Anime Cult Speciale sulle Locandine degli Anime
L'articolo è tratto dal sito corriereNERD
Nel mondo dell’animazione giapponese, l’arte delle locandine ha sempre avuto un ruolo fondamentale nel catturare l’essenza di un film e nel renderlo indimenticabile per i fan. A febbraio 2025, Sprea Edizioni celebra questa tradizione con l’uscita del quinto volume della collana Anime Cult Special, un’edizione che promette di entusiasmare i collezionisti e gli appassionati di anime. Il nuovo volume è interamente dedicato alle “Locandine degli Anime”, raccogliendo quasi 50 locandine originali a grandezza naturale, pronte per essere staccate, incorniciate e conservate.
Questo volume si distingue non solo per la qualità della proposta, ma anche per la varietà e l’importanza delle opere che raccoglie. Tra le locandine, infatti, non mancano i capolavori di Hayao Miyazaki, come Il mio vicino Totoro e La città incantata, che sono diventati veri e propri simboli della cultura popolare giapponese. Accanto a questi, ci sono anche i grandi classici di Leiji Matsumoto, come Capitan Harlock e Galaxy Express 999, che hanno segnato un’epoca e influenzato generazioni di appassionati.
Ma cosa rende questo volume così speciale? Innanzitutto, le locandine presenti non sono semplici riproduzioni, ma veri e propri chirashi a grandezza naturale. I chirashi sono dei piccoli poster distribuiti gratuitamente durante le campagne promozionali dei film o agli eventi, e rappresentano una forma unica di arte pubblicitaria. Questi piccoli gioielli, che spesso riproducono l’immagine del poster del film sul lato anteriore e contengono informazioni varie sul retro, sono una parte fondamentale della cultura giapponese. La loro dimensione ridotta e il loro carattere effimero li hanno resi oggetti da collezione molto ricercati, e il volume di Sprea Edizioni offre ai lettori l’opportunità di ammirarli nella loro forma originale, a grandezza naturale.
La scelta di celebrare le locandine di anime non è casuale: queste opere d’arte hanno avuto un impatto significativo nel definire l’immaginario collettivo legato agli anime. Ogni locandina racconta una storia visiva che, pur nella sua immediatezza, racchiude tutta la magia, l’emozione e la potenza visiva che caratterizzano i film d’animazione giapponesi. Non è solo un oggetto da appendere alla parete, ma una finestra su un mondo ricco di emozioni e di estetica senza tempo.
Questa edizione speciale è disponibile sia in formato cartaceo che digitale, offrendo così a tutti gli appassionati, ovunque si trovino, la possibilità di collezionare e apprezzare queste straordinarie locandine. Con il volume che arriva a febbraio 2025, Anime Cult Speciale: Locandine degli Anime si prepara a diventare un must per ogni amante dell’animazione giapponese e per chiunque voglia approfondire la propria passione per l’arte che ha fatto la storia di tanti titoli leggendari.
In definitiva, il quinto volume di Anime Cult Speciale non solo celebra l’arte delle locandine giapponesi, ma porta con sé un pezzo di storia che ogni vero fan non vorrà lasciarsi sfuggire. Con la possibilità di staccare, incorniciare e conservare queste magnifiche opere, questo volume si propone come un tributo all’iconicità che ha reso immortali i titoli anime che amiamo. Non resta che aspettare l’uscita e prepararsi a rivivere la magia delle locandine degli anime!
IL GIOCO DEL DESTINO E DELLA FANTASIA (Gūzen to sōzō, 2021), Ryūsuke Hamaguchi
di Marcella Leonardi
L'articolo è tratto dal blog di cinema giapponese classico e contemporaneo NUBI FLUTTUANTI
Da tre racconti di Ryūsuke Hamaguchi: Magia (o qualcosa di meno rassicurante) - Porta spalancata - Ancora una volta. Il film è in streaming su Raiplay.
Per chi scrive, Il gioco del destino e della fantasia è forse il più bel film di Hamaguchi. Un’opera che instaura un contatto intimo e intenso con lo spettatore, una “specie di magia”, come vuole il titolo del primo episodio; o una “porta spalancata” sull’animo dei personaggi, le cui vicende ed emozioni si ripercuotono sulla nostra esperienza.
Il primo episodio è focalizzato sulla giovane Meiko e sui sentimenti contrastanti nel confronti dell’ ex Kazu, che ora frequenta la sua migliore amica Tsugumi. Durante una corsa in taxi l’ignara Tsugumi racconta a Meiko dell’incontro; ed è meraviglioso come Hamaguchi trasformi un semplice spostamento in automobile in una discesa nel segreto, quasi un’immersione nella psiche. Mentre le due amiche parlano, la strada scorre illuminata nella notte, si addentra in sottopassi, si attorciglia in infiniti percorsi lungo la città. Le luci si riflettono sui volti delle donne e la conversazione diviene rivelazione profonda. Hamaguchi gioca su un’alternanza di “dentro e fuori”: dentro l’auto, fuori nella città-mappa dell’inconscio, ma anche dentro e fuori l’ufficio dove Meiko confronterà Kazu e infine dentro-fuori il bar. Le dimensioni sono separate da vetrate e finestre, in un indefinito di iridescenze e illusioni; il vetro è anche uno schermo dove la vita proietta l’imprevisto.
C’è un misto di irrazionalità ed entomologia che solo il brano di Schumann, che introduce ed intervalla i tre episodi, riesce a sintetizzare con la sua melodia matematica. Sensuale ma nitida, intima e autunnale ma anche chiara e ben scandita, la partitura di Schumann è la controparte musicale dei dialoghi, delle confessioni a due voci, delle pause e degli “andanti” animosi che si scatenano nella mente.
Il secondo episodio è più malinconico: un destino di solitudine per Nao, che accetta di aiutare il suo giovane amante Sasaki tendendo una trappola al professore universitario che lo ha bocciato. “I nostri corpi sono perfettamente compatibili” dice Sasaki per convincerla. Le inquadrature sembrano dargli ragione: i corpi degli amanti si muovono all’unisono, o si allungano in orizzontale in composizioni armoniche, l’uno lo specchio dell’altro, in una mise-en-abyme del desiderio. Ma se con Sasaki l’intesa è fisica, con il professor Segawa sarà la parola a schiudere un’affinità elettiva, una messa a nudo del cuore. Hamaguchi filma la conversazione tra Nao e Segawa modulando in modo incantevole la luce solare che entra dalla finestra. I raggi aumentano o diminuiscono d’intensità, mentre le emozioni vengono inondate di sole, o si nascondono ritrose nell’ombra. È un
momento magnifico e delicato, che contrasta con la pornografia del romanzo del professore, letto da Nao ad alta voce; eppure, sono proprio quelle volgarità “lette con una voce bellissima” ad avere effetto inebriante. La regia del dialogo attinge esplicitamente alla filosofia di Ozu secondo cui “esiste la sensibilità, non la grammatica (del cinema)”: la codifica relativa al raccordo di sguardo viene completamente disattesa. Nao e Segawa dialogano “guardando in macchina” e lo spettatore incrocia in prima persona i loro occhi. La sensazione è di profonda emozione. È raro e bellissimo che un regista si prodighi per condividere con il suo pubblico un momento cruciale: il cinema di Hamaguchi è un privilegio.
L’ultimo episodio è il più magico e tremulo: un gioco che cambia la realtà e la vita stessa. Ciò che accade tra Natsuko e Aya ha del meraviglioso: da un fraintendimento nasce la possibilità di mettere in scena la vita, mutarla, stabilire un nuovo (lieto) fine. In un certo senso i due gentili, timidi personaggi femminili si appropriano del mestiere del regista e inventano per sé un destino, confondendo realtà e finzione. Le attrici Fusako Urabe e Aoba Kawai sono così brave da farci percepire ogni sfumatura, ogni minimo movimento nell’anima delle due donne; si piange e si ride con loro, mentre Hamaguchi le avvicina sempre più. Con stacchi a 180° intreccia le due esistenze, le mette di fronte a uno specchio in cui finalmente è possibile un riconoscimento.
“A volte mi chiedo perché sono qui. Potevo diventare qualsiasi cosa, ma il tempo è volato via prima che me ne accorgessi.”
L’episodio conquista qualcosa di bello e vero – raggiunge un nucleo di verità, lo sfiora appena lasciandolo intatto in tutta la sua bellezza. Ogni essere umano è fragile. Nulla sembra accadere mentre le parole scorrono come un fiume; ma ogni parola, libera e misteriosa, diventa la sostanza impalpabile in cui il mondo interiore si rivela. Le domande dell’esistenza – i “se”, i “forse” – sembrano approdare a una quiete, forse una temporanea soluzione. E la vita, nonostante tutto, è ancora una volta meravigliosa e degna di essere vissuta.
[Marcella Leonardi è critica cinematografica e docente. Da sempre appassionata di cinema, ha collaborato con varie testate tra cui Sonatine, Cinefilia Ritrovata, Nocturno e Otto e mezzo. Da alcuni anni si dedica prevalentemente al cinema giapponese.]
L'insolita estate di Kikujirō
“L’estate di Kikujirō” (Kikujirō no natsu) è una pellicola del 1999 scritta, diretta e interpretata da Kitano Takeshi. In concorso al Festival di Cannes dello stesso anno, il film ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui il premio come miglior colonna sonora e miglior attrice non protagonista a Kayoko Kishimoto (che interpreta la moglie di Kikujirō, interpretato da Kitano stesso), entrambi conferiti dalla prestigiosa Japanese Academy. Inoltre, il film è stato insignito del premio per il miglior attore per la performance di Kitano e del premio FIPRESCI alla Settimana internazionale di cinema di Valladolid, sempre nel 1999.
La pellicola parla di Masao, un bambino di nove anni che abita a Tōkyō con la nonna, la quale lavora costantemente. Improvvisamente Masao si ritrova solo, senza più allenamenti di calcio a causa della pausa estiva e senza amici, partiti per le vacanze con le relative famiglie. Così, il piccolo decide di andare a cercare la madre, che non ha mai conosciuto e che lavora da anni in un’altra città, della quale ha solo una vecchia foto e un indirizzo. Ad accompagnare il bambino sarà Kikujirō, un amico di famiglia un po’ losco, che si confermerà in seguito essere uno yakuza. Tra un autostop e l’altro, lo strano duo si fa strada tra incontri inaspettati e azioni non sempre pulite per cercare di giungere a destinazione e trovare la madre di Masao.
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In questa storia on the road, l’estate è sicuramente un elemento molto presente e caratterizzante, fungendo da motore della trama stessa, essendo il motivo per cui Masao rimane da solo in città. Inoltre, l’ambientazione estiva penetra nella storia amalgamandosi con essa. Gli elementi che rimandano direttamente all’estate sono infatti molteplici e ricorrenti: quando i due protagonisti sono ospiti di un albergo si divertono (o almeno ci provano) in piscina, partecipano a un matsuri e ai giochi tipici dei festival come il tiro a segno e la pesca dei pesci rossi, campeggiano lungo il fiume, giocano a rompere l’anguria, provano a pescare, si arrampicano sulla corda e guardano le stelle.
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L’estate è comprensibilmente presente anche nelle campagne che Masao e Kikujirō devono attraversare. Le colture stagionali fanno da sfondo al viaggio, fino a prendere parte alle gag di cui è costellato il film, come accade nel caso delle pannocchie di mais trafugate e rivendute. Una dinamica simile si può trovare anche nella scena in cui i campeggiatori improvvisati giocano a colpire e rompere un’anguria mentre sono bendati, tipica attività da spiaggia. In quest’occasione, lo spettatore si accorge all’ultimo che l’anguria colpita da Masao è invece la testa di uno dei personaggi che, con tutto il corpo interrato sotto la sabbia, indossa la buccia del frutto come se fosse un elmetto protettivo.
La proposta di attività ricreative tipiche estive non è solo dovuta al momento temporale in cui si svolge la storia, ma ha un senso più profondo. La scena del campeggio funge infatti da tentativo degli adulti di sollevare il morale di Masao e tentare di fargli vivere un’esperienza simile, quanto più possibile, alla vacanza estiva che non ha potuto trascorrere con una famiglia biologica come invece possono fare i suoi coetanei.
Il film è un racconto dove, già a partire dal titolo, l’elemento estivo è presente in molte forme e aspetti, tanto da permeare, caratterizzare e influenzare la storia stessa di un’estate insolita ma non per questo meno ricca di emozioni.
Francesca Mora