Confronti tra Italia e Giappone durante la Restaurazione Meiji (1868-1912)

Primi passi verso l’Occidente

Ė noto il periodo di infatuazione collettiva che ha avuto l’Europa per l’arte giapponese alla fine dell’Ottocento: l’immaginario artistico comune riconduce il Giappone a quelle stampe in cui il mondo nipponico appare etereo, poetico, fatto di geisha e paesaggi nitidi. Tuttavia in pochi conoscono il fenomeno opposto: la sete di conoscenza e di contatti con l’Europa che hanno caratterizzato il periodo della Restaurazione Meiji.

Ancor meno conosciuto è l’apporto fondamentale che hanno dato personalità italiane allo sviluppo artistico giapponese. Ė straordinario osservare l’esperienza di Antonio Fontanesi, Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone e trovare in essi una tale curiosità intellettuale. Tre uomini distanti per formazione e provenienza, eppure così affini per spirito di osservazione, hanno lasciato un’impronta profonda nella storia giapponese, a loro volta toccati dalle modalità di espressione artistica nipponica.

La Restaurazione Meiji determina forti cambiamenti in Giappone. Un paese che fino a quel momento aveva fatto della chiusura e della tradizione un punto di forza, decide di entrare nella competizione economica e di supremazia con le altri grandi potenze mondiali. Per raggiungere questo obiettivo stabilisce di affrontare il tutto in maniera accademica: comprende infatti che per battere un avversario è necessario prima studiarlo da vicino. Ciò sfocia in un periodo di indagine e di confronto con le maggiori potenze straniere in ogni ambito, dalla guerra all’economia per giungere alla cultura, e in particolar modo, all’arte. Il confronto artistico avviene con la nazione considerata maggiormente rappresentativa in questo campo: l’Italia.  La conoscenza dell’arte occidentale viene quindi veicolata dal nostro Paese e, in particolar modo, da tre personaggi, Antonio Fontanesi, Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone, i quali lasceranno un’impronta ben visibile del loro contributo.Leggere di più


Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (4)

“Il godimento risiede nel non fatto”

Zeami, (1363?-1443?), nell’opera Kakyō che egli scrisse per trasmettere i segreti del teatro noh, parla del fatto che “il godimento risiede nel non fatto.” “Il non fatto” si riferisce alla cessazione di tutte le espressioni, musicali o vocali, durante brevi e silenziosi intervalli che si realizzano quando un passaggio di danza o di canto si muove verso quello successivo. Non è né un vuoto arresto né una pausa silenziosa, ma l’utilizzo di un breve intervallo in cui trasuda la tensione interiore dell’artista ed è trasformata in qualcosa dal forte impatto come un’espressione senza espressione. L’arte di un maestro deve includere l’espressione dell’inespresso e “il godimento risiede nel non fatto” è la spiegazione di Zeami di questa estetica dell’intervallo nel teatro noh.

La parola “omoshiro(ki)” che Zeami utilizza per esprimere il godibile è scritta oggi con i kanji di “faccia” e “bianco” ed è utilizzata di solito per esprimere una sensazione piuttosto superficiale di divertimento o piacere. L’antica raccolta di poesie Manyō Shū, comunque, scrive “omoshiro” utilizzando due kanji che denotano l’emozione, il cui significato combinato si traduce con qualcosa come “pietoso”. “Omoshiro” esprime così un movimento emotivo del cuore che coinvolge l’amore della bellezza e una tenera sensazione di pathos. “Il non fatto” di Zeami connota un filtrare verso la tensione interiore, così questo “godimento” denota chiaramente il significato più antico e più profondo di omoshiro utilizzato nel Manyō Shū.

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Contemplare il vuoto: spunti di riflessione attorno al giardino zen (1)

Il giardino secco di Ryoanji. Foto di Rossella Marangoni

“Quando i sentimenti di giudizio della coscienza intellettuale terminano, solo allora potete vedere sino in fondo. E quando vedrete, allora, come nei tempi antichi, il cielo è cielo, la terra è terra, le montagne sono montagne, i fiumi sono fiumi.”

Yuanwu Keqin (1063-1135), Biyanlu (Raccolta della Roccia Blu)

Gli interrogativi che solleva il rapporto fra lo Zen e le arti sono ancora oggetto di dibattito fra gli studiosi. Molto è stato scritto e detto da quando Daisetsu Teitaro Suzuki (1870-1966) divulgò fuori dal Giappone, e in special modo nel mondo anglosassone, le arti giapponesi le cui origini volle attribuire tout court allo Zen. A distanza di un secolo, se ancora l’influenza delle sue teorie permane a livello di “vulgata”, possiamo affermare però che la critica almeno se ne sta affrancando, ponendosi degli interrogativi circa la vera natura delle arti zen. Che cos’è l’arte zen? È quella che si è sviluppata nella temperie culturale dello Zen o piuttosto, è quella che si realizzò all’interno dei monasteri e che spesso è molto lontana da quelli ideali estetici di povertà, di semplicità, di severità che attribuiamo allo Zen? Nel guardare allo sviluppo dell’arte dei giardini in Giappone dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo nel cuore della medesima questione, una questione di rara complessità, che il poco spazio a disposizione ci impedisce di sviluppare. Ci limiteremo pertanto a proporre solo qualche spunto di riflessione circa alcuni aspetti peculiari dell’arte del giardino e del karesansui in particolare.Leggere di più


Antiquariato giapponese

Seinyû
XIII Raku Kichizaemon

(1887-1944)
Lepre
Ceramica invetriata, 18 x 22 x 12 cm
Datata all'interno: Inverno dell'anno Taisho 9 (1920)
Firma e sigilli dell'artista. Scatola originale con firma dell'artista e sigillo di Komozawa Risai, autore della scatola
Rara figura di lepre, quarto segno zodiacale dell'oroscopo cinese, realizzata in ceramica invetriata.
Probabilmente eseguita su commissione, questa straordinaria scultura non rientra nel repertorio tradizionale dei ceramisti della famiglia Raku, produttori di tazze per la cerimonia del tè. Gli esemplari di figure tridimensionali conosciuti si contano difatti sulle dita di una mano, il più  famoso senza dubbio il karashishi eseguito dal primo maestro, Chōjirō, e spesso non raggiungono il livello qualitativo di quest'opera.
Seinyû, tredicesimo maestro della dinastia Raku, fu un severo continuatore della tradizione familiare, specializzandosi in particolar modo sulla ricerca di effetti cromatici dell'invetriatura.
Komazawa Risai fu sashimonoshi (falegname) per la cerimonia del tè, appartenente, come i Raku, al ristretto gruppo Senke jushoku, le dieci famiglie di artigiani per utensili del tè legati "ufficialmente" alla scuola del tè Sen.
Giuseppe Piva
www.giuseppepiva.com

La dimensione nascosta Kaori Miyayama

Pinacoteca Comunale “Cesare Belossi” di Villa Soranzo

Varallo Pombia (NO)

inaugurazione domenica 9 ottobre ore16:00

9 ottobre – 6 novembre 2011

sabato e domenica 10:00-12:00, 17:00-19:00

a cura di

Matteo Galbiati e Matteo Rancan

testo di

Matteo Galbiati e Viviana Siverio

Con il patrocinio di  後援

Regione Piemonte ピエモンテ州

Provincia di Novara ノヴァラ県

Comune di Varallo Pombia ヴァラッロポンビア市

Consolato Generale del Giappone di Milano 在ミラノ日本総領事館

Promossa con il contributo di  助成

Ministero per gli Affari Culturali del Giappone 文化庁

Nomura Foundation 野村財団

Vanilla Edizioni ヴァニラ出版
A14

Coordinato da 企画

la Commissione Pinacoteca Comunale “Cesare Belossi” di Villa Soranzo


Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (3)

L’estetica del negativo

La sensibilità del poeta di haiku Bashō può essere descritta come quella del silenzio e del negativo. Notate questo esempio:

kono michi ya

yuku hito nashi ni

aki no yūgure

Questa strada

Ah, senza una persona che viaggia

Nel crepuscolo autunnale.

Mentre “senza una persona che viaggia” (meno) e l’autunno, che indica l’avvicinarsi dell’inverno (meno), esprimono un cuore solitario attraverso negativi multipli, esprimono anche la forza spirituale di continuare a forgiare indipendentemente (meno x meno = più). Ciò dimostra perfettamente l’essenza dell’estetica del negativo, costituendo non una semplice debolezza negativa ma una forza interiore nascosta.Leggere di più


Furoshiki: cento usi di un quadrato di stoffa

L’arte giapponese di avvolgere contenere, trasportare oggetti di ogni forma: un’alternativa elegante ed ecologica per preparare originali pacchi dono.

La sensibilità verso l’ambiente cresce e tornano in voga materiali e abitudini antiche, di cui si riscopre la modernità. Dal Giappone si fa strada anche in Europa, tra le altre cose, l’interesse per il FUROSHIKI, l’arte di imballare e trasportare le cose piegando e annodando un telo di stoffa.

Il furoshiki non è altro che un quadrato di stoffa; piegato e annodato in vari modi diventa di volta in volta borsa, imballaggio, contenitore, adattandosi a oggetti di ogni forma e mantenendo sempre stile ed eleganza.

È un oggetto che dimostra la raffinatezza e il gusto estetico così sviluppati della cultura giapponese. Scegliere e annodare un furoshiki è diventata un’arte che si tramanda di generazione in generazione.Leggere di più


Eido Roshi sullo Zen nei kakejiku

Lo scorso mese alla riunione degli Amici nel Tè, Eido Roshi, il responsabile del Daibosatsu, ha tenuto un discorso commentando il significato di alcune famose massime Zen che sono utilizzate spesso sui kakejiku per il tè. Volevo condividere qui qualcuna delle cose che sono state dette. Ho fatto del mio meglio nel prendere appunti nella maniera più accurata possibile ma so che ci sono delle cose che mancano ed è per questo che mi scuso.

Ichigo ichie

“Questa espressione è così  immensa che non c’è bisogno che dica niente… È tradotta spesso con “una volta, un incontro”. Letteralmente questa traduzione è inaccurata ma la mia interpretazione è “senza precedenti e irripetibile”. Non ci siamo mai incontrati qui – senza precedenti. Molto probabilmente, fra sei anni, ci saranno volti nuovi. Quindi, irripetibile.Leggere di più


Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (2)

Definire la cultura

I giapponesi esprimono costantemente il desiderio che la propria nazione e le città non siano meramente civilizzate ma acculturate, tuttavia le città che costruiscono in realtà sono una manifestazione del primo aspetto e non del secondo. La ragione di ciò risiede nell’incapacità di distinguere con chiarezza fra civiltà e cultura.

Watsuji Tetsurō spiega allegoricamente che: “quando condiamo una verdura appena colta con l’olio e la mangiamo, questa è civiltà. Quando mettiamo della verdura appena colta in un contenitore e la lasciamo in salamoia per giorni, facendo emergere il corpo del suo sapore nascosto, e poi la mangiamo, allora quella è cultura.” (Leggermente modificato ai fini del presente articolo.)

Il sapore della civiltà espressa dall’insalata di Watsuji è superficiale e monodimensionale. Ma nel caso nella cultura, prendersi il tempo di mettere in salamoia la verdura fa emergere il suo intero “corpo”, o sapore nascosto. Nella tesi di Watsuji, è questo “sapore nascosto” che costituisce la cultura.Leggere di più


Dogu - Oggetti per il chanoyu

Dogu è il termine che indica gli utensili per la preparazione del tè. Mio marito ride di me e li chiama giocattoli per il tè. In effetti, tutto quello di cui si ha bisogno per il chanoyu è chawan (tazza del tè), chasen (frustino per il tè), chakin (panno per asciugare), fukusa (panno per la purificazione), chaki (contenitore del tè) e chashaku (cucchiaio per il tè). Con questi sei utensili, si può praticare il chanoyu dappertutto.

Quando iniziai a studiare il chado, non c’erano molti utensili giapponesi disponibili. Anche se potevo permettermeli, non mi erano accessibili. Incominciai a guardare degli oggetti prontamente disponibili che potessero essere utilizzati per il tè. Ho ancora molti di questi utensili improvvisati: una tazza di ceramica per il kensui, un contenitore dei biscotti come contenitore dell’acqua fredda, contenitori di varie dimensioni e forme per i dolci per il tè.Leggere di più