DA HEISEI A REIWA : COSA C'È IN UN NOME

Lo scorso 1° aprile alle 11:40 il Capo di Gabinetto Yoshihide Suga ha annunciato al mondo che Reiwa (令和) sarà il nome della nuova era (gengō). I criteri con cui il nome viene selezionato furono stabiliti nel 1979:

1) Ha un significato che possa ispirare positivamente i cittadini

2) È composto da due kanji

3) È facile da scrivere e da leggere

4) Non è mai stato usato in precedenza

5) Non è generalmente usato nella lingua comune

 

(source CNN)

Tradizionalmente il nome viene annunciato dopo l’ascesa di un nuovo imperatore. Tuttavia il governo ha deciso di renderlo pubblico prima della successione che avverrà il 30 aprile quando l’Imperatore Akihito abdicherà in favore del figlio, il Principe Naruhito, anche questo un evento che non si ripeteva da quasi 200 anni. Il Primo Ministro Shinzo Abe ha sottolineato come sia la prima volta che il nome è stato scelto dalla poesia giapponese e non da un classico cinese. Inoltre ha aggiunto che questi caratteri sono stati selezionati per esprimere “una cultura che nasce e viene cresciuta da persone che si uniscono tutte insieme meravigliosamente.”

L’opera in questione è il Man'yōshū (万葉集 - Raccolta delle 10.000 foglie), la più antica raccolta poetica giapponese costituitasi spontaneamente attorno alla metà del VII secolo nel periodo Nara. Non è tuttora chiaro chi sia stato a mettere insieme le varie poesie (circa 4500 in totale) anche perché i compositori furono molteplici e provenienti da diverse classi sociali (molti sono persino anonimi). Inoltre le poesie attraversano varie tematiche e molto probabilmente appartengono a epoche diverse. Per quanto riguarda il linguaggio, come del resto in molti altri classici della letteratura giapponese, troviamo un uso semantico e fonetico dei caratteri cinesi per riprodurre il giapponese orale. Infatti originariamente non esisteva in Giappone un sistema di scrittura proprio e per questo nel V secolo circa vennero introdotti i caratteri cinesi, ovvero i Kanji. Solo in seguito vennero creati i fonogrammi (kana) di Hiragana e Katakana.

Il passaggio che ha inspirato Reiwa è un poema scritto come introduzione a una serie di poemi dedicati all’ume (梅), l’albicocco giapponese. In particolare ‘Rei’ è usato in ‘Reigetsu’ ovvero ‘mese propizio mentre ‘Wa’ descrive la calma pacifica di una brezza primaverile.

「時、初春の令月にして、氣淑く風和ぎ、梅は鏡前の粉を披き、蘭は珮後の香を薫す。」

Traduzione: All’inizio della primavera nel mese propizio, il vento soffia piacevolmente con delicatezza. I fiori dell’ume stanno sbocciando bianchi come molte donne che si applicano la cipria bianca sul viso, la fragranza delle orchidee si diffonde come quella degli abiti profumati di incenso (letteralmente dei sacchetti profumati tipici). *

(source JAPAN Forward)

La scelta di ‘Rei’ ha inizialmente sorpreso non pochi visto che molti giapponesi associano 令 a 命令 (meirei), ovvero ordine, comando. Abe ha invece sottolineato come Reiwa stia a rappresentare il sogno di un Giappone dove tutti possano raggiungere le loro aspirazione e dove “ogni giapponese può avere i propri fiori che sbocciano con le loro speranze del domani come fiorisce l’ume, il quale sboccia in tutta la sua gloria dopo un duro inverno e diventa il precursore dell’arrivo della primavera.”  In aggiunta, sembra anche che un’altra delle ragioni che hanno spinto Abe e gli altri membri del Gabinetto a scegliere Reiwa sia stata l’intenzione di distanziarsi dalla letteratura cinese, la fonte tradizionale dei nomi delle precedenti ere, a seguito di un senso crescente di rivalità con la Cina. Tuttavia secondo gli esperti, il poema del Man'yōshū si basava su un classico poema cinese di Zhang Heng (78-139) che molto probabilmente era ben conosciuto in Giappone.

(source JAPAN Forward)

A tale proposito, Kenji Yamazaki, professore di Letteratura Giapponese alla Meiji University, sostiene che è quasi impossibile trovare una parola puramente giapponese utilizzabile come gengō vista la natura ibrida del sistema di scrittura. Ma è proprio la natura ibrida anche del Man'yōshū stesso che suggerisce una via per la nuova era che non è certamente nuova al Giappone: creare qualcosa di nuovo e ‘giapponese’ a partire da qualcosa che proviene dall’esterno, dall’altro.

Dello stesso parere è anche Asao Kure, professore associato della Kyoto Sangyo University, che evidenzia l’assoluta novità di prendere il nome da un testo letterario dedicato alla natura. Infatti mentre i nomi delle ere precedenti derivavano da principi politici (per esempio Heisei è traducibile come ‘raggiungere la pace’), Reiwa esprime una diversa filosofia sociale “che si focalizza di più sull’armonia dei rapporti tra gli individui per creare una società variegata invece di mettere avanti un principio specifico.”

Non possiamo certo stabilire con certezza cosa ci riserverà Reiwa solo interpretandone il significato perché sono in primo luogo le persone a forgiare il futuro, Reiwa è il risultato delle aspirazioni dei giapponesi a seguito di un presente pieno di incertezze. Se queste aspirazioni si concretizzeranno soltanto il tempo potrà dircelo.

*Traduzione dal giapponese moderno https://sweetie-pie.net/archives/5009#i-6  adattata dall'autore in italiano (il testo originale è scritto in un giapponese che non corrisponde più a quello corrente)

Erika Micozzi


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Ad ogni primavera

lo specchio della corrente

pare fiorito,

e per il ramo che coglier non posso

si bagnerà la mia manica.

Haru goto ni

nagaruru kawa wo

hana to mite

orarenu mizu ni

sode ya nurenamu 

春ごとに

ながるる河を

花とみて

おられぬ水に

袖やぬれなむ

Ise


Il Giappone al Fuorisalone 2019

Anche quest'anno il design giapponese è uno dei protagonisti del Fuorisalone di Milano.

Usate la nostra mappa per scoprire le iniziative più interessanti legate al Giappone!


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Pur entro l'anno che se ne va,

ecco, è arrivata la primavera.

Come chiamerei quest'anno ancora in corso,

l'anno passato

o l'anno nuovo?

Toshi no uchi ni

haru wa kinikeri

hitotose o

kozo to ya iwamu

kotoshi to ya iwamu

年の内に春は来にけり

ひととせを去年とやいはむ

今年とやいはん

Ariwara No Motokata

 


Okaa Sama - Mostra fotografica personale di Luca Vecchi

Okaa Sama
Mostra fotografica personale di Luca Vecchi
a cura di Paola Aloisio

Luca Vecchi (Roma, 1985) è volto noto al grande pubblico come sceneggiatore, regista e attore comico; cofondatore di The Pills, collettivo ironico e scanzonato con all'attivo oltre otto anni di attività su cinema, web e tv, Vecchi coltiva parallelamente una variegata gamma di interessi, fra cui spicca da sempre la passione per l’arte e la cultura giapponese.

La fotografia lo accompagna fin dagli anni degli studi in Tv e Cinematografia ed è come sintesi di questi due percorsi che l’artista propone al pubblico OKAA-SAMA // Onorevole Madre, la sua prima personale di fotografia, che è stata inaugurata martedì 12 marzo alle ore 17.30 presso la Fondazione Marco Besso, che ha sostenuto l’esposizione mettendo a disposizione la splendida cornice della location di Largo di Torre Argentina, 11.

Un primo passo, dunque, verso un approfondimento del proprio profilo artistico personale che vedrà Luca Vecchi continuare a proporsi come interprete originale
della scena romana, accanto all’impegno con i colleghi e OKAA-SAMA // Onorevole Madre.

Per secoli le donne, nel corso dello sviluppo della civiltà, sono state confinate nell'unico ruolo che il corpo, completamente in gestione a una società patriarcale, imponeva loro: quello di procreatrici. Dopo molti anni, in cui tante hanno combattuto per uscire da una condizione subalterna e per riappropriarsi dei propri diritti fondamentali, un importante traguardo è stato raggiunto, anche se per una sparuta minoranza: oggi le donne sono libere di scegliere se essere madri o meno. Una scelta che rende consapevoli di un percorso che, come un guerriero, si è pronte ad affrontare con devozione.

In Okaa-sama Lucca Vecchi veste le sue Madri di un’armatura, la Yoroi, come un antico guerriero giapponese, instaurando un parallelo tra la scelta del Samurai e la scelta che porta una donna a diventare Madre. Le Yoroi, imitando le fisionomie animali, erano concepite con lo scopo d’incutere terrore nell’avversario per penalizzarlo nello scontro: gli occhi e la bocca oscurati dal Kabuto (elmo) e dal Menpo (la maschera d’acciaio) contribuivano alla spersonalizzazione del guerriero, trasfigurandolo in una sorta di demone.
Nel lavoro di Vecchi, da queste terribili corazze emergono, delicate, forme femminili di diverse costituzioni ed età, colte nel momento dell’attesa. Le curvature dei soggetti, visti di profilo seguono alla perfezione la forma della spina dorsale o del grembo, come fossero una logica prosecuzione di essi. Un corpo investito di potere e nello stesso tempo di profonda vulnerabilità. Un corpo esposto. Il corpo nudo della donna in attesa rivela la fragilità e la maestosità dell’essere umano in una chiave che non vuole essere seduttiva, se non per il fascino che un essere superiore incute, ma celebrativa. Celebrativa di una condizione che come abbiamo detto: è voluta. Le modelle appaiono come statue nella loro severa compostezza che ispira rispetto e soggezione, immobili nell'attimo che precede la battaglia infinita che le coinvolgerà per il resto della vita. Il figlio/la spada che nascerà, potrà essere istruito/utilizzata dalla madre/ samurai per scopi morali o immorali: a fin di bene, o per conseguire il male.
Ed è per questo che il ruolo della madre/samurai è fondamentale. Le armature scelte dall’artista sono rappresentative di ogni status e vanno da quelle più povere, fino alle armature dei guerrieri più facoltosi. Allo stesso modo le madri che hanno collaborato ad Okaa-sama provengono da diverse situazioni e ceti sociali, da diversi percorsi di vita i cui segni sono visibili sui loro corpi nudi. 

Okaa-sama è dunque una visone collettiva che vuole celebrare una condizione, raccontandola con teatralità e trasgressione, con immagini forti e nell'insieme stranianti. Una condizione prettamente femminile che Vecchi interpreta
attraverso la figura del samurai e del rapporto con la sua spada.
L’artificio della ricostruzione delle armature e la scelta delle pose in studio riprendono concettualmente il lavoro di Marcelin Flandrin e la tradizione delle fotografie a banco ottico dei primi etnografi ed esploratori. Il linguaggio fotografico di Vecchi, però, è legato alle visoni ritrattistiche di Nadar e Robert Mapplethorpe, al rapporto emozionale di Richard Avedon con i suoi soggetti in un connubio tra armonia classica e caricatura grottesca, ma anche all’estetica pop dei manga giapponesi.

Un progetto fotografico audace quello di Luca Vecchi che, attraverso un percorso per immagini, coinvolgenti ed evocative ma allo stesso tempo disturbanti, conduce ad una interpretazione epica ed eroica della maternità: una visione personalissima che vuole riproporre in un certo senso l’archetipo della dea madre, culto primigenio di ogni civiltà.
La mostra è composta da 4 trittici, 8 dittici e scatti singoli fra cui una foto già premiata con il Mono Award; le opere sono proposte al pubblico in formato espositivo e a disposizione per l’acquisto in tiratura limitata.

Per informazioni
lucavecchi.press@gmail.com
3386765100 (Tc)


Alita – Angelo della Battaglia: le nuove frontiere del genere umano tra uomini e cyborg

L’anno era il 1990, appena due anni dopo l’uscita di "Akira" che aveva portato alla ribalta internazionale l’animazione giapponese. Esce in quell’anno 銃夢 ("Ganmu", contrazione di “Gun’s Dream”), tradotto in italiano come "Alita – Angelo della Battaglia" di Yukito Kishiro e di cui lo scorso 14 Febbraio è uscito l’adattamento cinematografico.

In un futuro distopico il Dr. Daisuke Ido ritrova in mezzo ai rottami la testa e il petto ancora intatti di un cyborg che ribattezza Alita in onore della figlia scomparsa una volta ricomposto il suo corpo (nel manga prende spunto dal nome del suo gatto in quanto la trama della figlia perduta è stata aggiunta nel film per sottolineare maggiormente il legame padre-figlia tra Alita e Ido). Alita, che non ricorda nulla del suo passato, si ritrova così a vivere nella “Città Discarica”, letteralmente una città situata al di sotto della ben più ricca città fluttuante di Salem a cui funge da discarica a cielo aperto. Qui Alita si ritroverà ben presto a fare i conti con una realtà fatta di violenza, pericolose gare di Motorball e spietati cyborg cacciatori di taglie.

Alita è solo l’ultimo di una lunga produzione legata al mondo del cyberpunk sia in Occidente che in Oriente. Nato sulla scia della science fiction degli anni ’60, negli anni ’80 raggiunge grandiosi apici creativi uscendo dai limiti del romanzo. Ad esempio il già citato Akira, ma anche Blade Runner (1982) per quanto riguarda l’Occidente. Pur nelle loro similitudini, la declinazione che il cyberpunk ha in Giappone è inevitabilmente legata alla storia e alla cultura di questo paese. Se in linea generale nel cyberpunk convergono tutti i timori e le ansie legate allo sviluppo tecnologico, queste paure sono sostanzialmente diverse. Il punto comune di partenza è il paradosso per cui ad un avanzamento tecnologico non solo non corrisponde un miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo, ma anzi l’iper-industrializzazione finisce per opprimere l’umanità. Il conseguente disagio sociale sfocia in sempre maggiori disparità tra classi, violenza e spesso anche fughe dalla realtà nel mondo virtuale che finisce per sostituirsi a quello reale.

Tuttavia in Giappone un tema che diventa ben presto caro all’immaginario popolare è quello della metamorfosi del corpo umano. Queste ibridazioni tra uomo e macchina sono terribili e spaventose: in Akira Tetsuo alla fine del film subisce una trasformazione che rischia di inghiottire la città stessa. In Tetsuo, The Iron Man (1989) di Tsukamoto Shinya, la metamorfosi del protagonista sembra voler quasi richiamare un film horror. Certamente nel folklore giapponese sono molte le storie di metamorfosi di dei e esseri umani, ma dopo l’orrore post-atomico le trasformazioni diventano terrificanti. Basti pensare a Godzilla, un mostro ibrido che si risveglia a causa della bomba atomica. 

Non sempre però la metamorfosi assume caratteri negativi. Ad esempio in Ghost in the Shell (1995) di Mamoru Oshii tutti gli uomini hanno parti cibernetiche e persino la memoria stessa diventa una simulazione che può essere inserita in un contenitore, per l’appunto uno shell. In altre parole tutto quello che definisce l’identità individuale diventa irrilevante e frammentato. Il vero io è definito da carne e sangue o forse è più reale il nostro io digitale fatto di informazioni e dati? La risposta a cui giunge il film non è però la totale distruzione della tecnologia nemica né tantomeno la sua sublimazione in caratteri umani, ma bensì l’accettazione del cambiamento completo. Uomo e macchina diventano insieme una nuova identità che supera il vecchio dualismo uomo vs macchina. Si diventa così post-umani in quanto l’essenza di un essere umano è slegata dalla sua forma corporea e rimane intatta se trasferita in un altro contenitore. Allo stesso modo Alita è un cyborg ma questo non la rende meno umana. Infatti oltre alle abilità fisiche che la rendono una combattente formidabile, i veri punti di forza di Alita sono l’amore e il coraggio di combattere per le persone a lei care senza arrendersi mai, caratteristiche queste che sono solitamente concepite come umane.

Cosa ci riserva quindi il futuro? Solo il domani potrà dircelo. Quello che è certo però è che siamo già dei nuovi prototipi di esseri umani. La tecnologia al di fuori del nostro corpo è ormai parte integrante della nostra identità frammentata. È sufficiente pensare a come il solo smartphone abbia radicalmente le nostre abitudini rispetto a 20 anni fa. E il cambiamento avanza inesorabile e veloce come una notizia gettata in pasto alla rete. Forse quasi senza realizzarlo, oggi siamo tutti un po' cyborg ma non per questo dobbiamo dimenticarci di essere umani.

 

Articolo di Erika Micozzi


La rivolta giapponese di San valentino

Il 14 febbraio è la festa degli innamorati, momento più atteso dalle coppie per festeggiare il proprio amore. Gli uomini innamorati durante questa festa omaggiano le proprie "Valentine" con bigliettini zuccherosi, fiori e tanti cuori. Si tratta di una tradizione che si tramanda da anni, ma lo sapevate che per le donne giapponesi questa festa rappresenta un vero e proprio incubo? Proprio così, nel Paese del Sol Levante non esiste la consuetudine tra gli innamorati di celebrare il proprio amore a lume di candela, ruota tutto in torno alla cioccolata. Vi chiederete cosa ci sia di tanto terribile nel ricevere un cioccolatino a forma di cuore avvolto in una luccicante stagnola rossa?  Le ragazze giapponesi sono le più coraggiose al mondo perchè la tradizione vuole che siano loro a prendere l' iniziativa, a  raccogliere il proprio coraggio e dichiararsi al ragazzo segretamente amato. 

Esistono tre diversi tipi di cioccolata:                                                                                                                              

-la giri-choko (義理チョコ),  "cioccolata dell'obbligo", si tratta di semplice cioccolata, comprata nei negozi e regalata dalle ragazze ai propri compagni di classe o colleghi di lavoro.       

-tomo-choko (友チョコ),  "cioccolata dell'amico",  è un regalo più sincero, regalato agli amici a cui si vuole bene davvero, talvolta anche tra ragazze;                                                                                                                           

 -la honmei-choko (本命チョコ), "cioccolata del prediletto",  viene regalata alla persona che si ama, quindi al proprio fidanzato o marito, o a qualcuno di cui si è innamorati e a cui ci si vuole dichiarare o comunque far capire i propri sentimenti. Questa cioccolata viene preferibilmente preparata in casa con le proprie mani e confezionata con cura.

Ma i tempi sono cambiati e le donne non vogliono più sottostare a questa tradizione che le costringe da anni a fare il primo passo e hanno deciso di boicottare la "cioccolata del prediletto" e quella "dell'obbligo". Alcune aziende hanno addirittura deciso di vietare nei loro uffici questo scambio di cioccolato come segno di solidarietà verso tutte le donne.

La rivolta femminista ha addirittura deciso di introdurre un nuovo tipo di cioccolata: "la cioccolata al contrario" che per la prima volta deve essere acquistata da un uomo e regalata alla propria amata.

Insomma quest'anno tutte le donne in Giappone si unisconi in un solo grido: "LA CIOCCOLATA LA COMPRO PER ME!"


KUSAMA-INFINITY

KUSAMA - INFINITY
di Heather Lenz
USA, 2018, 78’
Documentario

In sala dal 4 marzo

con Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema

CAST ARTISTICO

REGISTA:                                        Heather Lenz
PRODUTTORI:                              Heather Lenz, Karen Johnson, David Koh, Dan Braun
PRODUZIONE ESECUTIVA:        Stanley Buchthal, Josh Braun, Ryan Brooks, Brandon Chen, Jessica
                                                          Latham, Troy Craig Poon, Alice Koh, Simone Haggiag, Hajime Inoue

MONTAGGIO:                               Keita Ideno, Shinpei Takeda, Carl Pfirman, Heather Lenz, Sam Karp,
                                                          John Northrup, Nora Tennessen 

MUSICHE:                                       Allyson Newman

SINOSSI

Yayoi Kusama, icona giapponese per eccellenza, è una delle artiste più influenti della storia dell’arte
contemporanea, colei che ha fatto delle sue allucinazioni un’arte diventando l’artista donna più
venduta al mondo. Il film esplora la sua ascesa verso il successo mostrando da vicino il suo talento, le
sue ossessioni, la malattia mentale e le difficoltà incontrate durante il suo percorso, la sua significativa
importanza artistica e culturale.
Utilizzando il materiale d’archivio e quello inedito, viene raccontata in modo intimo la storia di
Kusama, attraverso le sue stesse parole e le toccanti interviste a direttori di musei, galleristi, curatori,
critici, collezionisti, amici e collaboratori. Esito di oltre un decennio di attività della regista, il
documentario getta una nuova luce su una protagonista assoluta dell’arte contemporanea del
Novecento e della nostra epoca.
La sua storia personale e professionale si intrecciano, il trauma di essere cresciuta in Giappone durante
la seconda guerra mondiale in una famiglia che scoraggiava le sue ambizioni creative, gli esordi non
facili in Patria, il trasferimento a New York dove era ostacolata dal sessismo e il razzismo che
caratterizzavano il mondo dell’arte a cavallo degli anni ’60 passando per i problemi connessi con la sua
salute mentale fino ai giorni d’oggi. Divenuta ormai l’artista più popolare al mondo, ideatrice di
abbaglianti e fantasiose creazioni a pois e conosciuta ai più per le enormi zucche colorate e le sue
Infinity Room, Kusama continua a dedicarsi all'arte a tempo pieno realizzando innumerevoli opere che
abbracciano varie discipline come la pittura, la scultura, l’arte performativa, il design e registrando con
le sue mostre record di pubblico nei principali musei internazionali.

NOTE DI REGIA
Ho conosciuto per la prima volta l'arte di Kusama mentre mi laureavo in Storia dell'Arte e Belle Arti.
All'epoca, studiavo storia dell'arte attraverso libri di testo spessi due pollici che raramente contenevano un solo paragrafo sull'arte prodotta dalle donne. Quando ho visto per la prima volta l'arte di Kusama, ho
immediatamente percepito un legame istantaneo con essa.
Mentre imparavo di più sulla vastità di lavori che Kusama ha creato durante la sua vita, in particolare a New York tra il 1958 e il 1973, ho realizzato che i suoi contributi al mondo dell'arte americano non erano stati adeguatamente riconosciuti. Successivamente, mentre studiavo per un MFA in Cinematic Arts alla USC, decisi di fare un film su Kusama per condividere la sua storia con un pubblico più ampio. Lì per lì non avrei mai potuto immaginare che Kusama sarebbe diventata l'artista femminile più venduta al mondo! Sebbene Kusama sia famosa per la sua parrucca rossa e i suoi pois colorati, ho pensato che includere il lato oscuro della sua storia da bambina durante la seconda guerra mondiale potesse aiutare a trasmettere quella parte della sua vita a un pubblico che non la conosceva onde evitare che venisse dimenticata. La sua è la storia di una pioniera che ha dovuto superare il sessismo, il razzismo e la malattia mentale per perseguire il suo sogno di essere un’artista. Spero che le persone trovino il film stimolante.

BIOGRAFIE
Yayoi Kusama (Artista)
La carriera di Yayoi Kusama, essendosi svolta per diversi decenni, ha oltrepassato due dei più importanti
movimenti artistici del XX secolo: la Pop art e il Minimalismo. l suoi lavori altamente influenti comprendono dipinti, performances, stanze a grandezza naturale, installazioni scultoree all’aperto, lavori letterari, film, moda, design e alludono tutti contemporaneamente a universi microscopici e macroscopici.
Ormai una delle artiste più famose al mondo, Kusama continua ad attirare un numero record di visitatori alle sue mostre a livello internazionale mentre le foto delle sue Infinity Mirror Room spesso diventano virali sui social media.
Kusama, che attualmente vive a Tokyo, continua irrefrenabilmente a creare arte e partecipare a mostre.
Negli ultimi anni ha esibito i suoi lavori presso prestigiose istituzioni internazionali tra cui il Centre Georges Pompidou, la Tate Modern, il Whitney Museum of American Art, il National Centre of Art di Tokyo e il Museo di Hirshhorn. L'anno scorso, Kusama ha aperto il suo museo personale a Tokyo con la mostra inaugurale “Creation Is a Solitary Pursuit, Love is What Brings You Closer to Art”.

Heather Lenz (Regista e Produttrice)
Scrittrice, regista e produttrice, Heather Lenz è appassionata di documentari e film biografici. È attratta
dalle storie di persone con menti creative che non hanno intrapreso un sentiero battuto (come Yayoi
Kusama). Il suo primo cortometraggio su un inventore di biciclette, Back to Back, è stato nominato per gli Academy Awards studenteschi ed è stato proiettato in festival cinematografici in tutto il mondo.

Lenz ha una laurea in Storia dell'Arte e Belle Arti presso la Kent State University. Ha anche conseguito un MFA in Cinematic Arts presso la University of Southern California. Lenz si è interessata per la prima volta a Kusama mentre studiava arte all’inizio degli anni '90. Quando ha visto per la prima volta il lavoro dell'artista giapponese è stato amore a prima vista. Ha capito subito che i contributi di Kusama nei confronti del
mondo dell'arte americano erano stati in gran parte trascurati. Kusama ha creato alcune delle sue opere più innovative dalla fine degli anni '50 fino ai primi anni '70 mentre viveva a New York, un periodo di tempo di circa quindici anni. Lenz ha dato origine al film su Kusama e ha lavorato per oltre un decennio per portare sullo schermo la sua incredibile storia e non avrebbe mai immaginato che durante la realizzazione del film Kusama sarebbe diventata l'artista femminile più venduta al mondo.
Durante la realizzazione del documentario, Lenz si è sposata con un giapponese. Il suocero (un ministro
buddista della 17esima generazione) e la suocera (esperta dell'arte morente della cerimonia del tè
giapponese) provengono entrambi dalla zona di Hiroshima e, come i genitori di Kusama, hanno avuto un matrimonio combinato. Il nonno di suo marito è stato ucciso dalla bomba atomica caduta su Hiroshima. È molto importante per Lenz che il suo film su Yayoi Kusama contenga i dettagli del lato oscuro della sua infanzia durante la seconda guerra mondiale, per far si che ciò venga tramandato ad una generazione più giovane ed evitare che venga dimenticato.
Lenz ha scritto sull’arte di Kusama contro la guerra per Specialten DVD Magazine.

Wanted Cinema è una società di distribuzione fondata nel 2014, che nel giro di pochi anni è diventata un punto di riferimento nel mercato cinematografico italiano, proponendosi con una linea editoriale molto chiara: un cinema di ricerca e "ricercato", per un pubblico che si aspetta non soltanto divertimento, ma anche pensiero, stimolo, dibattito, sorpresa, approfondimento.
Un catalogo di oltre 70 titoli, tra film e documentari, vincitori nei principali festival nazionali e
internazionali: premi del pubblico, della critica e con ottimi riscontri al Box Office. Tra questi: Il giovane Karl Marx, Lucky, David Lynch. The art of life, I am not your negro.
Nel 2016 partecipa a un bando di crowd-funding del Comune di Milano e viene scelta tra le realtà
meritevoli di essere supportate: la campagna è vincente e vede la nascita del CineWanted, realtà finalizzata a promuovere un’idea di cinema nuovo e socialmente impegnato. Nel gennaio 2018 inaugura il nuovo progetto Wanted Clan, nato dall'esigenza di reinventare la sala cinematografica tradizionalmente intesa proponendo uno spazio all'insegna dell'innovazione artistica e della sperimentazione mediale.
Tutti i nostri titoli: http://wantedcinema.eu/catalogo/

Ufficio stampa Lo Scritto
via Crema 32 - 20135 Milano
Tel. +39 02 78622290-91
www.scrittoio.net


Il libro del sake e degli spiriti giapponesi di Stefania Viti

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Dopo aver raccontato sushi e ramen, Stefania Viti, giornalista e comunicatrice, esperta in cultura giapponese, presenta, in collaborazione con Miciyo Yamada, un altro grande protagonista della cultura enogastronomica del Sol Levante: il sake o,  più propriamente, nihonshu.

Edito da Gribaudo,Il libro del sake e degli spiriti giapponesi – Storia dei liquori nipponici con cocktail e curiosità approfondisce inizialmente l'iconica bevanda alcolica ricavata dalla fermentazione del riso attraverso la sua storia e cultura, per poi analizzarne la produzione. Sake, ma non solo. il volume parte infatti dal sake, trattato nelle prime due sezioni, ma si apre successivamente a tutto il mondo del beverage made in Japan nella parte Oltre il sake. È così offerta l'occasione di scoprire la straordinaria varietà degli spiriti giapponesi : dalla birra ai distillati - come lo shōchū o l'awamori tipico di Okinawa -, dai liquori come l'umeshu, a base di ume, il prugno asiatico o lo yuzushu - ai samurai spirits, come whisky, gin e rum.

Chiude il libro la parte dedicata all'arte del mixology e dei cocktail. cinque differenti cocali - il Lamp Bar di Nara, creato da Michito Kaneko (World Class Global Bartender of the Year 2015), l' Octavius Bar at the Stage, Zuma di Roma, Sakeya The House of Sake di Milano e il concept store Tenoha sempre a Milano - offrono la loro personalissima interpretazione dei drink creati con liquori nipponici.

Di grande interesse le interviste distribuite in tutto il volume che contribuiscono ad arricchire la narrazione intorno al sake e alle altre bevande descritte. Tra le altre, quelle a Fukuyo Shinji, Suntory Spirits Chief Blender, a Misawa Koji, esperto di sake, tra i primi ad importare questa bevanda in Italia, e a Giovanni Municchi, unico italiano che può essere definito kurabito, termine con cui in giapponese è  indicato colui che lavora nella sakagura, la cantina di sake.

cocktail

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Skincare giapponese: il ritorno del J-beauty dopo il boom coreano

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Negli ultimi anni i prodotti di bellezza coreana hanno dominato il mercato occidentale, famosi per i loro packaging accattivanti, i detergenti naturali e le creme al gel di lumaca. Questo approccio della Corea al mondo della bellezza, sempre a caccia degli ultimi trend, effettivamente è diventata di tendenza.

Negli ultimi mesi, tuttavia, sta nuovamente emergendo la J-Beauty (japanese beauty), attirando l'interesse dell'Occidente. 
"L'approccio giapponese alla bellezza riguarda più la tradizione, una serietà silenziosa, il lusso discreto e una presenza minimal rafforzata da una lunga tradizione di bellezza" spiega Anna-Marie Solowij, ex beauty editor di Vogue UK e co-fondatrice del brand Beauty Mart. 

La bellezza e il benessere sono da tempo parti importanti della cultura giapponese, si tratta di scienza combinata con la natura - ingredienti chiave che per secoli sono stati usati nei rituali giapponesi.

Le donne giapponesi mettono più enfasi sulla semplificazione della loro routine di bellezza con prodotti che offrano più di un beneficio, soprattutto a lungo termine.

Entro il 2020, (secondo le previsioni del Financial Times), i prodotti di cosmesi giapponesi, ad esempio quelli del colosso Shiseidoregistreranno un forte incremento delle vendite.

 

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Se la cosmesi coreana trova nelle tendenze il suo punto di forza, la J-beauty preferisce puntare le sue radici nella tradizione e investendo sulla tecnologia, al fine di creare prodotti validi nel lungo termine.