Haiku - Al suo termine, la strada

Al suo termine, la strada

si avvicina al profumo.

Biancospini in fiore.

 

michi taete

ka ni semari saku

ibara kana

 

-Yosa Buson


4 architetture contemporanee pazzesche che non puoi proprio perderti in Giappone

Il Giappone è, forse, terra di contraddizioni conciliate, dove la tradizione e l’iper-moderno convivono senza che lo sguardo ne venga disturbato. O almeno, non eccessivamente. Se alcuni giapponesi rivedono in questo un aspetto caratterizzante il loro territorio, altri rispondono forse che il paesaggio nipponico – soprattutto quello delle grandi metropoli – può risultare un po’ 変  (hen): strano, particolare, curioso, eccentrico, a tratti disordinato. Non sorprende mai trovare sul nostro cammino antichi santuari shintoisti in legno accanto a super moderni grattacieli dalle forme asimmetriche.

Nonostante il prolungato periodo di chiusure, il Giappone non manca di stupire a proposito di grandi opere: l’estetica del nuovo-antico esplode in progetti architettonici che non dovreste proprio perdervi. 

 

  • Louis Vuitton Ginza Namiki, Tokyo

 

Dall’opera sinergica di Jun Aoki e Peter Marino, che già nel 2020 avevano stupito gli abitanti di Osaka con un edificio per lo stesso brand ispirato a un battello, nasce la struttura per il nuovo negozio di Louis Vuitton a Ginza, Tokyo. L’edificio sembra letteralmente uscito dalle profondità marine, in vetro riflette tutto ciò che lo circonda come uno specchio d’acqua. La rivista Domus paragona le vibrazioni provocate da questo edificio al Vaporwave, concetto estetico applicato a diversi generi di prodotti (musica, fotografia, abbigliamento etc.) che rimanda a una dolce e calma distorsione del mondo di cui facciamo esperienza. Un guardare la realtà con occhiali particolari, che rilassano lo spettatore. 

Quest’edificio, composto da un solo blocco principale, appare allo stesso tempo resistente e fluido, pronto a trasportare chi vi passa accanto in un mondo altro.

 

  • Cartier a Shinsaibashi, Osaka

Klein Dytham architecture, studio di architettura conosciuto a livello internazionale, specializzato anche in design d’interni, interventi urbanistici e installazioni ha sede ìa Tokyo. Ha fornito un aspetto tutto particolare alle vetrine di Cartier di Osaka. Il negozio si trova nel quartiere commerciale di Shinsaibashi, all’incrocio con diversi negozi dall’aspetto moderno e materiali metallici. Lo studio mette in evidenza come, al contrario, la facciata in legno conferisca un’atmosfera diversa al luogo. 

La tradizionale attenzione per i materiali del luogo tipica giapponese, come l’uso del legno (legno hinoki), è corredata dal tipico uso degli incastri per le costruzioni: una reinterpretazione tutta in chiave contemporanea di una precisione eccelsa. 

I blocchi, nella notte, creano uno spettacolo tutto particolare, essendo corredati da luci LED. 

 

L’edificio è, dunque, come dichiarato dallo studio, insieme un omaggio alla tradizione dell’artigianato giapponese, insieme a quella del marchio Cartier. 

 

  • Four Leaves Villa, Karuizawa

KIAS studio (Kentaro Ishida Architects Studio) realizza una spettacolare residenza nella foresta di Karuizawa, fuori dalla caotica metropoli di Tokyo. L’edificio, pensato per una committenza specifica, è una struttura che identifica la linea sottile che corre tra l’antico e il nuovo Giappone. 

La residenza non è fatta per distinguersi tra le fronde degli alberi, ma anzi per entrare a far parte del paesaggio circostante. 

È composta da tre volumi principali, il materiale dominante è ovviamente il legno. Il tetto, ricurvo in più installazioni, non ha un andamento verticale ma piuttosto si adagia sui volumi delle mura, adattandosi all’orientamento orizzontale del terreno, come una capanna che protegge dagli imprevisti della foresta. La conformazione del tetto fa sì che gli interni abbiano altezze variabili, a enfatizzare la dinamicità degli spazi. 

Questa residenza, nonostante le linee decisamente moderne, è in linea con la tradizionale giapponese di equilibrio con il contesto naturale. La casa, è anch’essa parte della foresta, elemento naturale come gli stessi alberi. 

 

  • Shiroya Inn, l’hotel di Maebashi

L’Hotel Shiroya Inn, rinnovato da Sou Fujimoto, è una ventata di fresco tra le strade di Maebashi. Azione avvenuta nel senso della riqualifica, si avvale, oltre che a Fujimoto stesso, di un team di artisti d’eccellenza, tra cui Jasper Morrison, Michele Lucchi, Leandro Erlich e anche Tatsuo Miyajima. 

L’albergo era un luogo storico di Maebashi, chiuso nel 2008, ha riaperto con un nuovo aspetto tutto particolare. 

Se l’azione principale e più evidente è stata quella di aggiungere all’edificio principale una grossa collina erbosa con alcune piccole cabine, ciò che è spettacolare dell’albergo continua all’interno. Interno quasi labirintico, prevalentemente in cemento - in contrasto con gli esterni ma fedele al suo antico aspetto – l’elemento vegetale vi si insinua con naturalezza. Su questa collina sono presenti piccole stanze, ma anche spazi comuni come saune. 

Ogni artista si occupa di un aspetto particolare dell’albergo, come installazioni e opere d’arte pensare ad hoc, inoltre sono presenti all’interno stanze rinnovate appositamente dal singolo artista, nel loro stile particolare. 

L’enorme atrio interno è corredato da un’installazione luminosa pensata da Erlich, ispirata al romanzo di Italo Calvino “Le città invisibili”: in una delle storie esiste un edificio invisibile, ma di cui si vedono tubi e condotti elettrici. 

 

 

Fonti e link utili:

http://www.klein-dytham.com

https://www.domusweb.it/it/architettura/gallery/2021/03/25/il-nuovo-negozio-louis-vuitton-ginza-namiki-a-tokyo--un-edificio-vaporwave.html

https://www.kias.co.jp/four-leaves-villa

http://www.sou-fujimoto.net

https://www.dezeen.com/2021/04/12/sou-fujimoto-shiroiya-hotel-renovation-japan/

 

a cura di Susanna Legnani

 


Tanka - La foglia di loto,

La foglia di loto,

che l’anima serba pura

nell’acqua torbida,

perché ci induce a confondere

la rugiada con le gemme?

 

Hachisuba no 

nigori ni shimanu 

kokoro mote

nani ka wa tsuyu o 

tama to azamuku

 

-Henjou


Haiku - Una lumaca 

Una lumaca 

è strisciata

sugli stuzzichini del sake.

 

katatsuburi

sake no sakana ni

hawasekeri

 

-Takarai Kikaku


Tutti i titoli giapponesi su Netflix

Per tutti coloro appassionati di cultura giapponese o che semplicemente hanno voglia di spezzare la noia estiva, abbiamo creato una nuova rubrica in cui vi proporremo i titoli giapponesi più interessanti presenti sulle diverse piattaforme di streaming.

 

Rorouni Kenshin

Partiamo oggi dal catalogo Netflix: se siete appassionati di saghe cinematografiche hollywoodiane, c’è un titolo tutto giapponese che potrebbe fare al caso vostro, stiamo parlando di Rorouni Kenshin.

Si tratta di una serie di live action adattati dal manga Kenshin - Samurai vagabondo di Nobuhiro Watsuki e dal relativo anime.

La saga conta ad oggi ben 5 film, di cui il primo è uscito nel 2012 e l’ultimo, recentemente, nel 2021.

Ambientato nell’epoca Meiji, il film racconta la storia di Kenshin Himura, interpretato da Takeru Satou, un giovane ex-samurai reduce delle rivolte che dieci anni prima segnarono l'inizio della nuova epoca moderna.

Conosciuto per la sua straordinaria forza e ferocia con il nome di Battousai, è ora uno spadaccino errante che ha vietato a se stesso di uccidere ancora. Come promemoria del suo voto, porta con sé una katana a lama invertita, con cui difende i propri compagni dai nemici e dagli oppressori che di volta in volta si troverà ad affrontare.

La prima pellicola ripropone una storia alternativa dei primi capitoli del manga. La seconda e la terza sono uscite a distanza di qualche mese nel 2014 e narrano la saga di Kyoto. La quarta e la quinta sono uscite entrambe nel 2021. La prima rappresenta l’arco finale della saga, mentre la seconda è un prequel che parla del passato del protagonista.

L’uscita di ogni film è accompagnata da una nuova canzone degli One Ok Rock, una band giapponese molto famosa anche in Occidente, ormai titolare di tutte le ending. Per questo scopo sono infatti uscite canzoni che probabilmente conoscerete come The Beginning, Mighty long Fall, Heartache, Renegades e Broken Heart of Gold.

 

Yasuke

Il secondo titolo che vi consigliamo è un anime storico.  Si chiama Yasuke e si tratta di una serie giappo-americana che rilasciata su Netflix nel 2021. Creata da LeSean Thomas e animata dallo studio MAPPA (un nome una garanzia) e basata sulla figura di Yasuke, un guerriero africano che servì il daimyo Oda Nobunaga nel XVI secolo in Giappone.

In aggiunta alle clamorose animazioni, possiede una notevole colonna sonora composta da Flying Lotus, musicista e rapper statunitense che ha raggruppato elementi hip-hip con percussioni giapponesi e africane.

Inoltre, si tratta di uno dei pochi anime, non basato su un manga, ma da cui è nato un adattamento a fumetti, pubblicato su Monthly Big Comic Spirits a partire da Luglio del 2021.

 

Alice in Borderland

Con il terzo titolo, andiamo invece nell’epoca moderna, anzi distopica.

Parliamo, infatti, di Alice in Borderland, una serie televisiva di genere fantascientifico e drammatico basata sull’omonimo di Haro Aso.

Arisu, il protagonista, interpretato da Kento Yamazaki, è un giovane disoccupato che passa le sue giornate a giocare ai videogiochi con i suoi migliori amici, con cui un giorno si ritrova in una Tokyo abbandonata.

Quando iniziano la loro ricerca di civiltà, il trio scopre di essere intrappolato in una città in cui sono costretti a partecipare a dei game molto pericolosi per sopravvivere.

Dopo aver lanciato la prima stagione nel 2020, la serie è stata subito rinnovata per una seconda che dovrebbe arrivare a dicembre del 2021, covid permettendo.

La colonna sonora è stata composta interamente da Yutaka Yamada, che aveva precedentemente lavorato nei live action di Bleach del 2018 e Kingdom del 2019.

 

 

Amanda De Luca


Le stampe giapponesi di Obon

Una delle festività più importanti e sentite durante l’anno in Giappone è sicuramente quella dell’Obon (お盆), che si svolge dal 13 al 16 agosto in tutta una serie di diversi festeggiamenti. Molte antiche stampe giapponesi ritraggono questo insieme di riti, e possono dunque trasportarci direttamente nelle celebrazioni, proprio com’erano alle origini.

I riti sono di origine buddhista, ma non si può certo dire che questa festa sia di sola origine importata: elementi del buddhismo si uniscono a elementi di shintoismo e confucianesimo, nel sincretismo tipico dei culti giapponesi.

Obon viene celebrato per accogliere le anime dei defunti che in questo periodo di tempo tornano a riunirsi ai propri cari, i quali di solito ritornano nei luoghi natii a visitare le tombe degli antenati.

I defunti provengono da luoghi lontani, impenetrabili per l’uomo, e quando giungono alle case dei propri parenti vengono accolti, celebrati, per poi essere ricondotti verso quel mondo lontano, questa volta via mare. Questo viene chiamato rito del Tōrōnagashi: per ogni spirito viene accesa una lanterna che poi si lascia andare in corsi d’acqua, e la si vede allontanarsi di nuovo, verso quel mondo inaccessibile.

Altari sono allestiti nelle case, decorate e preparate per la visita degli antenati. Altari speciali sono anche preparati per persone decedute di recente (in questo caso, la cerimonia è particolare e viene chiamata Hatsubon 初盆).

 

I preparativi

In questa stampa del periodo Edo (1615-1868) firmata da Shibata Zeshin una donna si accinge ad appendere una lanterna in occasione della festa. La lanterna viene appositamente costruita e accesa per accogliere gli spiriti dei defunti. Queste di solito vengono collocate davanti alle case, per aiutare gli spiriti a ritrovare la via corretta per riconciliarsi con i propri cari. Saranno poi le lanterne che verranno lasciate andare nei corsi d’acqua, così che gli antenati possano fare ritorno nell’aldilà.

Nella stampa emerge il contrasto tra il delicato ma cupo yukata della donna e il suo cane e il colore chiaro utilizzato per la lanterna. Il tutto è agitato da una brezza estiva, che muove il vestito della donna e anche la lanterna, sentore che questa preparazione sarà anticipatoria dell’arrivo di qualcuno, che anche il vento porta.

 

https://collections.mfa.org/objects/231757

Questa seconda stampa risale ancora al periodo Edo, firmata da Katsukawa Shunshou. I primi giorni di Obon, tra il 13 e 14 agosto, le case vengono messe in ordine, decorate, pulite e adornate con piante, frutta e oggetti sacri. Sono ritratte due donne e un ragazzo che comprano e raccolgono fiori per la festività, per accogliere i defunti in maniera adeguata. Lo scenario è notturno, e ancora l’attenzione è posta sugli elementi in luce: le persone che portano doni, i sentieri che gli spiriti attraverseranno, le case dove verranno ospitati.

 

 

Le preghiere per i defunti e il Bon Odori

Il giorno 15 di agosto è quello in cui avvengono le vere e proprie preghiere per i defunti, onorati nei loro luoghi di sepoltura e davanti agli altari casalinghi, anche attraverso tutti i doni che erano stati preparati precedentemente.

Questa giornata è dedicata a delle danze speciali, chiamate Bon odori 盆踊り, sempre a celebrazione degli antenati accolti di nuovo nella vita terrena.

I festeggiamenti continuano sino allo spuntar della luna, al ritmo di tamburi, spesso accompagnati da fuochi d’artificio. La stampa risale all’era Showa (1926-1989), di Takahashi Hiroaki. Un gruppo di persone nell’oscurità, illuminate da un lieve chiaro di luna, ballano e festeggiano il ritorno tra i vivi di chi li aveva lasciati tempo fa. La celebrazione del ritorno dei defunti è momento di gioia e festa, le danze si protraggono a ritmi sempre più incalzanti.

 

 

Il momento dell’arrivederci

Il giorno 16 agosto, ultimo delle celebrazioni, è quello del commiato. Un arrivederci a quelle anime che sono rimaste con i vivi per qualche tempo, a ricordare la loro presenza.

La cerimonia del Tōrōnagashi è molto suggestiva e conciliante: le lanterne vengono riposte lungo corsi d’acqua per riaccompagnare dolcemente gli antenati nell’aldilà. È uno scenario di conforto: gli spiriti dei cari perduti, dopo essere stati presenti nelle case dei propri parenti, ritornano nel luogo a cui appartengono, cullati dalle acque, per poi fare ritorno l’anno successivo.

La stampa, di Yumeji Takehisa, rappresenta una donna in yukata blu, accompagnata dal suo bambino vestito di giallo. Entrambi guardano le lanterne scivolare via, sempre più in lontananza, nel pensiero futuro del ritorno.

Una versione molto particolare della celebrazione dell’ultima giornata di Obon avviene proprio nell’antica capitale, a Kyoto. Questa viene chiamata Gozan no Okuribi o Daimonji. Falò, che possono essere visti direttamente dalla città, vengono accesi sulle montagne. Rappresentando sempre un simbolo di commiato per i defunti. Come le acque sono luoghi impervi e inaccessibili all’uomo, anche le sommità delle montagne si riconoscono allo stesso modo, e indicano agli spiriti ancora una volta la strada da seguire.

La stampa risale all’era Meiji (1868-1912), di Hasegawa Sadanobu I. L’atmosfera è sempre notturna, illuminata in questo caso dal chiaro di luna e dai fuochi della montagna. Tutto il resto è in ombra. Gli sguardi dei passanti sono rivolti al monte, luogo a cui gli antenati faranno ritorno, guidati dalla luce.

I falò che vengono accesi a Kyoto sono solitamente cinque, in questa stampa viene ritratto il più famoso sulla montagna principale, nel quartiere di Higashiyama.

 

 

 

 

Fonti:

 

https://www.metmuseum.org/art/collection/search/45265

 

https://collections.mfa.org/objects/231757

 

https://collections.mfa.org/objects/255815

 

https://collections.mfa.org/objects/234663

 

https://jp.japanese-finearts.com/item/list2/A1-86-052/Takehisa-Yumeji---Toronagashi-(Lantern-float)-

 

https://collections.mfa.org/objects/234663

 

https://www.japan.travel/it/spot/76/

 

 

a cura di Susanna Legnani

 


Tanka - Ma come, a mia insaputa,

Ma come, a mia insaputa,

è giunto il pieno dell’estate?

Ecco, ora il cuculo, volato dalla montagna,

innalza il suo canto.

 

Itsu no ma ni

satsuki kinuramu

ashihiki no

yama hototogisu

ima zo nakunaru

 

-Anonimo


Haiku - Rumore di kinuta

Rumore di kinuta

a Echigoya

Cambio dei vestiti.

 

Echigoya ni

kinusaku oto ya

koromogae

 

-Takarai Kikaku


Doria

Conoscete Doria? Non intendo la marca dei biscotti. È un piatto in cui il riso viene cosparso di besciamella, formaggio e cotto al forno. In Giappone è un piatto standard come “Yōshoku” (piatto occidentale). Alcuni giapponesi pensano che sia un piatto milanese grazie a un famoso ristorante “Saizeriya”, perché il doria che offrono si chiama “Milano fū doria” (doria alla milanese).

 

Come è nato il Doria?

Il Doria, che alcuni giapponesi pensano sia italiano, in realtà è nato in Giappone. È stato ideato da Saly Weil, primo capo chef dell’Hotel New Grand. Saly Weil era uno chef svizzero invitato da Parigi quando l’Hotel New Grand aprì nel 1927. Saly Weil, sebbene fosse uno chef di cucina francese, conosceva tutta la cucina occidentale ed era bravo anche con la cucina italiana e svizzera. Un giorno ricevette una richiesta da un banchiere europeo che stava in Giappone: “Non mi sento bene, vorrei qualcosa di facile da mangiare”. Lo chef improvvisò quindi un piatto con gli ingredienti che aveva a disposizione: fece il riso al burro con crema di gamberi bolliti, il tutto cosparso da formaggio su salsa al gratin e cotto in forno. Al banchiere il piatto piacque molto e da allora questo piatto entrò con regolarità nel menù come “Shrimp Doria” e divenne una delle specialità dell’Hotel New Grand. Gli allievi di Saly Weil continuarono a servire il piatto e lo diffusero anche nelle cucine di molti altri alberghi e ristoranti nelle città giapponesi tanto che ancora oggi è un piatto molto popolare in tutto il Giappone come “Yōshoku” (piatto occidentale).

 

Saizeriya 

il menu di Saizeriya

Saizeriya è una famosa catena di ristoranti in stile italiano che quasi tutti i giapponesi, e non solo, conoscono. Saizeriya serve piatti deliziosi a un prezzo ragionevole. Per esempio, i piatti di pasta e carne hanno prezzi che vanno da 400 yen (circa 3 euro) a 700 yen(circa 5,50 euro) a piatto. Saizeriya è un ristorante molto popolare in Giappone perché è economico e serve piatti molto buoni. Nel menù però non ci sono solo piatti originari italiani ma anche piatti, per i giapponesi, che “ricordano” i piatti italiani, e uno di questi è proprio il “Milano fū doria” (doria alla milanese). "Milano fū doria" di Saizeriya è un piatto molto semplice che abbina il riso giallo alla curcuma a besciamella, ragù e formaggio grattugiato. Uno dei segreti che lo rendono un piatto molto popolare è il prezzo di soli 300 yen (circa 2,50 euro). È ben noto agli italiani che il doria non sia un piatto italiano, tantomeno di Milano, ma allora perché Saizeriya lo ha chiamato “Milano fū doria”?

Perché Saizeriya l’ha chiamato “Milano fū doria (doria alla milanese)”?

Milano fū doria

Il piatto “Milano fū doria” è nato intorno al 1969 e da allora è stato un piatto di grande successo. Si dice che un cliente abituale avesse visto un dipendente mangiare come pasto in pausa pranzo il riso con besciamella, ragù e formaggio grattugiato. Chiese allora: “vorrei mangiarlo, potete prepararlo anche per me?”. All’inizio il piatto non era un piatto ufficiale e veniva servito solo su richiesta dei clienti ma, benchè non fosse nel menù, divenne un piatto molto apprezzato, famoso e richiesto grazie al passaparola. Grazie alla buona reputazione e all’ottima risposta della clientela, il “Milano fū doria” è entrato nel menu standard della catena di ristoranti. Inizialmente il piatto si chiamava genericamente “meat gratin” ma, poiché il numero di piatti nel menù aumentò ed divenne più facile commettere errori, si decise di cambiare il nome rendendolo più originale. Ma questo ancora non spiega il perché del nome “Milano”. Un primo motivo è che nella ricetta c’è il ragù. Il ragù è una famosa ricetta di Bologna, città che, per i giapponesi, è vicina a Milano, città più grande e conosciuta. Per questo quindi si dice che in Giappone il piatto sia conosciuto come “Milano fū doria”. Inoltre nel “Milano fū doria” è utilizzato il riso alla curcuma che rende il riso giallo come nel risotto alla milanese. Anche per questa somiglianza di colori il piatto fu chiamato “Milano fū doria”.

A proposito, in Italia il risotto si mangia con la forchetta ma, in Giappone, la maggior parte delle persone mangia sia il risotto che il doria con il cucchiaio.

 

 

Fonti :

https://www.hotel-newgrand.co.jp/origin/

https://news.nissyoku.co.jp/restaurant/tanakak20090511030243609

https://rocketnews24.com/2015/09/24/637439/


Nōto: il libro-taccuino di Stefania Viti per gli appassionati di Giappone

“Nōto è un oggetto intimo, un compagno di vita e non solo di viaggio, un libro-agenda che offre al lettore la possibilità di leggere e di scrivere pensieri e parole, annotare appuntamenti, cose da fare, avvenimenti”.

La parola nōto, in luogo a techō (taccuino, agenda), viene scelta accuratamente dalla Viti per metterne in evidenza l’aspetto personale, proprio di chi possiede il libro: un posto in cui prendere appunti, note, scarabocchiare pensieri.

Il libro non è però unicamente un bel taccuino – nonostante sia, a dirla tutta, esteticamente molto invitante – dalle pagine bianche in cui fantasticare sui nostri prossimi viaggi in Giappone o fare pratica nella scrittura di haiku. Il lettore viene accompagnato da diversi approfondimenti dedicati alla cultura del Sol Levante. Si può trovare davvero di tutto: consigli pratici, esperienze di vita particolari, riflessioni, curiosità, tradizione ma anche uno sguardo sull’iper-tecnologia di questo paese.

Il lettore, dunque, diviene a sua volta scrittore, grazie a quelle pagine lasciate in bianco. L’idea è quella dello spazio vuoto come uno spazio aperto. Aperto ai pensieri di chi legge, di chi viaggia, sia a piedi che con l’immaginazione. Un oggetto personale e personalizzabile, adatto a chiunque voglia custodire pensieri, con una piccola guida al fianco.

“L’idea che ciò che ho scritto sia intervallato da pagine bianche sulle quali il lettore potrà a sua volta appuntare le proprie parole, mi piace moltissimo perché quando Nōto sarà completato, ogni lettore avrà il proprio libro, che si mescola al mio, e sarà un libro unico e irripetibile”.

Un oggetto da custodire nel tempo, da osservare con nostalgia e rileggere quando si ha voglia di immergersi in racconti del Giappone. Dove i propri, reali o immaginati, si mischiano a quelli dell’autrice.

 

Due elementi che emergono dagli appunti di Stefania Viti sono quello dell’acqua e della pervasività di un certo senso estetico in Giappone. Particolare, quest'ultimo, che va di pari passo a una caratteristica e marcata spiritualità.

Acqua come elemento prevalente, fondamentale, legato alla coltivazione del riso, base di tè e sake, legato al culto shintoista e alla purificazione. Anche parte del quotidiano se si pensa a tutte quelle fonti naturali in cui ci si può immergere per allontanare lo stress della città. Quotidiano intriso poi da una forte spiritualità, che mai si slega dal senso estetico. È la bellezza che sta nelle cose così come sono, come si danno, nella loro naturalezza e caducità.

 

 

Insomma, questo libro-taccuino saprà accompagnarvi – con una guida esperta al fianco – nell’avventura di comporre passo a passo un’immagine, pensiero, del vostro Giappone. Giappone che appare irraggiungibile e affascinante allo stesso momento.

 

 

Stefania Viti, giornalista, laureata in Lingua e Letteratura Giapponese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha vissuto a Tokyo per circa dieci anni. Si occupa di Giappone contemporaneo e i suoi articoli sono pubblicati su testate nazionali e internazionali. Per Feltrinelli ha curato il volume Il Sushi uscito nella collana Real Cinema insieme al DVD Jiro e l’arte del sushi, con Gribaudo ha pubblicato L’arte del sushi (2015) edizione ampliata, aggiornata e illustrata del primo volume, Il sushi tradizionale (2016), Il libro del ramen (2017), Il libro del sake e degli spiriti giapponesi (2018), La cucina popolare e i matsuri del Giappone (2019) e Tè e dolci del Giappone (2021).

 

 

A cura di Susanna Legnani