Doria
Conoscete Doria? Non intendo la marca dei biscotti. È un piatto in cui il riso viene cosparso di besciamella, formaggio e cotto al forno. In Giappone è un piatto standard come “Yōshoku” (piatto occidentale). Alcuni giapponesi pensano che sia un piatto milanese grazie a un famoso ristorante “Saizeriya”, perché il doria che offrono si chiama “Milano fū doria” (doria alla milanese).
Come è nato il Doria?
Il Doria, che alcuni giapponesi pensano sia italiano, in realtà è nato in Giappone. È stato ideato da Saly Weil, primo capo chef dell’Hotel New Grand. Saly Weil era uno chef svizzero invitato da Parigi quando l’Hotel New Grand aprì nel 1927. Saly Weil, sebbene fosse uno chef di cucina francese, conosceva tutta la cucina occidentale ed era bravo anche con la cucina italiana e svizzera. Un giorno ricevette una richiesta da un banchiere europeo che stava in Giappone: “Non mi sento bene, vorrei qualcosa di facile da mangiare”. Lo chef improvvisò quindi un piatto con gli ingredienti che aveva a disposizione: fece il riso al burro con crema di gamberi bolliti, il tutto cosparso da formaggio su salsa al gratin e cotto in forno. Al banchiere il piatto piacque molto e da allora questo piatto entrò con regolarità nel menù come “Shrimp Doria” e divenne una delle specialità dell’Hotel New Grand. Gli allievi di Saly Weil continuarono a servire il piatto e lo diffusero anche nelle cucine di molti altri alberghi e ristoranti nelle città giapponesi tanto che ancora oggi è un piatto molto popolare in tutto il Giappone come “Yōshoku” (piatto occidentale).
Saizeriya
Saizeriya è una famosa catena di ristoranti in stile italiano che quasi tutti i giapponesi, e non solo, conoscono. Saizeriya serve piatti deliziosi a un prezzo ragionevole. Per esempio, i piatti di pasta e carne hanno prezzi che vanno da 400 yen (circa 3 euro) a 700 yen(circa 5,50 euro) a piatto. Saizeriya è un ristorante molto popolare in Giappone perché è economico e serve piatti molto buoni. Nel menù però non ci sono solo piatti originari italiani ma anche piatti, per i giapponesi, che “ricordano” i piatti italiani, e uno di questi è proprio il “Milano fū doria” (doria alla milanese). "Milano fū doria" di Saizeriya è un piatto molto semplice che abbina il riso giallo alla curcuma a besciamella, ragù e formaggio grattugiato. Uno dei segreti che lo rendono un piatto molto popolare è il prezzo di soli 300 yen (circa 2,50 euro). È ben noto agli italiani che il doria non sia un piatto italiano, tantomeno di Milano, ma allora perché Saizeriya lo ha chiamato “Milano fū doria”?
Perché Saizeriya l’ha chiamato “Milano fū doria (doria alla milanese)”?
Il piatto “Milano fū doria” è nato intorno al 1969 e da allora è stato un piatto di grande successo. Si dice che un cliente abituale avesse visto un dipendente mangiare come pasto in pausa pranzo il riso con besciamella, ragù e formaggio grattugiato. Chiese allora: “vorrei mangiarlo, potete prepararlo anche per me?”. All’inizio il piatto non era un piatto ufficiale e veniva servito solo su richiesta dei clienti ma, benchè non fosse nel menù, divenne un piatto molto apprezzato, famoso e richiesto grazie al passaparola. Grazie alla buona reputazione e all’ottima risposta della clientela, il “Milano fū doria” è entrato nel menu standard della catena di ristoranti. Inizialmente il piatto si chiamava genericamente “meat gratin” ma, poiché il numero di piatti nel menù aumentò ed divenne più facile commettere errori, si decise di cambiare il nome rendendolo più originale. Ma questo ancora non spiega il perché del nome “Milano”. Un primo motivo è che nella ricetta c’è il ragù. Il ragù è una famosa ricetta di Bologna, città che, per i giapponesi, è vicina a Milano, città più grande e conosciuta. Per questo quindi si dice che in Giappone il piatto sia conosciuto come “Milano fū doria”. Inoltre nel “Milano fū doria” è utilizzato il riso alla curcuma che rende il riso giallo come nel risotto alla milanese. Anche per questa somiglianza di colori il piatto fu chiamato “Milano fū doria”.
A proposito, in Italia il risotto si mangia con la forchetta ma, in Giappone, la maggior parte delle persone mangia sia il risotto che il doria con il cucchiaio.
Fonti :
https://www.hotel-newgrand.co.jp/origin/
https://news.nissyoku.co.jp/restaurant/tanakak20090511030243609
https://rocketnews24.com/2015/09/24/637439/
Wafū Pasta - Pasta insaporita in modo giapponese
La “pasta” è un piatto italiano, sapete però che in Giappone esiste un genere chiamato ”wafū pasta” (pasta insaporita in modo giapponese)? È un nome generico per la pasta che utilizza ingredienti e condimenti in stile giapponese. Esistono vari tipi di wafū pasta, come i piatti che utilizzano ingredienti come funghi, tonno, piante selvatiche, daikon grattuggiato, a base di salsa di soia e brodo dashi, e un piatto che utilizza il natto, ingrediente fermentato indispensabile per l’abitudini alimentari fin dai tempi antichi.
Tarako Spaghetti
Tra le wafū pasta, la più famosa è probabilmente “Tarako Spaghetti”. Sono spaghetti conditi con Tarako (uova di merluzzo crude), burro, sale e succo di limone. Spesso si può aggiungere l’alga Nori tritata o Shiso come condimento. Si può anche usare panna fresca o aggiungere “Karashi Mentaiko(Tarako marinato al peperoncino ecc)” piccante al posto del Tarako. I Tarako Spaghetti nacquero nel famoso ristorante specializzato di spaghetti “Kabe no Ana(letteralmente significa buco del muro)” nel 1967. Un musicista, cliente abituale del ristorante, chiese di cucinare gli spaghetti al caviale. Questo piatto era molto buono e diventò apprezzato tra i clienti. Il caviale però era un ingrediente molto costoso e difficile da trovare quindi il cuoco ha cercato di trovare un suo sostituto e dopo varie prove l’ha trovato nel “tarako”.
Gli spaghetti in Giappone
Gli spaghetti sono uno dei tanti tipi di pasta. Questa è una cosa che tutti sanno in Italia. Tuttavia, in Giappone, alcune persone pensano che pasta e spaghetti siano uguali, cioè se sentono la parola “pasta” immaginano “spaghetti”, non altri tipi di pasta. Chi conosce l’Italia e la cucina italiana lo sa, ma l’idea della pasta-spaghetti è comune soprattutto tra chi non conosce l’Italia. La storia degli spaghetti è strettamente collegata al ristorante “Kabe no Ana”, che abbiamo detto è dove sono nati i “tarako spaghetti”, perché gli spaghetti in stile giapponese nascono nel predecessore del “Kabe no Ana” che, per uno strano gioco di parole, si chiamava “Hole in the wall”. “Hole in the wall” è stato fondato nel 1953. A quel tempo pochi conoscevano gli spaghetti e la maggior parte di essi pensava fossero degli “Udon italiani con condimento troppo grassi”. Il “Hole in the wall” ha cercato di rendere spaghetti più vicini ai giapponesi. Il fondatore ha creato delle ricette di spaghetti in stile giapponese e, una ricetta dopo l’altra, un piatto dopo l’altro, ha creato un boom degli spaghetti in stile giapponese. In quel periodo molte persone che mangiavano questi spaghetti, pur essendo “italian style”, usavano le bacchette per mangiarli e facevano rumore durante il pasto come se stessero mangiando “soba” o “udon”.
Wafū pasta mangiata con le bachette
Oggi la cucina italiana è molto popolare in Giappone e ci sono ovunque ristoranti italiani dove si cucinano non solo gli spaghetti. Ovviamente, a differenza del passato, nella maggior parte dei ristoranti italiani si mangia utilizzando forchetta e coltello. Non tutti i giapponesi però sono bravi con coltello e forchetta (un po’ come non tutti gli italiani sanno usare bene le bacchette) e infatti esiste un ristorante degli spaghetti chiamato “Yomenya Goemon” in cui si mangia con le bacchette anziché con la forchetta per permettere a tutti i giapponesi di mangiare più comodamente gli spaghetti e i piatti italiani in generale. Il “Yomenya Goemon” è nato a Shibuya nel 1976 come ristorante di pasta creativa e originale che i giapponesi trovano deliziosa. In questo ristorante la tradizione giapponese viene rispettata, oltre che facendo mangiare gli spaghetti con le bacchette, utilizzando i piatti da portata in porcellana Arita decorati con un motivo originale creato proprio per Goemon. Inoltre i piatti vendono serviti su un vassoio da portata, come si usa nei ristoranti giapponesi. Vengono utilizzati autentici ingredienti italiani ma non si fa cucina italiana, è un ristorante di spaghetti in stile giapponese nato in Giappone. Se avrete la possibilità andateci per provare la pasta insaporita in modo giapponese.
Fonti :
https://www.kabenoana.com/particular
https://www.yomenya-goemon.com
La finestra sul tè: guida definitiva alla più nobile delle bevande
Il libro "La Finestra sul Tè" si pone l'obiettivo di introdurre in maniera esaustiva, approfondita ed elegante il complesso e affascinante mondo del Tè ad una platea molto vasta, dai neofiti curiosi fino agli appassionati ed esperti che in questo libro troveranno spunti interessanti.
Partendo dalla botanica e dalle caratteristiche uniche della pianta, si prosegue con le classi e le tipologie, fino ai rituali, le cerimonie, la storia nei grandi paesi che hanno reso il Tè la più nobile delle bevande.
Il libro è suddiviso in otto capitoli corredati da molte foto suggestive, schemi e figure utili a far capire al lettore come si svolge la raccolta del tè, quali siano i territori più rinomati e come si degusta il tè, in un vero
e proprio viaggio sensoriale.
Il primo capitolo tratta la botanica, l'origine e l'evoluzione delle camelie da tè, le specie più importanti.
Nel secondo capitolo vengono introdotte le sei classi del tè, dal tè bianco ai tè fermentati, con spiegazioni inerenti alle varie fasi di lavorazione e alle note aromatiche dei più famosi rappresentanti di ogni categoria. Il terzo capitolo è dedicato alla preparazione e alla degustazione. Il lettore capirà come infondere le foglie con la tecnica più adatta al tè che ha scelto, quali sono i parametri e gli stili nel mondo, l'importanza dell'acqua e dei materiali e come applicare l'analisi sensoriale alla degustazione del tè.
I capitoli quattro e cinque sono dedicati alla storia e all'evoluzione della bevanda nei paesi più importanti, Cina, Corea e Giappone, mentre nel capitolo sesto il tè arriva in occidente attraversando l'Asia e divenendo importantissimo per culture diverse in più continenti.
Nel settimo capitolo si raccontano le cerimonie e i rituali nel mondo, dalla Cina alla Corea e Giappone, passando per il Tibet e successivamente Sud est asiatico, Russia, India e Gran Bretagna.
Infine l'ottavo capitolo prende in considerazione i grandi maestri e le loro opere più importanti, che hanno creato la cultura e l'arte di questa bevanda.
Nicoletta Tul, esperta degustatrice e studiosa di tè da oltre 12 anni, dopo una laurea in Biotecnologie Agrarie presso l'Università degli Studi di Padova, studia l'arte della degustazione, concentrandosi anche sulle cerimonie e i rituali del tè in Giappone, Korea, Cina e sudest Asiatico.
I suoi viaggi in Oriente la portano ogni anno in contatto con i maestri e contadini del tè, grazie ai quali impara i segreti del mestiere e amplia le conoscenze già acquisite. Da tre anni è giudice internazionale nelle competizioni TeaMastersCup. Il suo negozio, La finestra sul tè, a Padova, raccoglie i migliori tè provenienti da ogni angolo del mondo.
Fotografie di Alberto Moro
La cucina casalinga di Keiko torna con due nuovi libri
L’avevamo conosciuta così Keiko Irimajiri, grazie e attraverso i corsi di cucina giapponese della K’ kitchen, passati anche presso la nostra associazione e che ora, per forza di cose, si tengono interamente online.
Oggi ritorniamo a parlare di lei perché, in questo momento difficile, ha trovato un modo per entrare nelle case di tutti coloro che la seguono con passione: con due nuovi libri di cucina della fortunata serie “Le ricette di Keiko”.
La sua carriera inizia come graphic designer per Toraya, un noto marchio di wagashi (dolci tradizionali giapponesi), ma riesce pian piano a fare della propria passione per la cucina una professione, iniziando da lì a poco a insegnare presso la scuola culinaria “ABC Cooking studio”, dove diventa direttrice della sezione “ABC Kids”. Si avvicina alla cultura italiana nel periodo in cui è assistente presso la scuola culinaria “La Tavola di Tata” della signora Kikuko Panzetta, ricercatrice di cucina casalinga napoletana. In seguito, lavora per il ristorante “Olivo” di Tōkyō che importa olio d’oliva italiano.
Nel 2012 crea K’s Kitchen a Tōkyō, New York e anche a Milano. Si tratta di laboratori di cucina dove insegna la cucina casalinga giapponese agli italiani e quella italiana o internazionale ai giapponesi. Lo scopo dei suoi corsi è quello di abbattere gli stereotipi sulle culture culinarie, soprattutto quella giapponese, e mostrare la ricchezza e la varietà di piatti possibili.
“Quando parliamo di cucina giapponese sicuramente vengono in mente pietanze come il sushi, il sashimi e il ramen che stanno diventando sempre più popolari anche in Italia. Sono buonissimi e anche a me piacciono molto. Tuttavia, vorrei far capire che queste ricette non sono altro che una piccola parte della cucina giapponese. Il mio desiderio è di mostrare e far conoscere a tutti gli italiani la cucina casalinga giapponese, proprio come la preparavo a casa mia in Giappone.”
La sua cucina, quindi, non è di certo ricercata, ma semplice e preparata con il cuore, un valore fondamentale insieme alla scelta accurata degli ingredienti e l’omotenashi (ospitalità).
Nell’agosto del 2020 pubblica il suo libro di cucina “Le ricette di Keiko – Deliziosi Bentō Giapponesi“, il primo di una lunga serie che oggi vediamo proseguire con “Le Ricette di Keiko - Deliziosi Sushi Casalinghi” e “Le Ricette di Keiko - Deliziosi Dolci Giapponesi”.
Tutti i libri includono illustrazioni e foto per ciascun procedimento e le ricette all’interno sono create usando ingredienti che si possono trovare anche in Italia.
Potrebbe essere un regalo di natale perfetto per gli amanti del Giappone e della sua cultura culinaria!
Mentre ci pensate, vi lasciamo i link dove poterli acquistare.
https://www.amazon.it/dp/B08P3G22KD/ref=mp_s_a_1_4
https://www.amazon.it/dp/B08P4PM9D9/ref=mp_s_a_1_3
Amanda De Luca
GLI AINU DEL GIAPPONE – IX. SAPORI E DISSAPORI
Quando si fa riferimento agli Ainu e alla propria cultura, si tende a prendere in considerazione aspetti come il tatuaggio, il ricamo tradizionale, le cerimonie e la loro trasformazione tra passato e presente, cosi come la danza, ma non viene mai menzionato il cibo. Se si ha la possibilità di andare in Hokkaidō, raccomando di prestare attenzione al cibo che qui assume altre sfumature o in alcuni casi si cambia proprio musica.
Oltre alle diverse varianti del ramen (Asahikawa Ramen, Sapporo Ramen, Hakodate Ramen),
piatti come il “Genghis Khan” (barbecue mongolo) è un piatto tipico dell’Hokkaidō, il sashimi di calamaro, il granchio reale, le “Jagabata” (Patate con burro), l’ “Unidon” (ciotola di riso con riccio di mare), o la montagna di gelato soffice e tanto altro ancora.
Ma se ci si avvicina più strettamente al mondo Ainu, possiamo citare una ulteriore differenza in fatto di cibo.
Tradizionalmente, le radici dopo essere state estirpate, lavate, bollite e ridotte in poltiglia, venivano utilizzate per la preparazione di dolci, oppure lasciate asciugare al sole per un successivo utilizzo nei mesi più freddi. Le verdure hanno da sempre occupato un posto di rilievo nell’alimentazione Ainu, come ad esempio un piatto tipico è il rataskep. Un altro piatto è la minestra chiamata ohaw, che a seconda degli ingredienti assumeva diversi nomi: ohaw di kam (“minestra di carne”); ohaw di pukusa (kitopiro in giapponese, “minestra di aglio selvatico”); ohaw di pukusakina (“minestra di anemone”). Altro alimento era il sayo, una farinata di grano, che si lasciava bollire assieme ad altri ingredienti, come il munchiro (“miglio”) ad esempio, infine lo shito, ossia riso e altre granaglie pestate nei mortai a formare degli gnocchi grossi, cotti in saporiti brodi di carne, il piatto principale durante la Chiesei-nomi (la cerimonia di costruzione della casa). Castagne impastate con lardo o con uova di pesce era un piatto prelibato. La carne animale, come quella di orso o di cervo, veniva prima bollita e poi asciugata al sole, oppure lasciata asciugare sulle cremagliere sul camino all'interno dell’abitazione. La bevanda tipica era la Kamui-ashkoro, una birra lattiginosa di miglio a basso contenuto alcolico.
“Rataskep”, presso il Ristorante “Harukor” di Shinjuku, Tokyō. Foto dell’autrice.
Diverse sono le possibilità di gustare il cibo Ainu, poiché esistono ristoranti o con menu esclusivo indigeno o che inseriscono anche piatti della cucina Ainu. Se vi trovate a Shinjuku, Tokyō, e volete fare una esperienza in un ristorante tipico Ainu, l’ “Harukor” può fare al caso vostro. Si tratta di un piccolissimo spazio ma molto accogliente nel quale è possibile assaggiare il “rataskep” ossia un piatto a base di zucca, mais ed erbe dall’aspetto morbido e vellutato come se si mangiasse un nostrano purè; oppure gli “imo-shito”, cioè dei grossi gnocchi a base di patate o di zucca fritti, il “Rokuniku sutēki” (tagliata di cervo), disposta nel piatto a mezzaluna, oppure è possibile provare la zuppa “ohaw”, saporita quella con salmone e verdure.
“Rokuniku sutēki” (tagliata di cervo), presso il Ristorante “Harukor” di Shinjuku, Tokyō. Foto dell’autrice.
Nel ristorante “Drive in Yukara”, presso il villaggio “Nibutani Kotan” a Biratori, è possibile gustare un ottimo ramen, il “kitopiro ramen”, che appare come un normale ramen, ma poi si è colti di sorpresa, quando si sente per primo il sapore di una cucina genuina e poi il gusto del kitopiro che è delizioso, e che non smetteresti mai di mangiare.
“Kitopiro ramen”, presso il Ristorante “Drive in Yukara”, villaggio “Nibutani Kotan”, Biratori. Foto di Flavio Risi.
Spostandoci verso il villaggio “Akan Kotan”, un ristorante in cui provare alcuni piatti Ainu è il “Banya”, dove oltre a diverse pietanze a base di kitopiro (come ad esempio in aggiunta ai ravioli, in una frittata oppure bollito) si possono mangiare salmone e altre specie di pesce come l’ “hokke” (un pesce simile allo sgombro) e lo “shishamo” (sperlano).
Un altro ristorante tipicamente Ainu, ma che in realtà nel menu offre anche altro, è il “Poronno”. Ci troviamo sempre all’interno del medesimo villaggio, qui si può gustare la “yukku Ohaw”, una zuppa a base di carne di cervo e verdure, accompagnato da una porzione di riso con fagioli, o la versione “chep Ohaw”, con salmone e verdure tra cui l’immancabile kitopiro.
“Chep Ohaw”, presso il Ristorante “Poronno”, villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.
Altro piatto è il “konbushito”, tipico della regione di Hidaka, una sorta di gnocco gigante realizzato con farina di riso e sormontato da salsa d’alga kelp, le “puccheimo”, ossia patate lasciate fermentare durante l’inverno sotto la neve e servite a fette.
“Puccheimo”, presso il Ristorante “Poronno”, villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.
Oppure si possono provare alcuni tipi di bevande come quella chiamata “Sikerebe” (un infuso di sughero Amur usato dagli Ainu per il mal di gola e mal di stomaco), oppure la “Setaento” (con balsamo vietnamita che viene utilizzato per il potere rinfrescante dopo pasto, quando si è ammalati annusandolo semplicemente o messo nel porridge) e infine la “kabanoanatake” (a base di chaga che cresce in abbondanza nella foresta Akan e che è utile per rafforzare il sistema immunitario).
“Marimo mojito”, presso il Ristorante “Ajishin”, nei pressi del villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.
Un ultimo ristorante che cito e che sento davvero di consigliare per l’ottimo gusto dei suoi piatti è l’ “Ajishin”, in cui il menu è prevalentemente dell’Hokkaidō, ma si possono trovare anche piatti della cucina Ainu. Si tratta di un posto incantevole, a gestione familiare, in cui vi risparmio la solita lista di piatti a base di zuppe, di pesce, ma cito solo una bevanda che è una invenzione tutta loro e che è detta “marimo Mojito”, a base di rhum bianco, ghiaccio tritato, acqua gassata, sciroppo di menta e per finire alga marimo.
Termina qui il mio viaggio all’insegna del cibo Ainu, che devo dire mi ha trovato perplessa in alcuni casi, forse perché non preparata al gusto di alcuni piatti, ma che mi ha saputo regalare anche nuovi “viaggi di gusto” che porterò ovviamente sempre con me.
Sabrina Battipaglia
BISCOTTI AL MATCHA! LA RICETTA DI LA TEIERA ECLETTICA
Ingredienti: per circa 30 biscotti
100g burro salato a temperatura ambiente
50g zucchero vanigliato
1 tuorlo – 80g farina 00
40g farina di mandorle
2 cucchiaini di matcha
2 cucchiai di zucchero di canna
Attrezzature
1 ciotola grande in cui far ammorbidire il burro e successivamente aggiungere tutti gli ingredienti
1 ciotola piccola in cui setacciare farina e matcha
1 ciotola piccola in cui pesare lo zucchero vanigliato
1 ciotola piccola in cui pesare la farina di mandorle
1 piattino in cui spargere lo zucchero d canna
1 spatola preferibilmente di silicone
1 coltello per tagliare i biscotti
1 frusta per sbattere gli ingredienti
pellicola per alimenti, carta forno
Preparazione
Sbattere il burro con la frusta, aggiungere poco alla volta lo zucchero vanigliato continuando a mescolare fino a ottenere una crema morbida. Aggiungere il tuorlo e mescolare bene.
In una ciotola a parte setacciare la farina con il matcha, aggiungerla poco alla volta all’impasto mescolando bene, per ultimo aggiungere la farina di mandorla e mescolare fino ad ottenere una consistenza omogenea dell’impasto.
Con l’impasto fare un rotolo di circa 4cm di diametro, avvolgerlo nella pellicola trasparente e metterlo in frigo per almeno 2 ore.
Scaldare il forno a 180°. Stendere un foglio di carta forno sulla teglia.
Spargere lo zucchero di canna su un piattino
Prendere il rotolo dal frigo, togliere la pellicola trasparente che lo avvolge, e tagliare i biscotti alti circa mezzo cm, poi passare un lato nello zucchero, quindi posare il lato senza zucchero sulla teglia coperta di carta forno lasciando un po’ di posto tra un biscotto e l’altro – almeno 1cm e mezzo - perché durante la cottura aumenteranno di volume.
Cuocere per 8-10 minuti in base alle dimensioni dei biscotti e del proprio forno.
Toglierli dal forno, lasciarli 5 minuti a raffreddare nella teglia, quindi trasferirli a raffreddare su una gratella.
Note
- SI può usare il burro non salato al posto di quello salato
- Se non si vuole usare la farina di mandorle si può sostituire con quella 00, diventerebbero quindi 120g di farina 00
- Al posto del tè matcha si può utilizzare il tè verde tostato hojicha ridotto in polvere con un macinino
- Per accelerare i tempi il rotolo d’impasto si può mettere in freezer per almeno 15 minuti, meglio mezz’ora invece in frigo
OSHIZUSHI! LA RICETTA DI K'S KITCHEN COMPLETA
A grande richiesta, la ricetta completa dell'Oshizushi di K's Kitchen, protagonista della nostra diretta di venerdì 3 aprile! Ecco a voi ingredienti e passaggi illustrati da Keiko Irimajiri.
Ingredienti per 2 persone
Riso bianco 250 g (Originario)
Acqua 250 ml
Aceto di vino bianco 40 ml
Zucchero 1 cucchiaio
Sale un pizzico
Salmone affumicato o prosciutto crudo qnt basta
Cetriolo 1
Avocado 1
Salsa di soia qnt basta
Pellicola
Una scatola piccola
Preparazione del sushi meshi:
Lasciare il riso in ammollo per almeno un’ora in acqua abbondante.
Scolare il riso con lo scolapasta ed eliminare ogni traccia di acqua.
In una pentola mettere il riso scolato, e versare 250ml di acqua.
Iniziare a cuocere a fuoco alto. Una volta giunto ad ebollizione, abbassare la fiamma e cuocere a fuoco basso per 10 minuti. Spegnere il fuoco e lasciar riposare per 10 minuti. Il riso è pronto.
Preparazione il sushizu.
In una ciotola aggiungere aceto di vino bianco, zucchero e un pizzico di sale, mescolare bene per far sciogliere.
In una ciotola grande versare il riso appena cotto. Versare tutto il sushizu sulla superficie del riso.
Mescolare delicatamente con la spatola apposita, come se si stesse tagliando. Per far raffreddare più velocemente il riso e renderlo lucido, fare aria con un ventaglio.
Preparazione dei ripieni
Tagliare il salmone affumicato o il prosciutto crudo a dimensione della scatola
Tagliare il cetriolo in a fette sottili tenendo la lama perpendicolare
Tagliare l’avocado a fette sottili e aggiungere succo di limone.
Composizione dell' Oshizushi
Porre sul fondo della scatola la pellicola trasparente, lasciando abbastanza margine per poter coprire la parte superiore in seguito. Porre il salmone o il prosciutto sul fondo, anche in diversi strati se si vuole.
Versare metà porzione di Sushimeshi nella scatola e appiattire bene.
Porre avocado e cetriolo a strati.
Versare il Sushimeshi rimasto ed appiattire.
Premere forte con le dita o qualcosa di piatto come un piccolo tagliere.
Estrarre delicatamente il sushi aiutandosi con la pellicola e ribaltarlo su un tagliere.
Tagliare con un coltello, pulendo ogni volta la lama con della carta da cucina bagnata con aceto.
Il sushi è pronto!
Da gustare con salsa di soia.
Il libro del sake e degli spiriti giapponesi di Stefania Viti
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Dopo aver raccontato sushi e ramen, Stefania Viti, giornalista e comunicatrice, esperta in cultura giapponese, presenta, in collaborazione con Miciyo Yamada, un altro grande protagonista della cultura enogastronomica del Sol Levante: il sake o, più propriamente, nihonshu.
Edito da Gribaudo,Il libro del sake e degli spiriti giapponesi – Storia dei liquori nipponici con cocktail e curiosità approfondisce inizialmente l'iconica bevanda alcolica ricavata dalla fermentazione del riso attraverso la sua storia e cultura, per poi analizzarne la produzione. Sake, ma non solo. il volume parte infatti dal sake, trattato nelle prime due sezioni, ma si apre successivamente a tutto il mondo del beverage made in Japan nella parte Oltre il sake. È così offerta l'occasione di scoprire la straordinaria varietà degli spiriti giapponesi : dalla birra ai distillati - come lo shōchū o l'awamori tipico di Okinawa -, dai liquori come l'umeshu, a base di ume, il prugno asiatico o lo yuzushu - ai samurai spirits, come whisky, gin e rum.
Chiude il libro la parte dedicata all'arte del mixology e dei cocktail. cinque differenti cocali - il Lamp Bar di Nara, creato da Michito Kaneko (World Class Global Bartender of the Year 2015), l' Octavius Bar at the Stage, Zuma di Roma, Sakeya The House of Sake di Milano e il concept store Tenoha sempre a Milano - offrono la loro personalissima interpretazione dei drink creati con liquori nipponici.
Di grande interesse le interviste distribuite in tutto il volume che contribuiscono ad arricchire la narrazione intorno al sake e alle altre bevande descritte. Tra le altre, quelle a Fukuyo Shinji, Suntory Spirits Chief Blender, a Misawa Koji, esperto di sake, tra i primi ad importare questa bevanda in Italia, e a Giovanni Municchi, unico italiano che può essere definito kurabito, termine con cui in giapponese è indicato colui che lavora nella sakagura, la cantina di sake.
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Una fetta di Giappone: i pizzaioli di Tokyo
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Tsubasa Tamaki è un pizzaiolo che non ha mai messo piede in Italia. "Certo, mi piacerebbe visitare l'Italia", ha detto Tamaki in un'intervista, "ma nella mia mente, voglio concentrarmi sulla creazione della pizza giapponese-napoletana".
Tamaki getta il sale direttamente nel forno, esaltando così il sapore dell'impasto.
Il suo forno è riscaldato fino a raggiungere una temperatura di 900°: di conseguenza l'impasto risulta troppo caldo per essere maneggiato di fretta.
Ma ciò che distingue davvero la pizza di Tamaki è la manciata di patatine al cedro giapponese con cui arricchisce il tutto all'ultimo minuto, che glassano la pasta e ne lasciano un leggero retrogusto amarognolo.
Solo dopo 10 mesi dall'apertura di Pizza Studio Tamaki (o PST) l'anno scorso, la famosa guida Michelin raccomandava già la sua pizza.
Ma se Tokyo è diventata un'improbabile fornitrice di ottima pizza, è soprattutto grazie ad un ristorante aperto più di due decenni fa, chiamato Seirinkan. Il suo proprietario, Susumu Kakinuma, ha studiato come pizzaiolo a Napoli e ha portato a casa le sue nuove conoscenze.
Kakinuma è considerato il padre della cultura della pizza di Tokyo e ad oggi ha formato molti dei migliori pizzaioli della città. Ha anche ispirato Tamaki, che ha lavorato in uno dei suoi ristoranti prima di decidere di aprire la propria attività.
Sagami a Milano: la ristorazione popolare giapponese
A Milano arriverà il 10 novembre il primo ristorante europeo della catena Sagami, dopo Giappone, Thailandia e Vietnam. In totale si parla di 262 locali, compreso quello milanese.
Questo colosso della ristorazione giapponese farà la sua apparizione ufficiale in piazza Duca d’Aosta 10, vicino alla Stazione Centrale.
In realtà molti lo conosceranno già: è stato uno dei protagonisti dell'Expo 2015, nel padiglione del Giappone.
Ma cos'ha di speciale?
La proposta culinaria di Sagami non comprende sushi e ramen, ma si tratta di una ristorazione popolare che offre vari piatti della cucina di Nagoya a prezzi contenuti, come i tebasaki (alette di pollo fritte ricoperte da una glassa dai toni dolci e all'aglio).
Il fiore all'occhiello di Sagami sono gli udon (un piatto molto versatile di tagliatelle spesse di frumento) e la soba (sono anche loro tagliatelle, ma sottili e preparate con grano saraceno).
Il locale milanese è stato inaugurato con la rottura di un grande barile di sakè da parte del presidente Toshiyuki Kamada, della Sagami Holdings Corporation, insieme al responsabile Cristian Guidie Li, di GL Group Italia, partner di Sagami.
“Abbiamo scelto Milano per avviare la nostra presenza in Europa sulla scia del successo della nostra partecipazione all’EXPO 2015 – spiega Kamada – Abbiamo poi fatto test di mercato che ci hanno incoraggiati e in seguito raggiunto l’accordo per la joint venture con GL”. Il direttore generale Shuji Ito appare prudente: “Se Milano avrà successo, inizieremo una espansione sia in Italia sia in altri Paesi europei”.