Un tanka alla settimana
Indugerò ad ammirare,
prima di guardare,
le foglie d'autunno,
ché sebbene cadano come pioggia,
il fiume mai sarà in piena.
Tachitomari
mite o wataramu
momijiba wa
ame to furu tomo
mizu wa masaraji
立とまり
見てをわたらむ
もみじ葉は
雨と降るとも
水はきさらじ
Oshikoshi no Mitsune
Un tanka alla settimana
"La montagna d'autunno
offre foglie radiose
al dio del viaggio,
ed io pure, che ci vivo,
mi sento viandante."
"Aki no yama
momiji wo nusa to
tamukureba
sumu ware sae zo
tabikokochi suru"
秋の山
もみぢをぬさと
たむくれば
住む我さへぞ
旅心地する
Ki no Tsurayuki
Un tanka alla settimana
"Soffia il vento
e cadono le foglie d'autunno
nell'acqua sì limpida
che pur le fronde sospese
si riflettono tremule sul fondo."
"Kaze fukeba
otsuru momijiba
mizu kiyomi
chiranu kage sae
soko ni mietsutsu."
風ふけば
落つるもみぢば
水きよみ
ちらぬかげさへ
底に見えつつ
Oshikoshi no Mitsune
Un tanka alla settimana
L'autunno è qui:
le foglie cadute hanno steso
una spessa coltre intorno alla mia dimora,
e nessuno si fa strada
per venire a trovarmi.
Aki wa kinu
momiji wa yado ni
furishikinu
michi fumiwakete
tou hito wa nashi.
あきはきぬ
紅葉は宿に
ふりしきぬ
道ふみわけて
訪ふ人はなし
Anonimo
Un tanka alla settimana
"I fiori di crisantemo
visti in alto
sopra le nubi sublimi
mi abbagliano
quali stelle nel cielo"
"Hisakata no
kumo no ue nite
miru kiku wa
ama tsu boshi to zo
ayamatarekeru"
久方の
雲のうへにて
見る菊は
天つ星とぞ
あやまたれける
Fujiwara no Toshiyuki
Un tanka alla settimana
"Non cadono ancora,
eppure già rimpiango
le radiose foglie d'autunno,
ora che le vedo
nello splendore estremo."
"Chiranedomo
kanete zo oshiki
momijiba ha
ima wa kagiri no
iro to mitsureba"
散らねども
かねてぞをしき
もみじ葉は
今は限の
色と見つれば
Anonimo
Un tanka alla settimana
"Sono rami dello stesso albero,
ma, distinta, muta di colore
la fronda dell'ovest,
dalla direzione, ecco,
ove sorge l'autunno."
"Onaji e o
wakite ko no ha no
utsurou wa
nishi koso aki no
hajime narikere."
おなじ枝を
分きて木の葉の
うつろふは
西こそ秋の
はじめなりけれ
Fujiwara no Kachion
Un tanka alla settimana
"Pensieri mesti
sfilano sulle ali
delle oche selvatiche
che volano lamentose
notte dopo notte, in autunno"
"Uki koto wo
omoi tsuranete
karigane no
naki koso watare
aki no yona yona"
憂きことを
思つらねて
かりがねの
なきこそわたれ
秋の夜な夜な
О̄chikōshi no Mitsune
Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Settima tappa: l'Osorezan e l'incontro con le anime
Esiste un luogo, nel nord della prefettura di Aomori, dove spazio e tempo si modificano sensibilmente, e dove le barriere del nostro mondo cedono al potere degli spiriti. È un luogo carico di Potenza e di malinconia, dove si sperimenta l’incontro con coloro che non ci sono più, dove i vivi e I morti possono incontrarsi ancora una volta. Questo luogo è l’Osorezan il cui nome è solitamente tradotto con Monte della Paura, una montagna che si innalza al centro della penisola di Shimokita; abbandonato ai confine settentrionali dell’Honshi, questo monte è ad oggi il simbolo di un sentire antico, di un Giappone tradizionale a volte dimenticato, lontano dalla modernità e dalle luci delle città del sud.
Il Monte della Paura è un luogo dal fascino innegabile. La sua origine vulcanica affiora appena si arriva nella zona; l’inconfondibile odore di zolfo, il colore grigio-giallo della superficie rocciosa, un lago dall’azzurro trasparente a lambire le sue pendici, dove nessuna forma di vita riesce a sopravvivere. Non è solo il monte della Paura, è la montagna degli inferni, dove le credenze buddhiste prendono forma sotto gli occhi di chi si avventura tra rocce e i vapori sulfurei. È il luogo dove i morti conitnuano a vivere in un’esistenza parallela, e dove è ancora possibile sperimentare un ultimo incontro con loro.
Entrando nel tempio zen alla base della montagna (il Bodaiji), si varca la soglia di un’altra dimensione, e si intraprende un cammino attraverso i diversi inferni buddhisti, tra innumerevoli statue del bodisatthva Jizō, protettore delle anime nell’aldilà, e coloratissime girandole lasciate in segno di amore e di omaggio per i propri cari.
L’Osorezan è un luogo della memoria. È una terra dove si cammina nella speranza di sentire il bisbiglio di chi non è più con noi, e dove si cerca di mantenere il ricordo e il legame con chi è dall’altra parte. E proprio questo legame è desiderato quando si arriva sulla riva del lago azzurro, mentre si guarda la verde montagna di fronte che rappresenta il paradiso, e mentre si grida il nome dei propri cari con tutto l’amore che si ha in corpo. E lo stesso legame è simboleggiato nelle innumerevoli offerte che si spargono lungo tutta la spiaggia, tra fiori, caramelle, lattine di birra e giocattoli, mentre il vento fa fischiare le girandole colorate. Ed è lo stesso legame che si cerca con tenacia e pazienza mentre si attende il proprio turno in coda per parlare con un’itako, una delle famose sciamane cieche che si radunano in questo luogo durante il matsuri locale a fine luglio; sono le sciamane che invocano i defunti, e permettono un ultimo incontro con la propria famiglia dei vivi. Un ultimo abbraccio prima della separazione definitiva.
L’Osorezan è una dimensione che entra nell’anima, un luogo distante, spirituale e profondamente intimo, che permette la riscoperta di qualcosa di estremamente radicato nell’anima giapponese, ma anche di estremamente universale. È un luogo di confine, un mondo a metà che porta su di sé la potenza del mondo dell’aldilà, e la magia di un Giappone antico che a volte si ha la sensazione di perdere in mezzo ai suoi e alle giravolte della contemporaneità.
Marianna Zanetta
Articolo originale: http://www.mariannazanetta.com/2017/08/24/where-the-spirits-dwell-the-osorezan/
Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Sesta tappa: Hiroshima
Hiroshima ha il suono del destino. Pronunciare il suo nome fa quasi paura, come se una sorte crudele e inevitabile ancora aleggiasse sul cielo della città. È l’emblema di una tragedia; un crimine, un orrore. Uno torto che l’umanità ha fatto a se stessa. Nel suo nome, sembra vibrare la sensazione della morte. Si immagina di essere introdotti a una realtà dove quel 6 agosto del 1945 sembra ripetersi costantemente, e dove la lugubre coltre della memoria vuole imporre un silenzio, forse un lutto rispettoso e costante per quanto è successo.
Ecco, forse è proprio questo. Quando si pronuncia il nome di Hiroshima si pensa di entrare in un mondo in lutto. E invece no. Hiroshima si rivelata una città viva, gioiosa, dinamica. Con un’effervescenza che corre al di sotto della superficie e che contagia per magia l’aria che si respira.
Questo non vuol dire che i segni non siano rimasti, anzi: Hiroshima sembra essere una città che non ha alcuna intenzione di dimenticare o di nascondere la tragedia. Essa infatti è li, nel mezzo della città tra i grattacieli moderni, gli schermi pubblicitari e le luci al neon; ha la forma di una piccola costruzione di cemento in stile occidentale con la cupola in rame di cui rimane solo il famigerato scheletro. La cupola della bomba atomica, con la sua sagoma cadente eppure riconoscibilissima, è li, domina lo sguardo di chi si aggira nella zona, a eterna memoria di quell’ormai lontano giorno d’agosto.
Eppure, camminando intorno al perimetro di questo fantasma, quel giorno non sembra così lontano; sembra di essere li, l’ora dopo, o il giorno dopo, nel silenzio che avvolge lo spazio, e sembra di poter immaginare dopo la deflagrazione. Siamo in effetti a poca distanza dal luogo dell’esplosione; la cupola è tutto quello che della vecchia Hiroshima è sopravvissuto, e lei sembra saperlo, e sembra voler urlare (silenziosamente, è chiaro) a ogni visitatore, ad ogni abitante del luogo, del mondo forse, quello che lei, più di settant’anni fa, ha visto. Non con rabbia. Ma con profonda tristezza, quasi con la paura di non essere ascoltata.
Ho incontrato la cupola per la prima volta in un caldo pomeriggio di metà agosto, attraversando il parco della pace. L’ho intravista quella stessa sera in mezzo alle luci della città, nell’effervescenza degli stand di street food e di unici okonomiyaki locali.
In quel turbinio di luci, la sua presenza è strana: è un monito doppio.
In tutte queste luci, ricordatevi che io ho visto.
Ma anche - nonostante quello che ho visto, guardate tutte le luci che sono fiorite.
La doppia possibilità della memoria e della rinascita, una quasi impensabile senza l’altra.
Marianna Zanetta
Articolo originale: http://www.mariannazanetta.com/2015/09/22/hiroshima-mon-amour/