Un'estate in Giappone. Diario di viaggio - Prima tappa: Tokyo
Ormai l'estate ci ha travolti. La voglia di evadere dal caldo delle città sempre maggiore. Così, noi di Giappone in Italia vogliamo proporvi un viaggio. Niente paura: non servirà nessun biglietto aereo, ma basterà seguire le nostre pagine. Un viaggio alla scoperta di otto fantastiche località del Giappone, al di fuori dei soliti itinerari turistici.
Dopo questo primo appuntamento di lunedì, ogni sabato, una nuova pagina di questo diario di viaggio, alla scoperta di luoghi misteriosi, rotte inusuali e suggestioni inedite. E chissà che qualcuno, mosso da questi incantevoli scorci di Giappone, possa decidere di andarci davvero nel suo prossimo viaggio nel Paese del Sol Levante.
La prima tappa ci porta nella capitale, Tokyo. Pronti? Si parte!
Tokyo è un luogo che spaventa.
La sua imponente modernità ricca di vetro e di altezze le dona spesso uno strano immaginario; troppo urbana, troppo futuristica, troppo americana. Troppo poco giapponese. Un luogo che suona troppo estraneo eppure in qualche modo già visto, come se fosse assimilabile a qualsiasi altra capitale sparsa in giro per il mondo. Ecco, forse Tokyo sembra spesso il prototipo della metropoli inumana che per qualche motivo non fa parte delle aspettative di chi viaggia in Giappone.
In realtà, Tokyo si sottrae a qualsiasi paragone, e obbliga a interrompere il flusso delle immagini che si accavallano preventivamente quando si parla di questo posto.
Perché Tokyo è il luogo del silenzio. Silenzio inatteso e incredibile, proprio perché si è nel cuore di una delle più grandi aree urbane del mondo. Eppure, appena scesi dal treno, il silenzio è li pronto ad abbracciarti. Il silenzio di un traffico che scorre senza frastuono, di voci che chiacchierano senza invadenza, di biciclette che sfrecciano ai margini della strada. Certamente, ci sono delle isole nella città dove sembra invece verificarsi il fenomeno contrario, una sovrabbondanza di caroselli, musiche insistenti e richiami pubblicitari. Ma il silenzio è il vero padrone, è lui che rimane nell’anima e nella mente, un silenzio discreto e accogliente che sembra voler concedere il tempo – e lo spazio - per assestarsi alla grandezza e alla modernità.
E se ci si lascia condurre dal silenzio per le vie della capitale, si scopre che Tokyo è una città dalle molte anime. Sembra difficile individuare un unico centro da cui si irradi la vita cittadina. Al suo posto esiste una moltitudine di realtà che si giustappongono e si fondono l’una con l’altra. Succede così: siete usciti dalla stazione, diciamo a Ueno, e state camminando tra la folla seguendo la strada principale con ampi marciapiedi e corsie trafficate. Poi, voltate la testa e vi rendete conto che al vostro fianco c’è un piccolo passaggio tra due palazzi: in quella piccola via un mondo diverso si srotola davanti ai vostri occhi. Porte di legno, piccole lanterne, qualche gatto di quartiere, e vi sembra di essere stati trasportati indietro nel tempo di un centinaio d’anni. Nel mezzo di Tokyo, e allo stesso tempo anni luce lontani.
Per questo, è estremamente difficile dipingere Tokyo in maniera univoca; è Akihabara con i suoi infiniti piani di anime, ma è anche il silenzioso viale alberato di ciliegi appena fuori Shinjuku; è la purezza del cristallo di Ginza, ma è anche il calore del legno nelle piccole vie di Ueno. È la dimensione quasi paesana che si respira a Nakano, con le sue vie residenziali e le case monofamiliari, con i piccoli negozi di alimentari e i kombini rassicuranti. È la bellezza di una lunga camminata autunnale, mentre gli aceri si colorano di rosso.
E forse Tokyo da il meglio di sé se la si incontra camminando. Bisogna dedicarle tempo e sospendere il giudizio per poter ascoltare tutto quello che questa città ha da raccontare. E allora si può dimenticare gli itinerari preparati a tavolino e ci si può dedicare a percorrere le strade della città come farebbe uno qualsiasi dei suoi abitanti. Si può partire da Chiyoda, dal cuore del palazzo imperiale, passando attraverso il parco di Hibiya, per incamminarsi verso ovest, e raggiungere Harajuku percorrendo il parco Yoyogi. Poi continuare verso nord, in direzione Shinjuku Est, per arrivare infine, senza fretta, alla luminosa e trafficata Ikebukuro.
Tokyo non ama la fretta, nonostante tutto, e gli occhi vedono meglio quando si cammina con calma. Anche se si finisce quando il sole tramonta.
E proprio questo tramonto ha in Tokyo un’atmosfera diversa; è un tramonto precoce, che arriva prima che altrove, e improvvisamente tinge il cielo di un blu intenso. E mentre si passeggia nell’ora blu, si assiste alla magia della luce: la città si veste di migliaia di colori che brillano contro questo cielo dal colore sorprendente. Sono le infinite luce dei negozi, dei ristoranti, della normale vita che continua anche quando il sole non sta più a guardare, e di quella vita che si popola solo nel cielo più scuro; sono solo luci, eppure hanno il potere di trasmettere un’inattesa sensazione di calore e di accoglienza, mentre torna protagonista il silenzio che accompagna gli esseri umani per le vie della città, in una dimensione che non è solitudine ma quiete, e che sembra riconciliare lo spirito con questa città tentacolare, imponente eppure così profondamente umana.
Marianna Zanetta
www.mariannazanetta.com
Articolo originale: www.mariannazanetta.com/2016/09/27/10-things-made-fall-love-tokyo/
Un tanka alla settimana
"È lo stesso cuculo
che, l'estate scorsa,
fu prodigo nel canto,
oppure un altro?
Immutata risuona la voce..."
"Kozo no natsu
nakifurushite shi
hototogisu
sore ka aranu ka
koe no kawaranu"
去年の夏
なきふるしてし
郭公
それかあらぬか
こゑのかはらぬ
Anonimo
Shin Godzilla, il ritorno del moderno Kami
Quando il Giappone ricerca nell’intrattenimento l’esorcizzazione delle catastrofi che lo affliggono, un nome ed un marchio tornano a far sentire il proprio ruggito: Godzilla. Il signore dei kaiju è tornato! Il 3,4 e 5 Luglio approda in Italia, in proiezione limitata, l’ultimo capitolo della decennale saga del re dei mostri, intitolato Shin Godzilla.
Uscito nelle sale giapponesi il 29 luglio 2016, Shin Godzilla è la trentunesima pellicola della serie, a dodici anni di distanza dall’ultimo Godzilla: Final Wars. A differenza delle precedenti produzioni nipponiche, non si tratta di un seguito del capostipite del 1954, ma di un vero e proprio reboot che ricomincia la saga da zero ambientandola ai giorni nostri. Molto apprezzato dalla critica, il lungometraggio vanta la firma di Hideaki Anno, celebre autore di Neon Genesis Evangelion, che insieme a Shinji Higuchi, realizzatore degli effetti speciali, tenta di conferire un’impronta originale ad uno degli archetipi mostruosi più celebri della storia del cinema.
Più riflessivo, oscuro e cerebrale rispetto ai precedenti che sembra aver convinto gli addetti ai lavori. Dalla notte dei 40esimi Academy Awards giapponesi ne esce trionfante con sette premi vinti (miglior film, miglior regia, miglior fotografia, direzione artistica, illuminazione, montaggio e sonoro). Mai nessun episodio della saga aveva raggiunto un simile traguardo e il motivo di tale successo di critica ed incassi (oltre 76 milioni di dollari al box office mondiale) è essenzialmente dovuto ad un ragionato ritorno alle origini che la direzione creativa ha deciso di intraprendere.
Battezzato sul grande schermo da Ishiro Honda, all’insegna del terrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki, il re dei mostri ha rapidamente conquistato un vasto pubblico imprimendosi nell’immaginario collettivo come una metafora dell’impotenza dell’individuo nei confronti di una natura degenerata e corrotta dagli errori dell’uomo stesso. Grottesco, materico ed inscalfibile, questo nuovo Godzilla nasce come una concrezione amorfa di materiale biologico devastato dalle radiazioni per poi conquistare una forma definita e il suo classico aspetto bipede.
Shinto è la via degli dei, e shin, divino, è l’aggettivo che accompagna il nome della creatura. Come un kami moderno, la sua sagoma si erge sulla baia di Kamakura e Tokyo, assolutamente noncurante di ciò che si pone dinnanzi al suo passaggio. L’icona kaiju riacquisisce ancora una volta la caratteristica dell’imparzialità e dell’indifferenza nei confronti dell’operato umano. Il panico generatosi e i conseguenti tentativi di arginare l’emergenza sono un evidente riferimento ai tragici eventi della storia recente. Così come nel ‘54 era necessario trasfigurare in un simbolo l’olocausto nucleare, allo stesso modo “Shin Godzilla” si pone nei confronti dello tsunami del 2011. È un fenomeno naturale e, come tale, semplicemente accade, trattato con timore e riverenza, ma non odiato; né “buono”, né “malvagio”. La nazione deve salvarsi da sola e pertanto il film si focalizza sulle azioni umane intorno all’evento più che sull’evento stesso.
Il tema ecologico, corroborato dal marcescente aspetto che assumono le scorie rilasciate dal mostro, rievoca l’immaginario di Miyazaki e Otomo che spesso ha posto l’accento sul pericolo derivante dalla mutazione forzata della natura. Gran parte del minutaggio è dedicata a tesissime riunioni tra i piani alti del governo, gli scienziati e gli operatori sul campo. Variando tra momenti di satira leggera e sequenze più cupe, l’organizzazione collettiva e le strategie di contenimento descritte dal film ricordano l’azione eroica e sacrificale di quei cinquanta eroi che nel marzo del 2011 decidettero di sacrificarsi per arginare il potenziale distruttivo di Fukushima.
La macchina da presa è soprattutto impiegata ad altezza d’uomo, inquadrando spesso da vicino i volti concentrati e terrorizzati che rievocano le estremizzate ed enfatiche espressioni dei personaggi degli anime di Anno. Il mostro e l’azione che lo coinvolge sono realizzati con un misto di CGI ed effetti pratici. L’uso di riprese dal vivo e miniature della Tokyo distrutta è integrato con sequenze ricreate in motion capture. Tra modernità e tradizione il Re dei mostri torna nel suo ad affascinarci e terrorizzarci, ribadendo mai una volta di troppo quanto effimero e precario possa rivelarsi l’operato umano di fronte alla forza soverchiante degli elementi.
Michele Mariani
articolo completo su --> https://goo.gl/nWxQtE
Un tanka alla settimana
"Come la vetta del monte Fuji,
di un fuoco sterile,
se devi bruciare, brucia pure,
levando fumo inutile
che neppure la divinità spegne"
"Fuji no ne no
nuranu omoi ni
moeba moe
kami dani ketanu
munashi keburi o"
富士の嶺の
ならぬおもひに
燃えばもえ
神だに消たぬ
空しけぶりを
Ki no Menoto
Tra gyaru e visual kei: alla scoperta della moda giapponese
Il Giappone contemporaneo non è il Paese rigido e quadrato che molti immaginano. Tra gli strati della società, convivono e si influenzano reciprocamente numerose sottoculture, caratterizzate da altrettanti stili d'abbigliamento. Questo viaggio cercherà di analizzare alcune tra i kei (stili) più importanti e che maggiormente hanno plasmato la moda e l'immaginario giapponese degli ultimi decenni.
Decora Fashion: il termine decora è un adattamento fonetico dell'inglese decorative. Come suggerisce il nome, questa moda è caratterizzata dall'uso spropositato di accessori e dai numerosi strati di vestiti, che si sovrappongono gli uni gli altri. Di solito, i colori usati negli abiti sono tinte neon, che rendono questo look facilmente riconoscibile. Non sono rari, tuttavia, toni più neutri, come il rosa chiaro o il grigio. Nato a fine anni '90, raggiunge il picco della popolarità a metà anni 2000, dopodiché è sfumato nel fairy kei.
Bōsō Zoku: letteralmente, “bande della guida spericolata”. Il termine indica le gang di motociclisti amanti delle corse, della velocità e dei veicoli modificati. Popolari dalla fine degli anni '80, ancora oggi vengono identificati come teppisti dediti al disturbo della quiete pubblica. Il look è caratterizzato da giacche di pelle molto lunghe, bende, borchie e catene. Spesso i loro abiti sono decorati con kanji e simboli dell'Impero Giapponese. Nella cultura di massa sono celebrati da manga come Shonan Junai Gumi e film come God Speed You! Black Emperor.
Dolly kei: moda popolare negli ultimi anni, che punta ad avere un vibe fiabesco, rifacendosi all'aspetto di bambole antiche, con abiti ricercati e un po' rococò. Pur dividendosi in molte sottocategorie, ci sono vari elementi ricorrenti: stratificazione degli abiti, diversi tipi di tessuto e abbondanza di laccetti, ricami e fiocchi. Gli immancabili accessori vanno da croci e rosari (tipici della sottocategoria Cult Party kei) fino a teschi, ossa e pezzi di bambole rotte. Anche i colori sono molto eterogenei e si passa dalle tinte pastello del Mori kei (stile della foresta, che fa uso abbondante di motivi legati alla natura e materiali sostenibili) fino a tonalità più scure. Altra sottocategoria è il Fairy kei, che, rispetto al Dolly kei, punta ad elementi più pop, ispirati alle icone degli anni '80. Colore predominante? Rosa, ovviamente.
Gyaru: gyaru è la traslitterazione giapponese dell'inglese girl, o gal. Il nome deriva da una marca di jeans, chiamata gurls, in voga negli anni '90, rivolti a un pubblico giovanile. Ora, invece, la moda gyaru è apprezzata tanto da studentesse (chiamate kogals, ovvero giovani gals), quanto da giovani lavoratrici. Anche in questo caso, il look gyaru racchiude un'infinità di sottocategorie. Caratteristiche comuni a tutte sono il look estremamente glamour, la pelle abbronzata, il make up vistoso - con ciglia finte - e una grande attenzione per l'acconciatura (spesso "irrobustita" da parrucche o extension).
Visual kei: stile collegato alla scena musicale J-rock e J-metal, a cui spesso si fa riferimento proprio come visual kei. Caratterizzato da un look molto glam e sfarzoso, derivato dalla moda glam metal anni '80, con capelli cotonati, trucco pesante e abiti esagerati. Abiti che spesso fanno leva sull'ambiguità sessuale, puntando a uno stile androgino, come la famosa band Versailles. Gli iniziatori di questo stile furono gli X Japan a inizio anni '90, che coniarono il termine a partire da uno dei loro slogan: visual shock. Il visual kei annovera tra le sue fonti d'ispirazione anche la moda vittoriana, creando numerosi punti di contatto con lo stile gothic lolita. È popolare soprattutto tra i fan delle band che seguono questo stile.
Un tanka alla settimana
"Sulla montagna estiva,
si ritirò, forse,
colei che ama?
Il cuculo leva
un canto disperato."
"Natsuyama ni
koishiki hito ya
irinikemu
koe furitatete
naku hototogisu"
夏山に
恋しき人や
入りにけむ
声ふりたてて
なくほととぎす
Ki no Akimine
Un tanka alla settimana
"Nella pioggia estiva
scrosciante,
quale pena affligge
il cuculo che si lamenta
tutta la notte?"
"Samidare no
sora mo todoro ni
hototogisu
nani wo ushi to ka
yo tada nakurama"
五月雨の
空もとどろに
郭公
なにを憂しとか
夜ただなく覧
Ki no Tsurayuki
Tre haiku di Filippo Minacapilli
Il poeta Filippo Minacapilli ha voluto condividere con noi tre suoi recenti componimenti poetici, ispirati agli haiku giapponesi.
Fior di ciliegio
Delicate emozioni
Sgorga l'amore
La luna rossa
silenziosa sui tetti
stupisce il poeta
Calice rosso
Una sera di giugno
Desidero te
Filippo Minacapilli è un poeta italiano, autore di due raccolte poetiche che contengono sia poesie libere che haiku.
Le sue due raccolte antologiche sono "Magia di luce in versi" (Edizioni DivinaFollia) e "Riflessi d'acqua" (Bertoni Editori), che ha come tematica l'amore, inteso come incanto e tormento.
Nato ad Aidone (EN), Minacapilli è stato docente di Scienze umane in diversi istituti superiori. Fa parte di associazioni culturali, collabora con giornali on line, occupandosi prevalentemente di temi sociali e culturali ed è giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, attività che gli consente di approfondire dinamiche sociologiche e di affrontare problematiche interpersonali complesse. La sua passione poetica, nata casualmente, si è consolidata nel tempo. Molto apprezzati gli Haiku, cui l’Autore riserva ampio spazio nella sua scrittura con notevole padronanza della tecnica e dello stile.
Un tanka alla settimana
"Se in questo mondo
mai esistessero
menzogne,
come sarei felice
delle parole degli altri!"
"Itsuwari no
naki yo nariseba
ika bakari
hito no koto no ha
ureshikaramashi"
いつはりの
なき世なりせば
いか許
人の事の葉
うらしからまし
Anonimo
Un tanka alla settimana
"Quando sento il richiamo
del cuculo che canta,
mi struggo di nostalgia
per la terra
ove lasciai il mio cuore."
"Hototogisu
naku koe kikeba
wakarenishi
furusato sae zo
koishikarikeru"
ほととぎす
なく声きけば
わかれにし
古里さへぞ
恋しかりける
Anonimo