Un tanka alla settimana
"Ahi, che delirio:
dormiente o desto,
sempre mi tormenta la brama!
Dove manderò il mio cuore
per trovare quieto oblio?"
"Warinaku mo
nete mo samete mo
koishiki ka
kokoro wo izuchi
yaraba wasuremu"
わりなくも
寝ても覚めても
恋しきか
心をいづち
遣らばわすれむ
Anonimo
Tra sogno e realtà - Intervista a Fuco Ueda
Fuco Ueda, classe 1979, è una delle artiste contemporanee giapponesi di maggior successo. I suoi dipinti - che normalmente vengono inseriti all'interno della corrente pop surrealista nipponica - mischiano sapientemente immagini leggere ed eteree con elementi più inquietanti. Grazie alle sue iconiche e riconoscibilissime opere d'arte, debitrici in una certa misura dell'influenza di Yoshitomo Nara, Ueda sta diventando sempre più popolare, sia in patria sia all'estero. L'abbiamo intervistata in occasione della sua prima mostra in Italia, che sarà ospitata da Dorothy Circus Gallery a partire dal 9 giugno.
-Qual è stato il suo percorso artistico?
Dopo terminato il liceo, dove ho studiato arte, ho proseguito gli studi in un'università di arte di Tokyo.
- Sembra che nelle sue opere ci numerosi elementi contraddittori. Ad esempio ci sono giovani donne e bambine innocenti, accanto a numerosi elementi macabri e orripilanti. Che significato hanno?
Nel 2011 ho pubblicato in Giappone un libro di illustrazioni dal titolo “Lucid Dream”. “Lucid Dream” (sogno lucido) è quella particolare condizione in cui durante un sogno ci si rende conto di star sognando. Ce ne accorgiamo dicendo “Ma questo è un sogno”, ma ugualmente continuiamo a sognare. Uno degli aspetti più interessanti di un sogno lucido è il venire sommersi completamente da immagini e figure che superano ampiamente la nostra immaginazione, nonostante cerchiamo di manipolare coscientemente il sogno. Ho scelto questo titolo perché si avvicina straordinariamente a quello che voglio esprimere con lo stile delle mie opere. Secondo me, nel realizzare un dipinto c'è insita la gioia di essere completamente sopraffatti dalle immagini. Ci è possibile raggiungere posti che normalmente non potremmo nemmeno sfiorare, nascosti nel profondo del nostro inconscio. I motivi delle mie opere finiscono per essere ragazze, animali, insetti e giganteschi crisantemi. Sono tutte immagini simboliche, esseri estranei a un normale rapporto servo-padrone. Forse non ci è possibile comprendere sufficientemente queste misteriose relazioni. L'ansia o la paura di non poter comprendere le altre persone, la trovo estremamente interessante e stimolante.
- Le sue opere sono state esposte, tra l'altro, alla Galleria Jonathan Levin di Jersey City, insieme ad altri artisti della Galleria Kogure. Da dove è nata questa collaborazione?
È stata la Galleria Jonathan Levin che ha contattato la Galleria Kogure. All'inizio speravo di poter organizzare una mia mostra personale, ma la Galleria Kogure ha pensato potesse essere una buona chance per presentare altri artisti giapponesi e così è diventata una mostra "a quattro".
- A questo proposito, sembra che nelle opere degli altri artisti della Galleria Kogure, come ad esempio Takuto Yamamoto o Takahiro Hirabayashi, ci siano numerose somiglianze con la sua pittura. Secondo lei quali potrebbero essere i punti di contatto?
Prima di tutto, la galleria ha una forte tendenza verso la pittura rappresentativa. Una peculiarità di questi artisti è il mix tra l'influenza della tecnica pittorica tradizionale giapponese (nihonga, cioè pittura giapponese) e differenti sottoculture giapponesi. Inoltre la galleria Kogure ha una tendenza nel preferire artista dalla tecnica molto raffinata.
- Ha esposto anche in altre galleria all'estero? Ha mai partecipato a fiere d'arte
I miei quadri sono stati esposti in varie gallerie, sia in mostre di gruppo, sia in "personali". Per esempio, a Taiwan, in Germania o in America. In particolare sono stata tante volte a Los Angeles, alla Galleria Thinkspace. Per quanto riguarda le fiere d'arte ho partecipato molte volte a quelle che si svolgono in Asia, come a Taiwan o a Hong Kong.
- Le sue opere sono state d'ispirazione per lo sviluppo del videogame The Path. È stata coinvolta direttamente nello sviluppo?
Per quanto riguarda The Path, sono stata contattata dall'autore che mi ha detto che era stato molto influenzato dalle mie opere. Purtroppo non ho giocato al gioco, quindi non posso dire precisamente.
- Da quali film, libri, opere d'arte o manga è stata maggiormente influenzata nella sua arte?
Oltre all'arte, quello che per me costituisce la maggior fonte d'ispirazione è la letteratura giapponese antica, i vecchi manga e i film. Gli autori che mi piacciono di più sono Yumiko Kurahashi, Hyakken Uchida, Yukio Mishima, Tatsuhiko Shibusawa. Di manga mi piacciono molto quelli di Jun Mihara, Moto Hagio, Sakumi Yoshino, Fumiko Takano, Katsuhiro Otomo, Kazuo Umezu. I film mi piacciono tutti. Mi piace anche la danza, ad esempio Pina Bausch.
- Cosa ne pensa dell'arte giapponese contemporanea?
Penso che la scena giapponese sia un po' stagnante. Potrebbe essere dovuto alla cattiva influenza della lingua giapponese. Moltissimi artisti non parlano inglese - me compresa purtroppo - e questo non fa altro che creare ancora più distanza con il mondo dell'arte occidentale. In più, la sottocultura degli anime e dei manga che si è sviluppata in modo del tutto peculiare in Giappone, ha conquistato i cuori di molti più giapponesi rispetto all'amore per l'arte contemporanea. L'arte purtroppo non ha avuto la stessa forza aggregante, capace di cementificare una sottocultura attorno a essa. Gli artisti di successo lavorano per lo più all'estero, mentre le attività in Giappone sono molto limitate.
- Questa è la prima volta che espone una mostra in Italia. Quali sono le sue aspettative?
Ho grandi aspettative per questa mostra! L'Italia è la terra d'origine delle belle arti, non vedo l'ora di girare e visitare musei. E poi vorrei anche mangiare qualche cibo prelibato. Voglio proprio godermi questa trasferta in Italia.
Intervista e traduzione di Federico Moia
Un tanka alla settimana
"Benché m'immerga
nell'acqua, tra le onde
vano è cercare
quelle perle che svaniscono
e riaffiorano ad ogni soffio di vento"
"Kazukedomo
nami no naka ni wa
sagura rede
kaze fuku goto ni
ukishizumu tama"
潜けども
波のなかには
探られで
風吹ごとに
浮きしづむ球
Ki no Tsurayuki
Un tanka alla settimana
"L'amo, eppure
lo stesso provo ritrosia:
ché non ci sarà montagna,
penso, che la foschia primaverile
non avvinghi."
"Omoedemo
nao utomarenu
harukasumi
kakaranu yama no
araji to omoeba"
思へども
猶うとまれるぬ
春霞
かからぬ山の
あらじと思へば
Anonimo
Quattro haiku inediti di Floriana Porta
La poetessa Floriana Porta ha voluto condividere con noi quattro suoi recenti componimenti poetici, ispirati agli haiku giapponesi.
lungo le ampie
maniche del kimono
tre soli versi
rami cespugli
e ciuffi di eriche
tacito bosco
candele spente
un suono smemorato
scrive nel cielo
carta di riso
è ancora lontano
il primo fiato
Ricordiamo che il termine haiku deriva da haikai (俳諧), con cui si indicava tutti quei componimenti di carattere scherzoso o dai contenuti umili, ben diversi da più prestigiosi e rigidi waka, strettamente codificati. La contrazione, in particolare, di haikai no ku (俳諧の句, verso di un haikai) è l'origine del termine haiku (俳句). Si tratta di un componimento in 17 more, e non di 17 sillabe come solitamente si pensa. La mora è l'unità fonetica minima della lingua giapponese e corrisponde a un singolo kana. Per questo motivo, in giapponese viene talvolta chiamato anche jūshichimoji (17 caratteri) o jūshichion (17 suoni).
Oltre alla lunghezza di 17 sillabe, le sue caratteristiche fondamentali sono l'inserimento di un riferimento alla stagione ( 季語, kigo, letteralmente "parola della stagione") e una parola di cesura (切れ字) che indica un capovolgimento semantico e/o concettuale nel poema. Inoltre, l'haiku deve far tornare la memoria a un avvenimento passato.
Le origini culturali dell'haiku sono invece molto discusse. Alcuni critici lo reputano una semplificazione strutturale dello waka (poesia giapponese, chiamato anche tanka, poesia breve), anche se la maggior parte degli studiosi sono concordi nel ritenerlo un derivato del renga (連歌, poesia a catena). Per la precisione, lo haiku corrisponde alla prima strofa di un componimento a catena, chiamato anche hokku (発句, strofa iniziale), con cui condivide la struttura metrica 5-7-5. Anche tematicamente lo haiku e il renga sono molto vicini. A cavallo tra il XVI e il XVII secolo, infatti, la poesia a catena divenne estremamente popolare, iniziando a trattare anche argomenti più "bassi", miscellanei.. Libera, quindi, dai dettami stilistici e retorici del tanka, questa nuova forma di poesia ottenne un grandissimo successo in tutti gli strati della popolazione.
Floriana Porta
http://www.florianaporta.it/
https://www.facebook.com/floriana.porta
Un tanka alla settimana
"Neppure la polvere
lascerei posare
su questo garofano selvatico
sbocciato, tenero come il giaciglio
ove mi corico con la mia amata."
"Chiri o dani
sueji to zo omou
sakishi yori
imo to wa ga nuru
tokonatsu no hana."
塵をだに
据ゑじとぞ思ふ
咲きしより
妹とわが寝る
とこ夏の花
Ochikoshi no Mitsune
Un tanka alla settimana
"Solo stamane,
per la prima volta, vidi
l'incanto di questo fiore,
che, invero, m'appare
fatuo e volubile".
"Ware wa kesa
ui ni zo mitsuru
hana no iro o
adanaru mono to
iubekarikeri"
我はけさ
初にぞ見つる
花のいろを
あだなる物と
いふべかりけり
Ki no Tsurayuki (872-945)
Un tanka alla settimana
"La sorgente di montagna,
intorbidita dalle gocce
stillate dalla mano di chi vi attinge,
non appaga la sete; e io, lungi dal saziarmi
della tua compagnia, devo separarmi da te."
"Musubu te no
shizuku ni nigoru
yama no i no
akade mo hito ni
wakarenuru kana."
むすぶ手の
滴ににごる
山の井の
あかでも人に
わかれぬる哉
Ki no Tsurayuki (872-945)
Hanami - Le origini della tradizione
Il fiore di ciliegio – sakura – è da tempo immemorabile uno dei simboli più cari ai giapponesi e l’hanami, la rituale gita fuori porta per andarne ad ammirare la fioritura, è una delle ricorrenze più sentite dell’anno. L’origine della tradizione affonda le sue radici nella tradizione agricola, per poi evolversi e arricchirsi nel corso dei secoli di altri significati, contagiando anche l’arte, la letteratura e la filosofia. E arrivando così a forgiare alcuni dei concetti estetici più importanti della cultura nipponica.
“Se mi chiedessero quale sia lo spirito di questa nostra isola, risponderei un ciliegio in fiore che rifulge nel sole del mattino.”
Con questa frase Motoori Norinaga (1730 - 1801), uno dei più importanti studiosi delle tradizioni giapponesi, riassume efficacemente l'amore che i giapponesi nutrono da secoli verso i fiori di ciliegio, i sakura, e ci aiuta a comprendere come mai ogni anno la ricorrenza dell'hanami sia così sentita.
Hanami significa letteralmente "ammirare i fiori", che nella cultura giapponese sono, per antonomasia, quelli di ciliegio. Questa completa sovrapponibilità dei due termini ha origini antiche, tanto che nella maggior parte delle poesie di epoca Heian (794 – 1185) sono usati come sinonimi. La tradizione trova le sue origini nella cultura agricola, quando le antiche popolazioni dell’arcipelago giapponese festeggiavano l’inizio della primavera, cioè della stagione in cui era nuovamente possibile dedicarsi al raccolto. Il periodo della fioritura dei ciliegi, in particolare, corrisponde al momento in cui avvengono le prime piantumazioni del riso, alla base dell’alimentazione giapponese. Si può capire, quindi, come mai questo momento fosse così sentito.
Per vari secoli, in realtà, l’oggetto di attenzione dell’hanami non erano solamente i sakura, ma numerose altre specie floreali, tra i quali il più popolare era il fiore di susino (ume). Questo primato del fiore di susino è confermato anche dalla frequenza con cui il termine ricorre nel Man’yoshu, un’antologia poetica del 759. L’ume è soggetto di ben 110 componimenti, mentre appena 43 poesie mettono al centro i sakura. Tale tendenza viene poi ribaltata in epoca Heian, quando il fiore di ciliegio diventa ufficialmente il più popolare. La data simbolica in cui, si dice, il sakura assurga a fiore simbolo del Giappone è l'830, quando l'imperatore Ninmyo decide di sostituire un susino all'interno di uno dei cortili del palazzo imperiale con un ciliegio, via via rinnovato nella posizione originaria fino ai nostri giorni.
Da questo momento in avanti, la popolarità dei fiori di ciliegio non accenna più a diminuire. Durante il periodo Meiji (1868 – 1912), in cui iniziano a svilupparsi le idee alla base del nazionalismo nipponico, il cui apogeo viene poi toccato tra le due Guerre mondiali, il fiore di ciliegio viene anche usato in maniera propagandistica, paragonandolo alle vite dei giovani soldati. Un parallelo, in realtà, già presente nella cultura samuraica, ma che qui assume un significato del tutto nuovo, in quanto si vuole glorificare i soldati morti in guerra paragonandoli a uno dei simboli più cari ai giapponesi.
In effetti, il fiore di ciliegio si presta particolarmente a questa similitudine. Dal momento in cui sboccia a quello in cui sfiorisce non passano che due settimane. La bellezza caduca di questo fiore è sempre stata molto apprezzata dai giapponesi e costituisce il paradigma di uno dei concetti estetici fondamentali dell’arte e della letteratura del Sol Levante, il mono no aware, cioè stupore, meraviglia delle cose. Il concetto esprime l’idea di una bellezza straordinaria, che lascia senza parole, ma che è fragile e destinata a svanire in fretta. Questo effimero splendore genera un sentimento di malinconia. Si può capire facilmente come questo concetto sia intrinseco alla vita giapponese, se si pensa alla precarietà determinata dalle condizioni ambientali nell’arcipelago. I frequenti fenomeni sismici o i tifoni rischiano, infatti, di cancellare da un momento all’altro la vita e le opere dell’uomo. E solo negli ultimi decenni le tecnologie costruttive stanno facendo svanire questa cultura collettiva.
Forse anche per questo i giapponesi hanno sempre mostrato un’elevata sensibilità verso quella bellezza fragile e delicata, che può svanire da un momento all’altro.
Federico Moia
Un tanka alla settimana
"L'amo, eppure
dice sempre
che non mi ama;
basta, non l'amerò più:
non vale la pena amare."
"Omoedomo
omowazu to nomi
iunareba
ina ya omowaji
omou kai nashi".
思へども
思はずとのみ
言ふなれば
否や思はじ
思ふかひなし
Anonimo