Il papà di tutti i manga-ka - Guida al Milano Manga Festival
Il papà di tutti i manga-ka
Nei periodi più oscuri della storia del Giappone, i manga hanno fornito racconti che alzassero il morale dei giapponesi e li incoraggiassero nello sforzo per potere affrontare la ricostruzione. Per far fronte alla carenza di carta del primo dopoguerra, il governo stesso finanziò l’apertura di negozi che potremmo paragonare agli odierni video noleggi, dove venivano affittati i fumetti manga da restituire il giorno seguente. Il successo fu tale che la richiesta di storie sempre nuove e avvincenti si faceva pressante. A volte alcuni giovani per arrotondare con qualche soldo in più, si cimentavano realizzando nuovi manga anche solo a livello amatoriale, solo per il piacere di realizzarli. Tra le storie più richieste quelle di Osamu Tezuka (手塚治虫, Tezuka Osamu?) (Toyonaka, 3 novembre 1928 – 9 febbraio 1989) si distinguevano fra tutte per l’introspezione psicologica e la trama più curata e elaborata. E’ così che nasce la carriera del disegnatore più amato e onorato del Giappone. Sorprendentemente laureato in medicina, non esercitò mai la professione medica, ma sviluppò la sua brillante carriera nell’ambito del fumetto.
A lui si deve la realizzazione dei manga così come li conosciamo: da semplici strisce, Osamu Tezuka sviluppa dei veri e propri “story telling”. Vicende che narrano le vicissitudini anche psicologiche di un personaggio, a volte alla stregua di un vero e proprio romanzo per immagini. Infatti tra i tratti più innovativi si rilevano le inquadrature quasi cinematografiche che creano una forte dinamicità delle tavole che possiamo vedere esposte nella terza sezione della mostra “200 anni di storia di arte manga”. La sua fama è stata tale che poco prima della sua morte, avvenuta nel 1989 a causa di un attacco di cuore, alcune rilevanti testate giornalistiche giapponesi cercarono di portare avanti una campagna a favore dell’assegnazione a Osamu Tezuka del premio Nobel per la Letteratura. Nel 1997 il governo giapponese volle dedicargli una serie di francobolli. Si narra che il famoso produttore e regista Stanley Kubrick lo avesse invitato a collaborare alla realizzazione del film “2001: Odissea nello spazio”, ma Osamu Tezuka avrebbe declinato la proposta perché non avrebbe tollerato il carattere spocchioso di Kubrick.
Paola Raverdino
Guida turistica
e-mail: paola@raverdino.it
Per organizzare visite guidate individuali o per gruppi, anche in lingua inglese, è possibile inviare una e-mail all’indirizzo paola@raverdino.it oppure chiamare il numero cell. 347-1502956.
La maschera e il corpo. Storia ed estetica del teatro giapponese
Da giovedì 17 ottobre 2013 a giovedì 5 dicembre 2013,
dalle ore 18 alle ore 19.30
presso Associazione Nuova Cultura Oriente Occidente
Centro di Cultura Giapponese
via Lovanio, 8 · Milano (Moscova M2)
La maschera e il corpo. Storia ed estetica del teatro giapponese
Corso introduttivo: 8 lezioni, ogni giovedì dalle ore 18 alle ore 19.30.
Da giovedì 17 ottobre 2013 a giovedì 5 dicembre 2013.
Un’introduzione alla grande tradizione teatrale giapponese, dalle origini nel mito e nel rito alla fioritura dei generi classici (noh, kabuki, bunraku) fino al teatro-danza moderno. Un viaggio affascinante alla scoperta di una tradizione vivente fonte di continuo incanto e meraviglia, in compagnia delle docenti Carmen Covito e Rossella Marangoni.
In collaborazione con l’associazione culturale AsiaTeatro
Per informazioni: Mario 346 8296119 (dalle 14 alle 18) web@asiateatro.it
Sito internet Centro di Cultura Giapponese
Intervista con Kaori Miyayama
Intervista con Kaori Miyayama. La sua mostra, "Scendendo verso il cielo", rimarrà in esposizione presso la galleria 3001Lab presso il Bed&Breakfast RossoSegnale fino al 7 Luglio, dalle 17 alle 19.
Qual è il concetto alla base della mostra?
L'ispirazione per questa mostra è stato il concetto di relazione, che può essere inteso sia fra opere e persone sia fra opere e ambiente. In quest'ottica, tutti gli elementi possono interagire fra loro, al punto che anche il contrasto fra opposti diventa relativo; “sopra” e “sotto” sono dei riferimenti che dipendono dal punto di vista del soggetto e non vanno intesi come assoluti.
E' un tema chiave della tradizione del Buddhismo Zen che permea la cultura giapponese, la quale ci ha abituati a pensare che tutti gli elementi sono parte di un insieme più vasto, dove gli opposti coesistono e non si oppongono.
Partendo da questo presupposto, è molto più facile accettare la pluralità delle prospettive e interiorizzarla, fino a abituarsi ad assumere l'ottica altrui.
Questo cambiamento del punto di vista è consapevole o avviene per caso?
Come dicevo prima, la nostra cultura ci abitua a considerare sempre svariati punti di vista, quindi è uno stato costante che ci accompagna e porta a riflessioni interessanti.
Basti pensare che, dopotutto, la Terra è una sfera inserita nel cielo, il quale dunque non si trova solamente sopra di noi, ma anche al di sotto del nostro pianeta, sotto di noi. Da questo nasce il titolo della mostra, "Scendendo verso il cielo".
E' proprio il principio di "Scendere verso il cielo" che caratterizza la disposizione della mostra: si sviluppa partendo dal cielo, rappresentato al livello del suolo, fino alla terra, le cui opere sono raccolte ai piani più elevati. Ci sono alcuni elementi ricorrenti su vari piani...
Ci sono degli elementi che trovo particolarmente simbolici. Le nuvole rappresentano il mutamento, dal momento che cambiano forma e colore in relazione all'ambiente; i funghi invece sono dei parassiti, che vivono di una relazione che può essere sia positiva che negativa e diventano quindi un tramite fra la terra e il cielo.
Personalmente, mi ha colpito che sia le opere della terra che quelle del cielo utilizzano dei colori molto simili,come il bianco e l'azzurro. Come mai?
Non l'ho pensata in termini di toni ma di densità del materiale: le opere del cielo infatti si basano tonalità azzurro e bianco trasparenti, che entrano in sintonia con lo sfondo e lasciano trasparire la luce. La terra invece è rappresentata dai materiali densi, che si oppongono alla leggerezza dell'aria.
Le opere entrano quindi in sintonia con l'ambiente...
Gran parte delle opere esposte è stata creata apposta per l'ambiente in cui è stata installata, la galleria particolare 3001Lab, partendo dal buco sotterraneo dell’ex auto officina, per arrivare all’esterno, fino al terrazzo e al giardino, passando per le tre camere - tutti gli spazi di RossoSegnale B&B. Entrano quindi in un gioco di relazioni con ciò che le circonda: a seconda della luce, dell'orario etc cambia completamente il modo di percepire l'insieme ed è proprio questo che rende la mostra viva.
Ha vissuto a cavallo fra Giappone e Italia per anni ormai. C'è stato un elemento culturale particolarmente influente nella sua espressione artistica?
Il tema parincipale della mia ricerca è l’esplorazione dello spazio che risiede fra le cose, lo spazio vuoto che io chiamo “frammezzo”. Questo elemento è molto rappresentativo della differenza culturale.
Per esempio, la distanza è un valore molto legato alla cultura di un Paese, basti pensare che la relazione fra due persone in Italia è dimostrata anche dalla vicinanza fisica fra di esse, mentre in Giappone non è necessaria la prossimità dei corpi. Basti pensare alla cerimonia del té: è assolutamente priva di contatto fisico ma è carattarizzata da un clima di ospitalità, apertura e accoglienza quasi palpabile che sono il presupposto fondamentale della cerimonia.
Dal punto di vista artistico, questo si traduce in una riflessione sul cambiamento di percezione di un'opera a seconda della posizione dello spettatore rispetto ad essa, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista intellettuale. E' un aspetto molto interessante, tanto che è stata oggetto della mia mostra precedente.
Come vive il cambiamento culturale?
Quando ci si immerge in un ambiente culturale diverso aumenta la comprensione e la valorizzazione della propria cultura di partenza, perchè vivere in un contesto regolato da norme nuove rende più consapevoli di abitudini che passano inosservate finchè si rimane nel proprio Paese natale. Da questo da un lato deriva un senso di spaesamento, dall'altra ti costringe ad assumere punti di vista nuovi e più flessibili.
Immagino la cultura giapponese e quella italiana come due uomini schiena contro schiena, vicinissimi fra loro ma con lo sguardo rivolto in due direzioni opposte.
In questo senso il mio soggiorno in Italia è servito molto a allargare l’orizzonte della vita.
Silvia Pagano
Giganti e giocattoli. Il cinema di Yasuzô Masumura
Beniamino Biondi
“Giganti e giocattoli. Il cinema di Yasuzô Masumura”
Edizioni Aracne
Pag. 100 – € 8,00
Nella storia del cinema giapponese Yasuzô Masumura è colui il quale ha compreso quei processi di frantumazione soggettiva e di polverizzazione sociale sorti nella gioventù postbellica, e li ha trasferiti in immagini facendo uso di un’estetica che ha tenuto in conto tanto il rigore delle strutture formali quanto le concezioni moderniste dei nuovi bisogni culturali. Di ciò si rese conto Ōshima che in un suo famoso saggio del 1958 dal titolo “Si sta forse aprendo una breccia?” definisce Masumura come il cineasta “che possiede una più profonda coscienza sociale” rifiutando l’immobilismo ereditario del Giappone. Contro il senso della rassegnazione e l’enfasi tipicamente melodrammatica del vecchio cinema, Masumura rovescia i principi del neorealismo – che pure sono a fondamento del suo percorso – per una rappresentazione esasperata e irriflessiva della gioventù all’interno di un immaginario individualistico e liberatorio. Siamo di fronte al primo manifesto coscientemente strutturato del Nuovo Cinema Giapponese in cui la rappresentazione della realtà sensibile rifiuta l’individuo come puro spirito sovrasensibile per portarlo a processo in termini di relazione sociale. La follia dei personaggi di Masumura, con la loro irragionevolezza disordinata, non è altro che l’esito di una spaventosa conformità sociale che ha prodotto l’anarchia consumistica del capitalismo e i demoni privati di una sessualità mercificante e reificata; contro questo paesaggio desolato, la lotta solitaria degli individui a tutela della loro integrità morale. Dal 1957 Masumura si è speso con intensità realizzando numerose pellicole, che, pure altalenando nel tono e nella qualità tra cinema d’autore e ammiccamenti al genere di consumo, rappresentano la disperata vitalità di un autore che ha saputo di fatto consentire l’emancipazione estetica dei cineasti della generazione successiva. All’interno di un cinema alimentare e generico come il pinku eiga e lo yakuza eiga, sui cui paradossi si sostanziarono poi alcuni dei cineasti più radicali, Masumura ha costruito il suo discorso eludendo il canone classico e sfruttando entro i limiti concessi, e talvolta molto oltre gli stessi limiti, lo svolgimento di un’espressività ambiguamente libera. Come per tutto il nuovo cinema degli anni ’60 si è trattato di aggredire la produzione industriale sino a rovesciarne la resistenza tradizionale in favore di una sensibilità atta a costringerne una capitolazione non in termini economici ma di nuova cultura, adoperando le sue medesime strategie per quel necessario dissolvimento verso i paesaggi frastagliati e terribili della modernità.
Beniamino Biondi è nato e risiede ad Agrigento. Poeta e saggista, si occupa di teatro e cinema. Collabora con riviste di letteratura e critica cinematografica, cura rassegne di cinema d’autore e svolge attività di drammaturgo e regista teatrale. Come relatore partecipa inoltre a numerosi convegni e giornate di studio. Ha curato l’edizione delle poesie complete del filosofo Aldo Braibanti ed ha pubblicato numerosi volumi di scrittura creativa e critica. Svolge opera di consulenza per Enti, Associazioni e Facoltà Universitarie. E’ tra i maggiori critici del cinema giapponese della nouvelle vague.
Contatti:
www.beniaminobiondi.it
Inside Out
Inside Out
Inside Out è un progetto di arte partecipatoria ispirato alle opere JR, anonimo creativo francese specializzato in enormi poster incollati sui muri delle città di tutto il mondo, espressione di una forma d'arte accessibile a tutti. Questi immensi ritratti hanno dunque dato il via alla creazione di una piattaforma su cui chiunque può condividere la propria immagine e utilizzarla come mezzo di rivendicazione sociale.
In particolare, nel Giappone post tsunami era possibile trovare in tour il camioncino dell'iniziativa, all'interno del quale è stata collocata una cabina fotografica e una stampante professionale a dimensione di poster: i bambini, gli anziani, i pescatori, i proprietari di negozi distrutti - tutte le vittime del terremoto hanno avuto la possibilità di farsi fotografare e trasmettere un messaggio di ricostruzione tramite questa forma d'arte collettiva. Per l'artista era indispensabile che fosse la popolazione stessa a organizzare il camioncino ed effettuare le forografie, in modo da renderlo un progetto realizzato da giapponesi per i giapponesi.
Ed è proprio il Giappone, più precisamente il Watari Museum of Contemporary Art di Tokyo, che ha visto la prima esposizione di JR, conculsasi il 2 Giugno. Una mostra nata dalla selezione di 400 volti della popolazione del Tohoku, affissi sul muro del Museo per esprimere il dolore dello tsunami e la lenta ma determinata ricostruzione.
Oltre al progetto fotografico del Tohoku, il museo sta presentando numerosi progetti passati di “Inside Out” di JR; c'è persino un'area chiamata “L'arte può cambiare il mondo”, dove i visitatori possono effettuare degli scatti a sè stessi e diventare a loro volta parte dell'esposizione.
I WISH FOR YOU TO STAND UP FOR WHAT YOU CARE ABOUT BY PARTICIPATING IN A GLOBAL ART PROJECT, AND TOGETHER WE'LL TURN THE WORLD... INSIDE OUT. - JR
Per maggiori informazioni: http://www.jr-art.net/news/jr-at-the-watari-museum-in-tokyo
Dall’adulto al bambino - Guida al Milano Manga Festival
Dall’adulto al bambino
Alla fine dell’Ottocento il Giappone venne in contatto con le pubblicazioni anglosassoni. Spesso i disegnatori giapponesi venivano assunti nelle redazioni che avevano aperto la propria sede o filiale in Giappone e, grazie alle loro capacità e qualità grafiche, venivano incaricati di illustrare le copertine delle riviste o dei quotidiani destinati principalmente ai lettori occidentali stabilitosi nel Sol Levante oppure per confezionare vignette che servivano da riempitivo quando la lunghezza degli articoli era scarsa.
E’ in quest’ambito che inevitabilmente avvenne un importante scambio culturale: gli artisti nipponici appresero dai redattori occidentali l’arte della satira. E’ questo il caso esemplare di Yasuji Kitazawa (北澤 保次, 20 luglio 1876 – 25 agosto 1955) che nel 1895 iniziò la propria carriera unendosi alla rivista Box of Curios.
Iniziò a disegnare fumetti sotto l’artista satirico australiano Frank Arthur Nankivell (1869–1959), che in seguito si trasferì negli Stati Uniti, impiegato presso per l’americana Puck. Così nel 1905 Rakuten, forse influenzato da Nankivell, fondò la prima rivista satirica a colori giapponese: Tokyo Puck, di cui possiamo ammirare una copia nella seconda sezione della mostra “200 anni di storia di arte manga”. La pubblicazione fu tradotta sia in inglese che in cinese e la sua diffusione comprese Paesi quali la Corea, la Cina e Taiwan.
Yasuji Kitazawa raggiunse alte vette di notorietà non soltanto in Giappone ma anche in Occidente, tanto che nel 1929 a Parigi fu insignito della Legione d’onore. Inizialmente la sua satira era aspra nei confronti del governo, ma in seguito sposò posizioni conservatrici, tanto che divenne presidente della Nihon Manga Hoko Kai, una società di vignettisti sostenuta dal governo stesso a favore dello sforzo bellico. Durante e dopo le due grandi guerre il governo nipponico incoraggiò il boom delle nascite, a seguito del quale si creò l’esigenza di un genere di fumetto dedicato all’infanzia. Nelle teche della seconda sezione della mostra compaiono personaggi estremamente amati dai bambini come la storia di Nero, cane di leva (のらくろ, Norakuro), che in seguito è diventato un cartone animato tuttora trasmesso. Un altro personaggio estremamente amato è Tankuro di Gajo Sakamoto, pubblicato tra il 1934 e il 1935, che si può considerare il papà di tutta la dinastia di robottoni che popolano gli attuali manga.
Paola Raverdino
Guida turistica
e-mail: paola@raverdino.it
Per organizzare visite guidate individuali o per gruppi, anche in lingua inglese, è possibile inviare una e-mail all'indirizzo paola@raverdino.it oppure chiamare il numero cell. 347-1502956.
DNA Manga - Guida al Milano Manga Festival
DNA Manga - Guida al Milano Manga Festival
Prima parte
Nella prima sezione della mostra “200 anni di storia di arte manga” è una vera sorpresa per il visitatore apprendere che la cultura pop del Giappone odierno - che ha invaso le nostre emittenti televisive sotto forma di cartoni animati, soprattutto dalla metà degli anni ’70 fino all’apogeo degli anni ’80 - ha origine da schizzi di artisti di alto valore tra i quali il più noto è Katsushika Hokusai (葛飾北斎; Edo, 23 settembre 1760 – Edo, 10 maggio 1849). Dragon Ball ha quindi nobili origini, con solide radici nella cultura giapponese di inizio Ottocento.
Si può ben dire che gli artisti presenti nella prima sezione della mostra hanno lasciato una traccia indelebile nel fumetto giapponese odierno. Le fresche immagini in sequenza dei danzatori o dei lottatori di sumo ricordano dei fotogrammi e anticipano il modo in cui i personaggi manga sono raffigurati ancora oggi; si possono paragonare a veri e propri filmati su carta. Oltre che dal celebre Hokusai, la curiosità del visitatore è spesso attratta dalle opere di Utagawa Kuniyoshi 歌川 国芳 ( 歌川 国芳) (1 gennaio 1798 – Edo, 14 aprile 1861), noto come l'Arcimboldo giapponese per la sua capacità di comporre figure più grandi assemblando uomini minuscoli uniti in varie pose in una sorta di collage, basti pensare a “Hito katamatte hito ni naru”. Pittore e disegnatore, Utagawa Kuniyoshi si distingue nello stile ukiyo-e per il ricco uso di colori vivaci e per i temi estremamente popolari, attinti da storie e leggende del passato e, come molti altri autori del tempo, illustrò libri di genere kokkeibon e hanashibon. Nelle sue stampe compaiono soprattutto eroi, guerrieri, fantasmi e personaggi fantastici dotati di poteri sovrannaturali. La sua sterminata produzione va a toccare temi storici ma anche fantasiosi, popolari, divulgativi, satirici e grotteschi.
Tra il 1841 e il 1843 in seguito a delle riforme politiche approvate per far fronte a una severa crisi economica che aveva colpito il Giappone, vennero messe al bando le illustrazioni che ponevano in risalto l’opulenza e le abitudini delle classi più abbienti e venne inoltre vietato ritrarre gli artisti del teatro kabuki. Per eludere la censura, Utagawa Kuniyoshi cominciò a produrre opere con personaggi antropomorfi, in cui, al posto del volto degli attori e delle cortigiane, comparvero i volti dei suoi beneamati gatti. Ne aveva almeno dodici, ma curiosamente non li ritrasse mai come animali. Nascono così i primi personaggi antropomorfi che tuttora popolano numerose serie di manga, soprattutto quelli destinati all’infanzia. Da qui nasce anche il più grosso fraintendimento sui manga: rappresentazioni intese per un pubblico adulto sembrano destinate a un pubblico infantile.
Paola Raverdino
Guida turistica
e-mail: paola@raverdino.it
Makiko Kasuga, “Mizugame” e la poesia giapponese “tanka”
Paolo Lagazzi
Makiko Kasuga, “Mizugame” e la poesia giapponese “tanka”
- I -
Rispetto alla fortuna, nell'Occidente moderno, dello haiku – forma classica del lirismo giapponese sigillata in tre soli, folgoranti e leggerissimi versi (quinario, settenario, quinario) –, assai più contenuta è stata la circolazione, attraverso le antologie europee e americane, del tanka, l'altra forma canonica, presente fin dai tempi più remoti della tradizione poetica del Sol Levante. In realtà il tanka ha giocato un ruolo cruciale nella civiltà nipponica, tanto da essere a lungo inteso come la modalità per antonomasia dell'espressione lirica; per questo, un tempo, era designato come waka, cioè come "poesia giapponese" tout court. Articolato in cinque versi (quinario, settenario, quinario, settenario, settenario), il tanka possiede, in confronto alla brevità volante e mistica dello haiku dei maestri, qualcosa come un germe di narratività, un seme discorsivo, un principio di dilatazione della voce, ma sa contenere tutto ciò in una tessitura stringata di accordi, come se l'idea poetica, appena tentata di lanciarsi in una fuga di immagini, venisse richiusa dalla mano dell'autore al modo di un flessibile ventaglio. Accostabile, in un certo senso, al nostro madrigale, proprio come quest'ultimo il tanka ha saputo incarnarsi nel corso dei secoli in colori, timbri, riverberi assai diversi tra loro, pur conservando sempre la stessa struttura sillabica. Anche i suoi temi sono molto cambiati nel tempo: dagli argomenti topici della cultura feudale (anzitutto un'idea dell'amore assai prossima allo spirito "cortese" dell'Europa medievale), il tanka si è aperto via via a contenuti diversi (basti pensare ai personalissimi, deliziosi e un po' ebbri componimenti di un Ryōkan, sorta di santo clown della tradizione zen vissuto nell'epoca Edo), per arrivare infine a dispiegarsi, attraverso l’era Meiji e il Novecento, in una serie di pronunce più o meno sperimentali, comunque assai spesso capaci di riplasmare l'antico modello metrico alla luce d'una sete di novità che deve molto, senza dubbio, alle avanguardie moderne dell'Occidente.
Figlia di un famoso autore di tanka, Tsunenori Matsuda, redattore della più celebre rivista giapponese (“Mizugame”) dedicata a questa forma poetica, Makiko Kasuga ha pubblicato la prima raccolta nel 1972. Da allora la sua attività come creatrice di tanka e come organizzatrice di attività per la diffusione del tanka si è sviluppata con forza inesausta, tanto da porla in quel crocevia di attenzioni e riconoscimenti che occupano solo le figure dei maestri. A tutt'oggi le sue raccolte ammontano a dieci. La nuca di Maitreya (a cura di Yasuko Matsumoto e Paolo Lagazzi, Moretti & Vitali 2011) è la sua prima scelta antologica offerta al pubblico italiano.
A monte della parabola lirica della signora Kasuga occorre ricordare i dibattiti, le idee, le polemiche nella cultura giapponese riguardo alla pratica e al destino del tanka dalla fine dell'Ottocento ai nostri giorni. Dalle opere, in contrasto tra loro, di Akiko Yosano e Shiki Masaoka (tesa, la prima, a una concezione romantica, appassionata e soggettiva del tanka, votato, il secondo, a un'asciutta pratica realistica delle forme poetiche), alla convivenza incrociata all'inizio del Novecento fra i tanka "naturalisti" e quelli d’imprinting surrealista; dalle critiche al tanka (visto, insieme allo haiku, come un'espressione d'arte minore, inadeguata alla complessità moderna) formulate dopo la seconda guerra mondiale da Takeo Kuwabara, fino alla riscoperta della sua vitalità a partire dagli anni Cinquanta-Sessanta attraverso pratiche ludiche e addirittura parodiche dello stile, o attraverso robuste iniezioni di termini attinti al linguaggio quotidiano, il terreno di questa forma poetica è stato arato in lungo e in largo, esplorato, rivoltato e difeso, usato per produrre frutti molteplici. Di fronte a tutto ciò la voce di Makiko Kasuga ha saputo trovare delle vie espressive profondamente originali, per quanto mai refrattarie al dialogo con le posizioni altrui.
Uno fra i testi più struggenti della signora Kasuga parla del Giappone come di una "piccola terra" esposta ai terremoti e agli tsunami, "facile da ferire". Dopo l'immane catastrofe sismica che ha colpito questo paese nel marzo 2011, versi simili suonano più che profetici: sono un richiamo a quella coscienza della loro fragilità che dovrebbe accomunare tutti gli uomini, non certo solo i giapponesi. Di fronte alle cieche illusioni della modernità, alla sua presunzione di dominare il mondo, la poesia resta forse l'ultima voce non ideologica, capace di opporre alle "onde d'urto" del nonsenso il battito dei nostri cuori. Mentre dalla storia e dalla natura stravolta nascono sempre nuove minacce, i tanka di Makiko Kasuga ci parlano ancora della possibilità di resistere semplicemente ritrovando dentro ciascuno di noi ciò che ci fa unici, ricchi anche nella povertà, irriducibili al nulla:
Seppure siano
curvati o ventilati
i suoi rami,
un olmo solo sta in piedi
sino alla fine del cielo.
- II -
Lo scorso 7 aprile, in occasione del centenario della nascita di “Mizugame”, si è tenuto a Tokyo, presso l’hotel Keiō Plaza, un dialogo sull’incontro fra la poesia giapponese e quella italiana e sul futuro della poesia nel mondo (“La luce sia nelle parole”). Patrocinato dalla signora Kasuga, il dialogo ha avuto luogo tra Hiroshi Shino (poeta e presidente dell’associazione dei letterati), il sottoscritto, Yasuko Matsumoto e Suketada Sakai (critico letterario e consigliere tecnico della redazione di “Mainichi”, uno dei più importanti quotidiani giapponesi). Nell’occasione il professor Shino mi ha sottoposto sei tanka contemporanei (tra cui uno composto da lui stesso) chiedendomi di commentarli dal mio punto di vista di lettore e critico italiano. Li cito qui nella versione di Yasuko Matsumoto, facendo seguire a ciascuno di essi il mio commento.
Se non m’addormento
divento un fuoco,
poi lo spengo
nel momento in cui
biancheggiano le cose.
Saishū Onoe
Mi hanno sempre affascinato le poesie che sanno esplorare le situazioni "di soglia", i momenti di passaggio da un esterno a un interno o viceversa, il trascolorare dell'estate nell'autunno o dell’autunno nell’inverno, l'incontro-scontro tra le voci e il silenzio, l'abbraccio del giorno con la notte o della luce col buio... Questo tanka esprime proprio una situazione del genere: quando non riesce a dormire, il poeta "brucia" nel buio notturno; la sua insonnia diventa una forma di lenta arsione che si placa solo nel momento in cui giunge l'alba. In "biancheggiano le cose" l'alba non viene nominata esplicitamente, ma l’espressione sfuma la figura del "fuoco" entro uno spazio vasto, vago e rigenerante offrendo al nostro sguardo – dapprima colpito, quasi ferito da un bagliore eccessivo – una luce dolcemente aperta al rinnovarsi quieto del mondo.
In italiano c'è una poesia giovanile di Attilio Bertolucci che si potrebbe avvicinare a questa; s'intitola Insonnia e suona così:
Come cavallo
che meridiana ombra impaura
s’impunta il sonno,
finché l'alba sbianca l'oriente.
Allora, stanco, si rimette a trottare
per borgate che si svegliano,
davanti a osterie che riaprono
da cui escono voci
e un fresco odore di grappa.
Il testo di Bertolucci è più lungo di quello di Saishū Onoe: si sviluppa per nove versi. Benché la differenza tra le due poesie sia evidente, in un certo senso il cavallo di Bertolucci, metafora per l'insonnia (o per il sonno che "s’impunta", che recalcitra, che resiste ai richiami) si può avvicinare al fuoco di Onoe poiché entrambe le figure ci comunicano una sorta di irrequietezza, il senso di un attrito, di una dissonanza, di una tensione. Allo stesso modo le cose che "biancheggiano" nel tanka si possono confrontare col "fresco" finale di Bertolucci, col suo spirito leggero, segnato da un abbandono liberatorio al sonno, da una pace del corpo e dell'anima finalmente possibile mentre "l'alba sbianca l'oriente".
***
Dal Giappone
vogliono espatriare
sia il pinguino
imperatore
sia il suo allevatore.
Kunio Tsukamoto
Questo tanka, chiaramente ironico, dissacra la figura dell'imperatore con parole che un tempo sarebbero state impensabili nella cultura giapponese, benché tra i grandi artisti e poeti del Giappone sia sempre stato presente anche lo spirito taoista e zen della leggerezza, del paradosso, dello humour e del gioco (basti pensare a Sengai Gibon). Il "pinguino imperatore" è una razza particolare di pinguini, ma qui è anche, maliziosamente, l'imperatore visto nel suo lato grottesco, vacillante, ormai insostenibile di fronte alla storia. Se qualcuno ci ricorda questo "pinguino" imperiale è l'immortale, umanissimo vagabondo creato da Charlie Chaplin. Barcollando come quell'omino insieme buffo e triste, questo imperatore reincarnato in un pinguino desidera "espatriare" forse per dimenticare chi è stato, quanti e quali errori si sono commessi in suo nome, quanto ridicola sia ogni pretesa di onnipotenza di fronte all'evanescenza delle creature, alla fragilità delle idee e delle cose.
***
A notte fonda
quando mi sveglio, anche se è notte
nitidamente
cadono senza sosta
i fiori di ciliegio.
Akiko Baba
Come nel tanka di Saishū Onoe che abbiamo letto prima, anche qui c'è un contrasto fra il buio della notte e un chiarore che gli resiste: in questo caso si tratta della caduta senza tregua dei fiori di ciliegio, una specie di delicatissima ma "nitida" nevicata che palpita come lo sfarfallio degli istanti. Questo tanka me ne ricorda uno, molto intenso, della signora Kasuga:
Nel giorno lungo,
nuvoloso, schizza l'acqua
dal tonfo dei fiori
di camelia che continuano
a cadere dai rami piegati.
Anche nei versi di Makiko Kasuga il precipitare dei fiori di camelia è una "figura" dello scorrere incessante del tempo. Mentre nel tanka di Akiko Baba, però, l'effetto è puramente ottico, immerso in un profondo silenzio notturno, in quello diurno della signora Kasuga è come se udissimo una musica d'acqua, una serie di cadenze fatte di piccoli "tonfi". Forse i due tanka alludono a due diversi sentimenti del tempo, uno pacato e fluttuante, l'altro sottilmente drammatico, benché entrambi evocati su un fondo d’anima irriducibile al linguaggio verbale.
***
Mi appassiona
la parola di
Larousse:
"Semino, affidandomi
a tutto il vento".
Hiroshi Shino
Questo originale tanka del professor Shino si ispira all’emblema di una delle più famose case editrici francesi, la Larousse, un'immagine in cui, attorno a una donna che ha in mano un soffione ed è in procinto di disperderlo, soffiando, in piccolissimi frammenti, sono scritte queste parole: Je sème à tout vent, “ Semino a tutto vento". Interpretandole come può fare solo un poeta, Hiroshi Shino le trascrive così: "Semino, affidandomi / a tutto il vento". In questa trascrizione il motto francese diventa un inno alla libertà di sperimentare, di fare delle proprie parole dei semi, delle tracce, delle scintille da gettare in ogni direzione, da abbandonare a quella forza che attraversa e sposta tutte le cose, e che potremmo chiamare il vento del possibile.
***
Nell'attimo
di accendere un fiammifero
la nebbia sul mare
si estende, c'è una patria
per cui immolarmi?
Shūji Terayama
Il tanka di Shūji Terayama è straordinariamente pregnante, capace di condensare un'intera riflessione storica, ideologica e morale in un'immagine. Mentre sfrega un fiammifero, forse per accendersi una sigaretta, un uomo (il poeta stesso in veste di soldato?) intravede, oltre il bagliore vacillante della fiammella, un banco di nebbia che si espande sulla superficie del mare. Questa nebbia pare sommergere tutto: ogni certezza, ogni forma, ogni pensiero chiaro e distinto. Che senso ha, di fronte allo svaporare della realtà, pensare alla patria e credere che sia giusto immolarsi per difenderla? Anche se il tanka non aggiunge altro, vorrei continuare a lasciarlo vibrare dentro di me: prima ancora che una qualsiasi risposta sia affiorata nella coscienza dell'uomo, ecco che la fiammella si è già spenta mentre la nebbia continua a dilagare...
Non occorre molto altro per denunciare l'insensatezza di ogni guerra e di ogni logica bellica. Nella sua bruciante brevità, questo tanka ha la stessa forza di certi indimenticabili film antimilitaristi: penso in particolare a La grande guerra di Mario Monicelli e a Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick.
***
Gira, rigira
ruota panoramica!
Il ricordo a te
rimane un giorno,
per me è di una vita.
Kyoko Kuriki
Dopo “l'eterno ritorno” di Nietszche, molte sono, nella letteratura, nell'arte e nel cinema del Novecento, le immagini di giostre, ruote, trottole o cose simili che possiamo leggere come metafore dell'infinito movimento circolare della vita, del suo rifare gli stessi percorsi in un gioco che non porta a null'altro se non al proprio ripetersi. Se dovessi indicare tra queste immagini una delle più simboliche e ricche di pathos, proporrei la ruota panoramica al Prater di Vienna nel film di Carol Reed Il terzo uomo interpretato da Orson Welles. Anche tra le poesie in versi liberi di Kikuo Takano (raccolte in parte nell’antologia Nel cielo alto edita nel 2003 da Mondadori) ce n’è una che s'intitola La trottola, un bellissimo testo in cui lo strambo coraggio di girare su se stessa, sfidando le vertigini, di una trottola diventa una struggente, tragica metafora della condizione umana, del suo essere appesa a un bisogno sfrenato e illusorio di stordirsi per dimenticare la propria vanità, la "noia" del proprio nulla:
Neanche l'amore più profondo
o la più alta solitudine
possono farti stare ritta.
Per te stare ritta è girare
inutilmente intorno a te stessa.
Eppure
girando invano
intorno a te
quali capogiri,
quanta vita hai trascorso!
E chi mai, in questo modo,
a tanta noia ancora
proverebbe a resistere?
Nel tanka di Kyoko Kurai il girare e rigirare della ruota panoramica sembra legato alla dolorosa rottura di una storia d'amore: se chi se n'è andato ricorderà ciò che è avvenuto solo per un giorno, chi è stato abbandonato continuerà a ricordare per tutta la vita. Questo significa, come ha scritto Eliot, che Time the destroyer is time the preserver, "Il tempo che distrugge è il tempo che conserva": la ruota che ci allontana dal passato ci riavvicina ad esso, perché nulla è mai davvero perduto, nulla è mai davvero conquistato nella dolcezza e nel tormento delle nostre illusioni.
Watsuji Tetsurō e l'etica dell'inter-essere
Oliviero Frattolillo
Watsuji Tetsurō e l'etica dell'inter-essere.
La costruzione di una relazionalità intersoggettiva (Mimesis Edizioni, 2013, Euro 12,00)
Watsuji Tetsurō (1889-1960), membro periferico della «Scuola di Kyōto» in prima fila negli anni compresi tra le due guerre, fu una figura assai controversa per diversi decenni dopo. Il sistema filosofico di Watsuji è stato in tempi più recenti “riabilitato” dalla responsabilità di un supposto geo-determinismo ed apprezzato per il suo carattere pionieristico che condurrebbe ad una sorta di costruttivismo sociale. Un graduale processo di revisionismo storico, basato sulla reinterpretazione delle fonti originali (che erano state spesso ignorate), ha fatto infatti nuova luce sul pensiero del filosofo. La teoria della coesistenza relazionale può essere oggi considerata espressione di un nuovo cosmopolitismo. L’etica dell’inter-essere e la ricerca di una nuova soggettività storica antitetica alla tradizione occidentale si rivelano in grado di abbracciare l’idea del Dasein heideggeriano con quella di coesistenza relazionale del filosofo giapponese.
Oliviero Frattolillo è ricercatore presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, dove insegna Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale e Storia delle relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa. Già Guest Researcher alla Okinawa University of Arts, è Visiting Researcher presso la Aoyama Gakuin University di Tokyo e Invited Visiting Scholar presso il Nanzan Institute for Religion and Culture (Nagoya). Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, tra cui Diplomacy in Japan-EU Relations, London-New York 2013; Interwar Japan Beyond the West, Newcastle 2012; Il Giappone e l’Occidente, Napoli 2006; Pellegrinaggio alle antiche chiese d’Italia, Palermo 2005 (traduzione di Watsuji T., Itaria koji junrei, 1935).
Storia del Tanka - dal XVII secolo a oggi
Makiko Kasuga
Breve panorama storico del tanka
seconda parte - clicca qui per leggere la prima parte
4) Il waka nell’era moderna
Dopo il periodo dello Shin-kokin-waka shū il waka cadde nel mondo del manierismo.
Nei confronti di questo waka tradizionale cominciò a sorgere una reazione da parte della critica nel periodo fra il 17° e il 18° secolo.
Nell’epoca Edo, sotto il dominio dello Shogunato dei Tokugawa, Mabuchi Kamo e altri studiosi della letteratura giapponese antica proposero un ritorno al Manyō-shū, rivalutandolo.
Dopo la sera,
il vento di riva nato
dal mare spira
fino alla città di corte
e pivieri cantano.
Kamo-no-Mabuchi
Mabuchi propose uno stile ispirato al Manyō, sostenendo che nel waka si possono esprimere sentimenti veri. Quindi, verso la fine dello shogunato dei Tokugawa, in località distanti sia da Edo che da Kyoto comparvero poeti, amanti del Manyō-shū, che scrissero riprendendone le forme e lo spirito.
Nel lungo giorno
di primavera avvolto
nella foschia,
vivo per il presente, giocando
a palla coi bambini.
Ryōkan
Ryōkan lasciò numerosi waka composti in tono di straordinaria purezza e semplicità secondo lo stile Manyō, vivendo nel suo paese natale, Echigo².
Fumo serale,
lascia che si levi
solo per oggi,
domani troverò legna
solo per domani.
Tachibana-no-Akemi
Anche Akemi scrisse tanka nel gusto del Manyō. Nei suoi versi esprimeva sempre un interesse verso l’uomo e la vita con un tono semplice.
Un poeta che invece trovò il suo ideale nel Kokin-shū fu Keiki Kagawa.
Keiki, sostenendo l’opinione per cui il tanka deve essere concepito come una creazione essenzialmente musicale anziché come l’espressione di un pensiero astratto, compose tanka raffinati, chiari ed eleganti.
Anche se è buio,
dal cielo sereno
scende un acquazzone,
mi fa dubitare che
cadano le stelle.
Keiki Kagawa
Keiki fondò l’associazione di waka “Kei-en-Ha” che sarebbe durata fino al periodo della Restaurazione Meiji; poi il gruppo penetrò nell’ambito imperiale chiamato “O-uta-dokoro-Ha”, e riuscì a influenzare il mondo del waka all’inizio dell’era Meiji.
Il tanka appartenente a questo gruppo venne, in seguito, chiamato “tanka della vecchia fazione” e fu costretto a scontrarsi col movimento per un nuovo waka.
I tanka composti nel periodo compreso tra Kamo–no-Mabuchi e i poeti del gruppo “Kei-en-Ha” vennero chiamati waka dell’era moderna.
5) Il tanka moderno
Con la Restaurazione Meiji venne importata la cultura occidentale, il Giappone progredì nella modernizzazione e fiorì il movimento innovatore del waka.
Naobumi Ochiai era un giovane studioso, ricco di spirito, profondo conoscitore della letteratura giapponese. Fondò l’associazione “Asaka-sya” nel 1893.
Curiosi, i fiori di hagi³
nel tempio di Hagi:
sceglierei qui
proprio la mia tomba
per la vita effimera!
Naobumi Ochiai (da Hagi–no-ya)
Ochiai ebbe l’idea di risuscitare il waka in un’ottica moderna, esprimendo un’idea di poesia ripresa dai testi europei importati e calando questi elementi europei all’interno del waka tradizionale.
Egli, inoltre, coltivava giovani poeti quali Saishū Onoe, Tekkan Yosano, Kun-en Kaneko ed altri, proponendosi loro come guida ma rispettando la personalità di ciascuno. Soprattutto creò l’associazione “Shin-shi-sha” con Tekkan Yosano, poi fondò nel 1900 la rivista “Myojō”, la cui portata sarebbe stata grandiosa.
L’attività di “Myojō” venne sorretta dalla sfarzosa antologia “Midaregami” (Capelli scomposti) del 1901 che raccoglieva tanka di Akiko Yosano.
Lo stile poetico di “Myojō” venne chiamato anche gusto “Seikin” (stella e viola), espresse liberamente i temi della sensualità e dell’io, portato della modernizzazione, e affrontò il diffondersi dello spirito romantico presso la gioventù.
Quanto è bella
la primavera sontuosa
dei capelli neri
ondulanti entro il pettine
di quella ventenne.
Akiko Yosano (da “Midaregami”)
Akiko descriveva spesso i suoi capelli neri come simbolo egocentrico, esibendo il suo narcisismo nei confronti della propria giovinezza.
Sulla rivista “Myojō” scrissero anche Utsubo Kubota, Hakushū Kitahara e Takuboku Ishikawa.
In contrasto con “Myojō”, Shiki Masaoka fondò l’associazione di tanka “Neghishi”. Osservando lo stile Manyō, propose un tanka teso a disegnare dal vero. Questo modo di disegnare dal “vero” fu approfondito in svariate maniere dai poeti del gruppo “Araragi”, formatosi dopo.
Sulle spine
nelle gemme della rosa
rossa cresciuta
in due shaku4 cade dolce
la pioggia primaverile.
Shiki Masaoka (dalla Raccolta di tanka di Shiki)
C’è un silenzio
sul lago come se stesse
per congelarsi
in armonia col cielo
bruciato dal tramonto.
Akahiko Shimagi (da Kiribi)
Cade la pioggia
su centinaia di grappoli
d’uva nera,
come se dicesse che
guarda il mio mutismo.
Mokichi Saitō (da Shōen)
“Afferrare, in modo giusto, la realtà e gli oggetti con la nostra anima e con i nostri occhi, e riflettere la vita di noi stessi e della natura come un tutt’uno”: con queste parole Mokichi sostenne l’idea di una poesia disegnata dal vero.
La rivista “Myojō” cessò la pubblicazione col numero 100 nel 1908, mentre lo stile della rivista “Araragi” ha dominato il mondo del tanka fino all’era Taishō (1912- 1926) e nei primi anni dell’era Shōwa (1926-1989).
Alla svolta della guerra russo-giapponese fra il 1904 e il 1905, fiorì il naturalismo teso alla voglia di scrutare la verità attraverso la realtà. In controtesi nei confronti della posizione presa dal gruppo “Myojō”, il poeta Saishū Onoe fondò nel 1905 il gruppo “Sha-zen-sō”.
E dalla scuola di Saishū sorsero Yūgure Maeda e Bokusui Wakayama in quanto poeti naturalisti.
Anche Utsubo Kubota, proveniente dal gruppo “Myojō”, produsse un’opera di tendenza naturalistica nel periodo di transizione dall’era Meiji all’era Taishō, fra il 1911 e il 1912.
Nell’ora in cui
rosseggia il fuoco
lasciato acceso
per bruciare gli sterpi,
si rattrista il monte.
Saishū Onoe (da Nikki-no-hashi )
Quando si alza
ondeggiante il girasole
bagnato d’olio
d’oro su tutto il corpo,
quanto è piccolo il sole!
Yūgure Maeda (da Ikuru-hi-ni)
Non sarà triste
il cigno che galleggia
senza esser tinto
né di azzurro del cielo
né di blu del mare?
Bokusui Wakayama (da Umi-no-koe )
Se l’acqua
di sorgente della fonte
s’alzasse su, poi
cascasse giù, di nuovo
s’alzerebbe più in alto.
Utsubo Kubota (da Izumi-no-hotori )
Il naturalismo teso a esprimere fedelmente la vita, il modo di vivere ma anche uno spirito poetico contrapposto sia alla società che all’epoca, vive coraggiosamente nel tanka contemporaneo.
Giorno in cui penso che tutti gli amici valgano più di me!
Compro dei fiori e sono
intimo con mia moglie.
Takuboku Ishikawa (da Ichi-aku-no-suna)
La poesia di Takuboku è amata per la sua alta cantabilità, i suoi versi appaiono familiari all’orecchio giapponese per la leggerezza del ritmo e il filo conduttore dello stile colloquiale. (Si noti anche il testo volutamente strutturato da Takuboku su tre versi.)
Non cantare,
non cantare, uccello
di primavera!
Il tramonto tinge di rosso
la superficie delle erbe.
Hakushū Kitahara (da Kiri-no-hana)
Hakushū, esprimendo il senso di tedio nella gioventù e l’oscillare dell’anima con delicata sensibilità, rinnovò la poetica nel mondo del tanka.
E’considerato uno dei due pilastri del tanka moderno insieme a Mokichi.
Fra il periodo Taishō e l’inizio del periodo Shōwa furono fondate tante associazioni di tanka fra cui spiccano “Mizugame”, “Chō-on” e “Kokumin-bungaku”, che si sono succedute fino ai nostri giorni.
Oltre a queste associazioni bisogna ricordare il poeta Chōkū Shaku, al secolo Shinobu Origuchi.
I fiori di kuzu5,
rinnovati nel colore
dopo il calpestio:
c’è uno ch’è passato
su questo sentiero.
Chòkū Shaku (da Umi-yama-no-aida)
E’ stato grande il merito di Origuchi per la letteratura giapponese e l’etnologia; egli ha influenzato le generazioni più giovani ma ha continuato ad aspirare a quell’antichità in cui l’attività dell’uomo era sorretta pure da un nonnulla.
Nel primo periodo Shōwa (sino alla fine della guerra), il naturalismo dello stile Araragi teso a disegnare dal vero e il realismo sono diventati la corrente principale. Eppure esisteva anche un mondo poetico ispirato al surrealismo.
Voglio andare
a divertirmi in città
nel bel tempo d’autunno
seguito da bestie e
uccellini in fila.
Samio Maekawa (da Shokubutsu-sai)
La poesia di Maekawa ha un’ispirazione libera e lontana dal realismo. L’autore, che non è di solito allegro, si diverte nel cogliere uno stato d’animo insolito.
Se sul colle
stendessi una vela bianca
fra due braccia,
il vento diventerebbe
vivo canto corsaro.
Fumi Saitō (da Gyo-ka)
Questa poesia splendida e allegra, disegnata in uno stile di favola, ha sorpreso i lettori per la freschezza dell’ispirazione, l’introduzione di uno stile colloquiale e l’apertura alla poesia occidentale.
6) Dal periodo successivo alla guerra fino ai nostri giorni
Dopo il periodo di rinnovamento del tanka nell’era Meiji che ne volle riplasmare la forma poetica tradizionale, che durava fin dal periodo Manyō, a partire dal Pensiero personale sull’estinzione del tanka di Saishū Onoe cominciò a diffondersi un’opinione negativa sul tanka.
Da allora in poi furono prodotti vari commenti sul crollo del tanka. Nonostante ciò il tanka continuò a resistere, come una molla che stimola i commenti sulla sua estinzione.
Dopo la seconda guerra mondiale Takeo Kuwabara si pose la domanda se potessero esistere o non esistere dei tanka in un ambito esterno al mondo dei tanka attraverso saggi quali La logica dell’arte secondaria e Il destino del tanka. Egli sosteneva la tesi che non si potesse contenere una coscienza così complessa come quella moderna all’interno di una forma poetica breve.
Contro questa tesi della negazione dei tanka alcuni poeti sopravissuti all’esperienza bellica, quali Yoshimi Kondō, Shūji Miya e Satarō Satō, hanno risposto con la loro opera concreta, propugnando un metodo con cui approfondire la possibilità per l’uomo di essere autentico nella realtà attraverso la consapevolezza della sconfitta del Giappone in guerra.
La logica dell’arte secondaria è diventata il nutrimento del rinnovamento del tanka nel dopoguerra e si è fatta la molla della prosperità dei tanka d’avanguardia, di cui proponiamo due esempi:
Pur proteggendo
l’idea sostenuta
dalla nazione,
proprio ora l’anima
detesta la guerra!
Yoshimi Kondō
Come se stessimo
ascoltando il suono
di una fonte oscura,
sia mia moglie che io,
mentre brucia una candela.
Shūji Miya
Nel periodo dal 1950 al ’55 è fiorito intorno al poeta Kunio Tsukamoto un tanka d’avanguardia nutrito dall’esigenza di un metodo nuovo. Differente dalle opere in cui viene cantata un’emozione della vita privata, il tanka d’avanguardia è stato un movimento di riforma espressiva con cui si tentava di elevare il tanka fino a un’espressione ideologica.
Dal ’55 al ’65 a questo movimento parteciparono Takashi Okai, Shūji Terayama e Takeshi Kasugai, ed essi ottennero il sostegno schiacciante dei giovani poeti. Questi autori avevano una forte disposizione per l’espressione metaforica, rinnegata dopo il rinnovamento del tanka nell’era Meiji, oltre che per un linguaggio studiato,innervato dal gusto di giocare e dal piacere della parodia.
Si sta trasformando
in liquido poco a poco
il pianoforte appoggiato
dai poeti di canto
rivoluzionario.
Kunio Tsukamoto
C’è una landa
estesa oscuramente
nel grembo materno,
quando mi volgo ad essa
sono un soldato di piombo.
Takashi Okai
Nell’attimo
di accendere un fiammifero
la nebbia sul mare
s’estende, c’è una patria
per cui immolarmi?
Shūji Terayama
Invece nella prima metà degli anni ’70 i giovani poeti evitano di lottare contro il tempo e la realtà e tendono di più verso un canto che rilancia l’interiorità personale in uno stile chiamato “il piccolo mondo dell’ideologia microscopica”. Si è parlato del pericolo corso dai giovani poeti di scivolare nell’indifferenza di fronte alla crisi della società.
Sale sull’erba
la locusta dello Spirito
Santo, allora
splende la luce bianca
nel mondo desolato.
Kimihiko Takano
Il critico Hiroshi Shino ha sostenuto, in funzione di un nuovo realismo, l’importanza delle sensazioni corporee, propugnando l’amplificazione dei materiali e il risanamento della cognizione del tempo.
D’altra parte Tadashi Iwata ha scavato nelle radici dell’uomo mettendo a fuoco i costumi territoriali, i caratteri etnici, il clima e l’ambiente in funzione post-avanguardistica. Il suo pensiero ha suscitato perfino un boom dell’ideologia del costume territoriale, influenzando le opere di Toshio Mae e Akiko Baba.
La tristezza
m’assale da quanto è
chiaro il cielo,
un albero, d’un tratto,
è ricoperto d’ombra.
Toshio Mae
Fior di ciliegio,
con tante primavere
nel mio corpo che,
invecchiando, rimbomba
come il suono d’un corso d’acqua.
Akiko Baba
Nel 1987 l’antologia Il giorno commemorativo dell’insalata di Machi Tawara ha registrato un milione di copie vendute e ha avuto molta risonanza nel mondo sia interno che esterno al tanka.
La poetessa ha afferrato il senso vitale dei giovani del suo tempo attraverso una scrittura colloquiale capace di mettere in rilievo il linguaggio quotidiano e dialogico; il suo libro ha avuto una forte risonanza presso la generazione giovanile, trascinandola verso i tanka.
Come ti permetto,
con due barattoli di
kanchū-hai 6,
di dirmi una cosa
come “Sposati!” ?
Machi Tawara
La Tawara descrive con una scrittura fresca il sentimento della donna che vive nei tempi moderni la sua esperienza dell’amore. In apparenza sembra che si esprima in modo del tutto naturale e schietto, eppure, scrutando in fondo la sua scrittura, essa si rivela sorretta da una forza espressiva esercitata e matura, capace di padroneggiare il ritmo dello schema fisso, la tecnica del makura-kotoba 7 usata fin dal Manyò-shū e altri artifici retorici.
Invece Hikaru Koike scrive tanka attraverso cui fa intravedere la profondità dell’essere, descrivendo cose qualunque in un modo realistico.
Soffia il vento
come se fosse un pezzo
di garza soffice,
facile da coprire
il cuore ferito.
Hikaru Koike
Scrivendo tanka, Hikaru evidenzia la sua consapevolezza della teoria linguistica di Ferdinand de Saussure. Egli crea emozioni attraverso le parole con cui si esprime, invece di creare parole stimolate dall’emozione.
Di recente sono entrate in scena opere considerate la “nouvelle vague” del tanka contemporaneo, opere che ruotano intorno a Hiroshi Homura e ad altri.
La loro poetica mira all’estremo del presente, arrivando al punto più lontano dal tanka moderno che aveva espresso le esperienze intime.
Mentre sul dorso
della tartaruga marina
che depone uova
strappo lo spillo di una bomba
a mano, l’alba rosseggia.
Hiroshi Homura
Poi sono apparsi anche numerosi tanka che hanno ingegnosamente utilizzato i segni e i costumi metropolitani.
Ricordiamo infine alcuni tanka del 1995, frutto d’uno stile che usa le parole in modo dimostrativo, individuando come nucleo poetico una piccola scoperta quotidiana.
Un esempio:
Alla finestra
c’è un paio d’occhiali
tolti per baciarti,
il cielo d’estate
si estende assai limpido.
Hiroshi Yoshikawa
(traduzione dal giapponese di Yasuko Matsumoto e Paolo Lagazzi)
Note:
1) Poesia praticata nel periodo della monarchia Kan in Cina.
2) Nome di un antico stato del Giappone; attualmente indica la maggior parte della prefettura di Niigata.
3) Arbusto appartenente alla famiglia delle leguminose, fa fiori di colore rosa-viola e bianco fra l’estate e l’autunno.
4) Unità di lunghezza antica, tuttora praticata; uno shaku è circa 30 cm.
5) Appartiene alla famiglia delle leguminose perenni; fiorisce in autunno in forma di farfalla di colore rosa e viola. Dalla radice viene prodotto un antiepilettico. La farina di kuzu è commestibile, e i tralci rampicanti vengono utilizzati per produrre un tessuto.
6) Bevanda alcolica a base di sake, confezionata in barattoli di latta.
7) Epiteto che viene usato nel waka per modificare alcuni termini fissi; in genere è di cinque sillabe.
Bibliografia essenziale:
- 10° volume (Introduzione al tanka) di Le opere di Yoshimi Kondō
edite da Iwanami-shoten;
- Storia dei tanka (n.° 18) a cura di Tadao Shimazu ed altri,
edita da Izumi-shoten;
- Leggere il classico (dal Manyō-shū) di Makoto Ooka,
edito da Iwanami-shoten;
- Grande enciclopedia del tanka contemporaneo
edita da Sansei-dō.