Antiquariato giapponese
Otagaki Rengetsu (1791-1875)
Lepre
Ceramica con iscrizione calligrafica,
Firma: Rengetsu
Altezza: 20 cm
La poesia recita:
うさきらか
蒲のほいろの
毛衣は神代
なからや
着かへさるらん
La lepre,
le vesti di pelo
del colore delle tife,
come nell'era degli dei
non si cambia.
Otagaki Rengetsu (1791-1875) fu una monaca buddista la cui vita tragica e intensa ispirò una fertile creatività. Tra le poche artiste femmine giapponesi di rilievo, Rengetsu fu poeta, calligrafa, ceramista e pittrice.
Educata come dama di compagnia nel castello di Kameoka fino all'età di 16 anni, Otagaki studiò la poesiawaka, un tipo di composizione classica giapponese popolare tra le donne durante il periodo Edo. Dopo la moste del secondo marito, all'età di 33 anni diventò monaca della setta buddista della Terra Pura con il nome di Rengetsu, ovvero "Luna di loto". Il lavoro di Rengetsu combina così la spiritualità con il tangibile, anche se solo raramente mostra riferimenti diretti al buddismo.
Attorno al 1840 Rengetsu iniziò a combinare calligrafia e ceramica: ogni oggetto creato dalle mani della monaca veniva così impreziosito dalla sua aggraziata e riconoscibile calligrafia. La presenza di queste eleganti poemi aggiunge una intima tranquillità alle sue opere, siano esse dipinte sulla carta o modellate in ceramica.
Antiquariato giappponese
Mattônari kawari kabuto
抹頭形兜
Periodo Momoyama (1573-1615)
Fine del XVI secolo
Ferro e harikake. Shikoro a sei piastre.
Bibliografia:
Y. Sasama, Nihon no mei kabuto, Tokyo:1972, pp. 142-143
I. Fujimoto, U. Kasahara, Sengoku no kawari kabuto, Gakken: 2010, p.120
La forma mattônari, che letteralmente sarebbe traducibile in "con una sola pennellata" si riferisce alla forma del copricapo che questo kabuto imita, ovvero ottenuto piegando su se stesso un unico drappo, tenuto assieme dai lembi annodati sul fronte.
La straordinaria forma e l'uso dell'argento sulla lacca nera rendono l'elmo di eccezionale eleganza e forza.
Poiché di epoca di guerre civili (sengoku jidai) l'elmo ha una costruzione particolarmente efficace e risulta molto pesante. Anche la struttura in harikake - una mix di lacca e cartapesta - è molto compatta e mantiene una forma semplice, adatta al campo di battaglia.
Lo shikoro non è fornito di fukigaeshi, come spesso accade per gli elmi più antichi, mentre sono presenti duetsunomoto sui lati per l'innesto di decorazioni laterali (wakidate).
Giuseppe Piva
www.giuseppepiva.com
Antiquariato giapponese
Serpente arrotolato
Inizio del XIX secolo
Legno di bosso; occhi intarsiati in corno nero
Firmato entro riserva ovale: Tanri
Lunghezza: 6 cm
I nati sotto il segno del serpente (ad esempio negli anni 1941, 1953, 1965, 1977 e 1989) sono persone dallo spirito gioioso. Hanno un carattere romantico e passionale, di natura sono saggi, calmi e belli sia interiormente che esteriormente. Possono godere per questo di grande fortuna e prosperità. All’apparenza possono sembrare freddi e misteriosi, ma al contempo emanano un fascino irresistibile e sono molto generosi.
I nativi sotto il segno del serpente, il sesto animale che arrivò in ordine di tempo dinnanzi a Buddha, sono predisposti allo studio e all’amore per la filosofia e la letteratura. Sono persone taciturne, pazienti, diffidenti, ma adorano i complimenti e spesso si lasciano prendere dalla pigrizia, rifuggendo dalla vita mondana per starsene in tranquillità.
In campo sentimentale sono fedelissimi ma gelosi e possessivi. Sono apprezzati per la loro saggezza e per questo sono le prime persone cui è consigliabile rivolgersi in caso di necessità.
Le storie erranti del Giappone
LE STORIE ERRANTI DEL GIAPPONE
Un'introduzione al Kamishibai
Era una scena piuttosto usuale nel Giappone del primo novecento vedere un gruppo di ragazzini accorrere al suono dello hyoshigi, strumento formato da due battenti in legno che veniva percosso per annunciare che era giunto il kamishibaiya, il narratore che da lì a poco avrebbe dato vita alla magia del Kamishibai.
Si tratta di un teatro di strada che ebbe un'enorme diffusione in tutto il Giappone tra gli anni '30 e gli anni '50 del secolo scorso. Iniziò il suo declino con l'avvento della televisione, che inizialmente era indicata con il termine Denki Kamishibai ( kamishibai elettrico ), il che ci dà la misura di quanto questa forma espressiva rappresentasse un fenomeno culturale ben radicato nel tessuto sociale, superando di gran lunga – in termini di pubblico - altre forme di intrattenimento come il cinema o il teatro.
Consiste in un teatrino in legno di misure ridotte ( butai ) all'interno del quale il kamishibaiya faceva scorrere delle immagini disegnate che illustrano una storia in sequenza.
In questa efficace sintesi di immagini e parole consiste la peculiarità e la forza espressiva del kamishibai. Come in tutte le situazioni in cui c'è qualcuno che narra e qualcuno che ascolta, fondamentale è la qualità del contatto che si stabilisce. In Giappone si usa il termine Kyokan per indicare “ il cerchio della condivisione dei sentimenti ” tra chi narra e chi ascolta, Nella mia esperienza di narratore questo spazio affettivo e di empatia si è sempre manifestato, in particolar modo con i bambini, che sono sempre riusciti a rendere unico ogni evento.
Passato
Alcuni studiosi fanno risalire le origini del Kamishibai al XII secolo, collegandolo ad altre forme di narrazione visiva come i famosi rotoli dipinti chiamati emakimono. Inoltre il kamishibai si è distinto in Gaito Kamishibai ( Kamishibai di strada ) e Kamishibai Kyoiku ( Kamishibai educativo ), ma qui ci occuperemo del Kamishibai nelle forme in cui si diffuse come teatro di strada.
Il termine kamishibai nasce dall'unione delle parole “ kami ” (carta) e “ shibai “ (teatro, drammatizzazione), e si può tradurre come “ teatro di carta ”.
Il narratore sfilava la prima immagine rivelando al pubblico quella successiva, e così via fino alla conclusione. La sua abilità consisteva nel creare il giusto equilibrio tra lo scorrere delle immagini e l'incedere della narrazione, tenendo desta l'attenzione del pubblico. Per esempio in alcuni passaggi poteva far scorrere molto lentamente un 'immagine e scoprire solo parzialmente quella successiva,
suscitando curiosità e prolungando la suspence. Il fatto che le immagini scorressero da sinistra a destra ne determinava la costruzione, in termini di inquadratura e composizione. Le immagini dovevano risultare leggibili anche a distanza, il che comportava che i disegni fossero sintetici, efficaci e privi di inutili dettagli. Solitamente sul retro delle immagini era trascritto il testo della storia, anche se molti kamishibaiya la eseguivano a memoria.
Come già detto, si trattava di un teatro di strada, i narratori si spostavano di villaggio in villaggio o da un quartiere all'altro delle città a bordo di biclette sulle quali era montato il butai. Si guadagnavano da vivere vendendo caramelle e altre leccornìe ai bambini. Non c'era nessun obbligo di acquistare la loro merce per assistere allo spettacolo, semplicemente facevano disporre più vicino chi aveva acquistato e più lontano gli altri Si stima che nella sola Tokyo - nel periodo di massima diffusione - operassero circa tremila kamishibaiya, tra i quali si riciclarono diversi Benshi, i narratori del cinema muto che si ritrovarono senza lavoro al sopraggiunger del sonoro. Nel drammatico periodo della grande depressione, un gran numero di persone riuscì a sopravvivere e avere un reddito grazie al kamishibai. Bisogna considerare infatti che era un'attività che oltre al kamishibaiya coinvolgeva molte altre figure: dagli artisti che dipingevano le storie – e delle quali vi era una continua richiesta - al Kashimoto, una specie di “ boss” che si occupava di diversi aspetti organizzativi, come il noleggio delle biciclette, la commissione agli artisti della realizzazione dei disegni per le storie che poi faceva circolare tra i kamishibaiya per rinnovare il loro repertorio.
Bisogna sottolineare che le storie erano tutte costituite da disegni originali, e rappresentavano perciò dei pezzi unici. E' verosimile che in una produzione di numero così elevato vi fossero dei prodotti dozzinali, ma tanti altri rappresentavano dei piccoli capolavori. Purtroppo di questo enorme patrimonio ne sopravvive oggi solo una piccola parte adeguatamente custodita.
I generi narrati spaziavano dal comico al drammatico e le storie non erano rivolte esclusivamente ai bambini e ragazzi, ma ad un pubblico di tutte le età. La formula adottata era quella di concludere l'episodio rimandando la fine della storia agli incontri successivi, in modo da garantirsi una nuova affluenza di pubblico incuriosito da come sarebbero proseguiti gli eventi. Perciò ogni racconto si componeva di più episodi, ognuno dei quali in media era composto da una dozzina di disegni.
Spesso i protagonisti erano giovani eroi che dovevano affrontare prove e tribolazioni, combattendo contro animali feroci o terribili alieni alla conquista del mondo. In queste storie sono apparsi i primi personaggi in costume con identità segrete, prototipi dei moderni superoi.
In assoluto uno dei personaggi più popolari fu Fantaman ( Ogon Bat : Pipistrello dorato ). Grazie alla sua enorme popolarità sopravvisse al declino del kamishibai, trasmigando nei Manga e successivamente alle Anime.
A proposito dei Manga, a buon diritto il Kamishibai può esserne considerato un precursore. Nel suo libro “ Manga Kamishibai” Eric P. Nash scrive : “ Se la maggior parte della cultura pop giapponese [ … ] ha origine dai Manga, il Manga ha le sue radici nel Kamishibai ” Oltretutto esistono dei collegamenti diretti, poiché diversi kamishibaiya si dedicarono ai Manga divenendone in breve figure chiave, come Sanpei Shirato e Shizero Mizuki.
Conclusa la sua parabola, il Kamishibai rimase per lungo tempo solo un motivo di nostalgia per le generazioni che avevano avuto la possibilità di assistervi.
Futuro
All'incirca dalla metà degli anni '80 il kamishibai è stato oggetto di un crescente interesse riapparendo non più come teatro di strada ma nel contesto di scuole e centri di cultura, e si è avviato un nuovo periodo di diffusione che è partito dal Giappone per allargarsi ad altri paesi del mondo.
Questo rinnovato interesse ha portato alla nascita, nel 2001, dell' IKAJA : “ The International Association of Japan”, che si propone di favorire la comunicazione in tutto il mondo tra chi si occupa di Kamishibai e promuoverne lo studio. A questo proposito, uno degli ultimi eventi organizzati dall'Associazione, in collaborazione con la “Petite Bibliothèque Ronde “ è stato il meeting europeo di Kamishibai dal titolo “ Un Kamishibai pour la Paix”, organizzato nell'aprile 2012 in Francia presso la sede dell' Unesco. Si susseguono nel mondo eventi come workshop e conferenze, in Giappone periodicamente si tiene un raduno nel quale gli artisti eseguono le storie da loro stessi create e realizzate : tutti segnali che fanno ben sperare che il Kamishibai possa emanciparsi dal concetto di revival e guadagnarsi a pieno titolo un posto permanente
accanto ad altre forme espressive della nostra epoca, come il cinema o il fumetto, avendo tutti i requisiti per potersi considerare un'arte senza tempo.
Pino Zema
www.facebook.com/pages/Kamishibai-Milano/305261769588406
Tratto da Pagine Zen n.96.
Susuharai
Tradizioni di capodanno: il Susuharai
Il capodanno in Giappone è visto come un nuovo inizio. E per liberarsi simbolicamente delle macchie dell'anno passato, quale modo migliore delle pulizie? Ecco così la tradizione del Susuharai, un vero e proprio rituale per purificare la casa e lo spirito.
I templi e le famiglie tolgono eliminano la polvere dai tatami, lucidano le superfici e, nel far ciò, eliminano tutti i residui spiacevoli del passato, per iniziare il nuovo anno con una visita al tempio, vestiti con un abito nuovo e l'animo sereno.
Contemporaneità e polistilismo
Spesso associato al termine “eclettismo” il polistilismo diventa popolare in musica solo dagli anni ’70 grazie al compositore russo Alfred Schnittke ed al suo testo “"Polystylistic Tendencies in Modern Music”. Proprio a Schnittke il compositore Kano Sohei si rifà direttamente, riprendendone i canoni base per trovare uno stile personale. Conosciuto relativamente ancora poco e noto soprattutto per una sola produzione per l’animazione, Fractale, anime di 11 episodi diretto da Yamamoto Yutaka nel 2011, nonostante questo suo unico exploit nel mondo animato, la sua partitura si distingue dalle altre proprio per l’approccio estremamente innovativo che la sua esperienza come compositore contemporaneo riesce a dare. Fatto ancor più singolare se si pensa che non ci si trova all’interno di una produzione sperimentale, anzi, prodotta da uno degli studi di animazione più importanti in Giappone quale la A-1 Pictures, già nota per serie mainstream come “Sword Art Online” e “Valkyra Chronicles”. L’Anime, nato da un’idea originale del regista, che già aveva lavorato all’interno dello studio Kyoto Animation, e dello scrittore e critico letterario Azuma Hiroki, narra la storia di un mondo futuribile, paragonabile nei paesaggi all’Irlanda a cui la canzone finale, scritta nel secolo scorso da William Butler Yeats “Down by the Salley Gardens”, fa esplicito riferimento. In questo mondo immaginario ma non troppo, la vita di tutti i giorni viene gestita attraverso pseudo avatar che si muovono in città ed ambienti ricreati da un sistema dal nome, appunto, Fractale, e dove agli uomini è dato stare senza lavorare in quanto è il sistema stesso a provvedere a tutti i loro fabbisogni, questo sino a che l’intero stile di vita non rischia di collassare su se stesso per ragioni che a poco a poco scopriremo in corso d’opera. Tralasciando l’aspetto grafico e del character design, che si discosta non poco da altre produzioni coeve, musicalmente parlando l’opera è ricca di spunti e di richiami tra loro più diversi, oltre allo stile proprio del compositore, numerose brani si rifanno a periodi storici e stilistici diversi, che all’interno dell’intervista ci vengono spiegati dallo stesso autore come inserti voluti o necessari ai fini anche e non solo della riuscita dell’Anime da un punto di vista drammatico e finanziario. Lascio quindi la parola al compositore Kano Sohei che oltre che a guidarci all’interno del mondo di Fractale, ci da l’opportunità di seguire da vicino l’approccio di un autore non specificatamente legato al mondo dell’animazione e che quindi, più di altri, è in grado di spiegarcene i meccanismi interni che lo guidano.
Edmondo Filippini: Lei ha scritto una sola colonna conora per uno degli anime più interessanti dedicati ad un possibile futuro, Fractale. Mi piacerebbe sapere come e perché ha scelto questo soggetto come sua prima partitura per questo genere.
Kano Sohei: Il regista dell’Anime, Yutaka Yamamoto, ascoltò il mio lavoro "Scherzo for Wind Orchestra No.2 - The Summer" e gli piacque tanto da contattarmi richiedendomi di lavorare a questo progetto. In realtà non ci conoscevamo direttamente, mi ha contattato infatti attraverso il mio blog. Lo "Scherzo for Wind Orchestra No.2 "The Summer"" era una delle composizioni per un concorso di ensemble di fiati in Giappone e Mr. Yamamoto aveva una profonda comprensione sia della musica classica, sia per la musica per fiati.
n.d.a.: L’autore permette l’ascolto di questa partitura al seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=QvJ25bCeKhM (la musica inizia a 1:08)
E.F.: Com’è stato il suo approccio drammaturgico alla storia come compositore?
K.S.: Avevo due cose in mente mentre lavoravo al progetto. La prima cosa era l’idea di uno stile di vita antico ed uno altrettanto razionale di un futuro di mille anni da oggi coesistenti l’uno con l’altro. La seconda cosa che avevo in mente era prendere il sistema razionale (che sperimenti anche mentre lavori) ed andare contro di esso, pensando alla domanda “cosa significa diventare indipendenti o sostenersi da soli?”. Mi sono avvicinato al primo pensiero utilizzando sia la tecnica classica che la “fredda” tecnica dodecafonica, mentre nel secondo caso usando melodie violente ed effetti sonori. Penso che stavo guardando a me stesso con l’idea di: “guadagnarsi da vivere con la musica”. E.F.: Lei ha mischiato vari stili musicali come il contemporaneo in Hibi no Kate nomi no Roudou to Kueki kara, l’antico e l’elettronico...come pensa questi stili possano dialogare all’interno del mondo musicale contemporaneo? K.S.: Penso che il polistilismo, come può essere anche compreso dalla musica del mio mentore Shuko Mizuno e da compositori quali Schnittke e Zimmerman, sia la chiave. Sono stato devoto al concetto di polistilismo sin dal college e penso che la sua influenza si possa ascoltare nella colonna sonora. Penso inoltre che la musica contemporanea sia stata interamente esplorata in termini di creazione e destrutturazione, sebbene ci possa ancora essere qualcosa ancora da studiare, ed ora noi viviamo in un era in cui la adattiamo e la mixiamo. Io rimango su queste posizioni ed ho ottenuto alcuni successi sino ad ora, lo “Scherzo” prima menzionato è uno di questi.
E.F: All’interno della partitura di Fractale c’erano molti riferimenti alla musica sia neoclassica che barocca, per esempio vari brani eseguiti con un quartetto d’archi, come Nessa no Waltz, Satoyama no Koukei e ancora Ittoki no Ansoku. Come mai ha scelto questo particolare ensemble?
K.S.: Le opere da lei citate sono state registrate come aggiunta sotto richiesta del regista. Egli voleva più musica con gli archi e poiché il budjet rimasto era abbastanza basso si è optato per il quartetto d’archi. Quindi era l’esigenza del momento la ragione principale, sebbene alla fine questi brani in qualche modo caldi e calmi contrastino bene con quelli più vasti e seri.
E.F.: In Dias no prelude lei ha usato uno stile prettamente bacchiano. C’è una ragione speciale per cui ha voluto usare uno stile così antico?
K.S.: Dias è ritratto come una persona fredda. Piuttosto che scrivere qualcosa di melodico pensavo quindi di usare una successione di arpeggi che avrebbe funzionato meglio. Il fatto poi che il regista amava le Suite per violoncello di Bach ha costituito un elemento determinante per questo.
E.F.: Per il brano Kozeriai, Oosawagi ha scelto una musica molto ironica con alcune reminiscenze dalla musica del cinema muto. E’ stata una scelta intenzionale? Si è ispirato proprio a quel periodo?
K.S.: Nella maggior parte dei casi ho seguito lo schema drammatico collegato con l’immagine, impiegando anche le tecniche di Shostakovich e Yasushi Akutagawa. Comunque ho visto molti film di Chaplin quindi potrebbe essere che mi abbiano influenzato un po’.
E.F.: La canzone Hiru no hoshi è una sorta di dolce lullaby molto importante all’interno della storia. La melodia è originale o ha voluto usare una canzone per bambini preesistente?
K.S.: "Hiru no Hoshi" non è stato scritto da me ma da Satoru Kosaki. Credo che sia una sua canzone originale.
E.F.: Ci può dire qualcosa della sua attività compositiva al di fuori del mondo dell’animazione?
K.S.: Quest’anno è stato premiato un mio brano per orchestra di fiati “Five Combination" ed anche il mio brano Prelude for Ground Reviving è stato pubblicato.
E.F.: Ha nuovi progetti per il future a proposito di un possibile anime, film o Drama?
K.S.: Sfortunatamente non ho ricevuto ancora un nuovo progetto. Come progetto da me creato personalmente mi piacerebbe trasformare alcuni anime in opera. "Higurashi no naku koro ni" è stato una produzione personale del 2010 come "Dojin".
Edmondo Filippini
Antiquariato giapponese
Hanbô
Periodo Muromachi (1336-1573)
Ferro laccato
Rara maschera da samurai di tipo hanbô, ovvero che copre mezzo volto ad esclusione del naso.
La dimensione stretta dell'apertura per il naso suggerisce immediatamente una datazione molto antica e la tipologia del ferro e della lacca confermano che si tratta di un oggetto del XVI secolo.
La forma generale della maschera, al contempo forte ma aggraziata, richiama un modello illustrato nel Meikô-zukan-zokushu firmato da Yoshimichi, nonchè l'hanbô firmato Takayoshi della collezione Orikasa: il labbro corrucciato e le linee decise seguno gli stessi lineamenti, mentre al posto del tubicino per il drenaggio del sudore (ase nagashi) questo menpo regge un singolo otayori per il fissaggio dell'elmo e il sudore passa invece per tre fori posti al suo fianco.
Lo yodarekake è a cinque piastre molto sottili, come in uso nelle armature più antiche.
Giuseppe Piva
www.giuseppepiva.com
Furoshiki: cento usi di un quadrato di stoffa
Volantino ufficiale distribuito dal Ministero per l’Ambiente nel 2006
L’arte giapponese di avvolgere contenere, trasportare oggetti di ogni forma: un’alternativa elegante ed ecologica per preparare originali pacchi dono.
La sensibilità verso l’ambiente cresce e tornano in voga materiali e abitudini antiche, di cui si riscopre la modernità. Dal Giappone si fa strada anche in Europa, tra le altre cose, l’interesse per il FUROSHIKI, l’arte di imballare e trasportare le cose piegando e annodando un telo di stoffa.
Il furoshiki non è altro che un quadrato di stoffa; piegato e annodato in vari modi diventa di volta in volta borsa, imballaggio, contenitore, adattandosi a oggetti di ogni forma e mantenendo sempre stile ed eleganza.
È un oggetto che dimostra la raffinatezza e il gusto estetico così sviluppati della cultura giapponese. Scegliere e annodare un furoshiki è diventata un’arte che si tramanda di generazione in generazione.
Non basta un pezzo di stoffa qualsiasi, è importante scegliere il colore, il disegno e il tessuto secondo l’occasione. Un regalo, ad esempio, richiede un furoshiki di seta, magari decorato con motivi tradizionali.
Dalle dimensioni della tela al disegno che lo impreziosisce, dalla tipologia del tessuto fino alle sfumature del suo colore, ogni dettaglio risponde a un preciso significato: la scelta del furoshiki, insomma, non si può improvvisare.
Originariamente utilizzato come fagotto per trasportare gli abiti puliti al bagno pubblico, esistono traccie storiche dell’esistenza del furoshiki già a partire dal periodo Muromachi (1392-1573) quando i cortigiani erano soliti portarlo con sé al grande edificio termale costruito dal Generale Yoshimitsu Ashikaga. Noto con il termine di hirazutsumi, questo antenato del furoshiki serviva a contenere il cambio di abiti da indossare dopo il bagno.
È nel periodo Edo (1683-1868) però che diffondendosi ormai anche tra i semplici cittadini l’abitudine di frequentare i bagni pubblici, il fagotto per i vestiti assume il nome di furoshiki, combinando appunto la parola furo (bagno) e una forma del verbo shiku che significa stendere. Il grande fazzoletto conserva anche nelle epoche successive la sua funzione principale ma lentamente le sue dimensioni cambiano, adeguandosi alle misure di qualunque oggetto si voglia donare o trasportare in modo pratico. Una curiosa abitudine era anche quella di tenere un furoshiki allestito con articoli di prima necessità sotto al futon, per essere pronti ad una rapida fuga in caso di incendio o terremoto.
Le dimensioni di questo quadrato di stoffa variano dai 50 cm fino a più di due metri, per riporre i futon invernali durante l’estate.
Di solito l’oggetto da avvolgere viene posto al centro del furoshiki, diagonalmente. Se ha una forma allungata, la stoffa che avanza ai lati viene piegata per bene attorno ad esso, prima da una parte e poi dall’altra nella direzione opposta.
C’è una legatura per trasportare bottiglie, una per i libri, gli oggetti tondi come l’anguria, la spesa giornaliera, un regalo e mille altre cose. Il furoshiki può essere di cotone, di seta, di tessuto sintetico. Multicolore o in tinta unita, double face, dipinto a mano, stampato con le fantasie inesauribili della tradizione nipponica. Cucito a mano o a macchina, a buon mercato o costosissimo data la varietà dei tessuti.
Il revival del furoshiki ha anche una dimensione ufficiale, è stato infatti promosso dal Ministro per l’Ambiente giapponese, che ne ha suggerito l’uso quotidiano come alternativa ecologica all’utilizzo delle borse di plastica. L’iniziativa è stata denominata “Mottainai Furoshiki”.
L’espressione “mottainai” significa “non sprecare”; si tratta di un termine ripreso da buddihsmo che fa riferimento all’essenza delle cose: tutte le cose hanno un anima, sono lo spirito (kami) del materiale di cui sono state create; gettarle o sprecarle vuol dire non rispettare la loro anima. Dopo lo sfrenato consumismo dell’epoca moderna, la campagna pubblicitaria della Ministra Yuriko Noike rientra nell’obiettivo di aumentare la consapevolezza contro gli sprechi e promuovere il riciclaggio, rifiutando nei negozi le confezioni in eccesso, riducendo gli sprechi dell’imballaggio con un oggetto riutilizzabile.
Avvicinarsi alla filosofia del furoshiki, inoltre, non è solo un vantaggio per l’impatto ambientale ma significa anche ritrovare la bellezza nei gesti semplici e quotidiani con fantasia e creatività.
Così il furoshiki non è soltanto un pratico accessorio eco friendly, ma può diventare un’alternativa elegante e originale anche alle classiche borse di pelle.
La Libreria Azalai di Milano propone già da un anno serate-laboratorio dedicate a imparare le principali piegature e legature del furoshiki secondo la tecnica tradizionale giapponese.
Iscrizioni e informazioni presso:
Libreria Azalai, Via G.G. Mora, 15, 20121 Milano, tel. 02 58101310
I metodi base di avvolgere gli oggetti con il furoshiki sono tre:
Hirazutsumi (avvolgere) è il modo più elegante, indicato per fare pacchetti-regalo;
Hitotsumusubi (con un nodo);
Futatsumusubi (con 2 nodi).
questi metodi base prevedono numerose variazioni
Otsukaizutsumi , per oggetti quadrati.
Binzutsumi , per le bottiglie.
Makizutsumi , per oggetti cilindrici, come rotoli.
Honzutsumi , per libri.
Suikazutsumi , per avvolgere oggetti tondeggianti, come le angurie.
Vestire con arte o arte del vestire?
Un itinerario storico, sociale e culturale attraverso il mondo del kimono, per capire e approfondire alcuni aspetti della civiltà giapponese, attraverso uno dei suoi simboli più emblematici. L’abbigliamento, in genere, costituisce un’interessante questione culturale e benché la sua funzione primaria sia quella di ricoprire il corpo, ciò che è più importante è che definisce la nostra persona e rappresenta uno dei più ricchi aspetti della cultura materiale. Il kimono racchiude in sé molte informazioni riguardanti la struttura sociale, la mentalità e la sensibilità estetica del Giappone.
Susanna Marino
La Professoressa Susanna Marino terrà domani sabato 1 dicembre alle ore 21.00 nella Sala Conferenze del Palazzo delle Paure a Lecco una conferenza dal titolo: "Un viaggio virtuale nel mondo del Kimono".
Antiquariato giapponese
Scuola Rimpa
Fine del periodo Edo (1615-1867)
Albero di ginko e crisantemi
Paravento a due ante
Inchiostro, pigmenti e gofun moriage su fondo oro e argento
158,8 x 154,8 cm
Dipinto senza contorni e con l’utilizzo di colori molto diluiti in certe zone del dipinto, questo stile viene definito “senza ossa” (mokkotsu). La delicatezza e la raffinatezza di questo modo di dipingere si identifica certamente con il carattere elegante dei committenti, contrapposto al vigore del monocromatismo ordinato e alle forme dure e virili della scuola Kano, scelta come rappresentativa della classe militare.
La stilizzazione molto spinta delle forme è una delle principali caratteristiche degli artisti Rinpa: il fiume sullo sfondo, individuabile dalle eleganti onde che sembrano ripetere un morbido motivo geometrico, ricorda in realtà anche una nuvola e funge più da motivo di sottofondo che da elemento realistico del paesaggio.
Il termine “Rinpa” deriva dal carattere “pa” (scuola) e dalla seconda sillaba del nome “Korin”: Ogata Korin (1658-1716) non fu in effetti il creatore di questo stile, che deve la sua origine invece a Honami Koetsu (1558-1637) e Tawaraya Sotatsu (?-1640), ma ne fu il maggiore diffusore. Sebbene non si possa parlare di “scuola” in senso stretto, i modelli estetici di Ogata Korin influenzarono intere generazioni di artisti fino all’epoca moderna.