che non ci sono più, dove i vivi e I morti possono incontrarsi ancora una volta. Questo luogo è l’Osorezan il cui nome è solitamente tradotto con Monte della Paura, una montagna che si innalza al centro della penisola di Shimokita; abbandonato ai confine settentrionali dell’Honshi, questo monte è ad oggi il simbolo di un sentire antico, di un Giappone tradizionale a volte dimenticato, lontano dalla modernità e dalle luci delle città del sud.

Il Monte della Paura è un luogo dal fascino innegabile. La sua origine vulcanica affiora appena si arriva nella zona; l’inconfondibile odore di zolfo, il colore grigio-giallo della superficie rocciosa, un lago dall’azzurro trasparente a lambire le sue pendici, dove nessuna forma di vita riesce a sopravvivere. Non è solo il monte della Paura, è la montagna degli inferni, dove le credenze buddhiste prendono forma sotto gli occhi di chi si avventura tra rocce e i vapori sulfurei. È il luogo dove i morti conitnuano a vivere in un’esistenza parallela, e dove è ancora possibile sperimentare un ultimo incontro con loro.

Entrando nel tempio zen alla base della montagna (il Bodaiji), si varca la soglia di un’altra dimensione, e si intraprende un cammino attraverso i diversi inferni buddhisti, tra innumerevoli statue del bodisatthva Jizō, protettore delle anime nell’aldilà, e coloratissime girandole lasciate in segno di amore e di omaggio per i propri cari.

 

L’Osorezan è un luogo della memoria. È una terra dove si cammina nella speranza di sentire il bisbiglio di chi non è più con noi, e dove si cerca di mantenere il ricordo e il legame con chi è dall’altra parte. E proprio questo legame è desiderato quando si arriva sulla riva del lago azzurro, mentre si guarda la verde montagna di fronte che rappresenta il paradiso, e mentre si grida il nome dei propri cari con tutto l’amore che si ha in corpo. E lo stesso legame è simboleggiato nelle innumerevoli offerte che si spargono lungo tutta la spiaggia, tra fiori, caramelle, lattine di birra e giocattoli, mentre il vento fa fischiare le girandole colorate. Ed è lo stesso legame che si cerca con tenacia e pazienza mentre si attende il proprio turno in coda per parlare con un’itako, una delle famose sciamane cieche che si radunano in questo luogo durante il matsuri locale a fine luglio; sono le sciamane che invocano i defunti, e permettono un ultimo incontro con la propria famiglia dei vivi. Un ultimo abbraccio prima della separazione definitiva.

L’Osorezan è una dimensione che entra nell’anima, un luogo distante, spirituale e profondamente intimo, che permette la riscoperta di qualcosa di estremamente radicato nell’anima giapponese, ma anche di estremamente universale. È un luogo di confine, un mondo a metà che porta su di sé la potenza del mondo dell’aldilà, e la magia di un Giappone antico che a volte si ha la sensazione di perdere in mezzo ai suoi e alle giravolte della contemporaneità.

Marianna Zanetta
Articolo originale: http://www.mariannazanetta.com/2017/08/24/where-the-spirits-dwell-the-osorezan/


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Sesta tappa: Hiroshima

Hiroshima ha il suono del destino. Pronunciare il suo nome fa quasi paura, come se una sorte crudele e inevitabile ancora aleggiasse sul cielo della città. È l’emblema di una tragedia; un crimine, un orrore. Uno torto che l’umanità ha fatto a se stessa. Nel suo nome, sembra vibrare la sensazione della morte. Si immagina di essere introdotti a una realtà dove quel 6 agosto del 1945 sembra ripetersi costantemente, e dove la lugubre coltre della memoria vuole imporre un silenzio, forse un lutto rispettoso e costante per quanto è successo.

 

Ecco, forse è proprio questo. Quando si pronuncia il nome di Hiroshima si pensa di entrare in un mondo in lutto. E invece no. Hiroshima si rivelata una città viva, gioiosa, dinamica. Con un’effervescenza che corre al di sotto della superficie e che contagia per magia l’aria che si respira.

Questo non vuol dire che i segni non siano rimasti, anzi: Hiroshima sembra essere una città che non ha alcuna intenzione di dimenticare o di nascondere la tragedia. Essa infatti è li, nel mezzo della città tra i grattacieli moderni, gli schermi pubblicitari e le luci al neon; ha la forma di una piccola costruzione di cemento in stile occidentale con la cupola in rame di cui rimane solo il famigerato scheletro. La cupola della bomba atomica, con la sua sagoma cadente eppure riconoscibilissima, è li, domina lo sguardo di chi si aggira nella zona, a eterna memoria di quell’ormai lontano giorno d’agosto.

Eppure, camminando intorno al perimetro di questo fantasma, quel giorno non sembra così lontano; sembra di essere li, l’ora dopo, o il giorno dopo, nel silenzio che avvolge lo spazio, e sembra di poter immaginare dopo la deflagrazione. Siamo in effetti a poca distanza dal luogo dell’esplosione; la cupola è tutto quello che della vecchia Hiroshima è sopravvissuto, e lei sembra saperlo, e sembra voler urlare (silenziosamente, è chiaro) a ogni visitatore, ad ogni abitante del luogo, del mondo forse, quello che lei, più di settant’anni fa, ha visto. Non con rabbia. Ma con profonda tristezza, quasi con la paura di non essere ascoltata.

Ho incontrato la cupola per la prima volta in un caldo pomeriggio di metà agosto, attraversando il parco della pace. L’ho intravista quella stessa sera in mezzo alle luci della città, nell’effervescenza degli stand di street food e di unici okonomiyaki locali.

In quel turbinio di luci, la sua presenza è strana: è un monito doppio.

In tutte queste luci, ricordatevi che io ho visto.

Ma anche - nonostante quello che ho visto, guardate tutte le luci che sono fiorite.

La doppia possibilità della memoria e della rinascita, una quasi impensabile senza l’altra.

Marianna Zanetta
Articolo originale: http://www.mariannazanetta.com/2015/09/22/hiroshima-mon-amour/


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Quinta tappa: a caccia di matsuri nel nord del Giappone

L’estate giapponese è una dimensione particolare, dove al caldo insopportabile corrisponde un’esplosione incredibile di vitalità e di energia gioiosa convogliata nei matsuri, quelle celebrazioni dal richiamo religioso che riempiono di colori le vie delle città. I matsuri estivi sono numerosissimi in tutto il Giappone, ma il Tohoku offre alcuni momenti particolarmente coinvolgenti, che aprono le porte ad un luogo imprevedibile e incredibilmente affascinante. È un modo per avvicinarsi a un territorio molto spesso dimenticato, che custodisce tuttavia un’immensa ricchezza culturale, e che merita di essere conosciuto con più cura.

 

Il Tanabata Matsuri in Misawa

Molti ormai hanno imparato a conoscere i festeggiamenti per il Tanabata, la notte delle stelle innamorate che si celebra in tutto il Giappone nel mese di luglio. Si tratta di un’antica leggenda di origine cinese, che narra la triste storia d’amore di due amanti separati dalla Via Lattea e destinati a incontrarsi solo una notte in tutto l’anno; questo matsuri ha delle caratteristiche comuni diffuse in tutto il territorio, come ad esempio le alte lanterne che ondeggiano luminose lungo le strade, ma assistervi a Misawa può essere un’esperienza particolarmente interessante. Non perché sia il migliore o il più famoso dei Tanabata, ma perché la città stessa è una realtà particolare, anche per la presenza di una base militare americana; passeggiando per le vie illuminate dalle lanterne, è surreale assistere al passaggio di una popolazione tanto varia, di origini così variegate, abbigliata nel tradizionale yukata estivo dai colori vivaci e disegni tipici. Ne emerge un singolare incontro tra elementi tradizionali ed esperienze più moderni, mentre i pub inglesi delle zone centrali offrono birra fredda per combattere il terribile caldo estivo, che a volte colpisce anche queste aree. E naturalmente, come è facile immaginare, il Tanabata si trasforma in un’occasione di svago e di passeggiate tra infiniti profumi del più gustoso cibo locale che rende l’esperienza decisamente più completa

 

Hachinohe Sansha Taisai

Con il secondo matsuri, ci si distanzia ampiamente dalle più popolari tradizioni nazionali per sperimentare un evento dai marcati accenti locali. L’Hachinohe Sansha Taisai è infatti un matsuri che si celebra tra la fine luglio e primi di Agosto, dedicato espressamente a tre santuari shintoisti locali (l’Ogami, il Shinra e il Shinmei); è una sorpresa inattesa, la cui ricchezza di immagini e colori vale il viaggio fin da queste parti. Il matsuri, che si rivela una festa vera e propria di tre giorni, si concretizza in una lunga parata di carri di enormi dimensioni, pieni, inondati, sommersi di decori, di eroi mitici, di dèi antichi, di animali sacri e di simboli del luogo. Un’esplosione incontrollabile di colori che invadono la strada mentre i carri stessi si aprono e si trasformano davanti agli occhi stupefatti dell’osservatore.

La parata procede al ritmo incessante di canti locali e tamburi, tamburi incredibili il cui suono ritmico e potente entra sotto pelle e conduce i partecipanti verso la notte, in un mondo che non è più il nostro.

E naturalmente, si è sempre accompagnati dai deliziosi profumi dello street food locale, comprese le deliziose patate dolci allo zucchero e le mele caramellate, vera specialità locale.

 

Aomori Nebuta Matsuri

Infine, non si può assolutamente ignorare il Nebuta Matsuri, forse la festività più popolare di tutta la prefettura di Aomori; oltre a quello del capoluogo, infatti, esistono numerose varianti locali come ad esempio il Neputa Matsuri di Hirosaki, o il Tachi-nebuta Matsuri di Goshogawara (altra esperienza imperdibile). Nella città di Aomori, il matsuri si tiene intorno al 3 Agosto, ed è un vero evento che porta in città un fiume di occhi pronto ad assistere all’evento.

La leggenda dietro a questo matsuri sembra riferirsi alla leggendaria battaglia tra la popolazione locale degli Emishi, che anticamente abitava queste terre, e le truppe imperiali giapponesi, smaniosi di conquistare interamente quest’area. La festività celebra in particolare il coraggio e la forza di Aterui, il condottiero emishi a capo della resistenza locale, una delle figure più amate della regione.

Come per l’Hachinohe Sansha Taisai, anche qui il cuore del matsuri si trova nella lunga parata che invade l’intera città, con balli e canti locali e con immensi carri; a differenza di quelli incontrati prima, tuttavia, questi carri offrono una diversa magia. Appena il sole inizia a calare, intorno alle 21 (poco dopo la partenza della parata) i carri si illuminano completamente, e le diverse figure rappresentate sembrano così prendere vita e fluttuare sopra le teste degli spettatori mentre il cielo diventa nero e la notte estiva prende il sopravvento. E di nuovo, arrivano i tamburi, potenti, enormi e carichi di una vita misteriosa che guidano nel buio i piccoli cortei in yukata che danzano nelle strade.

Marianna Zanetta

Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2017/07/31/three-summer-matsuri-aomori-ken/

Foto di Edmondo Perrone (R)


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Quarta tappa: Nagoya

Nell’organizzazione di un viaggio in Giappone, Nagoya è una città il più delle volte esclusa, non considerata tra le possibili mete turistiche da visionare durante il cammino. Eppure, oltre a essere casa della Toyota, la città offre all’osservatore un notevole contrasto tra la dimensione moderna tipica di molte metropoli nipponiche, e alcune isole di storia, profondamente significative per la nazione intera, che valgono la deviazione almeno per una giornata.

Uno dei luoghi storicamente più interessanti di Nagoya è indubbiamente il castello, che ricorda ancora l’importante storia di questa città. Essa è infatti connessa alla famiglia Tokugawa, fondatori del grande e potente bakufu del XVII secolo che ha governato fino all’inizio dell’era Meiji (1868 - 1912).

Tokugawa Ieyasu, il capostipite della famiglia, compare più volte lungo la strada che conduce al castello, in particolare nel grande parco circostante, quasi a indicare con insistenza la via da seguire per scoprire (o ricordare) la grandezza delle sue gesta. E tra un viale alberato e un giardino giapponese con la piccola casa da tè che ristora dalla calura estiva, compare alla vista il castello: maestoso, con il fossato verde popolato dai cervi che sembrano conoscere l’importanza di quel luogo. Con i suoi tetti celesti che si stagliano nel cielo estivo, e il delfino dorato che salta enigmatico in cima ad essi, il castello di Nagoya mantiene ancora il fascino del passato, e il desiderio di far rivivere le abitudini antiche si riconosce nella ricostruzione di interi ambienti e scenari tipici del Giappone feudale. E quando si arriva in cima, quasi accanto al delfino, si domina con uno sguardo tutta la città e il territorio circostante, ricordo dell’incredibile potere dei suoi antichi inquilini.

 

Sono altri però i luoghi che rendono Nagoya degna di essere visitata; esistono infatti una serie di templi e santuari che contribuiscono a restituire alla città un antico fascino feudale, quasi a voler ricordare che la storia della nazione è passata da qui.

Il primo è un tempio buddhista della scuola Shingon, Ōsu Kannon, dedicato proprio a questo benevolo bodhisattva; a metà tra le strade trafficate e la famosa via commerciale “Ōsu – Naka”, vero e proprio inno allo shopping post-moderno, gli occhi si inondano del rosso del suo portale, con i possenti guardiani che ne proteggono l’accesso, e le ricche architetture del padiglione centrale. Un piccolo portale su un’altra dimensione, quello che spesso accade – qui come in tutto il Giappone – quando il mondo contemporaneo si lascia sorprendere da piccole memorie di un sentire antico. E allora, si segue il percorso che conduce fino in cima alle scale, dove in un silenzio intimo e sereno si può accendere un bastoncino di incenso all’ombra delle bianche bandiere che sventolano nel caldo vento estivo.

Ma forse ancora di più, un altro posto sembra aspettare il visitatore, per sorprenderlo con la sua sobria maestosità; è l’Atsuta-jingū, un santuario shintoista che si nasconde in un piccolo bosco buio e fresco nel cuore della città. Si tratta di uno tra i santuari più importanti in tutto il Giappone, poiché custodisce uno dei Tre Tesori Imperiali, la spada Kusanagi che porta l’impronta del complicato e potente dio Susanoo.

Il contrasto con il tempio buddhista è notevole; al posto del rosso accesso, qui predomina il legno, scuro e accogliente; al posto dei guardiani minacciosi, il grande torii apre a un mondo fatto di silenzio e di natura. Ecco, la natura domina assoluta questo posto, quasi a rivendicarlo, quasi a rivendicarne un’intima connessione, e mentre si procede verso la parte più nascosta del santuario, si ha la sensazione di procedere verso un luogo segreto, che porta la memoria di un remoto patto tra la natura e gli esseri umani.

 

Marianna Zanetta
Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2015/09/22/first-time-nagoya/