Nengajō

In Giappone, una delle tradizioni per inaugurare il nuovo anno è scrivere e inviare a tutti i propri amici e famigliari i Nengajō, cartoline di auguri.

Si tratta di un'ottima occasione per mantenere i contatti con le persone lontane; la tradizione ha proprio origine dalla necessità di aggiornare i propri cari sulle novità e, perchè no, su eventuali cambi di recapito.

Le poste giapponesi raccolgono e conservano i Nengajō consegnati entro le scadenze previste, per poi recapitare tutte le cartoline contemporaneamente il primo Gennaio. In questo modo tutte le famiglie giapponesi ricevono contemporaneamente piccoli plichi di decine o centinaia di cartoline ben auguranti.

I Nengajō sono contraddistinti dal resto della posta tramite la scritta nenga apposta subito sotto al francobollo e possono essere creati personalmente o, in alternativa, sono acquistabili in forma prestampata. Spesso si inviano Nenjagō illustrati: in particolare, i più comuni presentano il segno del calendario cinese corrispondente al nuovo anno, che per il 2014 è il cavallo.

All'immagine si accompagna un messaggio personale, insieme a frasi di augurio come kinga shinnen, akemashite omedetō gozaimasu oppure kotoshi mo yoroshiku onegai shimasu.

Unica eccezione all'invio delle cartoline di buon augurio sono coloro che hanno subito un lutto, come forma di rispetto per i defunti: in questo caso, la famiglia invia con un po' di anticipo rispetto ai Nengajō dei semplici biglietti in bianco e nero, i mochū hagaki, per avvertire della perdita subita.

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Omamori

Per iniziare il nuovo anno sotto i migliori auspici, presso i templi e santuari giapponesi è possibile comprare gli omamori, amuleti di tradizione buddhista e scintoista che garantiscono protezione a chi li tiene con sè. Si tratta infatti di manifestazioni della divinità, resi sacri da rituali che li rendono busshin (discendenti spirituali) o kesshin (manifestationi).

All'interno di un rivestimento di stoffa è contenuta una preghiera scritta su carta o legno che sia di buon auspicio per un ambito preciso, dalla salute, al viaggio, allo studio. Il campo di efficacia è indicato anche all'esterno, sul primo lato, mentre sull'altro è possibile leggere quale sia il santuario o tempio di provenienza. L'omamori non deve mai essere aperto, pena la perdita di efficacia.

Il talismano va conservato per un anno, dopo il quale perde la sua validità; all'inizio dell'anno successivo è necessario riconsegnare l'omamori presso il tempio o santuario dove è stato creato perchè venga  bruciato secondo il rituale. Gettarlo nella spazzatura è un grave segno di mancanza di rispetto per la divinità; al contrario, il rito di purificazione eseguito dagli adepti permette che esso venga purificato dai mali che ha assorbito per proteggere il proprietario, prima di tornare alla divinità.

 


Hatsuyume

Il termine Hatsuyume indica il primo sogno dell'anno nuovo che, secondo la tradizione giapponese, permette di predire un anno fortunato.

Secondo il detto "Ichi-fuji, ni-taka, san-nasubi.", se compaiono il Monte Fuji, un falco o una pianta di melanzana, colui che li ha sognati avrà un anno ricco di successi. Il Monte Fuji è infatti la montagna più alta del Giappone, il falco è simbolo di forza e intelligenza mentre la melanzana, nasu o nasubi, suggerisce foneticamente il raggiungere qualcosa di grande, il verbo nasu.

Tradizionalmente, la notte del 31 non si dorme; il detto fa riferimento al sogno del 1 Gennaio, motivo per cui secondo il calendario tradizionale giapponese è il 2 Gennaio ad essere chiamato Hatsuyume.


Compleanno imperatore Akihito

Giappone: imperatore Akihito compie 80 anni

(ASCA) - Roma, 23 dic - Migliaia di persone si sono riunite oggi al Palazzo Imperiale di Tokyo per celebrare l'80esimo compleanno dell'imperatore giapponese Akihito, che per l'occasione ha voluto rendere omaggio a sua moglie. ''Essere imperatore puo' portare alla solitudine, ma la presenza al mio fianco dell'imperatrice mi ha portato conforto e gioia. Mi ha sempre rispettato e sostenuto'', ha detto il monarca , che sali' al trono nel 1989 dopo la morte del padre Hirohito, entrando cosi' a far parte del Supremo Ordine del Crisantemo, il piu' alto ordine cavalleresco nipponico. La folla ha accolto oggi la sua apparizione con il grido ''Banzai!'' (lunga vita). Al suo fianco, c'era proprio l'imperatrice Michiko. (fonte AFP).

Immagine: www.liberoquotidiano.it


I racconti di Akiyuki Nosaka

La storia di Seita e della sorellina Setsuko è stata resa famosa in tutto il mondo grazie al film di animazione dello Studio Ghibli Una Tomba per le Lucciole, basato sull’omonimo romanzo semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka, oggi sbarcato in Italia grazie alla nuova traduzione per i tipi di Kappalab (www.kappalab.it).
Il romanzo espiazione di Nosaka è ispirato da un triste episodio realmente accaduto durante la sua giovinezza: l’autore perde infatti sia i genitori adottivi che la sorellina per le conseguenze della Guerra Mondiale, e il senso di colpa non lo abbandonerà mai, al punto da essere la fonte primaria di ispirazione per le sue opere. Seita è un giovane alter-ego dello scrittore, che viene sorpreso dalle bombe incendiarie lanciate dai B-29 mentre in casa con la sorella e la madre malata: prendendo in carico la prima cerca di sfuggire agli attacchi americani e da lì inizia la loro lotta contro la sopravvivenza, fatta di scorribande notturne e scarse razioni di cibo anche putrefatto, una vita all’interno di una grotta illuminata dalla luce delle lucciole e la speranza di svegliarsi il giorno dopo, perché si sa che le lucciole al mattino si spengono. Il racconto è crudo, e riporta fedelmente il dramma vissuto da un ragazzino incapace di proteggere la sorella minore; Nosaka si libera però di questo peccato condannando anche Seita allo stesso destino, facendo morire sé stesso poco tempo dopo la piccola Setsuko.

All’interno dello stesso volume è presente anche un secondo racconto dello stesso autore, Le Alghe Americane. Ancora una volta il protagonista Toshio è un alter-ego dello scrittore, questa volta adulto e condannato a vivere al proprio interno quel dualismo tipico di molti giapponesi suoi contemporanei: il binomio di amore e odio nei confronti degli americani. Già perché Toshio ha vissuto la guerra, conserva al suo interno l’umiliazione subita di quando quei soldati dalla stazza enorme lanciavano ai giapponesi chewing-gum come aiuti umanitari sebbene fino a pochi giorni prima li avessero bombardati a più non posso. Chi sono gli americani? Perché da un giorno all’altro sono passati da nemici ad amici? Cosa significa il 15 agosto 1945 per molti giapponesi? … Toshio non conosceva quelle strane alghe date come razione insieme ai chewing-gum. Non avevano né sapore né odore, ma era obbligato a mangiarle a forza nello stesso modo in cui ora deve a forza sopportare la presenza di due americani in casa propria, amici della moglie. È l’occasione giusta per prendersi la sua rivincita …

Anna Specchio

Anna Specchio nasce a Vercelli nel 1985 ed è laureata in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa e Traduzione (Università di Torino). Si occupa di Relazioni Italia – Giappone e ha lavorato presso il Comune di Minamishimabara come Coordinatrice per le Relazioni Internazionali, partecipando in prima persona alla Heisei Ken-ou Shonen Shisetsu del 2012 e scrivendo per il giornale locale diversi articoli legati alla cultura italiana, dando anche il via a due corsi di Italiano e cultura Italiana a Nishi-Arie. Continua a occuparsi degli scambi interculturali, come quelli dell’Università WIZ di Fukushima e alcuni studenti di Milano, oltre a dedicarsi a corsi di lingua giapponese a Torino, interpretariato, eventi legati al Giappone e Comunicazione Interculturale. Per Kappalab ha tradotto Una Tomba per le Lucciole e sta lavorando alla traduzione di Si Alza il Vento di Hori Tatsuo.

Per contatti: anna_specchio@yahoo.co.jp


Cascata

Nakajima Raishô
(1796-1871)

Cascata

Inchiostro sumi su carta
Firma: " Raishô hitsu" con sigillo dell'artista
Dipinto: 127 x 27,3 cm
Montatura: 205 x 44 cm. Jikusaki in avorio
Doppia scatola firmata dall’autore e iscritta con il titolo “cascata”

Nonostante l’estremo minimalismo dell’opera, la raffigurazione della cascata che scorre a fianco di una roccia è chiarissima. La composizione, completamente sbilanciata verso sinistra, lascia nello spettatore una sensazione di smarrimento di fronte al mistero della natura. L’esecuzione è rapida ed efficace, con il tratto che perde gradualmente forza, ben creando la suggestione dell’acqua che prende velocità. Il tratto, corposo e deciso, rimanda più allo stile calligrafico che non a quello pittorico. Generalmente conosciuto come esponente della scuola Maruyama, Nakajima Raishô dipinse in almeno cinque stili diversi, anche se le sue opere più ricercate sono quelle create per essere esposte durante la cerimonia del tè, spesso raffiguranti soggetti con acqua, quali piogge e cascate.

Giuseppe Piva Arte Giapponese
Via San Damiano, 2 - Milano
http://www.giuseppepiva.com/


Intervista a Masashi Hirao - Parte II

Alberto Moro, Presidente dell'Associazione Culturale Giappone in Italia, intervista il Maestro di bonsai Masashi Hirao, nominato Ambasciatore Culturale dall'Agenzia degli Affari Culturali del Governo Giapponese. La sua missione? Diffondere la passione per il bonsai.

La prima parte dell'intervista è disponibile a questo link.

Qual è la percezione del bonsai in Giappone e come mai è praticato principalmente da uomini?

A livello sociale, il bonsai è considerato un'attività accessibile solo a pochi fortunati, praticata per tradizione, e pertanto non rientra fra le occupazioni più comuni. Questo aspetto inibisce molto i giovani, che percepiscono il bonsai come un'arte incompatibile con il proprio stile di vita. Inoltre, diversamente da altre pratiche, il lavoro del bonsaista non rappresenta uno status symbol, e questo in parte lo rende meno attraente come percorso da intraprendere.

I media non sono interessati a colmare questa distanza dal grande pubblico e contribuiscono a mantenere la sua aura di eccezionalità, trattando il mondo del bonsai solo in riferimento a qualche giardino famoso o per far conoscere l'esistenza di qualche apprendista straniero.

Il livello di chiusura di questo ristretto gruppo di praticanti, storicamente maschile, è tale da tenere le donne al di fuori di esso: infatti, occuparsi di una pianta comporta anche sforzi fisici come sollevare vasi pesanti e non ha nulla della ritualità e del prestigio sociale della cerimonia del tè o dell'ikebana, dove è possibile sfoggiare kimono preziosi od oggetti pregiati.

Vorrei riuscire a infrangere questa barriera: tutte le arti dovrebbero essere passioni in grado di aiutare a essere liberi e a stare bene.

Il legame delle arti con logiche economiche e consumistiche appare sempre più evidente. Questo avviene a scapito della dimensione artistica?

Spesso il bonsai viene maggiormente considerato un hobby piuttosto che una forma culturale o, ancora peggio, come una pratica per anziani; questo avviene anche a causa di un mancato rinnovamento delle forme divulgative.

Non solo: intorno al bonsai si è creato un vero e proprio business che porta a privilegiare la quantità rispetto alla qualità, a scapito dei prezzi. Questa tendenza purtroppo danneggia chi si sostiene grazie alla sua pratica.

Una possibile via d'uscita potrebbe essere innalzare gli standard qualitativi ed elevare la pratica del bonsai ad arte, ma finchè continua a prevalere l'ottica commerciale, noi bonsaisti siamo chiusi in un circolo vizioso.

In alcune arti, come il sumi-e, è possibile realizzare un'opera tecnicamente perfetta ma incapace di comunicare lo spirito dell'artista. Si corre lo stesso rischio con il bonsai?

Per la creazione di un buon bonsai non esistono delle tecniche universalmente valide, ma è piuttosto necessario applicare l'esperienza acquisita: si tratta soprattutto di piccoli gesti quotidiani di cura e attenzione verso un essere vivente e pertanto è difficile cadere in un eccesso di formalità. Un bonsaista calcola automaticamente quali siano i bisogni della pianta in termini di acqua, o di esposizione al sole e in base ad essi cerca di portare la pianta a svilupparsi nella direzione voluta.

Si potrebbe paragonare questo procedimento alla tecnica di Picasso, il quale sapeva disegnare benissimo, ma ha deciso di spezzare la linearità del disegno e andare oltre a esso. Con un processo simile, il bonsaista decide di rompere la norma per dar vita a determinati effetti, che permettono alla pianta di esprimersi al meglio.

Perchè i Maestri del bonsai sono ancorati al Giappone, quando molte arti tradizionali orientali hanno visto la diffusione in Occidente come garanzia per la loro sopravvivenza?

In effetti, i Maestri di bonsai si spostano in altri Paesi solo se invitati. La situazione sta migliorando con l'istituzione dell'Associazione Mondiale del Bonsai, ma spesso i Maestri di bonsai giapponesi sono troppo legati alla propria tradizione, e così fanno fatica a scendere a compromessi con altre culture e altri linguaggi.

Spesso in Giappone siamo talmente concentrati a guardare la bellezza degli altri Paesi che riscopriamo il valore della nostra tradizione solo quando viene riflessa dall'ammirazione dell'Occidente. Spero dunque che, portando in Europa l'arte del bonsai, essa possa essere rivalutata anche nel mio Paese.

La tradizione del bonsai nasce in Cina: che rapporto ha con questa nazione?

In effetti, il bonsai è nato dal bonkei cinese, utilizzato un tempo per ricreare dei piccoli paesaggi naturali su vassoio, così da mostrare la progettazione di un territorio.

Si parla di un'arte sviluppatasi in più di 1200 anni, con origini anche precedenti a giudicare dai 2000 anni d'età del più vecchio bonsai conosciuto. Esistono anche testimonianze scritte risalenti a 1300 anni fa che raccontano dell'abitudine di trasportare alberi mignon in vasi. Tuttavia, non si sa a quel tempo che valore gli venisse attribuito, se venisse considerata una pratica artistica o meno.

A causa del boom economico, i cinesi hanno ricominciato a comprare i bonsai, anche se hanno un modo diverso di approcciarsi a essi: i giapponesi infatti sono attenti ai piccoli dettagli che possono cambiare l'atmosfera, mentre in Cina hanno una sensibilità diversa, che li spinge a preferire un primo impatto più scenografico.

Che impressione ha avuto della pratica del bonsai in Italia?

Il bonsai si è diffuso anche in Italia da moltissimo tempo, ormai.

Quello che mi ha colpito positivamente dei bonsaisti italiani è la capacità di divertirsi mentre lavorano. Il mio progetto consiste nel dimostrare a tutti quanto sia divertente fare bonsai, ma spesso sono talmente concentrato su quello che sto facendo che non riesco a far trasparire quanto sia per me piacevole come attività. Negli italiani invece la gioia derivante dalla pratica è palese, riescono a chiacchierare e ridere mentre lavorano senza perdere la concentrazione.

Quali zone consiglia di visitare in Giappone agli appassionati di bonsai italiani?

Senz'altro consiglio The Omiya Bonsai Art Museum e la regione di Omiya nel suo complesso. Si tratta di una zona storica ricca di giardini e particolarmente accessibile anche ad appassionati di altri Paesi, visto che le guide sono abituate all'afflusso di stranieri. I bonsai del luogo sono riconosciuti a livello nazionale, al punto che l'unione bonsaisti giapponese ha creato apposta un marchio di qualità per identificarli.

Qui a Milano ha scelto di esibirsi in performance molto originali, che abbinano quasi sempre il bonsai alla musica dal vivo. Esiste un genere di musica che meglio si adatta al suo lavoro?

Preferisco musiche ben ritmate, che mi diano la carica necessaria per terminare una performance in un paio di ore e che permettano di tenere viva l'attenzione del pubblico. Quindi propendo per la musica dance e rock piuttosto che per il jazz.

Tuttavia, è essenziale che in queste performance il bonsai e la musica abbiano lo stesso valore. Mi piace creare un lavoro di squadra, dove il gruppo che mi accompagna sia parte integrante del progetto. In questo modo divento membro della band stessa, lavorando in perfetta sintonia con loro.

C'è stato qualche episodio che l'ha colpita particolarmente durante la sua permanenza in Italia?

E' sempre entusiasmante quando dei bambini passano davanti ai miei bonsai e urlano 'Che bello!' C'è sempre una tale naturalezza nel loro modo di esprimersi che sono veramente gratificato dal fatto che trovino davvero belle le mie creazioni. 

Intervista a cura di Alberto Moro
Testi a cura di Silvia Pagano

Si ringraziano Emma Akiko Mercante,Raffaella Nobili e Basilio Sileno per il preziosissimo contributo.


Intervista a Masashi Hirao - Parte I

Alberto Moro, Presidente dell'Associazione Culturale Giappone in Italia, intervista il Maestro di bonsai Masashi Hirao, nominato Ambasciatore Culturale dall'Agenzia degli Affari Culturali del Governo Giapponese. La sua missione? Diffondere la passione per il bonsai.

Maestro Masashi, come si è avvicinato all'arte del bonsai?

Penso che il primo passo sia stato inconsapevole, quando, prima di interessarmi al bonsai, sono rimasto colpito dai giardini dei templi che si potevano ammirare nella zona di Kyoto, dove frequentavo l'università. Solo qualche tempo dopo, a un'esposizione di bonsai, ho pensato che avrei potuto riprodurre e reinterpretare quei bellissimi paesaggi e ho deciso di rivolgermi a un Maestro.

E' così che è avvenuto l'incontro con il suo Maestro, Sabuto Kato?

Un amico mi ha consigliato di parlare con lui per avere qualche indicazione sul mondo del bonsai: non sapevo nulla di lui, della sua fama e neppure della sua arte. Ed è stato proprio questo mio essere un foglio bianco in materia che ha colpito il Maestro Kato, perché gli ha permesso di trasmettermi la sua esperienza senza che io avessi alcuna nozione pregressa.

Secondo lei, qual è il significato del fare bonsai?

ll bonsai comporta una rivalutazione della natura tramite l'arte, e ci tengo a sottolineare che si tratta di curare e osservare la crescita di un albero, e quindi un essere vivente all'interno di un vaso, non di materia passiva o di un oggetto, e ciò costituisce uno dei presupposti principali per avvicinarsi a questa pratica. Per bonsai non si intende solamente la pianta, ma la pianta posizionata nel suo vaso.

Semplificando, il bonsai comporta il prendere una pianta cresciuta in condizioni svantaggiate e portarla a esprimere il suo pieno potenziale tramite la scelta del vaso, il suo posizionamento all'interno di esso e le cure quotidiane ad essa dedicate, in un processo che parte dalla scelta degli strumenti di lavoro e non si conclude mai veramente. Le attenzioni dedicate alla pianta infatti vanno portate avanti quotidianamente, tenendo conto di quali siano la sua personalità e i suoi punti di forza, in modo che tutti gli sforzi siano mirati a farla esprimere al meglio e permetterle così di sopravvivere più a lungo.

Al contempo, il continuo dialogo con essa permette anche al bonsaista di rivelare se stesso e la propria sensibilità. Insomma, proprio questo equilibrio delicato fra la capacità di mettere in risalto le qualità intrinseche della pianta, l'espressione personale del bonsaista e il gusto del futuro acquirente porta questa attività a essere più vicina all'artigianato che all'arte nel senso classico del termine.

Lei si trova in Europa per proseguire l'opera del suo Maestro. Qual è il suo obiettivo?

La parola d'ordine è incuriosire. Voglio diffondere l'arte del bonsai, portarla al di fuori della cerchia ristretta in cui ora è praticata e renderla accessibile al vasto pubblico. E' proprio per questo che sto provando a sperimentare nuove forme di performance, più appetibili a un pubblico giovane e a nuovi ambienti: ad esempio, fare una presentazione in discoteca e riuscire ad attirare anche uno solo dei presenti è un buon risultato, perchè magari quella persona deciderà in futuro di approfondire la sua conoscenza in merito. Ovviamente sono ancora in una fase sperimentale e resto aperto a nuove forme di collaborazioni e di eventi.

Queste forme innovative di performance trovano in Milano un suolo fertile: in quanto capitale della moda e del design. E' senza dubbio una città pronta ad accogliere forme d'arte meno collaudate.

Qual è il processo che la porta a creare un bonsai? Riesce a visualizzare la sua forma finale prima di iniziare a lavorare o modifica progressivamente l'aspetto della pianta?

Come dicevo prima, la mia priorità è identificare le caratteristiche uniche della pianta e farle risaltare: la prima fase è interamente di studio della pianta e dei suoi tratti dominanti.

In base a questo, decido quali lati nascondere e quali sviluppare maggiormente, come disporre i rami...Insomma, raggiungere una determinata forma non è il risultato solo di scelte estetiche, ma anche funzionali.

Più in generale, cerco di visualizzare come si svilupperà la pianta nel tempo e non solo nell'immediato, dal momento che il bonsai è una forma artistica che ha nel mutamento continuo la sua essenza.

Ci tengo a precisare che la scelta di quale approccio adottare è molto personale e varia da bonsaista a bonsaista: io ad esempio preferisco non utilizzare strumenti elettrici o meccanici per non perdere la naturalezza della composizione, mentre altri preferiscono dare alle opere una forma scultorea, a costo di imporre forzature alla struttura iniziale della pianta.

Che rapporto ha con i suoi strumenti di lavoro?

Quando lavoro devo diventare tutt'uno con gli strumenti, quindi non sarebbe sbagliato definirli un'estensione di me stesso. Dal momento che li utilizzo fino a 20 ore al giorno, si sono sagomati in base al mio utilizzo, tanto che riesco sempre a capire se qualcuno li ha usati, quasi sentissi un senso di estraneità, e proprio per questo mi riesce difficile prestarli ad altri.

Per la Forbice d'Oro che mi ha lasciato il mio Maestro vale un discorso diverso. Essa è un simbolo, più che uno strumento, quindi la uso in maniera cerimoniale per il taglio del primo rametto, come atto preliminare all'effettiva lavorazione della pianta. E' una maniera per mostrare al mio Maestro che sto operando in suo nome, portando avanti la missione che mi ha assegnato.

C'è qualche pianta in particolare su cui preferisce lavorare?

No, lavoro bene con qualsiasi pianta tranne le azalee, che in Giappone sono considerate una categoria di bonsai a parte.

Dopo che ha creato la pianta, che rapporto ha con essa? Le capita di tenere i bonsai che ha creato?

Purtroppo il nostro lavoro è sempre destinato a terzi, ai giardini privati o ai vivai delle famiglie di bonsaisti che si tramandano la proprietà di padre in figlio. Una volta creato, il bonsai acquisisce un certo valore ed è tramite la sua vendita che l'artigiano si mantiene.

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Arciere mongolo

Arciere mongolo
XVIII secolo

Netsuke in avorio
Altezza: 7, 9 cm

Netsuke in avorio raffigurante un arciere mongolo in piedi, con la parte superiore del corpo ruotata verso destra. I capelli sono raccolti sotto un piccolo copricapo e sul dorso porta un ampio cappello circolare. Il braccio destro, su cui poggia l’arco in tutta la sua lunghezza, è disteso, mentree la mano sinistra tiene una freccia.

Numerosi sono i netsuke creati nel XVIII secolo con soggetto simile. Si tratta probabilmente di dattanjin, stranieri provenienti da Orankai e Dattan, territorio della Cina popolato da mongoli e tartari. Loro rappresentazioni sono dunque frequenti, sebbene non sia stata data particolare importanza alla loro resa realistica.

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Jiro e l'arte del sushi

Feltrinelli Real Cinema è lieta di presentare
JIRO E L’ARTE DEL SUSHI
Dal 27 novembre al cinema il film su Jiro Ono, il più grande chef di sushi di Tokyo.

Per l’occasione“sushi show” con degustazione nelle Librerie Feltrinelli

Il 27 novembre arriva nelle sale, distribuito da Feltrinelli Real Cinema con proiezioni-evento nelle principali città, il film JIRO E L’ARTE DEL SUSHI di David Gelb: un documentario che racconta la vita di Jiro Ono, il più famoso chef di sushi di Tokyo. Per gran parte dei suoi 85 anni Jiro ha perfezionato l'arte di preparare il sushi. Lavora dall’alba a dopo il tramonto, assaggia, istruisce meticolosamente i suoi dipendenti, modella e raffina l’impeccabile presentazione di ogni creazione di sushi. L'eccezionale etica lavorativa di Jiro è la forza trainante del documentario, ma il cuore del film si trova altrove, nell'influenza che questa ambizione ha avuto sulle vite dei suoi figli. Il figlio più grande Yoshikazu è l'erede legittimo dell'impero del sushi, ma Jiro non è pronto per ritirarsi o per rinunciare alle proprie responsabilità. Con un padre così famoso, che guida e critica ogni decisione, Yoshikazu non riesce a raggiungere il suo pieno potenziale. Ciononostante è fiero di imparare da un autentico maestro del sushi.

Jiro e l'arte del sushi racconta la passione necessaria per gestire e mantenere un leggendario sushi-restaurant, e il viaggio di un figlio verso la possibilità di prendere il posto di suo padre alla guida della dinastia culinaria.

In occasione dell’uscita del film, le Librerie Feltrinelli delle principali città italiane ospiteranno dei “sushi-show” con degustazioni a cura di AIRG (Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi).
Tra i primi appuntamenti, quello a Milano, giovedì 28 novembre, alle ore 18.30 presso la LibreriaFeltrinelli di corso Buenos Aires, dove il presidente dell’AIRG, lo chef Hirazawa Minoru, detto SHIRO, del ristorante Poporoya, affiancato dalla giornalista Stefania Viti, racconterà al pubblico i segreti del sushi.

A seguire, alle ore 20.30, proiezione del film + box assaggio specialità di SHIRO al cinema Arcobaleno Film Center (viale Tunisia, 11).

Biglietto APERIFILM € 10
Prevendite aperte qui: link

IL TOUR DI JIRO
ECCO LE SALE GIA’ CONFERMATE

CINEMA LUMIERE – BOLOGNA
CINEMA ALFIERI – FIRENZE
CINEMA CENTRALE – TORINO
CINEMA EDISON – PARMA
CINEMA ARISTON – TRIESTE
CASA DEL CINEMA – VENEZIA