Cucina giapponese

dashi1Dashi – brodo di pesce

Ingredienti
2-3 cm di nori (alga), 5 tazze d'acqua, 1 tazza di tonno secco spezzettato, 2 cucchiaino di sale, 1 cucchiaino di salsa di soia

Preparazione
Sciacquate bene il nori e mettetelo in casseruola con le 5 tazze d’acqua. Portate a forte bollore, scolate il nori e tenetelo da parte per il dashi. All'acqua, sempre in ebollizione, aggiungete il tonno secco; poi togliete immediatamente la casseruola dal fuoco e lasciate riposare 2 minuti.
Filtrare con un panno pulito, passando il brodo in un altro recipiente; conditelo con il sale e la salsa di soia. Leggere di più


Cucina giapponese

riso-per-sushiRiso sushi

 

Ingredienti

500 gr. di riso giapponese a chicco piccolo

½ bicchiere di aceto di riso

2 cucchiai di zucchero semolato

½ cucchiaino di sale

 

Preparazione

 

1 Lavate il riso in acqua fredda, continuando a cambiare l’acqua finché quest’ultima non risulta chiara. Lasciatelo a bagno per 15 minuti, dopodiché scolatelo con cura e lasciatelo riposare per altri 10 minuti.

 

2 Mettete il riso in una pentola, coperto con una dose d’acqua pari al suo peso (500 ml), a fuoco alto finché non bolle; al bollore, abbassate la fiamma e cuocetelo per 10-15 minuti. Toglietelo dal fuoco e fatelo riposare per 15 minuti.

 

3 Passate il riso nell’apposito contenitore di legno, l’hanghiri; sciogliete lo zucchero e il sane nell’aceto, riscaldando appena il tutto. Fate raffreddare la miscela, quindi versatela sul riso, facendola colare prima sul cucchiaio per distribuirla meglio.Leggere di più


Cucina giapponese

kamaboko4Kamaboko – polpettine di pesce

Ingredienti

500 g di filetti di sogliola, 2 cucchiai di maizena, 1 cucchiaino di sale, 1 cucchiaino di zucchero, 1 cucchiaino di salsa di soia, ¼ di cucchiaino di glutammato monosodico, 1/3 di tazza d'acqua fredda, grasso o olio abbondante per friggere

Preparazione

Diliscate delicatamente il pesce e pestatelo o passatelo al tritacarne fino ad ottenere un impasto di grana finissima. Amalgamatevi la maizena, il sale, la salsa di soia, il glutammato monosodico, lo zucchero e tanta acqua quanta ne può assorbire mantenendo una ferma consistenza; ricavatene polpette piuttosto dorate e croccanti.
Sgocciolatele, passatele su un pezzo di carta assorbente per eliminare l'unto in eccesso e servitele calde.

Tratto da cookaround.com


Lo Hanami: l'esaltazione della natura giapponese

hanami1Il Giappone è famoso per il suo rapporto armonioso con la natura: l’idealizzazione di tale rapporto invade la quotidianità del mondo nipponico, costituendo anche la maggior parte delle metafore linguistiche esistenti.

Questo fa sì che il cambio delle stagioni (四季shiki) sia particolarmente sentito da ogni individuo giapponese, al punto da ritualizzarne l’unicità, come succede con l’arrivo della primavera.

L’inizio della primavera rappresenta in Giappone una rinascita, che sottolinea il sollievo della fine dell’inverno. Perché questa rinascita sia vissuta globalmente, si festeggia facendo un hanami 花見(hana “fiore” + mi “guardare”), dove per “fiore” si sottintende il ciliegio in qualità di fiore tradizionale. Considerato da un punto di vista antropologico un rito di passaggio e al contempo un rito di aggregazione, esso consiste nel costituire un gruppo che si trasferisce in un luogo vicino ai ciliegi in fiore nel pieno della città di Tokyo (meta prediletta da tutta la popolazione giapponese), dove sia possibile osservarli al riparo dal vento e su un telo blu, dove si consumerà un appetitoso pic-nic accompagnato da tanto sakè. Questo telo blu rappresenta metaforicamente lo  spazio all’interno del quale ogni individuo, scalzo, condivide un ambiente “intimo” con i suoi amici, o familiari, o colleghi, depositando il sé fuori dallo spazio delimitato dal telo: al suo interno gli è possibile esprimersi liberamente, scevro dai precetti morali che generalmente caratterizzano la vita giapponese.

Lo Hanami rappresenta dunque un’occasione di esaltazione della cultura tradizionale giapponese fortemente ancorata alla natura, e, contemporaneamente, un modo perché il senso del gruppo, pilastro della società nipponica, possa rafforzarsi di fronte all’effimero della vita.

Elena Ghilardi


Tosa Nikki

Ki no Tsurayuki

Il “diario di Tosa” è un'opera scritta nel 935 da Ki no Tsurayuki, un poeta della ristretta cerchia imperiale che un anno prima era stato nominato governatore della remota provincia di Tosa, e che quindi aveva dovuto abbandonare la capitale.

Nel diario vengono descritti i 55 giorni di viaggio e di traversata per tornare alla capitale Kyoto, conservando sempre il distacco dell'osservazione disinteressata senza mai esprimere giudizi morali o di classe sulle persone incontrate. Osserva quindi la realtà per cogliere la pienezza della vita; in questo modo ha la forza di affrontare le asperità del viaggio e dell'esistenza, visto che nella città di Tosa aveva perso la figlia. Il testo è quindi pieno di osservazioni sulla vita, sulla caducità ed ineluttabilità del destino e il senso dello scorrere del tempo è dato dai vari rituali, cerimonie e festività.  I sentimenti dominanti sono tristezza, sconforto e ansia che sembra svanire con l'avvicinarsi a luoghi noti e a Kyoto. Leggere di più


Tokyo: un nome, un'immagine, un'emozione

Immensa… caotica… travolgente… luminosa… eccentrica… indecifrabile… e potrei cercarne un’infinità di aggettivi nel mio impossibile tentativo di trasmettere le intense sensazioni, irripetibili, che questo macrocosmo mi ha trasmesso per tutta la durata del mio soggiorno in Giappone… TOKYO.

Prima di partire sentivo naturalmente l’esigenza di informarmi il più possibile su quella che sarebbe stata la mia casa per i mesi a venire soprattutto perché, ascoltando i pareri e le impressioni di persone che prima di me avevano vissuto un’esperienza simile, mi trovavo in evidente stato confusionale e mi ero resa conto di non avere davvero la più pallida idea di cosa mi aspettasse.

Sfogliando Tokyo-to di Livio Sacchi, un libro sulla città di Tokyo, lessi che dal punto di vista urbanistico e architettonico è considerata uno scempio, una bruttura indescrivibile, la morte dell’architettura in sostanza e di ogni principio di equilibrio visivo e psicologico! Per precisione voglio riportarne alcuni punti salienti: “Tokyo è abbastanza orrenda; una Los Angeles in peggio, giacché il sovraffollamento spasmodico preme sopra una struttura spampanata” (Alberto Arbasino); “Tokyo è una città spaventosa, la più grande e la più brutta del mondo […] l’urbanistica è caotica, non esiste […] la caricatura di alcune ossessive prigioni di Piranesi” (Cesare Brandi). Leggere di più


La potenza dei taiko

taikoAvevo già avuto il piacere di ascoltare un concerto di taiko, per questo, alla notizia che anche a Mantova ci sarebbe stata un'esibizione dei tradizionali tamburi giapponesi, mi sono affrettata ad assicurarmi un posto tra le prime file. Ad esibirsi c'era il gruppo Masa Daiko, proveniente dalla Germania e capitanato da Masakazu Nishimune che l'ha fondato nel 1996, e l'organizzazione dell'evento è ad opera di “Vento tra i salici” e dell'associazione “Gohan”.

Le luci si abbassano, i percussionisti salgono sul palco nella penombra della sala; poi d'improvviso una bacchetta colpisce uno dei taiko disposti con precisione e comincia una musica lenta, cadenzata, profonda, le vibrazioni sembrano penetrare nell'anima di chi ascolta; poi il ritmo aumenta, i suonatori battono i loro tamburi in una incantevole coreografia di gesti e movimenti, di tanto in tanto urlando brevi incitamenti. I colpi vibranti diffondono una musica ancestrale che risveglia qualcosa in fondo allo stomaco, un richiamo potentissimo che rapisce chiunque sia seduto nella platea; esecuzione dopo esecuzione, la magia dei taiko comunica tutta la sua sensualità, il suo virtuosismo, la sua potenza. Ma ci sono anche momenti delicati e poetici, come quando Nishimune canta con una voce bellissima e triste, una canzone sui ciliegi in fiore; e allora mi prende una tale nostalgia del Giappone che una lacrima scende inaspettata.

Per tutto il concerto, gli otto artisti sembrano animati da un vigore e da una passione senza pari, tanto che la loro fatica viene tradita unicamente dal sudore che imperla i loro volti. “Il taiko giapponese riempie di nostalgia e fa vibrare di emozione” leggo sul libretto che ho comprato in occasione del concerto. E sono d'accordo, perché ancora quando mi allontano dall'auditorium nell'aria fresca della sera, piccoli brividi percorrono la mia anima.

 

Elena Caloisi


Le regole scolastiche

Nelle scuole giapponesi le regole cui sottostare sono numerosissime ed è quindi inevitabile che lo siano anche le occasioni di violarle.

Fino a non molto tempo fa esistevano dei veri e propri manuali di regole, emanati da ogni istituto, sul quale vi era il “codice comportamentale” da seguire. Tali libretti esistono ancora oggi, anche se utilizzati a discrezione dell’istituto. Tra le più universali e banali vi sono la lunghezza dei capelli che non deve superare una certa misura (e, in tal caso, l’obbligo di raccoglierli per le bambine), la lunghezza delle gonne, il colore dei calzini, la grandezza degli zainetti, l’obbligo dell’uniforme, l’assoluto divieto di usare cosmetici per le ragazze e di raggiungere l’edificio scolastico in moto.

Il fatto che a partire dalle scuole elementari le norme educative e comportamentali siano così numerose, fa sì che a casa i bambini al di sotto dei 5 anni siano lasciati abbastanza liberi, in quanto dovranno sottostare ad altre rigide limitazioni, imposte dagli istituti scolastici che frequenteranno.

Elena Ghilardi


Lo studio della lingua inglese in Giappone

Foto di Alessio Guarino
www.alessioguarino.it

Considerando l’enorme crescita economica negli ultimi decenni, si è sentita l’esigenza di una componente educativa che sviluppasse un senso di internazionalizzazione – kokusai ka – per poter comunicare con i Paesi esteri, senza dover utilizzare il complicato sistema di lettura e scrittura giapponese.

Furono suggerite svariate proposte già nel 1984 dal Comitato per lo Sviluppo Economico del Giappone – Keizai Doyuka -, tra cui corsi di lingua e cultura inglese nelle scuole, uno slittamento dell’inizio delle lezioni da aprile a settembre per permettere agli insegnanti, professori e studenti di partecipare a scambi internazionali ed interculturali, ed infine l’apertura ad un numero maggiore di studenti stranieri nelle università giapponesi.

Fin dall’era Meiji (1868-1912) gli studi inglesi erano considerati essenziali per importare la tecnologia europea e statunitense necessaria per la modernizzazioni del Paese, soprattutto dopo il lungo periodo d’isolamento che lo portò a chiudersi in se stesso.

Oggi l’inglese è la lingua straniera più studiata e diffusa nell’arcipelago; tuttavia continuano ad esserci ampie carenze di comunicazione ed è difficile trovare un cittadino giapponese che conosca perfettamente tale lingua. A questo proposito alcuni colpevolizzano l’utilizzo del sillabario katakana giapponese, col quale la popolazione del Sol Levante trascrive tutti i termini straneri: questo potrebbe essere uno dei motivi per cui risulta difficile entrare nell’ottica dello studio di una lingua straniera.

Elena Ghilardi


Kenzaburo Oe, mio figlio mi parla in silenzio

 Il premio Nobel giapponese Kenzaburo Oe racconta come comunica col figlio attraverso la musica.

“Mia moglie e io abbiamo un figlio con un handicap mentale. Tra le due parti del suo cervello mancano connessioni importanti: perciò non potrà mai collegare le parole al loro significato. Così hanno detto i medici dopo il primo, difficile intervento chirurgico. All’epoca, Hikari era un bebè.

Naturalmente io e sua madre siamo rimasti choccati da questa diagnosi. A chi la osservava dall’esterno, mia moglie non mostrava nessuna reazione, nessuna delusione né tristezza, nulla. Anch’io mi sentivo come se avessero cancellato i miei sentimenti. Però, combattevo contro i fatti, e allo stesso tempo mi odiavo. Ho scritto un libro sulla fase traumatica che abbiamo attraversato dopo la nascita di Hikari; la scrittura mi ha aiutato a superare la rigidità. Dopo di che, mio figlio diventò il centro della mia vita. Imparai a convivere con il suo silenzio, poiché non desideravo più lottare per cercare di superare il suo handicap.

Hikari è nato il 13 giugno 1963. Dall’agosto dello stesso anno, quando subì la sua prima operazione al cervello, ero ossessionato da lui. Vivevo senza sogni, sia buoni sia cattivi. A volte pensavo fosse meglio che Hikari morisse, e un istante dopo mi chiedevo che razza di uomo fossi.Leggere di più