Un tanka alla settimana
"Anche se sarò separato
da te, in una lontananza
infinita al di là delle nubi,
come potrei lasciarti
distante dal mio cuore?"
"Kagiri naki
kumoi no yoso ni
wakaru to mo
hito o kokoro ni
okurasamu ya wa."
かぎりなき
雲井のよそに
わかるとも
人を心に
をくらさむやは
Anonimo
Un tanka alla settimana
"In questo mondo,
quale dimora
potrei chiamare mia?
Ovunque portino i miei passi,
via adagerò il mio corpo."
"Yo no naka wa
izure ka sashite
wa ga naramu
yukitomaru wo zo
yado to sadamaru."
世中は
いづれか指して
わがならむ
行きとまるをぞ
宿とさだまる
Attribuita a Semimaru
Un tanka alla settimana
"Ogni volta che viene
la fine dell'anno,
sempre di più,
fitta cade la neve
e logora si fa la mia vita."
"Aratama no
toshi no owari ni
naru goto ni
yuki mo wa ga mi mo
furi masaritsutsu"
あらたまの
年の終りに
なるごとに
雪もわが身も
ふりまさりつつ
Ariwara no Motokata
Un tanka alla settimana
"Sotto la coltre di neve
un sentiero ove nessuno passa
è, forse, il cuore umano?
Senza lasciare orma
si dileguano i fuochi del sentimento."
"Yuki furite
hito mo kayowanu
michi nare ya
atohaka mo naku
momoi kiyuramu"
ゆきふりて
人も通はぬ
道なれや
跡はかもなく
思ひきゆらむ
Oshikoshi no Mitsune
Un tanka alla settimana
"A causa tua, su di me
la diceria, fiorente
s'è estesa ovunque,
come la foschia primaverile
che avvolge e i campi e i monti."
"Kimi ni yori
wa ga na wa hana ni
harukasumi
no ni mo yama ni mo
tachimichinikeri"
きみにより
わが名は花に
春霞
野にも山にも
たち満ちにけり
Anonimo
Un tanka alla settimana
"Solo alla fine dell'anno,
quando la neve stende
la bianca coltre,
risalta agli occhi
il verde perenne del pino"
"Yuki furite
toshi no kurenuru
toki ni koso
tsuini momijinu
matsu mo miekere"
雪ふりて
年の暮れぬる
時にこそ
つひにもみぢぬ
松も見えけれ
Anonimo
Un tanka alla settimana
"Si dice "ieri",
si vive "oggi", e via,
come l'acqua del fiume Domani,
sì veloci scorrono i giorni e i mesi."
"Kinō to ii
kyō to kurashite
Asukagawa
nagarete hayaki
tsukihi narikeri"
昨日といひ
今日とくらして
あすか河
流れてはやき
月日なりけり
Harumichi no Tsuraki
Un tanka alla settimana
“Le lacrime, che verso
nel desiderio di te, hanno inondato
il mio giaciglio; e così ora
mi ritrovo un segnale di rotta
eroso dalla marea dei sospiri d’amore.”
“Kimi kouru
namida no toko ni
michinureba
miotsukushi to zo
ware wa narikeru”
きみ恋ふる
涙のとこに
満ちぬれば
みをつくしとぞ
我はなりける
Fujiwara no Okikaze
"Aki no aware": la compenetrazione emotiva nell’autunno di Dolls e Little Forest
Siamo agli albori dell’XI secolo, quando la dama di corte Murasaki Shikibu compone ciò che i critici letterari contemplano come primo esempio di romanzo psicologico, nonché cardine della letteratura giapponese: ci riferiamo senza dubbio al Genji monogatari. Uno dei maggiori contributi dell’opera, che ruota intorno alle vicende amorose del “Principe Splendente”, è quello di aver riportato in auge un concetto basilare dell’estetica giapponese, il mono no aware.
Nel Genji monogatari, infatti, questo termine raggiunge la massima espressione, acquisendo una rinnovata definizione. Più che concetto estetico volto a sottolineare una bellezza che desta un coinvolgimento personale alla vista, il mono no aware assume un carattere di melancolia derivante dalla consapevolezza che ciò che si osserva sarà destinato a sfiorire.
La “sensibilità (aware 哀れ) delle cose (mono 物)” delinea così una percezione che accomuna ciascun soggetto nella partecipazione emotiva alla trasformazione degli elementi naturali nel tempo. Alla base della cultura estetica, della poesia e della letteratura giapponese, questo concetto ha fortemente influenzato anche gran parte delle opere cinematografiche moderne e contemporanee.
Registi del calibro di Mizoguchi Kenji e Ozu Yasujirō, in film come Tarda primavera (Banshun, 1949) e Tardo autunno (Akibiyori, 1960), hanno tentato di suscitare l’empatia dello spettatore nei confronti dei personaggi attraverso una poetica incentrata sull’ordinarietà della vita quotidiana e l’inevitabile susseguirsi delle stagioni. E di certo, a rivelare maggiormente la sensazione di caducità, disillusione e isolamento dell’essere umano nel suo rapporto complesso con la natura è, tra tutte le stagioni, l’autunno (aki 秋).
Il capolavoro Dolls (2002), diretto da “Beat Takeshi” Kitano, ne è una chiara testimonianza. Il film si svolge su un intreccio di tre vicende che indagano il tema dell’amore. Quello rappresentato da Kitano, però, non è l’amore ardente e impulsivo che prelude a un intuibile lieto fine. Al contrario è silenzioso e all’apparenza celato, tuttavia carico di una potenzialità emotiva che sfocia in disperazione, follia e inevitabilmente violenza.
In particolare, la condizione di incomunicabilità che affligge i personaggi (tematica affrontata in modo magistrale da Michelangelo Antonioni nel cinema italiano) è evidente nel primo episodio, il più emblematico. I due “vagabondi legati”, Matsumoto e Sawako, iniziano infatti un lento cammino senza meta, quasi come unica reazione possibile a un legame ormai compromesso. E’ in questo processo di accettazione del destino che il senso di solitudine, il silenzio e la frustrazione prendono il sopravvento sulle personalità dei personaggi, indifferenti alle risa dei passanti e all’incessante scorrere del tempo.
La cura dell’altro e la dipendenza reciproca generano così un progressivo autoannullamento dei due innamorati, fisicamente legati soltanto da una corda rossa durante l’intero cammino. Nessuna possibilità di evasione, ma in fin dei conti nessuna vera intenzione. Qui l’allusione romantica del regista è riconducibile al “filo rosso del destino” (Unmei no akai ito), una leggenda popolare cinese diffusa in Giappone secondo cui ogni persona è legata alla propria anima gemella da un indistruttibile filo rosso.
Il principale riferimento culturale della pellicola, da cui la scelta del titolo, riguarda però le marionette dello spettacolo bunraku. Il film si apre infatti con una scena dell’opera teatrale I Messi dell'Inferno (Meido no hikyaku) di Chikamatsu Monzaemon. E’ proprio il drammaturgo del periodo Edo, ribattezzato lo "Shakespeare del Sol Levante", ad aver rappresentato in alcuni suoi drammi la pratica dello shinjū (心中), letteralmente il “doppio suicidio d’amore”.
La totale assenza di dialogo o di contatto fisico definisce così l’apatica fuga delle “bambole”, che percorrono le quattro stagioni tra giardini in fiore, spiagge deserte, boschi autunnali e interminabili distese di neve. E dove non riescono i personaggi nell’intento di esprimere le proprie emozioni, il compito è lasciato all’impatto visivo della natura e dei suoi colori ricorrenti, primo su tutti il rosso della foglia d’acero che percorre le vicende trasportata dal fiume, creando una perfetta analogia con il sangue sull’asfalto.
Insomma, più mono no aware di così, si muore.
L’imprescindibile legame tra essere umano e natura è tema fondamentale anche in Little Forest di Mori Jun'ichi, una miniserie basata sull’omonimo “slice of life” manga di Igarashi Daisuke. Complessivamente, l’opera è divisa in 2 parti: Summer/Autumn (2014) e Winter/Spring (2015).
Il racconto si svolge nella fittizia e circoscritta comunità di Komori (“piccola foresta”) nella regione del Tōhoku, dove la giovane Ichiko, interpretata dall’incantevole Hashimoto Ai, vive da sola in seguito all’inaspettata partenza della madre. In totale armonia con l’ambiente rurale che la circonda, Ichiko è immersa nelle tradizioni culinarie giapponesi e si dedica con meticoloso impegno a tutte le attività agricole necessarie per il proprio sostentamento. In base alle variazioni climatiche scandite dalla graduale evoluzione delle stagioni, la protagonista ci mostra la ripetitività delle azioni quotidiane nella vita agreste, come la coltivazione del riso, il taglio del legname e infine la preparazione dei piatti.
Anche Little Forest presenta pochissimi dialoghi, perlopiù inerenti agli incontri di Ichiko con gli amici Yūta e Kikko e con gli altri abitanti della comunità. Gran parte del parlato consiste di fatto in monologhi e descrizioni dettagliate delle ricette e dei metodi agricoli, nonché commenti conclusivi sulla riuscita o meno dei piatti. A intervallare i momenti di solitudine sono alcuni flashback, in cui la ragazza ricorda gli insegnamenti di cucina della madre, e gli autoreferenziali “itadakimasu” pronunciati prima delle degustazioni.
Nonostante lo stile pressoché documentaristico del film e la staticità generale della trama, Little Forest offre una miriade di spunti riflessivi. Innanzitutto, l’opera rimanda implicitamente alle differenze di vita tra campagna e città, un leitmotiv del cinema giapponese moderno. Ichiko mostra infatti sentimenti contrastanti riguardo al suo ritorno nel paese natale, una scelta perlopiù forzata, e rivela in varie occasioni le sue incertezze riguardo a una permanenza futura.
Accompagnato da una colonna sonora piuttosto suggestiva e da favolose immagini dei paesaggi circostanti, il film espone così il conflitto interiore della giovane nel suo delicato viaggio introspettivo alla ricerca di un posto nel mondo, nella costante riflessione su una possibile ricongiunzione con la madre.
Decisamente consigliato per gli appassionati di cucina giapponese. Come afferma Ichiko nell’episodio dedicato all’autunno, “nel periodo in cui gli alberi cambiano colore, le castagne candite diventano protagoniste”. Un invito da cogliere al volo, no?
Lorenzo Leva
Lorenzo Leva nasce a Fermo nel 1990 ed è laureato in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia (Università di Bologna). Ha approfondito le sue conoscenze riguardanti l'economia, la cultura e la società giapponese durante un periodo di sei mesi presso la Université Paris Diderot-Paris VII di Parigi, con un Master in Asian Studies presso l'Università di Lund e un'esperienza di fieldwork presso la Waseda University a Tokyo.
Coltiva da anni una forte passione per il cinema orientale e giapponese in particolare, di cui ha analizzato l’evoluzione e le caratteristiche.
Contatti:
lorenzo.leva@gmail.com
Un tanka alla settimana
"Stacchiamo dai rami
le foglie autunnali
e portiamole via nelle maniche,
per mostrarle a chi pensa
che già l'autunno sia alla fine."
"Momojiba ha
sode ni kokiirete
mote idenamu
aki wa kagiri to
mimu bito no tame."
もみぢ葉
袖にこきいれて
もていでなむ
秋は限と
見む人のため
Sosei