Antiquariato giapponese
Scuola Rimpa
Fine del periodo Edo (1615-1867)
Albero di ginko e crisantemi
Paravento a due ante
Inchiostro, pigmenti e gofun moriage su fondo oro e argento
158,8 x 154,8 cm
Dipinto senza contorni e con l’utilizzo di colori molto diluiti in certe zone del dipinto, questo stile viene definito “senza ossa” (mokkotsu). La delicatezza e la raffinatezza di questo modo di dipingere si identifica certamente con il carattere elegante dei committenti, contrapposto al vigore del monocromatismo ordinato e alle forme dure e virili della scuola Kano, scelta come rappresentativa della classe militare.
La stilizzazione molto spinta delle forme è una delle principali caratteristiche degli artisti Rinpa: il fiume sullo sfondo, individuabile dalle eleganti onde che sembrano ripetere un morbido motivo geometrico, ricorda in realtà anche una nuvola e funge più da motivo di sottofondo che da elemento realistico del paesaggio.
Il termine “Rinpa” deriva dal carattere “pa” (scuola) e dalla seconda sillaba del nome “Korin”: Ogata Korin (1658-1716) non fu in effetti il creatore di questo stile, che deve la sua origine invece a Honami Koetsu (1558-1637) e Tawaraya Sotatsu (?-1640), ma ne fu il maggiore diffusore. Sebbene non si possa parlare di “scuola” in senso stretto, i modelli estetici di Ogata Korin influenzarono intere generazioni di artisti fino all’epoca moderna.
I ritmi dello Zen Shiatsu
Il ritmi biologici caratterizzano e scandiscono i nostri tempi durante la giornata e durante lo ore del riposo. Se le nostre energie sono globalmente equilibrate, i nostri ritmi si snoderanno in maniera armonica durante l’arco delle 24 e si adatteranno anche ai movimenti più lenti o veloci che la vita ci richiedere di variare in base agli accadimenti.
Anche nel trattamento zen shiatsu l’aspetto del ritmo è fondamentale. Mantenerlo nel trattamento ricalca l’espressione primaria dei ritmi vitali.
Ogni meridiano esprime la sua pulsazione, il suo scorrere energetico, mostrandosi nella sua natura del momento.
E’ opportuno sintonizzarsi in maniera appropriata sul meridiano, rispondendo all’ascolto con opportune pressioni, in maniera duttile e flessibile, adattandosi al ritmo che sentirà sotto le mani. Ogni pressione portata sarà quindi variabile e adattata in base alle risonanze energetiche.
Ecco perché durante il trattamento, pur essendo in una condizione globalmente rilassante, saranno avvertite pressioni che varieranno nella modalità d’ingresso e di uscita, nella profondità o superficialità del contatto.
Bilanciare l’energia nel corpo, segue il principio giapponese Ho –Sha, rinforzare il Kyo (vuoto) e disperdere il Jitsu (pieno).
Non basta sapersi destreggiare con le tecniche, è importante l’atteggiamento del riequilibrio che deve esserci non per quello che faccio, ma attraverso quello che faccio! Con questo atteggiamento si promuoverà l’aspetto della resilienza del ricevente: disponibilità al cambiamento per auto correggersi, per ritrovare in maniera naturale la capacità di bilanciare le forze nel proprio corpo.
In giapponese il concetto corrispondente è Kibun-o-kaete, la cui traduzione è “cambiare il ki” inteso come cambiamento di atteggiamento o “dirigere il Ki” inteso come cambiare attenzione.
Attraverso l’espressione delle mani, che è l’espressione dell’energia del cuore, aiuteremo il ricevente a spostare l’attenzione dalla preoccupazione verso una direzione nuova, verso nuovi spazi, aiutandolo ad abbandonare vecchie preoccupazioni, trasformandole in nuove, sane e fresche energie da spendere nel vivere.
Joshin Galani
KAILA
Tsuji You, dove l'anima classica incontra l'immagine
Photo by Eiji Kikuchi
Compositore tra i più apprezzati dalla critica cinematografica e sicuramente tra i più amati dal pubblico giapponese, oggi Tsuji You è sicuramente una delle figure di riferimento nel panorama della composizione sia per il cinema che per l’animazione, nonostante i lavori per quest’ultima produzione, si limitino ad alcuni esempi tra i più musicalmente significativi della produzione Anime degli ultimi anni.
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Edmondo Filippini
Antiquariato giapponese
Kanshiro Nishigaki
(1613-1693)
Sukashi tsuba in ferro, scuola Higo
Decorata a traforo a motivo di “gru danzante”
Inizio del periodo Edo (1615-1867), XVII secolo
Mumei, 80 x 76 x 5 mm
西垣 勘四郎
La tsuba raffigura una elegante gru stilizzata, rappresentata con le ali aperte in una sorta di danza. La finitura morbida e accurata esemplifica i livelli più alti raggiunti dalle else giapponesi: il lavoro a traforo (sukashi) è superbo e ben bilanciato, con ogni piuma definita da linee sottili contrapposte a quelle più marcate delle altre parti del disegno. La patina è eccellente e il ferro di ottima qualità; il dinamismo della composizione e la bellezza del materiale concorrono a produrre una sensazione molto ricca ed elegante.
Il disegno della gru danzante è noto: una tsuba di Hayashi Matashichi (1613-1699) conservata al museo Eisei-Bunko mostra lo stesso motivo, con l’unica differenza del diverso trattamento del ferro.
Esistevano quattro principali scuole nella regione di Higo: Hirata, Hayashi, Nishigaki e Shimizu; ogni fabbro di queste quattro scuole lavorava sotto la supervisione del raffinato lord Hosokawa Sansai e produsse raffinate tsuba e kodogu. Kanshiro, il primo maestro della scuola Nishigaki, fu primo allievo di Hirata Hikozo, che era alle dirette dipendenze deldaimyô.
Nishigaki Kanshiro aveva una speciale passione per il ferro, considerato nella sua semplicità e naturalezza come materiale di uso quotidiano. Profondo conoscitore delle tecniche di lavorazione, produsse lavori di estrema eleganza e bellezze: il suo ferro, più morbido e rilassato di quello prodotto da Hayashi, è la chiave per capire le differenze tra questa tsuba e quella del museo Eisei-Bunko.
Giuseppe Piva
www.giuseppepiva.com
Per non dimenticare: viaggio a Hiroshima e Nagasaki
I nomi di Hiroshima e Nagasaki riportano alla mente uno dei capitoli più cruenti della storia mondiale e di solito sono delle mete ambite non tanto per il puro gusto del turismo, ma piuttosto per un senso di dovere intellettuale.
Due città accomunate da un unico destino, però ben distinte nel loro modo di vivere e di presentarsi agli stranieri: Nagasaki è una piccola perla del Kyūshū dove si avverte la forte presenza degli europei, tantoché lungo le strade dei portici non sembra neanche di trovarsi in Giappone. A Hiroshima, invece, sembra che il tempo si sia fermato a quella mattina del 1945 e, né un limpido cielo azzurro né la presenza di giovani scolari alla ricerca di gaijin ai quali poter rivolgere delle domande in inglese contribuiscono a dare alla città un’immagine serena. Il ricordo di quel 6 agosto è tuttora vivo e fortemente impresso in ogni angolo del Memoriale della Pace: si percepisce nei coloratissimi origami a forma di gru, nella fiamma della pace accanto al cenotafio e nel museo alla vista dell’orologio le cui lancette segnano 8:15 (l’ora in cui è stata lanciata la bomba). Il silenzio e la “tranquillità” di quel luogo sono tali da far perdere la concezione del tempo e pur volendo andare a esplorare più a fondo la città ci si rende conto che non vi è più rimasto nulla da visitare: al di fuori del parco della pace Hiroshima sprofonda nella monotonia della normale vita quotidiana.
Nagasaki, al contrario, è come un labirinto di luoghi nascosti: dai piccoli dettagli architettonici europei al Sōfuku-ji (un tempio zen che spicca per la sua imponente entrata di colore rosso), dal profumo della kasutera, ovvero un delizioso dolce di pan di spagna, alle immense sculture del Parco della Pace. Nagasaki può essere visitata senza mappa, lasciandosi trasportare dalle piccole stradine che portano inaspettatamente ai luoghi più interessanti, i quali spesso non vengono neanche menzionati. E se per caso uno si dovesse perdere, ci si può sempre affidare alla gentilezza di un anziano che, vedendo tre straniere in difficoltà, non esita ad avvicinarsi con un enorme sorriso, dal quale emerge la gioia di poter condividere con delle gaijin delle informazioni sulla sua cara città.
Giulia Bianco
Università del Bonsai 2013
Il bonsai è un vero e proprio universo da scoprire. Conoscerne i segreti è un processo lungo, ma estremamente affascinante: un modo per avvicinarsi alla natura, alla filosofia, all’arte e anche al mondo orientale.
Partendo dal presupposto che non esistono due alberi uguali, addirittura piante appartenenti alla stessa famiglia possono presentare differenze radicali, l’Università del Bonsai ha messo a punto un programma didattico completo, capace
di soddisfare le esigenze di qualsiasi amatore e professionista. Nata dal desiderio di andare ben oltre il semplice nozionismo didattico, l’Università del Bonsai di Parabiago (Mi) rappresenta il massimo in materia di tecnica e bonsai.
L’accurata selezione del corpo docenti, la particolare impostazione didattica, l’ottimizzazione dei tempi di apprendimento affiancata dall’esperienza altamente professionale della Crespi Bonsai che si avvale della collaborazione di un grande maestro giapponese, Nobuyuki Kajiwara, fanno di questa scuola una realtà unica nel panorama didattico bonsaistico.
Il corso completo, che prevede una durata triennale, affronta tutte le tematiche, tecniche ed estetiche, che abbracciano l’arte bonsai, passando per la botanica e la fitopatologia.
Scarica il Depliant_Università del BONSAI 2013
Il Maestro Shizuto Masunaga
Nasce nel Giugno del 1925 a Kurè.
Nel 1930 la famiglia Masunaga lascia la provincia di Hiroshima per trasferirsi a Tokyo.
Nella formazione di Masunaga legata allo shiatsu, hanno grande rilievo i genitori, che intrattenevano rapporti con i Maestri Shiatsu dell’epoca; in particolar modo la madre, shiatsuka, con la quale Masunaga acquisisce tecniche nei diversi corsi di shiatsu.
Si laurea nel 1949 in psicologia, presso la Facoltà di lettere di Tokyo. Segue il suo percorso professionale di shiatsu, proseguendo negli studi dei testi antichi.
Studia con il Maestro Namikoshi e nel 1959 entra come insegnante nella facoltà di Psicologia Clinica alla scuola Shiatsu di Namikoshi, ruolo che ricoprirà per una decina d’anni.
Continua la sua incessante ricerca, con un lavoro su testi ma fondamentalmente con un lavoro sulla percezione; la sua sensibilità non comune lo porterà a dare una direzione netta alla sua ricerca, portando un forte spirito di cambiamento a quello che era stato lo shiatsu sino a quel momento.
Nel 1960 fonda associazione Iokai.
Nel 1965 pubblica “Zen Shiatsu”, successivamente “Zen per immagini”.
Nel 1968 si stacca da Namikoshi e fonda l’istituto Iokai Shiatsu Kenkiusho, portando l’insegnamento non solo nella sua sede ma oltre i confini del Giappone: Europa, Stati Uniti, Canada, Corea, Hawai, Hong Kong.
Nel 1980 viene eletto Consigliere alla Società Giapponese di medicina Orientale.
Nel 1981 muore all’età di 57 anni.
Nel 2007 viene pubblicato, postumo “Manuale di Sesshin”.
In base alle caratteristiche fondamentali del lavoro di Masunaga, credo che si possa parlare dello suo shiatsu come “arricchimento” “evoluzione e “rivoluzione” .
- Masunaga diede allo shiatsu una connotazione fortemente legata alle tradizioni orientali, da un punto di vista culturale, filosofico, in particolar modo alla tradizione Zen. Contribuì, con elementi di psicologia moderna, a rendere il suo shiatsu, unico ed originale, trovando relazioni tra il sistema dei meridiani e gli aspetti mentali. Masunaga, proponeva, come nella tradizione del modello giapponese, la considerazione dell’individuo nella sua interezza, superando la visione dell’essere unicamente in relazione al suo disturbo o alla sua malattia ma in relazione alla sua totalità di struttura energetica, fisica, psichica, legata al movimento del ki.
- Non mancò di considerare anche l’elemento spirituale dell’operatore, la sua crescita e trasformazione; vivere lo zen shiatsu come percorso di una via, mettendo attenzione all’atteggiamento mentale, il modo di porsi, favorendo un processo di cambiamento interiore. Coltivare se stessi, mettersi nella disposizione del “vuoto” per entrare in contatto profondo con l’energia del ricevente. “Lo Zen si propone fondamentalmente il raggiungimento dell’illuminazione totale attraverso la scoperta del proprio Sé. … la comprensione può essere raggiunta attraverso la meditazione, però indipendentemente dal pensiero. La stessa cosa vale per lo shiatsu. Inizia con la pressione digitale, però è difficile spiegare perché la pressione del punto curi la malattia. Sia nello Zen che nello shiatsu abbiamo a che fare con fenomeni che non possono essere spiegati razionalmente, ma dei quali l’organismo vivo si rende conto in modo diretto”. “Lo shiatsu può rappresentare un mezzo per stabilire rapporti umani migliori, che sono essenziali per la buona salute”
- il “sistema dei meridiani” (ossia l’estensione dei canali energetici) segnalato nella sua mappa dei meridiani, pubblicata nel 1970, (con versione definitiva nel 1977) all’epoca suscitò non poche perplessità perché i meridiani di riferimento fin ad allora erano quelli degli agopuntori; Masunaga estende ogni percorso del singolo meridiano su tutto il corpo: “Ho riscontrato la presenza di 12 meridiani negli arti inferiori e altrettanti negli arti superiori. Il trattamento di questi meridiani ha fornito risultati migliori di quelli registrati in passato”
Joshin Galani
Dal Manga all'Anime trasformazione e movimento
Durarara!!
La maggior parte di coloro non abituati al mondo dell'animazione hanno solitamente in mente un punto di riferimento da cui partire nel momento in cui visionano un prodotto dell’animazione, il manga. Opinione diffusa è infatti che ad ogni anime corrisponde più o meno un manga, quindi una versione cartacea da cui partire da cui poi attraverso un processo produttivo legato alla logica del successo si arriva alla serie animata. In linea di massima la deduzione è corretta ma non tiene in debito conto le decine di varianti cui la produzione giapponese è legata e come ogni regola standard che si rispetti il numero di eccezioni sorpassa di gran lunga la sua applicazione, soprattutto nell'ultimo decennio che ha visto fiorire commercialmente nuovi media legati al mondo non solo del videogame, di cui saranno spiegate in seguito le diverse tipologie legate all'animazione, ma anche letteratura, Light Novel (che come vedremo di letteratura non si tratta), film, gadjet e molto altro ancora. Il tutto coinvolto in un processo di continua trasformazione di un'opera in un'altra e che in Giappone permette la fruizione di un singolo titolo nei più diversi media.
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Articolo di Edmondo Filippini
Kawai Kenji, la ricerca di una nuova via musicale tra passato e futuro
Kawai Kenji rappresenta nella cultura giapponese ed in particolare nel mondo dell’animazione, un nome quasi leggendario per le numerose partiture prodotte in oltre venti anni di carriera ma soprattutto per i grandi titoli cinematografici che l’hanno visto coinvolto. Compositore la cui carriera compositiva sin dalle origini è sotto il segno della poliedricità e dell’insofferenza alle regole prestabilite, dopo solo alcuni mesi alla Shobi College of Music di Tokyo infatti decide di staccarsi dal mondo accademico ufficiale per intraprendere una carriera di chitarrista fondando una sua band ancora oggi attiva AGG. Il suo primo lavoro per l’animazione risale al 1986 in collaborazione con i registi Kazuo Yamazaki e Takashi Annō per la stesura della colonna sonora della nota serie in 96 episodi, Maison Ikkoku, diventata serie di culto in quasi tutto il mondo. Lo stile però non è ancora perfettamente definito e sarà soprattutto dall’incontro con il regista Mamoru Oshii per il film “Gli Occhiali Rossi” [Akai Megane], con cui stabilirà un sodalizio stretto, che gli permetterà di esprimersi al meglio dando inizio ad una ricerca che sempre maggiormente farà emergere uno stile riconoscibile ed autonomo. La collaborazione proseguirà anche con la serie Mobile Police Patlabor sempre diretta da Oshii. Gli anni ’80 lo vedono anche coinvolto in alcune serie di successo come Ranma ½ e gli OVA di Davilman, serie animata tratta dal manga di Go Nagai.
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Articolo, Intervista e Traduzione
Edmondo Filippini
Sabato prossimo, sempre a cura del Dott. Edmondo Filippini, pubblicheremo l'articolo: "Dal Manga all'Anime: trasformazione e movimento"
Lost in Translation
Pur avendo vissuto a Tōkyō solo per sei mesi, sono stati abbastanza per lasciarmi travolgere dal ritmo frenetico della città. Una città che è caotica, ma riesce ad esserlo in modo ordinato, una città dove basta svoltare l’angolo per ritrovarsi di fronte a un tempio scintoista dove l’unico suono che si percepisce è quello dei propri passi. Questo è lo scenario che si incontra a Shinjuku. Definirla semplicemente una zona è pressappoco riduttivo: è una vera e propria metropoli a se stante, a ovest sede degli uffici governativi, le cui vie sembrano a tratti ricordare una New York esente da passanti, a est, un tripudio di luci colorate, di negozi e di locali che farebbero provare un senso di straniamento a chiunque, come accade al protagonista del film di Sofia Coppola, Lost in Translation.
Nel momento in cui si arriva alla stazione di Shinjuku bisogna fare i conti con il fatto che, trovare la giusta uscita, può essere una questione di pochi minuti, se si è fortunati, o di ore (la seconda opzione è decisamente quella più probabile). Non c’è da meravigliarsi, in fondo ogni giorno ci passano più di 3 milioni di persone, più o meno l’equivalente della popolazione romana. Una volta usciti da questo enorme labirinto, con lo stupore ancora in faccia dopo aver visto una miriade di giapponesi che corrono da una parte all’altra o con un cellulare in mano o leggendo un libro senza sfiorarsi neanche una volta, ci si scontra con la realtà di Shinjuku.
Spaesamento e meraviglia sono solo due delle possibili reazioni che ogni turista prova e nel momento in cui si scorge, anche solo in lontananza, un altro gaijin occidentale, spunta sul viso un sorriso quasi spontaneo che infonde sicurezza. Mano a mano che ci si incammina lungo la Meiji-dōri ci si lascia però travolgere da quell’inusuale atmosfera che circonda Shinjuku e proseguendo lungo la Yasukuni- dōri si arriva fino al Kabuki- chō, il cosiddetto quartiere a luci rosse costeggiato dai ben più famosi pachinko. Mentre attraverso queste vie era sorprendete il livello di sicurezza con la quale mi aggiravo e avevo la consapevolezza che, pur essendo da sola e straniera in un paese che non conosco, non mi poteva accadere niente.
Bastano davvero poche ore per familiarizzare con questa parte di Tōkyō e già sulla via del ritorno non sorprende più vedere una lunga coda di giapponesi presso la gelateria Grom oppure vedere un sosia di Johnny Depp, travestito da Jack Sparrow, aggirarsi lungo la via principale; neanche le voci strillanti di camerieri e di commesse che incitano i passanti a fermarsi proprio in quel locale o in quel ristorante danno più fastidio e a ogni angolo si cerca disperatamente di incontrare una di quelle giovani che distribuiscono fazzoletti gratuitamente. Non ci si meraviglia neanche di come facciano quelle strade a essere così pulite, considerando che i cestini dell’immondizia sono praticamente assenti. Tutto questo può succedere solo a Tōkyō.
Giulia Bianco