お正月 O-Shōgatsu | Il capodanno giapponese dalle pulizie ai 108 rintocchi

31 dicembre 2015

Anche quest’anno giunge al termine e mentre noi non faremo che iniziare i festeggiamenti tra poco, in Giappone sono entrati nel Nuovo Anno della Scimmia già da un pezzo! Che cosa fanno però in concreto i nostri amici giapponesi per celebrare il passaggio al Nuovo Anno?
Si potrebbe dire che il Capodanno in Giappone sia un po’ più elaborato rispetto al nostro in quanto vi è per così dire un prima, un durante e un dopo. I festeggiamenti dello Shōgatsu (正月)* durano infatti dal 31 dicembre al 3 gennaio e i primi tre giorni dell’anno sono noti come Shougatsu Sanganichi (正月三が日), periodo in cui nessuno lavora eccezion fatta per gli addetti ai servizi primari, quali ad esempio i trasporti. La preparazione all’evento annuale riveste particolare importanza nella cultura nipponica – e non solo – in quanto si ritiene che per entrare correttamente nel nuovo anno sia necessario eliminare tutte le “scorie” dell’anno uscente e tale credenza prende forma nell’usanza di pulire accuratamente le proprie case e di appendere alle entrate di abitazioni ed edifici i Kadomatsu (門松), tipiche decorazioni fatte di pino ma spesso anche di bambù e altro, e gli Shimekazari (しめ飾り), decorazioni composte da strisce di carta e fili di paglia o riso. Le prime variano da regione a regione e sono volte a dare il benvenuto agli ospiti (nelle città) e agli spiriti benevoli o kami del raccolto (nelle periferie); le seconde servono invece ad allontanare gli spiriti maligni e ad attirare i kami (le divinità benevole) in modo da benedire e proteggere le abitazioni. Tutti questi preparativi vanno effettuati entro l’ultimo giorno dell’anno. Una volta giunto l’Ōmisoka (大晦日), appunto l’ultimo giorno dell’anno, si passa alla tavola. L’ultima sera dell’anno è infatti tradizionalmente dedicata ai Toshikoshisoba (年越しそば): i soba sono degli spaghetti di grano saraceno che, per la loro lunghezza e per la leggerezza del piatto, rappresentano il pasto ideale come augurio di lunga vita, fortuna e ricchezza. A questo punto, il momento clou arriva con la prima visita ai templi (Buddhisti) o ai santuari (Shintoisti), nota come Hatsumōde (初詣). Si può scegliere se recarvisi per la mezzanotte del 31 dicembre oppure nel corso del 1 gennaio, ma la maggior parte dei giapponesi è solita scegliere la prima opzione e dunque attendere lì la mezzanotte. Allo scoccare di quest'ultima infatti accade qualcosa di molto particolare: coloro che si trovano nei templi buddhisti assistono alla cosiddetta cerimonia dei 108 rintocchi, in giapponese Joya no Kane (除夜の鐘). Tali rintocchi di campana si devono alla tradizione buddhista, secondo cui 108 sono le passioni umane - intese come peccati - e che con altrettanti rintocchi di campana ognuno di essi può essere cancellato e la persona purificata, permettendole così di iniziare bene il nuovo anno. Il 108esimo rintocco viene suonato esattamente a mezzanotte in modo tale che possa essere anche il primo rintocco del nuovo anno. Dopodiché, tutti i presenti hanno la possibilità di mettersi in fila per agitare a turno il Tamakushi (玉櫛), la cosiddetta “corda sonante”, ed esprimere così i propri desideri e pregare. In basso, un monaco immortalato nell'atto di suonare un rintocco durante la cerimonia di purificazione dello scorso Capodanno presso il tempio Kōdai di Kyōto.

Kōdai-ji (高台寺), Higashiyama-ku, Kyōto. Tempio della scuola Rinzai-shū del Buddismo Zen.

Una volta entrati nel nuovo anno, i riflettori vengono puntati sulle “prime volte”, ossia tutte le azioni che si compiono per la prima volta nell'anno nuovo e che, in quanto tali, assumono particolare importanza. A parte l'Hatsumōde e il primo rintocco di mezzanotte (e se vogliamo anche i fuochi d'artificio), l'Hatsuhinode (初日の出), cioè la prima aurora dell'anno, è decisamente l'altra primissima azione considerata importante: al fine di assistere alla prima alba molte persone si recano in montagna oppure presso i punti più panoramici disponibili in città. Altri primi eventi ritenuti significativi sono ad esempio il primo giorno di lavoro del nuovo anno oppure le prime vendite dell'anno. Durante il primo giorno dell'anno, poi, è possibile assaporare una vasta quantità di pietanze tipiche, una soltanto fra tutte: i mochi (餅), dolcetti preparati dal riso glutinoso, che rappresentano un augurio di ricchezza. I riti del Capodanno terminano infine con l'Ippan sanga (一般参賀) la visita al Palazzo Imperiale del giorno 2 gennaio, dove Imperatore e famiglia imperiale attendono i visitatori per il tradizionale Saluto di Inizio Anno.
Insomma, il capodanno giapponese riserva indubbiamente un sacco di sorprese.
Lo consigliamo sicuramente: da provare almeno una volta nella vita!

Buon Anno a tutti quanti!
皆さん、明けましておめでとうございます!

* Shōgatsu (正月), letteralmente il “mese giusto”, originariamente era riferito soltanto al primo mese dell'anno ma successivamente, per convenzione, si decise di indicarlo al primo giorno dell'anno.


Shuichi Habu insignito del Premio Umberto Agnelli per il Giornalismo 2015

17 novembre 2015

Lo scorso novembre, durante l'assemblea generale dell’Italy Japan Business Group tenutasi a Sendai, la Fondazione Italia Giappone e lo stesso Italy Japan Business Group hanno conferito il Premio Umberto Agnelli per il Giornalismo a Shuichi Habu, rinomato giornalista, per l'impegno nella diffusione della realtà italiana in Giappone. Maggiori dettagli, nel comunicato stampa.

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Fondazione Romualdo Del Bianco: patto di collaborazione con la Prefettura di Yamagata

Ottobre 2015

Oltre a quanto già conseguito, di cui abbiamo avuto modo di riportarvi nei giorni scorsi, nel mese di ottobre la Fondazione Romualdo Del Bianco ha siglato un patto di collaborazione con la Prefettura di Yamagata. Lo scambio del documento ufficiale è avvenuto a Expo 2015, presso il Padiglione Giapponese, in occasione della presentazione da parte della Prefettura della sua cultura alimentare.

Tutti i dettagli, nel comunicato stampa

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Lella & Gianni Morra: Netsuke e oggetti d'arte

Dicembre 2015

Lella & Gianni Morra ci segnalano le loro recenti acquisizioni: netsuke e altri oggetti, tra cui vasi, cesti per ikebana e altro ancora. Di seguito, un'anteprima delle collezioni visualizzabili sul loro sito:

Guardiano con lanterna
Bue accovacciato
Sambō Kōjin
Bussola e meridiana
Vaso in bronzo di Yasumi Nakajima II
Vaso da muro per l’ikebana
Tazza in ceramica

 

Netsuke: www.morra-japaneseart.com/it/oggetti-d-arte/netsuke.html
Gli altri oggetti: www.morra-japaneseart.com/it/oggetti-d-arte/oggetti.html

Lella & Gianni Morra
Stampe, Libri Illustrati e Oggetti d'Arte Giapponese 
info@morra-japaneseart.com
+39 041 52 88006


Il Giappone studia “Life Beyond Tourism”

1 ottobre 2015

Vi riportiamo il resoconto dell'interessante iniziativa che tra agosto e settembre scorsi ha coinvolto la Fondazione Romualdo Del Bianco di Firenze e l’Università Josai International di Tokyo. Il progetto ha previsto lo svolgimento di un corso intensivo sul tema Life Beyond Tourism che ha riscosso molto successo, tanto che l'Università proseguirà con altri corsi intensivi nei prossimi semestri. Tutti i dettagli nel comunicato stampa.

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Gatti Giapponesi - Ritratti felini dagli inizi del Novecento ai giorni nostri

Di seguito vi riportiamo maggiori dettagli sulla recente pubblicazione Gatti Giapponesi - Ritratti felini dagli inizi del Novecento ai giorni nostri, della quale vi avevamo già dato notizia in occasione della presentazione del libro lo scorso 6 dicembre al Palazzo dei Congressi di Roma.

Diego Cucinelli (autore e curatore del volume) Lorenzo Casadei (editore)

Diego Cucinelli (a cura di), GATTI GIAPPONESI - Ritratti felini dagli inizi del Novecento ai giorni nostri, Casadeilibri, 2015

Breve sinossi:

I dieci racconti racchiusi in questo volume esemplificano la consacrazione del gatto nella letteratura giapponese moderna e contemporanea. Gli autori, tutti grandi amanti dei felini, spaziano dal romanziere di fama internazionale Natsume Sōseki allo scrittore fantasy Kyōgoku Natsuhiko, recente caso letterario. Anche per quanto riguarda i generi si è cercato di offrire al lettore il ventaglio di possibilità più ampio possibile, affinché possa ammirare l'animale da più prospettive e ne emerga la straordinaria versatilità che ha ispirato personalità artistiche eterogenee e distanti tra loro: scritti privati, testi visionari con gatti spettrali e fiabe moderne dalle molteplici chiavi di lettura. Agile e sinuoso quindi non solo nelle movenze, ma nell'essenza stessa, il gatto assurge a topos letterario che permette di individuare un filo che unisce passato e presente del Giappone e, al contempo, il suo rapporto con le culture straniere.

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Yayoi Kusama raccontata dal Wall Street International Magazine

13 dicembre 2015

Vi riportiamo integralmente un articolo molto interessante, dedicato da Giovanna Lacedra all'artista Yayoi Kusama per il webzine Wall Street International Magazine. Un viaggio alla scoperta della storia che si cela dietro l'eccentricità della nota artista del pois (e non solo).

Yayoi Kusama
L’ossessione che mi ha salvato la vita

Se non fosse stato per l'arte mi sarei uccisa molto tempo fa
(Y. Kusama)

Siamo in America, agli albori del neofemminismo. Le donne rivendicano il diritto di essere se stesse: di esprimersi, di contestare, di criticare. E usano ogni mezzo per farlo. Il corpo stesso diventa linguaggio. La lotta per la parità dei diritti e contro ogni forma di discriminazione porta le donne a unirsi in associazioni, spazi di confronto, laboratori e gallerie in cui produrre – e proporre – un’arte sempre più polemica, sferzante ed eversiva. Gruppi come il WAR (Women Artists Revolution), nato nel 1968 dalla costola dell’AWC (Art Workers Coalition) associazione di critici, artisti e autori e curatori, o l’A.I.R. Gallery (Artists in Residence), residenza aperta per contaminazioni tra artiste, esprimono una chiara disapprovazione nei confronti di un sistema dell’arte da sempre maschiocentrico, e portano alla luce artiste come Ana Mendieta, Nancy Spero, Judy Chicago, Miriam Shapiro, Louis Borgeois, Eva Hesse e altre.

Tra queste altre ce n’è una che arriva da molto lontano. Approda negli Stati Uniti con la speranza di divincolarsi da una serie di costrizioni che la sua terra d’origine le ha cucito addosso. Si chiama Yayoi Kusama, viene dal Giappone. È molto fragile ma molto ostinata, e desidera solo trovare la sua strada.

Nata nel 1929 a Matsumoto, un piccolo paese tra le montagne vicino a Tokyo, Yaioi inizia a dipingere giovanissima, ma presso la scuola d’arte di Kyoto viene iniziata a una pittura di grande rigore formale, attraverso la quale non trova la possibilità di esprimere il proprio potenziale creativo. Il Giappone è ancora un paese troppo conservatore e lei vorrebbe andarsene. Quella di allontanarsi, però, non è certo una scelta facile, e non lo è soprattutto a causa della sua fragilità. Sin da piccola, infatti, Yayoi soffre di allucinazioni e disturbi ossessivo-compulsivi. La rigidissima educazione familiare non la agevola in questo, anzi, pare alimentare la sua depressione latente. La sua infanzia e la sua adolescenza vengono poi indelebilmente segnate dal rapporto malato che esiste tra i suoi genitori, nonché dall’atteggiamento ossessivo e controllante della madre nei confronti di suo padre. Attanagliata dal timore del tradimento, infatti, la madre obbliga la figlia a pedinare il marito. Yayoi si fa complice. Lo controlla. Vive nella paura. E questo le nuoce. Poi arriva la guerra. E il duro, sfiancante, ripetitivo lavoro nelle industrie tessili della zona. Tutta la sua vita appare una prigione. Un loop ossessivo dal quale vuole liberarsi. Cresce. Sogna. Dipinge. E cerca il coraggio di osare. Alla fine ci riesce. È il 1956 quando, iscrivendosi alla Art Students League di New York, riesce a ottenere un visto per studenti che le permette di partire. Si stabilisce nella grande metropoli e prende subito a frequentare l’ambiente artistico della città.

Nascono i suoi primi lavori pittorici, non più condizionati dalla tecnica tradizionalista appresa in Giappone, ma guidati dalla sua tendenza alla ripetizione morbosa di un solo elemento: un solo segno, una sola ossessione, da riproporre instancabilmente e all’infinito. Infinity Net è infatti il titolo che da a questa serie di tele monumentali (alcune sono lunghe persino dieci metri) interamente invase da piccolissimi segni ondulati che creano trame fittissime. Infinity Net diventerà poi il titolo della sua autobiografia, edita in Giappone agli inizi del Duemila e in Italia nel 2013.

I primi tempi del lungo soggiorno newyorkese – che la porterà a collaborare con Andy Warhol, ad avere uno studio nello stesso stabile in cui lavorano Judd, Oldenburg, Cornell e a vivere una lunga relazione con quest’ultimo – sono decisamente duri. Senza soldi, ma piena di sogni, Yayoi sopporta il freddo e la fame. Come racconta nella sua autobiografia “il freddo mi arrivava alle ossa e i crampi per la fame non mi lasciavano dormire, così non potevo fare altro che stare in piedi e dipingere”.

Nel 1960 lei e Rothko sono i soli ad essere rappresentati in un sondaggio internazionale riguardante l’astrazione contemporanea organizzata da Udo Kultermann al Museo di Leverkusen, in Germania. In questo periodo Yayoi realizza le prime mostre personali e vende un’opera a Frank Stella. Dipinge, ma già accarezza l’idea di un’arte più totale. Invasiva. Infinita nella sua stessa forma. La tela, soltanto, non può più bastare. Occorre andare oltre. Oltre la parete. Oltre la superficie bidimensionale. E da questa esigenza nascono le sue Accumulation e Sex Obsession, vere e proprie invasioni ambientali dal carattere allusivo e sensoriale. Siamo intorno alla metà degli anni Sessanta quando a queste installazioni vanno ad aggiungersi vere e proprie azioni performative, che mettono in campo il motivo decorativo-ossessivo che più d’ogni altro l’ha resa celebre: i pois. Yayoi realizza performance in luoghi pubblici come il Central Park o in spazi istituzionali come il MOMA, durante le quali dipinge pois sui corpi nudi di volontari partecipanti. Queste azioni vedono, però, il frequente intervento delle forze dell’ordine.

L’arte, lo sappiamo bene, è terapia. Il dolore, il trauma, il disagio trasposti sulla tela, nella materia o nell’azione comportamentale, portano a sublimare, a liberarsi, a portare fuori da sé ciò che ci avvelena. Come diceva Ana Mendieta “Ho due opzioni: essere una criminale o un’artista… ”. Scegliere di essere un’artista è certamente salvifico, anche se non sempre risolutivo. In ogni caso, il groviglio incandescente che si ha dentro, può alchemicamente prendere altre forme. Può diventare qualcosa d’altro, qualcosa che “l’altro” può accogliere, leggere, ricevere e interpretare. Per questa ragione, i pois ripetuti all’infinito sono metafora, trasposizione, sublimazione di una ossessività che Yayoi riesce a convertire. Nel 1966 partecipa con Louise Borgeois ed Eva Hesse a una mostra collettiva titolata Astrazione Eccentrica. Lo fa con una installazione dai riferimenti niente affatto casuali: in un sistema ancora incentrato sul patriarcato, la moltiplicazione infinita della forma fallica – che ne simboleggia potere e virilità, supremazia e totalitarismo – appare più che idonea.

E allora, ecco che lo spazio viene invaso da sacchetti fallici bianchi e pieni di ovatta. Una vera e propria accumulazione in cui specchi riflettenti accolgono un tappeto invaso da candide protuberanze. Nello stesso anno Yayoi viene censurata alla Biennale di Venezia. Ben incastonata nella cornice polemica di quegli anni, l’idea dell’artista è quella di indossare un kimono dorato per poi sedersi in un prato di sfere metalliche messe in vendita a un prezzo simbolico. Il chiaro riferimento al funzionamento del sistema dell’arte non viene accolto positivamente dagli organizzatori della Biennale, che le vietano di esibirsi, benché siano stati essi stessi a invitarla ufficialmente. In definitiva, la performance Narcissus Garden viene annullata. Ma la Kusama tornerà in Biennale più avanti, esattamente nel 1993, realizzando una delle sue più note installazioni site specific: una sala di specchi occupata da monumentali zucche pervase di pois neri. Sculture giganti analoghe a questa le verranno commissionate altrove, negli anni a seguire. Una delle più note si trova proprio in Giappone, a Naoshima, un’isola di pescatori. Si intitola Pumpkin, è una zucca gialla a pois neri situata nel mare di Seto.

Ma torniamo all’esperienza americana. Questa si rivela rigogliosa e rivelativa: le permette di conoscere se stessa, di elaborare il proprio linguaggio. Ma dura meno di un ventennio. Nel 1973, in seguito alla morte di Cornell, Yayoi rientra in Giappone. Dipinge, scrive poesie, lotta con il proprio malessere. Torna a New York. Espone. Torna ancora una volta a Tokyo, si fa ricoverare presso il Seiwa Hospital di Tokyo. Poi riparte per New York, ma le sue condizioni psichiatriche – che già nel corso degli anni l’avevano più volte portata all’esaurimento nervoso – peggiorano. Viene sempre più frequentemente sorpresa da allucinazioni e attacchi di panico. E così, nel 1977 decide di sua spontanea volontà di rientrare in Giappone e farsi ricoverare in un ospedale psichiatrico, per ricevere le giuste cure e il controllo opportuno. Quel ricovero diviene permanente. Tanto che ancora oggi la Kusama vive in quell’ospedale. Ha uno studio, all’interno di un monolocale con ingresso indipendente, nel quale si chiude ogni giorno, dipingendo pois a un ritmo serrato. "Un pois ha la forma del sole, che è un simbolo dell'energia di tutto il mondo ed è la nostra vita vivente, e ha anche la forma della luna, che è calma (…). Un pois è movimento in divenire e tanti pois sono un modo per indagare l’infinito…”.

Ogni giorno lavora a un’opera, anche fino alle tre del mattino. La pittura è il suo tutto: la tiene in contatto con il mondo, le permette di reinventarsi l’infinito. I pois generano costellazioni. Ampliano la realtà. Sono un percorso che non ha mai fine. Sono il suo alfabeto e negli ultimi anni l’hanno persino portata a collaborare con una delle case di moda più note al mondo, la Louis Vuitton, per la quale ha realizzato una linea di borse, portafogli, occhiali da sole, foulard e accessori vari, fino a una intera collezione di capi d’abbigliamento.

Yayoi Kusama è oggi una delle artiste viventi più pagate nel circuito delle aste. Esposta in musei come il Walker Art Center di Minneapolis, il MOMA di New York e la Tate Gallery di Londra, vive e lavora presso il Seiwa Hospital di Tokyo.


Viaggio In-Giappone

Giovedì 8 ottobre 2015

Vi segnaliamo Viaggio In-Giappone libro di Leonardo Romanelli, diario di un viaggio di tre mesi in Giappone compiuto dall'autore. Il libro è stato pubblicato nel 2011 in italiano, ma quest'anno è uscita la sua versione in inglese. Disponibile su Kindle.

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Descrizione

 

Scrivere questo libro è stata un'avventura in quanto sarà un'avventura per chi la legge!

Questo libro si presenta come una lettura meditativa. Oggi è molto facile viaggiare, ma vivere il viaggio è un'altra. Un diario per raccontare un viaggio di tre mesi in Giappone, dove ho lavorato come volontario in azienda agricola biologica, in cambio di vitto e alloggio. Durante questo soggiorno in Giappone, ho assistito al tragico tsunami. L'intenzione del viaggio; come la maggior parte dei miei viaggi in tutto il mondo, era di viaggiare senza un piano o un programma, ma lasciarmi fluire. Cercando di rimanere nel momento presente senza giudizio e accettare qualsiasi evento senza desiderare di cambiarlo. Questo libro non vuole essere una guida o di dare consigli. Questo libro potrebbe inspirare a conoscere altre culture e soprattutto se stessi.

Presentazione dell'autore

 

Dopo aver viaggiato per molti paesi nel mondo, ho sentito l’aspirazione di scrivere un Diario di Viaggio. Tutto è stato spontaneo ed il fatto che è stato scritto in Giappone è stato solo un caso (forse). Essendo scritto da un essere umano, spesso riflette il modo di vedere dell’autore, le opinioni e i condizionamenti. Ma l’idea di scrivere il Diario era proprio quella di cercare di scrivere con attenzione, ma con distacco, tutto quello che accadeva fuori e dentro di me. Mantenendo vivo lo scopo di rimanere distaccato, tutto è stato vissuto con estrema intensità percettiva, osservando e notando tutti i minimi particolari che accadevano. Durante un viaggio in una cultura diversa da quella in cui sei vissuto per tanti anni, tutto viene scombussolato, corpo, mente, abitudini: è impossibile tornare da un viaggio e rimanere quello che eri prima! Con un giusto atteggiamento, tutto può sembrare divertente ed eccitante, con molte sorprese, curiosità e intuizioni. Questo accade nella vita di tutti i giorni, ma quando si viaggia per altri paesi, in altre culture, tutto viene triplicato: è come se si vivesse un’altra vita in questa vita. Il viaggio è stato senza programmazione, pianificazione e meta, modalità grazie alla quale si può notare e vivere la bellezza della spontaneità, dove tutto si incastra come un puzzle momento per momento. I luoghi, le situazioni, le persone incontrate: ognuno ti lascia qualcosa, un messaggio, un'emozione o un'intuizione. Viaggiare oggi non è molto difficile, ma vivere il viaggio è tutta un’altra cosa. Inoltre c’è un'associazione che ti permette di essere ospitati in aziende agricole biologiche a conduzione familiare, lavorare (collaborare) in cambio di vitto e alloggio. Oltre a lavorare a contatto con la natura, la cosa più bella è vivere e immergersi nella cultura del posto, in cui si incontrano persone semplici, a cui piace condividere tutto quello che hanno, persone straordinarie. Durante questo viaggio ho potuto vivere anche la catastrofe dello Tsunami; ero molto distante da Fukushima circa a 800 Km. Non ho avvertito niente della scossa, ma ho potuto vedere e vivere la reazione dei giapponesi di fronte ad una tragedia del genere. Coscienti di vivere in uno dei paesi più a rischio al mondo per questi eventi naturali (spesso catastrofici a causa dell’essere umano), ho potuto notare la freddezza, la solidarietà e l'organizzazione di questa cultura. Una signora giapponese mi ha raccontato che la figlia aveva perso la vita nel terremoto in Nuova Zelanda: era un suo sogno andare in Nuova Zelanda ed è morta facendo quello che ha sempre voluto fare! Ciò può descrivere bene, secondo me, questo popolo incredibile.

Descrivere un viaggio con tanto distacco mi ha dato la possibilità di viverlo intensamente; spero che ciò possa accadere a chi legge questo libro e condividere intuizioni, idee, curiosità e altro.
Buon Viaggio a tutti.


I film di Ozu in Blu-ray con la Tucker Film

5 novembre 2015

Vi riportiamo in allegato il comunicato stampa con cui la Tucker Film annuncia l'intenzione di portare in Blu-ray sei dei più grandi capolavori del popolare regista giapponese Ozu Yasujiro. La Tucker Film da un po' di tempo sta infatti portando avanti un progetto dedicato a Ozu, quello di riportare in auge i suoi capolavori, per il quale già lo scorso giugno sono stati riproposti al cinema sei film restaurati del grande regista. Dopo il successo nelle sale, il passo successivo è ora con il blu-ray quello di trasferire tale diffusione anche online. Dato il costo di tale operazione è aperta una raccolta fondi che scadrà il prossimo 30 novembre.

Comunicato stampa, Istruzioni Kickstarter

Per ulteriori informazioni:
tucker@tuckerfilm.com
+39 0434 520404


Uscito il libro “Il cimitero del sole” di Beniamino Biondi

Vi segnaliamo l'uscita del libro di Beniamino Biondi Il cimitero del sole. Il cinema della nouvelle vague in Giappone edito da Pungitopo. Di seguito, la presentazione:

Beniamino Biondi

Il cimitero del sole.
Il cinema della nouvelle vague in Giappone

Pag. 136 – € 16,00

Il termine nuberu bāgu appare per la prima volta sulla rivista“Shūkan Yomiuri” – dopo l’uscita del secondo film di Nagisa Ōshima, Racconto crudele della giovinezza (1960) –, maturando l’opinione di un’influenza della nouvelle vague sul lavoro dei giovani cineasti giapponesi, che, invece, hanno sempre rifiutato la genesi di questa definizione respingendola con forza. Più giustamente, invece, col termine nuberu bāgu è possibile fare riferimento allo spirito di rigenerazione culturale del cinema dei primi anni sessanta e all’origine del clima politico della cosiddetta Nuova Sinistra. Le analogie tra i giovani cineasti si assegnano a una fisionomia comune che risalta nella decostruzione degli elementi della tradizione cinematografica – collocati a una nuova forma di rappresentazione – e nel carattere innovativo dei temi svolti e delle tecniche di stile adoperate. Rifiutando i modelli precedenti con uno stile personale e inedito, i registi della nuberu bāgu hanno maturato una «coscienza autoriale soggettiva» (sakkatoshite no shutaisei) dialettizzando uno sguardo critico attraverso nuove forme di espressione, in polemica con gli assunti moderati e rigidi del cinema del passato.

Alla riedizione di un testo di Donald Richie sulla nouvelle vague giapponese, con un capitolo sui precursori del movimento e un brevissimo profilo d’introduzione, seguono alcune sezioni monografiche sugli autori più significativi del Nuovo Cinema degli anni Sessanta (con la riscoperta di un cineasta radicale e controverso come Akio Jissoji), scegliendo però di non affrontare le carriere di Nagisa Ōshima e Shōhei Imamura – in quanto a loro sono già stati dedicati ampi studi in lingua italiana – e ancora di Seijun Suzuki e Kaneto Shindo, figure di primo piano ma sostanzialmente laterali al movimento.

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Beniamino Biondi è nato e risiede ad Agrigento. Ha compiuto studi classici e si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo. Scrittore e saggista, si occupa di poesia e di cinema. Collabora con riviste di letteratura e critica cinematografica, cura rassegne di cinema d’autore e ed è direttore di collana per alcuni editori. Come relatore partecipa a numerosi convegni e giornate di studio. È membro del Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici e Presidente di Giuria del Festival del Cinema Archeologico di Agrigento. Ha curato l’edizione delle poesie complete del filosofo Aldo Braibanti ed ha pubblicato numerose opere di letteratura e saggistica critica e teorica.

Per il cinema, di lui sono usciti:Il volto della Medusa. Il cinema di Nikos Koundouros (2010); Fata Morgana. Il cinema catalano e la Scuola di Barcellona (2011); Sangue nudo. Il cinema terminale di Hisayasu Sato (2011); Messico! Cinema e rivoluzione (2011); Cronaca di una farfalla in lutto. Scritti sul Nuovo Cinema giapponese (2011); Giappone Underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70 (2011); Il cinema di Michael Winner (2011); Il cinema di Don Siegel (2011); Prometeo in seconda persona. Il Nuovo Cinema greco (2012); Giganti e giocattoli. Il cinema di Yasuzô Masumura (2013); Il cinema di Kim Jee-Woon (2013); Francis Ford Coppola. Il romanticismo pre-digitale (2014).

Contatti:

www.beniaminobiondi.it

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