Il Kabuki nel periodo Edo: le giornate di teatro

Nel periodo Edo, durante i programmi stagionali del kabuki, rappresentazioni di drammi diversi si susseguivano nel corso dell’intera giornata, alternando generi e registri in modo eterogeneo: il gioco della varietà era molto apprezzato dal pubblico. Presentare un programma giornaliero composito non faceva altro che assecondare il gusto per l’alternanza di registri e di generi, per la varietà anche stilistica raccomandata nella messiscena del kabuki: un certo grado di disarmonia avrebbe garantito allo spettacolo profondità e respiro, e rispondeva al canone estetico fondamentale dell’asimmetria che da sempre permea ogni espressione artistica giapponese. Secondo lo studioso Georges Banu, in questi programmi era d’obbligo l’alternanza dei registri: “Ciò che è separato dai generi si trova riunito nella costellazione di una giornata : il tragico e il comico, la danza e il canto. Si individua il percorso di una giornata non secondo le norme di una coerenza, ma, al contrario, secondo quelle di una eterogeneità apparente che deve articolarsi secondo un movimento in cui l’accellerazione è legge. Si riuniscono forme e approcci distinti che si succedono mantenendo la loro autonomia : non si fondono l’un l’altro. Alla fusione preferiscono la contiguità, che è l’ipotesi antica della coesistenza dei contrari.”

Tradizionalmente il pubblico giapponese amava le “giornate di teatro” perché costituivano un momento di puro divertimento, un’occasione per stare insieme, per spostarsi in gruppo da una località all’altra al seguito della compagnia preferita, uscendo all’alba da casa illuminandosi il cammino per mezzo delle chōchin (lanterne di carta), mangiando e chiacchierando secondo il costume dell’epoca (è da ricordare che erano invece proibiti da un’ordinanza dei Tokugawa gli spettacoli notturni).

Il pubblico accorreva fin dalle prime ore del mattino, a volte alzandosi alle 4, per poter assistere a questo rito collettivo di puro divertimento, capace di colpire l’immaginazione degli spettatori che spesso provenivano dalle campagne (erano capi villaggio e ricchi agricoltori) e per l’occasione si recavano in città. Una volta tornati a casa, tentavano con entusiasmo di riprodurre questi spettacoli, la cui fama raggiungeva persino i più remoti villaggi di pescatori ed agricoltori, utilizzando piccole compagnie amatoriali, quasi sempre itineranti, che realizzavano i loro spettacoli negli innumerevoli ji shibai (piccoli teatri) situati in provincia, nelle jōkamachi (città-castello) dei daimyō, nei villaggi, o davanti ai più importanti templi buddhisti e shintō. Le produzioni cui si ispiravano questi più modesti spettacoli erano quelle di Edo e dell’area di Kamigata (Ōsaka e Kyōtō), vale a dire degli ōshibai (i grandi teatri con licenza ufficiale), ma poichè ai contadini era proibito dalla censura dei Tokugawa dare rappresentazioni di kabuki in quanto tali, le produzioni locali venivano autorizzate come teodori (danza di gesti) e ammesse come offerte ai templi durante i matsuri. Il divertimento era così, in ogni caso, garantito.

Rossella Marangoni
www.rossellamarangoni.it

Articolo originariamente pubblicato il 7 settembre 2010 sul sito di Giappone in Italia


Espedienti scenografici del kabuki: lo hanamichi

Lo hanamichi 花道 (letteralmente “cammino dei fiori”) è una piattaforma sopraelevata fatta di assi di legno, larga circa un metro e mezzo, che attraversa la platea per tutta la sua lunghezza sul lato sinistro del teatro, dal fondo al palcoscenico. La platea era suddivisa in box quadrati delimitati da barre di legno, con il fondo a tatami, in cui trovavano posto da quattro a sei spettatori. Un tempo i biglietti venivano venduti ad unità quadrata (masu tan’i 桝単位). Da questi posti gli spettatori si muovevano per andare a comprare al negozio del teatro sake, bentō 弁当, dolci, persino carbone per il braciere. Lo hanamichi passa in mezzo al pubblico, dividendo irregolarmente la platea ed è su questa passatoia che tradizionalmente venivano deposti regali per gli attori dagli ammiratori adoranti che stavano nei posti a tatami della platea (più economici dei palchi laterali) chiamati masuseki 桝席: i regali per gli attori venivano metaforicamente e poeticamente chiamati hana 花 (fiore) e da questi avrebbe preso il nome la piattaforma.

Non si conosce esattamente il periodo in cui lo hanamichi comparve per la prima volta negli edifici teatrali, ma si sa che comparve presto nella storia del kabuki e che nel 1668 il Kawarazakiza di Edo ne possedeva uno. Nei primi teatri era posto in diagonale sulla platea, attraversandola dal centro del palco fino ad un angolo del fondo del teatro. Non sembra azzardato ipotizzare che derivi la sua origine dallo hashigakari 橋掛りdel teatro nō, il ponte di collegamento dalla kagami no ma 鏡の間 (stanza dello specchio) in cui l’attore si prepara, al palcoscenico, e che permette all’attore del nō di fare il suo ingresso in scena. Allo stesso modo lo hanamichi nel kabuki è utilizzato per gli ingressi e le uscite degli attori, ma ha sempre una forte valenza drammatica: alcune scene hanno luogo direttamente sullo hanamichi che è sempre sede privilegiata dei michiyuki, i viaggi di trasferimento dei personaggi da una località a un’altra. A partire dal 1770, e per tutto il XIX secolo, si prese l’abitudine di allestire uno hanamichi provvisorio (kari hanamichi 仮花道), largo solo un metro, lungo il lato destro della platea, ottenendo un ampliamento dello spazio a disposizione degli attori. Si possono ancora osservare teatri con entrambi gli hanamichi nell’isola di Shikoku 四国, in cui si sono conservati straordinari esempi di teatri del periodo Edo e del periodo Meiji, miracolosamente scampati al fuoco e restaurati con amorevole cura.

Come è stato più volte sottolineato, una delle attrattive dello hanamichi è che incoraggia un sentimento di intimità, ponendo il personaggio fra gli spettatori. Lo hanamichi appare infatti come un luogo del tutto particolare, in cui si incontrano gli attori e il pubblico, con tutto ciò che questo significava nel periodo Edo: è sullo hanamichi che si consuma il rapporto d’amore fra il divo e il suo pubblico, un pubblico fatto di gente comune, quello più vicino, quello della platea, che chiama il suo beniamino acclamandolo per nome o urlandone i soprannomi o lodi e incoraggiamenti (home kotoba誉め言葉). Lo hanamichi è il luogo dove sorge l’empatia fra attore e pubblico che costituisce l’essenza del kabuki in quanto grande spettacolo popolare e, come afferma il celebre studioso Kawatake Toshio, è impossibile concepire il kabuki senza questa fondamentale struttura.

Rossella Marangoni
www.rossellamarangoni.it

Originariamente pubblicato sul sito di Giappone in Italia l'11 Novembre 2010


Kabuki: la messa in scena della tradizione

Non avrei mai pensato che quattro ore e mezza di spettacolo teatrale potessero trascorrere così velocemente e piacevolmente… non potevo assolutamente lasciare il suolo nipponico senza aver visto una rappresentazione di kabuki, il teatro tradizionale giapponese.
Specificatamente lo spettacolo a cui mi riferisco si tenne al kabuki-za, un teatro kabuki costruito ispirandosi alle forme tradizionali dell’architettura giapponese che si inserisce con eleganza, ma anche una certa arroganza, tra i palazzoni luccicanti di Ginza a Tokyo.

Sorta come arte popolare il kabuki fonde assieme il dramma, la musica e la danza, integrandole tra loro con grande equilibrio, e si narra abbia avuto origine dalla danza eseguita a Kyoto verso il 1603 dalla sacerdotessa Okuni del tempio scintoista Izumo.
Coinvolgente e ricco di colpi di scena il tempo narrativo è articolato in tre storie differenti tratte dal repertorio del jidaigeki, ossia drammi di ambientazione storica che si avvalgono di costumi tradizionali colorati e sgargianti, e scenografie così verosimili da far talvolta dimenticare d’essere all’interno di un teatro; pitture di vario genere adornano il viso e accentuano le sfumature espressive degli attori che non occorre così si avvalgano di maschere, contrariamente all’altra forma di teatro giapponese tradizionale, il Nō; l’interpretazione è molto stilizzata così come i movimenti, estremamente enfatizzati; una caratteristica fondamentale consiste nel fatto che non sono ammesse donne come attrici, ma sono esclusivamente attori maschili (onnagata) ad interpretare ruoli femminili riproducendone in maniera impeccabile e molto naturale gestualità ed espressioni con la delicatezza che sarebbe propria di una donna ma anche con una certa ironia velata; nonostante inizialmente vi partecipassero anche le donne, la loro presenza fu in seguito proibita per motivi morali dal governo (lo shogunato o bakufu di periodo Edo) e il kabuki assunse la forma attuale.

Ma quello che rende davvero fresche queste rappresentazioni e che non fa sentire il peso di quattro effettive lunghe ore, è lo spettacolo intermedio improntato sulla comicità e ispirato all’antico bunraku (l’arte dei burattini) ma in questo caso messo in scena da attori. Ma ciò che mi stupì di più notare, e che inizialmente mi spiazzò, consiste nel fatto che durante la messa in scena persone del pubblico intervengono costantemente ed intenzionalmente, come da copione, per approvare gli atteggiamenti degli attori o esprimere il proprio stupore nei confronti delle dinamiche delle storie narrate, e questo per creare maggior coinvolgimento emotivo negli spettatori; forse al fine di contribuire al medesimo obiettivo, una pedana, posizionata perpendicolarmente al palco sul quale si svolge la scena, attraversa lo spazio riservato al pubblico per permettere l’ingresso e l’uscita degli attori.
Davvero un’esperienza per cui varrebbe la pena d’acquistare anche il biglietto più costoso per poter godere al meglio dello spettacolo!

Eleonora Bertin

Articolo pubblicato originariamente il 7 aprile 2009 sul sito di Giappone in Italia


Kokeshi, from Tohoku with Love di Manami Okazaki

Kokeshi, from Tohoku with Love by Manami Okazaki

Kokeshi are traditional dolls that are made of wood and are characterized by their lack of arms or legs. They are produced in the Tohoku region of Japan and were originally a children’s toy, although they are more often used as a form of decoration nowadays and displayed in the home. Abroad, kokeshi dolls are considered to be an icon of Japan, and reflect Japanese aesthetic sensibilities with their simple, elegant and minimalist designs.

Kokeshi have the appeal of imperfection and exclusivity as no two dolls are the same, and for lovers of kokeshi, the artisanal nature of this hand-made item represents the romance of a  bygone past where things were made one-by-one with time and care.  They are often described as  “healing” as the modest faces are rather ambiguous -- their expressions are often described as “demure” and don’t demand attention, but are said to have a calming quality that resonates with the soul. Moreover, each kokeshi embodies the qualities of wood,  something that is often referred to as “warmth.”  In fact, for collectors, more than the freshly made kokeshi, many covet the atmosphere of the vintage kokeshi-- rather than degrading, as with plastic or artificial materials, the wood picks up a dewy, subdued color and the delicately painted features fade gracefully with time.

Kokeshi, from Tohoku with Love explores the culture of kokeshi and the remote hotspring villages where they are made. Included are interviews with 22 artisans, from all prefectures of Tohoku, and hundreds of photos. The interviews give the reader a unique insight into the life and philosophy of a Japanese craftsman. Many of the aesthetic sensibilities of kokeshi can be seen in contemporary design.
All proceeds go to Tohoku charity.
Per maggiori informazioni e per acquistare il libro: http://kingyobooks.mysupadupa.com/

Otto scene di famiglia

Tsutsui Yasutaka
Otto scene di famiglia
A cura di Maria Chiara Migliore
Edizioni Arcoiris

Nanase è diversa dagli altri. È telepatica. Per celare il suo potere, o meglio la sua diversità, sceglie di fare la domestica, così da poter cambiare spesso il luogo di residenza e quindi nascondersi più facilmente agli occhi degli altri. Osservando dall’interno la vita delle famiglie presso cui abita, Nanase scopre segreti, rancori, desideri inconfessabili e, spietata, li smaschera.
Otto racconti giapponesi di fantascienza New Wave, per la prima volta in traduzione italiana.
Tsutsui Yasutaka è nato a Ōsaka nel 1934. Scrittore versatile, critico letterario, opinionista, sceneggiatore per il cinema, il teatro e la radio, anche attore, ha al suo attivo numerosi scritti che spaziano in vari generi letterari. Dalle sue opere di fantascienza sono stati tratti manga, anime, film e serie televisive.

Per maggiori informazioni: Edizioni Arcoiris


Shiatsu Day - San Ginesio (MC)

Da venerdì 26 a domenica 28 luglio 2013
presso Centro Wabisabiculture
Via Papa Giovanni XXIII, 23 – San Ginesio (MC)

Shiatsu Day
Massaggi Shiatsu Scuola Masunaga

Operatori:

Flavio Della Rosa (Naturopata Shiatsuka)
Lorena Pompa ( Naturopata)

Programma:

Venerdì 26 Luglio
Massaggio Shiatsu scuola Masunaga

orari:
10,30-12,30
15,30-19,30
21,00-23,00
Durata trattamento 1 ora
costo 50,00 euro

Sabato 27 Luglio
Massaggio Shiatsu scuola Masunaga

orari:
10,30-12,30
15,30-19,30
21,00-23,00
Durata trattamento 1 ora
costo 50,00 euro

Domenica 28 Luglio
Massaggio Shiatsu scuola Masunaga

orari:
10,30-12,30
15,30-19,30
21,00-23,00
Durata trattamento 1 ora
costo 50,00 euro

Il trattamento Shiatsu si terrà nella Hiroma Stanza Grande della Cerimonia del Tè
verrà offerta una degustazione di bio tè verde Giapponese

La partecipazione è a numero chiuso, dunque è necessario prenotare e iscriversi contattando
irasshai@wabisabiculture.org
oppure telefonando al 335-396025
All’evento possono aderire solo i soci (costo tessera annuale 25,00 euro)

Per maggiori informazioni: http://www.wabisabiculture.org/


Il manga invade il mondo e lo sviluppo del Media Mix

Il manga invade il mondo e lo sviluppo del Media Mix

Nelle ultime due sezioni della mostra “200 anni di storia di arte manga” si affronta il tema dei fumetti come veicolatori di messaggi e il loro rapporto con la società. Nella quinta sezione della mostra possiamo constatare come i manga cerchino di soddisfare ogni tipo di pubblico affrontando i più svariati generi.
Inoltre, le pubblicazioni si possono distinguere sia per la loro frequenza, settimanale o mensile, ma anche per il tipo di pubblico a cui si rivolgono. Inconsapevolmente le storie narrate sono portatrici di una cultura pop giapponese che nelle vicende fa trasparire abitudini, tradizioni e credenze legate alla quotidianità. La tradizione scintoista e buddhista emerge in parecchie pagine: dallo scintoismo sono attinti miti e leggende i quali forniscono elementi fantastici che spesso compaiono nei manga.
Anche l’approccio pragmatico del buddhismo, in particolare quello zen, è presente nelle vicende dove si svolgono ruoli d’azione. Inoltre, molte volte compare un personaggio che rappresenta un monaco, anche se in certe circostanze è mostrato in chiave comica. Nelle storie manga è rilevante il percorso morale e psicologico del protagonista, le qualità morali come la giustizia, il senso del dovere, la lealtà, l’onestà e il coraggio sono sottolineate non solo in vicende di tipo marziale ma anche in storie di vita quotidiana. Sono strumento per raggiungere il dominio di sé. Di fatto i manga narrano un percorso personale che mette alla prova le capacità interiori del protagonista e che richiede il superamento delle sue paure e debolezze. In alcuni manga, emerge il dibattito sul rapporto uomo-tecnologia che da alcuni anni appassiona i giapponesi. Spesso la tecnologia ha una valenza ambigua: può causare devastazioni e sciagure, ma può apportare anche benefici. Questo si riflette in molti manga che rielaborano i timori provocati dalla modernità in un conflitto che ancora non si ritiene risolto. I manga quindi affrontano temi di estrema attualità ponendo a volte ai lettori dei veri e propri quesiti filosofici.

Nell’ultima sezione della mostra, si può constatare come i personaggi manga siano diventati dei veri e propri modelli culturali che hanno dato origine a fenomeni di costume ed estetici che non è possibile ignorare. Dai fumetti gli stilisti o i pubblicitari, attingono le proprie idee. Questa cultura grafica influenza tutte le correnti delle mode. Le ragazze giapponesi hanno cambiato la propria immagine nella società.
L’emergere di manga dedicati a un pubblico femminile ha messo in luce le esigenze e i desideri legati al mondo delle donne, che in passato non erano presi in considerazione: se sul lavoro gli uomini hanno ancora mantenuto la predominanza, sul mercato dei consumi il mondo femminile è più che presente. Anche il fenomeno sociale dei cospaly e la predilezione per tutto quanto è legato all’infanzia è un modo anche inconsapevole per rifiutare il ruolo che la società riserva alle donne, un modo per cercare di non crescere, rifugiandosi in un mondo infantile e rifiutando il ruolo che in passato era stato riservato alle proprie madri.
L’industria dei manga e delle anime ha un mercato annuale che vale parecchi miliardi di euro. Il Giappone conta circa quattrocentotrenta case di produzione e il costo di un cartone animato della durata di circa mezz’ora è di circa ottantamila euro. Per abbattere i costi, spesso parecchie fasi della produzione vengono appaltate ad aziende estere soprattutto in Cina, Corea del Sud e Filippine. Inevitabilmente anche le aziende che fabbricano giocattoli e merchandising finanziano la produzione di manga e anime. Con l’avanzare dei mezzi tecnologici, cambia il modo di pubblicare le storie manga. Dal fumetto, si passa al cartone animato per poi arrivare a veri e propri lungometraggi, fino a penetrare nel mercato dei video giochi e ora con gli e-book e i tablet non è più necessario avere un supporto cartaceo. Insomma la sostanza non cambia, mentre il mezzo di pubblicazione segue lo sviluppo tecnologico. Questo favorisce ulteriormente la grande diffusione dei manga sul mercato globale.

Paola Raverdino
Guida turistica
e-mail: paola@raverdino.it


I Rinnegati di M. Paracchini

I Rinnegati - il Giappone come non lo avete mai letto

Il volume raccoglie tre romanzi brevi, ambientati nel Giappone epoche storiche molto diverse fraloro: "rinnegati" della società presente, passata e futura di faranno strada in trame di grande impatto, caratterizzate da situazioni al limite della forza fisica e psicologica. I personaggi saranno messi a dura prova e scopriranno che non sempre "essere rinnegati" rappresenta un male: insegnamenti di vita, che non hanno epoca né scadenze, e ritmo narrativo in un libro per tutti.

Ogni storia ha delle note a pié pagina che aiutano il lettore ad avere maggiori informazioni sul contenuto, così come è presente un’Avvertenza all’inizio del libro per capire come si pronunciano alcune lettere nipponiche.

“I 5 Ronin”

Un misterioso uomo in compagnia di una splendida donna, ingaggia cinque bizzarri personaggi per affrontare una rapina ai danni di una famiglia Yakuza molto influente. Dopo la rapina, uno a uno, i ronin periranno per mano di un enigmatico assassino.

“La vendetta dello Shinobi”

Un adolescente sopravvive alla razzia spietata del clan Suzuka, denominato nelle terre feudali come il Signore del Male. In cerca di un aiuto, trova rifugio presso uno yamabushi, un anziano e saggio guerriero. Gli chiederà di indirizzarlo sulla strada delle arti magiche per poter vendicare la sua famiglia ma il cammino intrapreso sarà più duro del previsto.

“Cronache di un pilota”

E se i giganteschi robot che abbiamo visto nei cartoni animati fossero esistiti realmente? Da questo quesito nasce una storia drammatica, all’insegna dei ricordi di un ex pilota di robot.
Ma se l’estetica della guerra mostrata, nascondesse qualcosa di più terribile?
Marco Paracchini è nato nel 1976 a Novara, ma ha vissuto in diverse grandi città italiane (Genova, Torino e Milano) sino a spostarsi a studiare negli Stati Uniti (New York, Boston, San Francisco). Nella vita accosta alla professione di regista free-lance quella fondamentale di docente accademico, trasmettendo agli altri le sue passioni: regia, pubblicità e scrittura creativa. Narratore audiovisivo da quasi venti anni, ha mostrato ecletticità anche nell'ambito dell'editoria e della musica.
L’autore ha visitato e vissuto il Giappone in tre occasioni.


L'età delle riviste - Guida al Milano Manga Festival

L'età delle riviste

Dall’installazione che troviamo al centro della mostra “200 anni di storia di arte manga” ci rendiamo conto delle cifre capogiro delle pubblicazioni manga vendute ogni anno. Il Giappone è il primo consumatore di fumetti, ma l’editoria relativa ai manga si è diffusa globalmente contribuendo a costituire una cultura pop senza confini. I fumetti e gli anime sono diventati una sorta di riferimento generazionale. Coloro che soprattutto negli anni ’70 e ’80 sono cresciuti leggendo manga o guardando anime condividono gli stessi ricordi legati all’infanzia, nonostante siano vissuti in nazioni differenti. Ma come potrebbe essere diverso?
La popolarità dei manga è dovuta a vari fattori. A facilitare la loro diffusione è certamente il loro basso costo di produzione ed il fatto di essere pubblicabili in serie. A mio parere il segreto del successo dei manga è dato soprattutto dal fatto che spesso riflettono come uno specchio le paure e i fantasmi della società contemporanea oppure offrono una via di fuga dalle restrizioni sociali quotidiane, mettendo in risalto un mondo di sentimenti e interiorità che altrimenti resterebbe celato.
I disegni e la grafica sono l’aspetto preponderante, mentre i testi sono minimalisti. Sono fatti per essere letti rapidamente, per esempio sui treni del metrò. I messaggi contenuti nei racconti arrivano immediati al lettore. Per un giapponese sono un atto quotidiano: non a caso il successo delle riviste manga è decollato quando per la prima volta furono messi in vendita nei chioschi presso le stazioni. In Giappone, al contrario dei paesi occidentali, sono considerati dei veri e propri mass media che possono veicolare messaggi di ogni genere dalla pubblicità, alla critica sociale fino ad arrivare al dibattito sui benefici dati dal progresso tecnologico.
Le riviste manga sono composte da varie storie a puntate, il cui successo è decretato dal gradimento degli stessi lettori. Se la vicenda piace, la sua pubblicazione continua, altrimenti viene spietatamente eliminata. Sistema forse crudele, ma che garantisce un costante successo delle vendite. La richiesta di nuove storie è sempre pressante. In un giornale giapponese ogni episodio è composto da venticinque tavole, mentre in Europa un disegnatore realizza in media settantadue tavole all’anno, un mangaka giapponese ne deve produrre più di duemilatrecento. Ritmi lavorativi impensabili in occidente. I bambini giapponesi che sanno disegnare bene diventano subito molto popolari a scuola, allo stesso modo i mangaka in Giappone sono delle vere e proprie star, a volte inavvicinabili dai propri fan. La loro capacità di cogliere le tendenze della propria epoca e di tradurle in vicende manga è il segreto del loro successo.

Paola Raverdino
Guida turistica
e-mail: paola@raverdino.it

Per organizzare visite guidate individuali o per gruppi, anche in lingua inglese, è possibile inviare una e-mail all’indirizzo paola@raverdino.it oppure chiamare il numero cell. 347-1502956.


Horagai

Horagai
Tromba da yamabushi

Metà del periodo Edo (1615-1867)
Lunghezza: 45 cm

Come in molte altre culture nel resto del mondo, anche in Giappone fin dal periodo Heian (794 - 1185) le trombe furono ottenute con grandi conchiglie forate cui veniva applicata una imboccatura in metallo o legno. Chiamato anche jinkai in ambiente militare, l'horagai utilizza una grossa conchiglia (Charonia tritonis) come cassa armonica ed è in grado di emettere un suono modulabile e quindi adatto per rituali religiosi e comandi militari.
La tipologia di imboccatura suggerisce che questo horagai sia appartenuto ad uno yamabushi, cui questo strumento è spesso associato nell'immaginario collettivo giapponese. Gli yamabushi (letteralmente: "colui che si trova tra le montagne") erano monaci asceti che vivevano come eremiti tra le montagne e che un'antica tradizione considerava guerrieri invincibili, addirittura dotati di poteri soprannaturali.

Giuseppe Piva Arte Giapponese

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