Oiso, Tora ga Ame di Hiroshige

OISO, TORA-GA-AME La pioggia di Tora a Oiso
Nishiki-e, kirazuri-e. Silografia a colori, firmata in lastra: Hiroshige ga

Serie: Tokaido gojusan tsugi no uchi
(Le cinquantatre stazioni della Tokaido)
Data: 1833-34, periodo Tempo
Formato: oban yoko-e (mm. 229x354)
Censore: kiwame
Editore: Hoeido Senkakudo
Bibliografia: Strange 137.9, Lane (1978) 233.78(1).9, Salamon (1980) 9, Shiroishi 29.9.

Magnifica prova con ottimi colori impreziosita con il kirazuri, polvere di mica caratteristica delle edizioni più lussuose e caratteristica rara per questi soggetti. Impressa su carta del Giappone, databile nella prima metà del XIX secolo. In buono stato di conservazione, ad eccezione di leggere consunzioni sul margine inferiore, di leggerissime macchie al verso che non interessano il recto e di restauri ben eseguiti che interessano il margine bianco sinistro e l’angolo superiore destro. Con margine da sottile a buono tutt’intorno oltre la linea marginale.

L'opera al momento è in esposizione presso Hiroshige, attualmente in corso alla galleria L'arte antica di Torino. Tutte le informazioni in merito sono disponibili nell'articolo sulla mostra.

L’ARTE ANTICA
Via A. Volta 9 – Torino
tel 011 5625834 – 549041
fax 011 534154
salamon@salamonprints.com
www.salamonprints.com


Shigeru Ban vince il premio Pritzker 2014

Abilità tecnica e impegno civile. Queste sono le caratteristiche che la giuria del premio Prizker 2014 ha riconosciuto a Shigeru Ban. Nato a Tokyo nel 1957, l'architetto si caratterizza per l'utilizzo di materiali di riciclo ed ecosostenibili, come cartone e bamboo, nella costruzione di edifici.

Una particolare attenzione all'ambiente, dunque, ma anche alle questioni umanitarie. Proprio per la rapidità di reperimento dei materiali e di costruzione che sono i tratti distintivi dei suoi progetti, il suo intervento ha permesso la costruzione di rifugi per gli sfollati a seguito dei terremoti come quelli di Kobe, in Turchia o Rwanda.

Dal 1979, data della sua creazione, il premio Pritzker è considerato il Nobel dell'architettura. E' significativo che quest'anno sia stato attribuito a Shigeru Ban, che, per molti versi, viene considerato un "anti-architetto" per le sue creazioni.

Un esempio fra tutti: la Christchurch Cathedral in Nuova Zelanda, cattedrale con impianto del 19° secolo. Dopo i gravissimi danni riportati a seguito del terremoto del 2011, l'architetto giapponese ha ricostruito la struttura utilizzando tubi di cartone. Fra i progetti più tradizionali, invece, si annovera il museo satellite del Centro Pompidou a Metz, in Francia. In Italia, l'Aquila Temporary Concert Hall porta la sua firma.

Qual'è la motivazione alla base delle sue creazioni? "Finchè posso rendere le persone felici di utilizzare i miei edifici, sono contento anch'io."

Per maggiori informazioni: sito Premio Pritzker

Photo by Shigeru Ban Architects


Koreeda Hirokazu

Nato a Tōkyō nel 1962, Koreeda Hirokazu fa parte di una generazione cresciuta guardando la televisione, da cui, secondo quanto lui stesso sostiene, deriva l’interesse per le immagini sviluppato da ragazzo. Tuttavia, la sua prima aspirazione è quella di diventare scrittore e, infatti, nel 1987 si laurea presso la Facoltà di Lettere dell’Università Waseda di Tōkyō.

La produzione cinematografica di Koreeda è caratterizzata da una continua sperimentazione, sia a livello formale che contenutistico, che rende complessa l’analisi generale della filmografia nel suo insieme. Tuttavia, è comunque possibile identificare un filo conduttore, degli elementi ricorrenti che accomunano, più o meno significativamente, tutte le opere.

Tra questi spicca la memoria che non è solo un tema ricorrente, ma addirittura un elemento essenziale dell’intera produzione del regista, fin dagli esordi come documentarista. Questa ricopre un ruolo fondamentale nelle vicende dei suoi personaggi che sono, nella maggior parte dei casi, legate ad una perdita o ad un’assenza, in cui il rapporto con il proprio passato risulta determinante (Maboroshi no hikari, 1995; Distance, 2001). Di conseguenza, la memoria e i ricordi giocano un ruolo molto importante: uniscono coloro che hanno vissuto una comune esperienza e, allo stesso tempo, rinnovano il dolore per la perdita subita. I ricordi assumono perciò una doppia valenza: possono gettare un’ombra sull’esistenza attuale dei personaggi o fungere da stimolo per incominciare una nuova vita.

Koreeda utilizza la memoria anche per dissolvere i confini tra realtà e finzione e il mezzo cinematografico per filtrare il reale (Wonderful life, 1998; Aruitemo aruitemo, 2008). Uno degli obiettivi principali della sua produzione è, infatti, la convivenza di fiction e documentario all’interno della stessa opera. Koreeda cerca di superare quei limiti che ritiene esistano solamente perché imposti facendo partecipare ai suoi film non professionisti, costringendo gli attori ad improvvisare, recitando spontaneamente senza l’aiuto di un copione, oppure inserendo nelle pellicole elementi tratti dalle proprie esperienze personali.

La morte è un altro motivo ricorrente in tutta la filmografia: molti dei suoi protagonisti sono persone del tutto ordinarie che, in circostanze differenti, si trovano a dover affrontare la perdita di una vita, di un familiare o propria nel caso di Wonderful life. Koreeda non eccede mai nel drammatico, ma coinvolge il pubblico con delicatezza nelle tragedie narrate dai suoi film, non concentrandosi tanto sullo specifico evento all’origine del dolore, quanto su chi ne deve affrontare le conseguenze e in che modo si rapporti ad esse.

Maddalena Pologna
maddpol@gmail.com


Ventagli - Paravento a due ante

Ventagli - Paravento a due ante

Metà del periodo Edo (1615-1867)
Inchiostro, pigmenti e gofun moriage su fondo oro
173,5 x 190 cm

Le composizioni con ventagli furono una specialità della scuola di Tawaraya Sōtatsu a Kyōto verso la fine dell’era Ken’ei (1624-1643). Il byobu poteva essere decorato con ventagli dipinti direttamente sul paravento o, come in questo caso, con ventagli veri e propri, incollati sul fondo dorato.

Il ventaglio è sempre stato utilizzato nella tradizione giapponese come elemento decorativo. Questo oggetto possiede anche un significato benaugurale, rappresentando il ”dischiudersi” del futuro.

Molti dei ventagli di questo paravento raffigurano episodi letterali o soggetti mitologici, altri mostrano i fiori delle quattro stagioni e paesaggi naturali, con uno stile che varia da un ventaglio all’altro.

http://www.giuseppepiva.com/


Artista e donna: tre ritratti dal Giappone

In occasione della Festa della Donna, vi presentiamo tre artiste giapponesi che hanno profondamente influenzato la cultura del Sol Levante, lasciando tracce influenti rispettivamente nella letteratura, nel cinema e nell'arte: Murasaki Shikibu, Setsuko Hara e Yayoi Kusama.

Iniziamo il nostro viaggio in pieno Heianjidai, periodo di massimo splendore della corte. La lingua nobiliare è ancora il cinese, ma le prime forme di giapponese scritto stanno prendendo forza framite le opere femminili, basate su un alfabeto di scrittura sillabico, i kana.

Discendente di una famiglia di lunga tradizione letteraria, Murasaki Shikibu (pseudonimo di corte composto da Murasaki, nome di uno dei suoi personaggi, e Shikibu in riferimento al ruolo del padre, shikibu-shō) nasce alla fine del 10 secolo. Riceve fin da piccola una formazione non convenziale, grazie alla quale apprende il cinese, lingua riservata agli uomini, e le arti tradizionali.

Si sposò piuttosto tardi per il tempo e rimase fino ai suoi trent'anni inoltrati in casa del padre: gli sposi vivevano infatti in case separate al tempo e il marito si recava a fare visita in quella sede. Non è dato sapere se iniziò a scrivere il Genji Monogatari in quel periodo o subito dopo la morte del marito, avvenuta pochi anni dopo; è accertato invece che si trasferì presso la corte nei tardi trent'anni, come dama di compagnia dell'Imperatrice Shōshi.
Il Genji Monogatari è considerato il capolavoro della letteratura giapponese tradizionale.

Nelle 1100 pagine e 54 capitoli del monogatari sono tratteggiati le abitudini e lo stile di vita della corte del tempo, permeati da estrema raffinatezza ed eleganza. Il valore della narrazione risiede nel delicato tratteggio delle personalità e nell'incredibile capacità d'espressione dell'atmosfera del tempo.

Cambiamo completamente ambito e periodo: Masae Aida, meglio nota come Setsuko Hara, nasce nel Giugno 1920. Oggi di lei si sono perse le tracce ma mantiene suo status di simbolo del cinema giapponese degli anni '50.

Attiva dal 1935 al 1963, ha recitato sotto registi del calibro di Mikio Naruse, Akira Kurosawa e Yasujiro Ozu. I suoi ruoli sono stati molteplici e rappresentativi della propria epoca: dall'eroina pronta a sacrificare sè stessa del periodo pre bellico, si è trasformata nel perfetto modello di donna giapponese durante i film della Seonda guerra mondiale.

Nel secondo dopoguerra ha rappresentato il modello della nuova donna giapponese, positiva e ottimista nei confronti del futuro, ma anche ruoli profondamente legati ai valori tradizionali, impesonando l'artechipo femminile devoto al padre, o al marito.
Nelle sue collaborazioni con Ozu emerge un'altra Setsuko, desiderosa di esprimere se stessa nonostante i dettami sociali.

Filo conduttore delle sue interpretazioni è l'incredibile capacità espressiva e l'abilità con cui ha interpretato il conflitto interiore fra le aspirazioni personali e gli obblighi imposti dalla società. Piccola curiosità: Ozu e Kogo Noda hanno spesso attribuito al personaggio interpretato dalla Hara il nome di "Noriko", quasi a sottolineare una continuità fra le varie performance.

Nel 1963, anno della morte di Ozu, Setsuko si ritira a vita privata a Kamakura e da allora rifiuta i contatti con i media. E' stata fortemente criticata per non aver fornito spiegazioni per la sua scelta: la dichiarazione è stata improvvisa, comunicata nel suo stile tipico, con molte esitazioni e un sorriso finale.
In Giappone è tutt'ora definita "Eterna Vergine"

Un'altra figura controversa del '900 giapponese è sicuramente Yayoi Kusama. Arte pop, minimalismo e femminismo sono solo alcuni dei filoni che vedono in lei una valida rappresentante, riconosciuta da personalità come Andy Warhol. Colori psichedelici e pattern ripetitivi caratterizzono la sua variegata produzione e sono tuttora riconoscibili nelle sue opere

Nata a Matsumoto nel 1929, ha studiato arte a Tokyo; i canoni della pittura Nihonga erano troppo restrittivi per lei, così negli anni '50 si dedicò alle avanguardie americane. Iniziò a dipingere supefici, muri, oggetti e assistenti con pattern ripetitvi, adottando per la prima volta i pois che diventeranno il suo tratto distintivo.

Nel 1957 si trasferisce negli Stati Uniti, dove ha modo di entrare direttamente nel panorama degli artisti contemporanei. Lì aderì al movimento hippie e alle proteste contro la guerra in Vietnam, organizzando happening caratterizzati da nudità in luoghi pubblici simbolici.
Una delle sue opere più conosciute è il Narcissus Garden, esposto alla Biennale di Venezia nel 1966, composto da centinaia di sfere specchianti esposte all'esterno in un 'tappeto cinetico''. Kusama stessa aprì un banchetto al di fuori della Triennale, dove iniziò a vedere le sfere una ad una, fino a quando non intervenirono gli organizzatori.

Dopo anni di attiva partecipazione al mondo artistico americano, nel 1973 Kusama ritornò in Giappone. Dal 1977 continua la sua produzione all'interno di un ospedale psichiatrico, in cui si è internata volontariamente, dove affianca la scrittura alle arti figurative.


Hinamatsuri

Akari o tsukemashou bonbori ni
Ohana o agemashou momo no hana
Gonin bayashi no fue taiko
Kyo wa tanoshii Hinamatsuri

Terzo giorno del terzo mese: oggi in Giappone si celebra Hinamatsuri, la festa delle bambine.

Letteralmente "festa delle bambole" e chiamata anche "festival dei fiori di pesco" secondo la stagione del calendario lunare, la tradizione ha origine anticamente in Cina, dove era usanza trasferire la sfortuna su alcuni fantocci per allontanarla da sè: per farlo, dopo aver soffiato su una bambola, la abbandonavano alle acque in un rito di purificazione che scacciasse il male dalla famiglia.

L'usanza è stata ufficialmente importata in Giappone durante il periodo Edo (1603-1868), anche se la tradizione del hinanagashi è precedente. Ancora oggi viene ripetuta in alcune zone del Giappone, con un occhio all'ecologia: le barche con le bambole vengono recuperate dal fiume per impedire che finiscano nelle reti dei pescatori, per poi essere bruciate e purificate in un tempio shintoista.

Più diffusamente, Hinamatsuri viene festeggiato in casa dalle famiglie con figlie femmine, esponendo le hina-Ningyo, bambole che rappresentano la corte imperiale del periodo Heian (794-1192). Ognuna di esse è vestita con i costumi dell'epoca; in particolare l'imperatrice porta il juuni-hitoe, il kimono dei dodici strati.

hinamatsuri

Nelle case più piccole è diffusa la versione composta unicamente dalla coppia imperiale, ma il set completo attualmente raccoglie 15 bambole, che vanno collocate secondo un ordine ben preciso sul hinadan, struttura "a gradini" coperta da un drappo rosso con bordo multicolore.

L'ordine di disposizione è gerarchico e parte con Imperatore e Imperatrice (piccolo strappo alla correttezza storica: al tempo l'Imperatore non aveva una sola consorte) sul primo gradino, per passare alle tre dame di corte, poi ai cinque musicisti. Sul quarto sono disposti due ministri, subito sotto tra samurai, per terminare con gli oggetti di corte sul sesto e settimo gradino.

Le figure sono in una posizione specifica e sono intervallate da elementi decorativi rituali; in particolare, gli hishimochi, dolci tipici dell'Hinamatsuri, vengono posizionati accanto ai ministri di corte.

Esistono set di bambole molto antichi, tramandati di generazione in generazione come parte della dote quando la figlia si sposa. Nel corso del tempo sono diventati oggetti da collezione, che possono raggiungere costi impressionanti.
Nel caso invece non siano presenti in famiglia, è compito dei nonni o dei genitori comprare un set per il primo Hinamatsuri della bambina.

Immancabili decorazioni della festa sono i fiori di pesco, che racchiudono le qualità attribuite tradizionalmente alla donna: gentilezza, compostezza e serenità. Proprio per questo sono tradizionalmente legati anche al matrimonio.
Una forte simbologia è legata anche agli hishimochi. Sono infatti composti da tre strati di colori diversi: rosa, per allontanare gli spiriti malvagi, bianco per la purezza e il verde per la salute. Alcuni invece vedono in questa disposizione una rappresentazione della primavera, dove il verde è l'erba sui cui si posa la neve bianca, da spuntano i fiori di pesco.

La tradizione culinaria non si limita agli hishimochi.
Per l'occasione si beve il shirozake, una bevanda non alcolica derivata dalla fermentazione del riso, accompagnata da prelibatezze come arare, osekihan e chirashi.
Le bambine si ritrovano per offrire piccoli cibi alle bambole ed assicurarsi così una buona fortuna.

L'intera collezione di bambole viene esposta a partire da metà Febbraio e riposta accuratamente subito dopo la festa. Infatti la superstizione insegna che ogni giorno di ritardo provocherà un ritardo nel matrimonio della figlia.


Van Gogh Alive: le opere giapponesi

Dal 6 dicembre 2013 al 9 marzo 2014
Fabbrica del Vapore
Via Procaccini 4 - Milano

Van Gogh Alive

“Studiando l’arte giapponese, si vede un uomo indiscutibilmente saggio, filosofo e intelligente, che passa il suo tempo a far che? A studiare la distanza fra la terra e la luna? No; a studiare la politica di Bismarck? No; a studiare un unico filo d’erba.

Ma quest’unico filo d’erba lo conduce a disegnare tutte le piante, e poi le stagioni, e le grandi vie del paesaggio, e infine gli animali, e poi la figura umana. Così passa la sua vita e la sua vita è troppo breve per arrivare a tutto.

Ma insomma, non è quasi una vera religione quella che ci insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono in mezzo alla natura come se fossero essi stessi dei fiori? E non è possibile studiare l’arte giapponese, credo, senza diventare molto più gai e felici, e senza tornare alla nostra natura nonostante la nostra educazione e il nostro lavoro nel mondo della convenzione.”

Vincent Van Gogh era legato al Giappone da una visione quasi utopica ed idealizzata, che ha profondamente influenzato la sua produzione artistica dal 1887 nei colori, negli sfondi.

Alcune di queste opere sono state selezionate presso la mostra Van Gogh Alive, attualmente in corso presso la Fabbrica del Vapore.

Un nuovo modo di vivere e conoscere l’arte: affascinante ed educativo. Van Gogh Alive – realizzata in coproduzione con il Comune di Milano – è un’esperienza multimediale per tutta la famiglia. I capolavori di Van Gogh prendono vita, in una vibrante sinfonia di luci, colori e suoni.

Oltre 3000 immagini proiettate in altissima definizione grazie all’innovativo sistema SENSORY 4 comporranno uno straordinario museo impossibile e offriranno un viaggio attraverso l’universo creativo e visionario dell’artista: dagli intensi cromatismi, alla tumultuosa vicenda esistenziale.

Per info:
http://www.vangoghalive.it/
Tel 02-33606436

Sulla nostra pagina Facebook alcune immagini della mostra


Intervista a Yasuko Sugiyama

Intervista a Yasuko Sugiyama, pittrice giapponese; la sua personale è stata in esposizione presso l'Associazione Culturale Arte Giappone fino a Sabato 15 Febbraio.

Iniziamo con una domanda “facile”. Da dove prende l'ispirazione?

Le mie opere non nascono da un'intuizione improvvisa ma da un percorso di anni di studio che mi ha portato allo stile e ai soggetti che sto rappresentando ora.
Sicuramente il primo passo in questa direzione è stato iscrivermi all'Università d'arte in Giappone. Ho scelto di specializzarmi in Arte Occidentale perché ero affascinata da pittori come Matisse e Picasso: mi sembravano espressione di una creatività e di una voglia di innovazione che è più difficile trovare negli artisti della tradizione giapponese.
Ho dovuto lavorare duramente per passare il test d'ingresso, dal momento che solo una persona su otto riesce ad entrare in università: in quel periodo, mi sono concentrata molto sul disegno di statue per migliorare la mia padronanza del chiaroscuro e delle proporzioni per rendere su tela la tridimensionalità.
Da allora ho cambiato molti stili e tecniche, passando anche per l'astrattismo, e da ognuna di queste fasi intermedie ho imparato qualcosa di nuovo.

Come ha influito il suo percorso sulle opere attuali?

Ho deciso di trasferirmi in Italia per approfondire le tecniche di scultura su marmo. Per riuscire a capire meglio il processo creativo dell'autore dell'opera, spesso fotografavo la statua che stavo studiando e la disegnavo, imitandone realisticamente le forme. E' proprio tramite questa riproduzione su carta che riuscivo a percepire le emozioni e la prospettiva dell'artista che l'aveva ideata, vedendo così la scultura con i suoi occhi.
Questo ha influito sulla mia produzione attuale. Mi piace l'idea di rivalutare come vera e propria arte le potenzialità del disegno con il carboncino, solitamente usato per i bozzetti, in particolare la capacità di dare risalto e intensità al colore anche utilizzandone uno solo. Per accentuare questo effetto utilizzo dei pastelli ad olio particolari, che mi permettono di lavorare con le mani e modulare direttamente le sfumature senza bisogno di strumenti.

Che rapporto c'è fra l'arte giapponese e la sua produzione artistica?

Ci sono due elementi legati alla tradizione giapponese che caratterizzano le opere in mostra.
La prima è la mancanza di sfondo: nelle opere italiane lo sfondo è sempre molto ricco e completamente dipinto, mentre la pittura tradizionale giapponese lascia lo sfondo completamente spoglio. Ho adottato anch'io l'abitudine di lasciare disadorno lo scenario, sia per una questione estetica che di significato - e questo è il secondo elemento legato alla cultura giapponese che si può trovare nei miei lavori.
Lo scopo di queste prospettive estreme è di dare rilevanza al vuoto. Nella vita si dà spesso troppo importanza alle cose materiali, mentre la parte essenziale è proprio quella immateriale, perché è lì che si trova l'arte e l'immaginazione. Per ottenere questo effetto è necessario che i soggetti non si trovino al centro dell'immagine: lo sguardo deve essere catturato dalla profondità del quadro e dallo spazio, che è il vero protagonista.

Quali sono gli autori che l'hanno maggiormente influenzata?

Fra gli scultori italiani, mi piacciono molto Bernini e Michelangelo. Fra gli artisti giapponesi, direi quelli del periodo Rinpa, ma ne sento meno l'influenza.

Ormai vive in Italia da moltissimi anni: qual'è la sua esperienza di giapponese nel nostro Paese?

All'inizio ho cercato di adattarmi completamente al nuovo ambiente e di diventare italiana io stessa, ma non si può vivere bene rinunciando alle proprie radici. Così ho cominciato a fare ricerca sulla mia cultura d'origine e sulle tradizioni giapponesi, continuando nel frattempo a studiare il sistema italiano. La vera comprensione nel mio caso nasce dal confronto: ogni volta che nasce un problema o noto una differenza, cerco di capirne le cause.

Nell'ambito artistico, c'è qualche differenza significativa fra il mondo giapponese e quello italiano?

La percezione stessa dell'arte rispecchia due valori sociali opposti.
In Giappone il valore dominante è l'armonia, in virtù della quale i membri dei gruppi sono ben equilibrati fra di loro e dunque è meno facile che una personalità, un individuo si distingua. Non solo: la bravura dipende dalla capacità di imitare un modello riconosciuto come valido. Si può dire che l'arte nasce dal metodo, come insegna il suffisso -do, strada, che indica un percorso da seguire: chado, judo...
In Italia è il contrario, la massima manifestazione artistica è il genio, ovvero la singola personalità che svetta sopra a tutte le altre. I valori portanti sono la diversità e la creatività, al punto che l'arte stessa nasce dalla passione.

Qualche consiglio agli italiani che vogliono trasferirsi in Giappone?

Essere consapevoli, sia della cultura di partenza che di quella in cui si approda. Cercare di rinunciare alle proprie origini per diventare completamente giapponesi è uno sforzo vano dal momento che si non appartiene più completamente a nessuna delle due.
Bisogna studiarle entrambe "dall'esterno", sforzarsi di conoscerle e capirle per percepirne il vero valore.

Silvia Pagano


Yūgen - Galleria Piva

Yūgen
L’impalpabile profondità dell’arte giapponese

Alcune delle differenze fondamentali tra l’arte occidentale e quella orientale riguardano il rapporto degli artisti con il mondo esterno. Fin dal rinascimento, pittori e scultori europei hanno sempre mirato a riprodurre fedelmente la realtà tramite diverse tecniche quali l'uso della prospettiva o l'estrema attenzione al dettaglio.

Gli artisti orientali hanno da sempre avuto un approccio diverso: il loro scopo, infatti, non è stato quello di creare qualcosa che somigli alla realtà, ma qualcosa che provochi nello spettatore delle sensazioni; lo scopo di questa diversa estetica non si compie attraverso una rappresentazione dettagliata e precisa del reale né tramite la semplice raffigurazione di ciò che gli occhi vedono.

In tutte le forme d’arte giapponese sembra sempre che ci sia qualcosa di non detto, qualcosa che è solo vagamente suggerito: un lato profondo e impalpabile, caratteristica fondamentale di questa estetica.

Il termine "yūgen" puó essere tradotto come "impalpabile profondità"; questo suggerisce che ci sia qualcosa sotto la superficie, qualcosa di celato e arduo da percepire. Secondo questo concetto, la vera bellezza si nasconde in pochi colpi di pennello o in una semplice tazza di ceramica grezza, se questi non vengono osservati superficialmente ma cogliendo le emozioni e le sensazioni più profonde che ne scaturiscono. Ed è proprio questa bellezza celata che può risvegliare nello spettatore profondi e remoti sentimenti.

Yūgen non è un concetto isolato. Altri termini possono designare sentimenti simili: shibui, wabi-sabi, shinzen, kanso, eccetera. Tutti questi, strettamente legati all'estetica zen, descrivono la bellezza delle forme semplici, delle imperfezioni e del deterioramento naturale delle cose. La contemplazione della bellezza in questo caso è qualcosa di molto intimo e malinconico, molto distante dalla funzione decorativa che l'arte ha sempre avuto in Europa.

Certe forme d’arte sono certamente più vicine al concetto di yūgen di altre: la ceramica, la calligrafia e tutte le arti connesse con la cerimonia del tè sono in genere quelle che più esprimono questo principio. Nonostante ciò, tutte le manifestazioni artistiche giapponesi sono state profondamente influenzate da questo concetto: le decorazioni delle lacche possono essere sontuose, ma spesso includono un semplice oggetto che si riferisce a una particolare poesia o che esprime una certa sensazione per una stagione; i volti delle sculture buddiste sono sempre sereni ma allo stesso tempo illeggibili, così lo spettatore viene toccato dalla loro bellezza nella parte più profonda dello spirito; anche un’armatura può trasmettere energia e forza attraverso i suoi colori e la raffinatezza dei dettagli. La nihonto, nota per essere la miglior spada in termini di bellezza ed efficienza, è probabilmente il più antico esempio di arte astratta: oltre ad essere un’arma è sempre stata considerata una delle espressioni più raffinate di artigianato artistico, con una lavorazione che traccia sull’acciaio motivi e disegni creati esclusivamente per essere ammirati, quasi fosse un’opera d’arte informale.

Fonte: http://www.giuseppepiva.com/