Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Quinta tappa: a caccia di matsuri nel nord del Giappone

L’estate giapponese è una dimensione particolare, dove al caldo insopportabile corrisponde un’esplosione incredibile di vitalità e di energia gioiosa convogliata nei matsuri, quelle celebrazioni dal richiamo religioso che riempiono di colori le vie delle città. I matsuri estivi sono numerosissimi in tutto il Giappone, ma il Tohoku offre alcuni momenti particolarmente coinvolgenti, che aprono le porte ad un luogo imprevedibile e incredibilmente affascinante. È un modo per avvicinarsi a un territorio molto spesso dimenticato, che custodisce tuttavia un’immensa ricchezza culturale, e che merita di essere conosciuto con più cura.

 

Il Tanabata Matsuri in Misawa

Molti ormai hanno imparato a conoscere i festeggiamenti per il Tanabata, la notte delle stelle innamorate che si celebra in tutto il Giappone nel mese di luglio. Si tratta di un’antica leggenda di origine cinese, che narra la triste storia d’amore di due amanti separati dalla Via Lattea e destinati a incontrarsi solo una notte in tutto l’anno; questo matsuri ha delle caratteristiche comuni diffuse in tutto il territorio, come ad esempio le alte lanterne che ondeggiano luminose lungo le strade, ma assistervi a Misawa può essere un’esperienza particolarmente interessante. Non perché sia il migliore o il più famoso dei Tanabata, ma perché la città stessa è una realtà particolare, anche per la presenza di una base militare americana; passeggiando per le vie illuminate dalle lanterne, è surreale assistere al passaggio di una popolazione tanto varia, di origini così variegate, abbigliata nel tradizionale yukata estivo dai colori vivaci e disegni tipici. Ne emerge un singolare incontro tra elementi tradizionali ed esperienze più moderni, mentre i pub inglesi delle zone centrali offrono birra fredda per combattere il terribile caldo estivo, che a volte colpisce anche queste aree. E naturalmente, come è facile immaginare, il Tanabata si trasforma in un’occasione di svago e di passeggiate tra infiniti profumi del più gustoso cibo locale che rende l’esperienza decisamente più completa

 

Hachinohe Sansha Taisai

Con il secondo matsuri, ci si distanzia ampiamente dalle più popolari tradizioni nazionali per sperimentare un evento dai marcati accenti locali. L’Hachinohe Sansha Taisai è infatti un matsuri che si celebra tra la fine luglio e primi di Agosto, dedicato espressamente a tre santuari shintoisti locali (l’Ogami, il Shinra e il Shinmei); è una sorpresa inattesa, la cui ricchezza di immagini e colori vale il viaggio fin da queste parti. Il matsuri, che si rivela una festa vera e propria di tre giorni, si concretizza in una lunga parata di carri di enormi dimensioni, pieni, inondati, sommersi di decori, di eroi mitici, di dèi antichi, di animali sacri e di simboli del luogo. Un’esplosione incontrollabile di colori che invadono la strada mentre i carri stessi si aprono e si trasformano davanti agli occhi stupefatti dell’osservatore.

La parata procede al ritmo incessante di canti locali e tamburi, tamburi incredibili il cui suono ritmico e potente entra sotto pelle e conduce i partecipanti verso la notte, in un mondo che non è più il nostro.

E naturalmente, si è sempre accompagnati dai deliziosi profumi dello street food locale, comprese le deliziose patate dolci allo zucchero e le mele caramellate, vera specialità locale.

 

Aomori Nebuta Matsuri

Infine, non si può assolutamente ignorare il Nebuta Matsuri, forse la festività più popolare di tutta la prefettura di Aomori; oltre a quello del capoluogo, infatti, esistono numerose varianti locali come ad esempio il Neputa Matsuri di Hirosaki, o il Tachi-nebuta Matsuri di Goshogawara (altra esperienza imperdibile). Nella città di Aomori, il matsuri si tiene intorno al 3 Agosto, ed è un vero evento che porta in città un fiume di occhi pronto ad assistere all’evento.

La leggenda dietro a questo matsuri sembra riferirsi alla leggendaria battaglia tra la popolazione locale degli Emishi, che anticamente abitava queste terre, e le truppe imperiali giapponesi, smaniosi di conquistare interamente quest’area. La festività celebra in particolare il coraggio e la forza di Aterui, il condottiero emishi a capo della resistenza locale, una delle figure più amate della regione.

Come per l’Hachinohe Sansha Taisai, anche qui il cuore del matsuri si trova nella lunga parata che invade l’intera città, con balli e canti locali e con immensi carri; a differenza di quelli incontrati prima, tuttavia, questi carri offrono una diversa magia. Appena il sole inizia a calare, intorno alle 21 (poco dopo la partenza della parata) i carri si illuminano completamente, e le diverse figure rappresentate sembrano così prendere vita e fluttuare sopra le teste degli spettatori mentre il cielo diventa nero e la notte estiva prende il sopravvento. E di nuovo, arrivano i tamburi, potenti, enormi e carichi di una vita misteriosa che guidano nel buio i piccoli cortei in yukata che danzano nelle strade.

Marianna Zanetta

Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2017/07/31/three-summer-matsuri-aomori-ken/

Foto di Edmondo Perrone (R)


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Quarta tappa: Nagoya

Nell’organizzazione di un viaggio in Giappone, Nagoya è una città il più delle volte esclusa, non considerata tra le possibili mete turistiche da visionare durante il cammino. Eppure, oltre a essere casa della Toyota, la città offre all’osservatore un notevole contrasto tra la dimensione moderna tipica di molte metropoli nipponiche, e alcune isole di storia, profondamente significative per la nazione intera, che valgono la deviazione almeno per una giornata.

Uno dei luoghi storicamente più interessanti di Nagoya è indubbiamente il castello, che ricorda ancora l’importante storia di questa città. Essa è infatti connessa alla famiglia Tokugawa, fondatori del grande e potente bakufu del XVII secolo che ha governato fino all’inizio dell’era Meiji (1868 - 1912).

Tokugawa Ieyasu, il capostipite della famiglia, compare più volte lungo la strada che conduce al castello, in particolare nel grande parco circostante, quasi a indicare con insistenza la via da seguire per scoprire (o ricordare) la grandezza delle sue gesta. E tra un viale alberato e un giardino giapponese con la piccola casa da tè che ristora dalla calura estiva, compare alla vista il castello: maestoso, con il fossato verde popolato dai cervi che sembrano conoscere l’importanza di quel luogo. Con i suoi tetti celesti che si stagliano nel cielo estivo, e il delfino dorato che salta enigmatico in cima ad essi, il castello di Nagoya mantiene ancora il fascino del passato, e il desiderio di far rivivere le abitudini antiche si riconosce nella ricostruzione di interi ambienti e scenari tipici del Giappone feudale. E quando si arriva in cima, quasi accanto al delfino, si domina con uno sguardo tutta la città e il territorio circostante, ricordo dell’incredibile potere dei suoi antichi inquilini.

 

Sono altri però i luoghi che rendono Nagoya degna di essere visitata; esistono infatti una serie di templi e santuari che contribuiscono a restituire alla città un antico fascino feudale, quasi a voler ricordare che la storia della nazione è passata da qui.

Il primo è un tempio buddhista della scuola Shingon, Ōsu Kannon, dedicato proprio a questo benevolo bodhisattva; a metà tra le strade trafficate e la famosa via commerciale “Ōsu – Naka”, vero e proprio inno allo shopping post-moderno, gli occhi si inondano del rosso del suo portale, con i possenti guardiani che ne proteggono l’accesso, e le ricche architetture del padiglione centrale. Un piccolo portale su un’altra dimensione, quello che spesso accade – qui come in tutto il Giappone – quando il mondo contemporaneo si lascia sorprendere da piccole memorie di un sentire antico. E allora, si segue il percorso che conduce fino in cima alle scale, dove in un silenzio intimo e sereno si può accendere un bastoncino di incenso all’ombra delle bianche bandiere che sventolano nel caldo vento estivo.

Ma forse ancora di più, un altro posto sembra aspettare il visitatore, per sorprenderlo con la sua sobria maestosità; è l’Atsuta-jingū, un santuario shintoista che si nasconde in un piccolo bosco buio e fresco nel cuore della città. Si tratta di uno tra i santuari più importanti in tutto il Giappone, poiché custodisce uno dei Tre Tesori Imperiali, la spada Kusanagi che porta l’impronta del complicato e potente dio Susanoo.

Il contrasto con il tempio buddhista è notevole; al posto del rosso accesso, qui predomina il legno, scuro e accogliente; al posto dei guardiani minacciosi, il grande torii apre a un mondo fatto di silenzio e di natura. Ecco, la natura domina assoluta questo posto, quasi a rivendicarlo, quasi a rivendicarne un’intima connessione, e mentre si procede verso la parte più nascosta del santuario, si ha la sensazione di procedere verso un luogo segreto, che porta la memoria di un remoto patto tra la natura e gli esseri umani.

 

Marianna Zanetta
Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2015/09/22/first-time-nagoya/


Un estate in Giappone. Diario di viaggio - Terza tappa: Enoshima

I dintorni di Tokyo offrono una grande quantità di luoghi da esplorare, che spesso rimangono fuori dagli itinerari più conosciuti. Misteriosamente, perché spesso si tratta di luoghi di una bellezza incredibile, che hanno la capacità di farsi rapidamente strada nell’animo dell’osservatore, e che permettono di scoprire nuovi colori del mondo Giapponese.

 

È esattamente quello che mi è successo sulla strada per Kamakura. In molti hanno iniziato ad apprezzare la bellezza antica di questa località, e i suoi innumerevoli templi (molti dei quali zen) e santuari conquistano i visitatori con il silenzio e la profonda serenità. Ma quello che in pochi ancora hanno scoperto è un piccolo luogo sul mare, proprio sulla strada che da da Tokyo porta a Kamakura; mi riferisco a Enoshima, la piccola, incantevole isola che si trova alla foce del fiume Katase, nella prefettura di Kanagawa. L’intera isola è consacrata alla dea della musica Benzaiten che, secondo la leggenda, è emersa in questo angolo di mondo dal fondo del mare. 

A solo un’ora di treno da Tokyo, e collegata alla terraferma da ben tre line ferroviarie (la Odakyū Enoshima Line, la Enoshima Electric Railway e la Shonan Monorail), la sua collocazione la rende meta privilegiata per gli abitanti di Tokyo e Yokohama che vogliono godere della bellezza delle spiagge e del mare della baia di Sagami.

Ma questo posto è molto più di un luogo di villeggiatura.

È un piccolo angolo di Giappone che riporta alla mente momenti lontani e atmosfre antiche. È un piccolo gioiello tra cielo e mare, che avvicina lo straniero alla sensazione di un Giappone fuori dal tempo.

L’isola custodisce ancora il fascino di abitazioni e negozio in stile tradizionale che danno vita a minuscole, trafficate vie che sembrano comparire da un dipinto di Hokusai; il legno, con il suo colore bruno, si staglia coraggioso nel sole brillante, e accompagna la passeggiata fino ad una lunga scalinata in pietra che porta fino all’Enoshima Jinja, un piccolo santuario Shinto, dedicato alla dea dell’isola, e il cui torii rosso fuoco spicca fiero contro il celeste del cielo e il grigio della pietra.

La brezza abita spesso questi luoghi, come spesso capita nelle cittadine di mare, e accompagna il cammino mano a mano che ci si avvicina all’acqua. Qui, ci si deve incamminare su un lungo ponte in legno che si inoltra nel mare, e che porta lo sguardo verso una delle immagini più incredibili che si possano incontrare in Giappone; ci si trova infatti sospesi sull’acqua, mentre si guarda l’imponente Fuji che vi osserva da lontano, con la cima innevata, in mezzo al blu dell’oceano e del cielo.

Certo, ci sono centinaia di altre immagini imponenti del monte Fuji, e una moltitudine di altri posti da cui osservare la sua maestà; eppure, qui si verifica una strana magia, la combinazione di tutti gli elementi – il cielo, il mare, il legno, il sole – che fa si che gli occhi rimangano sospesi, nell’istante dell’incontro perfetto. Nell’istante in cui si coglie l’incredibile intimità di un luogo piccolo e segreto, silenzioso e accogliente, che apre le porte all’infinito.

Marianna Zanetta
Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2017/02/12/5-amazing-day-trip-tokyo/


Un tanka alla settimana

"Anche per provare a vedere
se riesco a resistere,
resto senza convegno:
e così la brama mi soverchia
al punto da non poterci scherzare."

"Arinu ya to
kokoromi gatera
aimineba
tawaburenikuki
made zo koishiki"

ありぬやと
心見がてら
あひ見ねば
戯れにくき
までぞ恋しき

Anonimo


Un estate in Giappone. Diario di viaggio - Seconda tappa: Meoto Iwa e Futami Okitama Jinja

Quando si decide di scoprire qualche gioiello della cultura e della tradizione giapponese, uno dei luoghi più incredibili è certamente il santuario di Ise, uno dei luoghi più sacri di tutto l’arcipelago, collocato nella prefettura di Mie. Spesso, tuttavia, si cade nell’errore di concentrarsi solo su questa meta, e di dimenticare quello che si può scoprire nel viaggio; per questo, vi suggerisco di partire dal mare, dal luogo in cui cielo e acqua si confondono nel grigio, e dove le rocce vi osservano da lontano.

 

A poca distanza da Ise, esiste un piccolo angolo di paradiso nel momento in cui l’autobus si ferma davanti al Futami Okitama Jinja, un complesso Shinto disseminato lungo una riva roccioso di fronte alle onde. In epoche precedenti, questo jinja era un complesso di vari santuari, ed era rinomato per il suo legame con la leggenda della caverna Ama no Iwato, dove Amaterasu si rinchiuse dopo un’epica lotta con il fratello Susanoo no Mikoto. Il santuario era anche importante poiché i pellegrini che si incamminavano verso Ise si radunavano qui per una purificazione iniziale nell’acqua di mare (un rituale chiamato hamasangu) prima di iniziare il viaggio.

Mentre si cammina tra le rocce e le onde, è inevitabile notare l’abbondanza di sculture di rane, le miriadi di piccole statuette di questo simpatico anfibio, che rendono inconfondibile il santuario. Come sempre c’è una ragione per questa presenza, ed essa è rintracciabile in una tradizione secondo la quale la rana era un’offerta rituale per acquietare lo spirito del serpente del mare che abita la baia di Ise, ed evitare disastri alla popolazione; inoltre, la rana è considerata il simbolo di Sarutahiko no okami, uno dei kami qui venerati.

L’incontro con questo luogo si è rivelato un amore inatteso: forse per via del mio amore del mare, forse perché il tempo piovoso ha reso ancora più profondo il colore grigio-azzurro dell’atmosfera, o forse perché il vento ha ininterrottamente cantato sull’acqua. Non so davvero dire il perché. Il luogo mi ha rivelato tutta il suo fascino in piccoli dettagli, e mi sono ritrovata a camminare in una dimensione diversa, passeggiando accanto alle acque su un sentiero che guarda direttamente le onde blu dell’oceano.

E poi la magia finale. Circondata dalle piccole rane e dalle numerose offerte disseminate sul cammino, mi sono ritrovata davanti ad una delle icone più famose della tradizione Shinto: Meoto Iwa, le rocce sposate.

Come vuole la leggenda, queste due rocce rappresentano l’unione dei due kami originari, Izanagi e Izanami, la coppia divina dalla quale sono stati generati tutti gli altri dei. La roccia più grande, o-iwa, raggiunge circa i nove metri di altezza e ha un piccolo torii in cima, mentre la più piccola, me-iwa, è alta circa 4 metri. Una fune sacra unisce le due rocce come se si stessero tenendo per mano. La marea qui cambia in fretta, e sono stata così fortunata da incontrare questa coppia immersa nei flutti e nel mare agitato, che ha rafforzato la potenza simbolica di questa corda bianca che unisce i due amanti contro tutte le difficoltà.

È un luogo che in pochi metri racchiude le più profonde radici mitologiche del Giappone, prima ancora di arrivare davanti a Ise, prima ancora di inoltrarsi dei boschi che conducono al cuore più antico dello Shinto; qui, tra cielo e mare, nel grigio profondo della roccia sferzata dalle onde sembra essere racchiusa la più profonda sensibilità di un antico mondo che continua ad osservarci silenzioso e imponente. Qui, in un panorama che dall’apparenza semplice e privo di fronzoli, vibra l’emozionante dell’immagine di queste due rocce che insieme affrontano eternamente le onde, la pioggia e il vento dell’oceano.

Marianna Zanetta

Articolo originale: http://www.mariannazanetta.com/2016/08/24/love-meoto-iwa/


Fuochi d'artificio - I migliori hanabi taikai da vedere tra luglio e agosto

Uno degli elementi più caratteristici delle calde estati giapponesi, sono sicuramente i numerosissimi hanabi-taikai, festival dei fuochi d'artificio. Amatissimi dai giapponesi, questi appuntamenti sono dei veri e proprio must nelle serate estive. In particolare, Tokyo è, tra la fine di luglio e agosto, la meta ideale per chiunque abbia voglia di assistere a spettacoli pirotecnici di alto livello.

Ogni anno, nelle calde sere d'estate, tantissime persone (tradizionalmente vestendo lo yukata, un leggero abito estivo giapponese) osservano stupite lo splendore di fuochi artificiali che, di pari passo con l'avanzamento tecnologico, sono sempre più elaborati e sorprendenti.

L'origine simbolica dei fuochi d'artificio (letteralmente “fiori di fuoco”, hanabi ) risale al 1733, quando, in onore delle vittime di una carestia che aveva colpito la città, vennero per la prima volta lanciati nei pressi del fiume Sumida . Da allora, gli hanabi servono allo scopo di pacificare le anime di chi ci ha preceduto e, allo stesso tempo, scacciare la sfortuna dalla città.

Ogni anno, gli eventi in programma attirano centinaia di migliaia di persone. Qui di seguito, ve ne raccontiamo alcuni tra i più importanti.

Uno degli appuntamenti tradizionali più attesi ricorre il 22 luglio a Tokyo. Fin dal 1924, infatti, vengono lanciati sul fiume Arakawa i fuochi d'artificio di Adachi. Lo spettacolo, completamente gratuito, dura un'ora, dalle 19:30 alle 20:30 e vengono lanciati da due postazioni circa 12.000. Uno dei luoghi più adatti all'osservazione è solitamente la sponda del fiume chiamata Nishi-Arai.

Parlando invece dell'evento pirotecnico simbolo dell'estate di Tokyo non possiamo non citare i fuochi artificiali del fiume Sumida. Come già accennato, si tratta dell'hanabi taikai più antico, risalente addirittura durante il periodo Edo (1603 -1867). Svoltosi regolarmente ogni anno, fu interrotto solo quando, nella seconda metà del XX secolo, l'impressionante sviluppo urbanistico della città ne impedì lo svolgimento. Ripreso nel 1978, oggi è l'evento che vanta il maggior numero di fuochi utilizzati (circa 22.000) e spettatori (circa un milione di persone).

Quest'anno, l'evento si svolgerà sabato 29 luglio dalle 19:05 alle 20:30. Uno dei migliori punti da cui poterli ammirare è il parco di Sumida, lungo la sponda orientale del fiume, zona di Asakusa. Il luogo è centrale rispetto alle due postazioni da cui verranno lanciati i fuochi, ovvero tra il ponte Sakura e il ponte Kototoi, e attorno a quello di Komagata.

Nel mese di agosto, invece, degno di nota è lo spettacolo pirotecnico di Jingu Gaien. Ogni anno diverse migliaia di spettatori percorrono le strade di Harajuku e Aoyama fino a giungere al Jingu Stadium, luogo dell'evento dove ammireranno circa 10,000 fuochi. Lo spettacolo, famoso almeno quanto quello del fiume Sumida, si svolge domenica 20 agosto dalle 19:30 alle 20:30. Quest'anno, inoltre, sarà preceduto da un concerto j-pop. Al contrario degli altri due eventi sopra citati, il taikai di Jingu Gaien è a pagamento. Si può comunque godere dello spettacolo senza entrare nello stadio, cercando, nella circostante area di Shinanomachi, un posto dove potervi assistere gratuitamente.

Marco Furio Mangani Camilli


Un tanka alla settimana

"Non alzo la voce
nel lamento, come invece fa
l'insetto; eppure
copiose le lacrime
fluiscono furtive."

"Mushi no goto
koe ni tatete wa
nakanedomo
namida nomi koso
shita ni nagarure"

虫のごと
声に立てては
なかねども
涙のみこそ
下にながるれ

Kiyohara no Fukuyaru


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Prima tappa: Tokyo

Ormai l'estate ci ha travolti. La voglia di evadere dal caldo delle città sempre maggiore. Così, noi di Giappone in Italia vogliamo proporvi un viaggio. Niente paura: non servirà nessun biglietto aereo, ma basterà seguire le nostre pagine. Un viaggio alla scoperta di otto fantastiche località del Giappone, al di fuori dei soliti itinerari turistici.

Dopo questo primo appuntamento di lunedì, ogni sabato, una nuova pagina di questo diario di viaggio, alla scoperta di luoghi misteriosi, rotte inusuali e suggestioni inedite. E chissà che qualcuno, mosso da questi incantevoli scorci di Giappone, possa decidere di andarci davvero nel suo prossimo viaggio nel Paese del Sol Levante.

La prima tappa ci porta nella capitale, Tokyo. Pronti? Si parte!

 

Tokyo è un luogo che spaventa.

La sua imponente modernità ricca di vetro e di altezze le dona spesso uno strano immaginario; troppo urbana, troppo futuristica, troppo americana. Troppo poco giapponese. Un luogo che suona troppo estraneo eppure in qualche modo già visto, come se fosse assimilabile a qualsiasi altra capitale sparsa in giro per il mondo. Ecco, forse Tokyo sembra spesso il prototipo della metropoli inumana che per qualche motivo non fa parte delle aspettative di chi viaggia in Giappone.

In realtà, Tokyo si sottrae a qualsiasi paragone, e obbliga a interrompere il flusso delle immagini che si accavallano preventivamente quando si parla di questo posto.

Perché Tokyo è il luogo del silenzio. Silenzio inatteso e incredibile, proprio perché si è nel cuore di una delle più grandi aree urbane del mondo. Eppure, appena scesi dal treno, il silenzio è li pronto ad abbracciarti. Il silenzio di un traffico che scorre senza frastuono, di voci che chiacchierano senza invadenza, di biciclette che sfrecciano ai margini della strada. Certamente, ci sono delle isole nella città dove sembra invece verificarsi il fenomeno contrario, una sovrabbondanza di caroselli, musiche insistenti e richiami pubblicitari. Ma il silenzio è il vero padrone, è lui che rimane nell’anima e nella mente, un silenzio discreto e accogliente che sembra voler concedere il tempo – e lo spazio - per assestarsi alla grandezza e alla modernità.

 

 

E se ci si lascia condurre dal silenzio per le vie della capitale, si scopre che Tokyo è una città dalle molte anime. Sembra difficile individuare un unico centro da cui si irradi la vita cittadina. Al suo posto esiste una moltitudine di realtà che si giustappongono e si fondono l’una con l’altra. Succede così: siete usciti dalla stazione, diciamo a Ueno, e state camminando tra la folla seguendo la strada principale con ampi marciapiedi e corsie trafficate. Poi, voltate la testa e vi rendete conto che al vostro fianco c’è un piccolo passaggio tra due palazzi: in quella piccola via un mondo diverso si srotola davanti ai vostri occhi. Porte di legno, piccole lanterne, qualche gatto di quartiere, e vi sembra di essere stati trasportati indietro nel tempo di un centinaio d’anni. Nel mezzo di Tokyo, e allo stesso tempo anni luce lontani.

 

 

Per questo, è estremamente difficile dipingere Tokyo in maniera univoca; è Akihabara con i suoi infiniti piani di anime, ma è anche il silenzioso viale alberato di ciliegi appena fuori Shinjuku; è la purezza del cristallo di Ginza, ma è anche il calore del legno nelle piccole vie di Ueno. È la dimensione quasi paesana che si respira a Nakano, con le sue vie residenziali e le case monofamiliari, con i piccoli negozi di alimentari e i kombini rassicuranti. È la bellezza di una lunga camminata autunnale, mentre gli aceri si colorano di rosso.

 

 

E forse Tokyo da il meglio di sé se la si incontra camminando. Bisogna dedicarle tempo e sospendere il giudizio per poter ascoltare tutto quello che questa città ha da raccontare. E allora si può dimenticare gli itinerari preparati a tavolino e ci si può dedicare a percorrere le strade della città come farebbe uno qualsiasi dei suoi abitanti. Si può partire da Chiyoda, dal cuore del palazzo imperiale, passando attraverso il parco di Hibiya, per incamminarsi verso ovest, e raggiungere Harajuku percorrendo il parco Yoyogi. Poi continuare verso nord, in direzione Shinjuku Est, per arrivare infine, senza fretta, alla luminosa e trafficata Ikebukuro.

Tokyo non ama la fretta, nonostante tutto, e gli occhi vedono meglio quando si cammina con calma. Anche se si finisce quando il sole tramonta.

E proprio questo tramonto ha in Tokyo un’atmosfera diversa; è un tramonto precoce, che arriva prima che altrove, e improvvisamente tinge il cielo di un blu intenso. E mentre si passeggia nell’ora blu, si assiste alla magia della luce: la città si veste di migliaia di colori che brillano contro questo cielo dal colore sorprendente. Sono le infinite luce dei negozi, dei ristoranti, della normale vita che continua anche quando il sole non sta più a guardare, e di quella vita che si popola solo nel cielo più scuro; sono solo luci, eppure hanno il potere di trasmettere un’inattesa sensazione di calore e di accoglienza, mentre torna protagonista il silenzio che accompagna gli esseri umani per le vie della città, in una dimensione che non è solitudine ma quiete, e che sembra riconciliare lo spirito con questa città tentacolare, imponente eppure così profondamente umana.

 

 

Marianna Zanetta
www.mariannazanetta.com
Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2016/09/27/10-things-made-fall-love-tokyo/


Un tanka alla settimana

"È lo stesso cuculo
che, l'estate scorsa,
fu prodigo nel canto,
oppure un altro?
Immutata risuona la voce..."

"Kozo no natsu
nakifurushite shi
hototogisu
sore ka aranu ka
koe no kawaranu"

去年の夏
なきふるしてし
郭公
それかあらぬか
こゑのかはらぬ

Anonimo


Shin Godzilla, il ritorno del moderno Kami

Quando il Giappone ricerca nell’intrattenimento l’esorcizzazione delle catastrofi che lo affliggono, un nome ed un marchio tornano a far sentire il proprio ruggito: Godzilla. Il signore dei kaiju è tornato! Il 3,4 e 5 Luglio approda in Italia, in proiezione limitata, l’ultimo capitolo della decennale saga del re dei mostri, intitolato Shin Godzilla.

 

 

Uscito nelle sale giapponesi il 29 luglio 2016, Shin Godzilla è la trentunesima pellicola della serie, a dodici anni di distanza dall’ultimo Godzilla: Final Wars. A differenza delle precedenti produzioni nipponiche, non si tratta di un seguito del capostipite del 1954, ma di un vero e proprio reboot che ricomincia la saga da zero ambientandola ai giorni nostri. Molto apprezzato dalla critica, il lungometraggio vanta la firma di Hideaki Anno, celebre autore di Neon Genesis Evangelion, che insieme a Shinji Higuchi,  realizzatore degli effetti speciali, tenta di conferire un’impronta originale ad uno degli archetipi mostruosi più celebri della storia del cinema.

Più riflessivo, oscuro e cerebrale rispetto ai precedenti che sembra aver convinto gli addetti ai lavori. Dalla notte dei 40esimi Academy Awards giapponesi ne esce trionfante con sette premi vinti (miglior film, miglior regia, miglior fotografia, direzione artistica, illuminazione, montaggio e sonoro). Mai nessun episodio della saga aveva raggiunto un simile traguardo e il motivo di tale successo di critica ed incassi (oltre 76 milioni di dollari al box office mondiale) è essenzialmente dovuto ad un ragionato ritorno alle origini che la direzione creativa ha deciso di intraprendere.

Battezzato sul grande schermo da Ishiro Honda, all’insegna del terrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki, il re dei mostri ha rapidamente conquistato un vasto pubblico imprimendosi nell’immaginario collettivo come una metafora dell’impotenza dell’individuo nei confronti di una natura degenerata e corrotta dagli errori dell’uomo stesso. Grottesco, materico ed inscalfibile, questo nuovo Godzilla nasce come una concrezione amorfa di materiale biologico devastato dalle radiazioni per poi conquistare una forma definita e il suo classico aspetto bipede.

 

 

Shinto è la via degli dei, e shin, divino, è l’aggettivo che accompagna il nome della creatura. Come un kami moderno, la sua sagoma si erge sulla baia di Kamakura e Tokyo, assolutamente noncurante di ciò che si pone dinnanzi al suo passaggio. L’icona kaiju riacquisisce ancora una volta la caratteristica dell’imparzialità e dell’indifferenza nei confronti dell’operato umano. Il panico generatosi e i conseguenti tentativi di arginare l’emergenza sono un evidente riferimento ai tragici eventi della storia recente. Così come nel ‘54 era necessario trasfigurare in un simbolo l’olocausto nucleare, allo stesso modo “Shin Godzilla” si pone nei confronti dello tsunami del 2011. È un fenomeno naturale e, come tale, semplicemente accade, trattato con timore e riverenza, ma non odiato; né “buono”, né “malvagio”. La nazione deve salvarsi da sola e pertanto il film si focalizza sulle azioni umane intorno all’evento più che sull’evento stesso.

Il tema ecologico, corroborato dal marcescente aspetto che assumono le scorie rilasciate dal mostro, rievoca l’immaginario di Miyazaki e Otomo che spesso ha posto l’accento sul pericolo derivante dalla mutazione forzata della natura. Gran parte del minutaggio è dedicata a tesissime riunioni tra i piani alti del governo, gli scienziati e gli operatori sul campo. Variando tra momenti di satira leggera e sequenze più cupe, l’organizzazione collettiva e le strategie di contenimento descritte dal film ricordano l’azione eroica e sacrificale di quei cinquanta eroi che nel marzo del 2011 decidettero di sacrificarsi per arginare il potenziale distruttivo di Fukushima.

 

 

La macchina da presa è soprattutto impiegata ad altezza d’uomo, inquadrando spesso da vicino i volti concentrati e terrorizzati che rievocano le estremizzate ed enfatiche espressioni dei personaggi degli anime di Anno. Il mostro e l’azione che lo coinvolge sono realizzati con un misto di CGI ed effetti pratici. L’uso di riprese dal vivo e miniature della Tokyo distrutta è integrato con sequenze ricreate in motion capture. Tra modernità e tradizione il Re dei mostri torna nel suo ad affascinarci e terrorizzarci, ribadendo mai una volta di troppo quanto effimero e precario possa rivelarsi l’operato umano di fronte alla forza soverchiante degli elementi.  

Michele Mariani
articolo completo su --> https://goo.gl/nWxQtE