Un tanka alla settimana

L'autunno è qui:
le foglie cadute hanno steso
una spessa coltre intorno alla mia dimora,
e nessuno si fa strada
per venire a trovarmi.

Aki wa kinu
momiji wa yado ni
furishikinu
michi fumiwakete
tou hito wa nashi.

あきはきぬ
紅葉は宿に
ふりしきぬ
道ふみわけて
訪ふ人はなし

Anonimo


Kuniyoshi - Visioni dal mondo fluttuante

Dal 4 ottobre 2017 al 28 gennaio 2018 a Milano presso il Museo della Permanente si terrà la prima mostra monografica italiana del maestro giapponese, Kuniyoshi, il visionario del mondo fluttuante. La mostra è prodotta da MondoMostre Skira e curata da Rossella Menegazzo. Cogliamo l'occasione per un approfondimento sulla vita e sull'opera del maestro.

 

Utagawa Kuniyoshi (Tokyo 1797-1861) fu uno dei più grandi, schietti e audaci maestri di ukiyo-e ("immagini del mondo fluttuante"), la tradizionale arte della stampa giapponese. Il giovane Yoshisaburo, questo il suo vero nome, proveniva da una famiglia umile. Il padre era un tintore di seta grazie al quale egli poté conoscere i colori e sviluppare la sua passione per il disegno.

Dopo un breve periodo sotto gli insegnamenti del maestro Katsukawa Shuntei, della scuola di ukiyo-e Katsukawa, Yoshisaburo nel 1811 passò alla più prestigiosa scuola di Utagawa, sotto la quale anche lo stesso grande paesaggista Utagawa Hiroshige si formò. Il suo maestro fu Utagawa Toyokuni , grande artista che si dedicò in particolare alle stampe legate al teatro Kabuki e ai ritratti degli attori stessi. Sotto la sua guida  Yoshisaburo imparò molto e cambiò il suo nome, come da tradizione, diventando Kuniyoshi, unendo l'ultima parte del nome del maestro con la prima del suo e assumendo il cognome della scuola.

Finiti gli studi per il giovane artista incominciò un periodo difficile in cui non potendo mantenersi della sua arte fu costretto a fare diversi lavori tra i quali vendere e riparare tatami. All'età di 30 anni finalmente venne notato e apprezzato il suo talento grazie alle stampe che egli dedicò ai 108 eroi del Suikoden.

Le storie legate a questi eroi hanno origine da un romanzo cinese del XIV/XV secolo circa, che qui in Italia è conosciuto con il titolo di I Briganti; si tratta delle vicende di uomini che si ribellarono al governo corrotto e che andando contro le leggi diventarono manigoldi e briganti, ma che, come l'occidentale Robin Hood, la loro scelta fu in favore di ideali giusti e di libertà sia per loro che per il loro popolo, costituendo l'unica forma di giustizia contro le malefatte dei tiranni. Queste storie simboliche furono sentite molto anche dai giapponesi in periodi particolarmente difficili per il popolo.

Il maestro grazie a queste opere e ad altre legate a tematiche simili venne chiamato "Kuniyoshi delle stampe dei guerrieri", dimostrando un grande talento per le tecniche dell'ukiyo-e e per il disegno, rappresentando i suoi protagonisti in una spirale di colori e di forme con una scioltezza dei corpi che apparivano come in un groviglio di carne e di vesti dove la drammaticità e l'energia delle battaglie ne facevano da padroni, trasportando l'osservatore nel vivo del racconto.

Dopo che ebbe raggiunto il successo Kuniyoshi iniziò ad occuparsi anche di altri temi come le rappresentazioni di vita quotidiana e di scenette comiche, oppure attingeva alle storie e alle leggende di fantasmi e di spiriti di cui il Giappone ha una ricca tradizione creando un repertorio vasto e dinamico nelle sue varie composizioni. Kuniyoshi si occupava anche di illustrazioni più classiche come le rappresentazioni legate al teatro Kabuki oppure all'affascinante mondo femminile giapponese. Spesso legava questi soggetti alla figura del gatto: un animale che l'artista amava molto e che lo ammaliava con il suo essere così furbo e misterioso.

Il gatto in Giappone gode di grande considerazione. Basti pensare al famoso Maneki Neko (lett. "gatto che da il benvenuto") dalle origini molto antiche e riconosciuto da tutti come icona nipponica, che con la sua zampetta saluta i passanti invitandoli ad entrare nei negozi o nei ristoranti, quindi considerato simbolo di fortuna. Oppure è interessante notare come la figura del gatto nei miti giapponesi prenda le forme particolari di due demoni (yokai): il Nekomata ("gatto a due code") e il Bakeneko ("gatto mstruoso"), gatti dalle capacità straordinarie e sovrannaturali.

Kuniyoshi rappresenta frequentemente queste creature in varie forme e in diversi attegiamenti come se volesse carpirne i loro segreti. Addirittura il maestro ospitava molti di essi nel suo studio e capitava che lavorasse alle sue opere con qualche gatto pigramente accoccolato tra le pieghe del suo Kimono.

Kuniyoshi fu un uomo schietto e concreto nei suoi principi e nei suoi ideali. Anche dopo aver raggiunto la fama non si montò mai la testa e nelle sue opere rimase sempre molto sincero. Visse la sua pienezza da artista in un periodo in cui il Giappone si trovava in una situazione di pace coercitiva mantenuta dal severo controllo dello Shogunato Tokugawa che, però, da lì a poco sarebbe finita con l'apertura forzata dello stato nipponico all'occidente (1854). Kuniyoshi espresse sempre il suo parere politico nelle opere a tema satirico andando spesso contro le autorità, venendo multato e qualche volta vedendosi punito con la distruzione dei suoi lavori.

Utagawa Kuniyoshi fu uno degli ultimi e più grandi maestri di ukiyo-e, con un'opera vasta e visionaria nell'infinità della sua immaginzione, che egli riusciva a distribuire sullo spazio del foglio con una tecnica eccellente e una libertà di spirito invidiabile. Il maestro scomparve nell'aprile del 1861 a causa delle cattive condizioni di salute in cui si trovava, lasciando una grande eredità artistica e una scuola molto affermata, in cui si formò Utagawa Yoshitoshi, suo amato allievo e ultimo grande maestro di ukiyo-e.


Cristina Solano
http://japanartincontemporary.altervista.org


Danjiri Matsuri: la corsa dei carri

Il Danjiri Matsuri è uno dei festival più caratteristici del Giappone e senz'altro il più iconico di Osaka. Nato nel sedicesimo anno dell'era Genroku (1703) sulle basi del già esistente Inari Matsuri, fu creato dal daimyo (signore feudale) del castello di Kishiwada al fine di pregare per un abbondante raccolto. Molti signori di Kishiwada si alternarono negli anni ma il festival, che fin da subito riscosse un enorme partecipazione popolare, rimase un appuntamento fisso della città. Solo per quell'occasione i cancelli che impedivano agli abitanti della città l'accesso al castello venivano lasciati aperti e tanta era l'entusiasmo che il festival venne soprannominato Kenka Matsuri (matsuri del combattimento), in quanto una vera e propria forma di competizione venne presto ricercata dai partecipanti.

Abitando vicino Tokyo avevo solo sentito parlare di questo matsuri, come del più animato e perfino pericoloso del suo genere. Nel mese di settembre però, ospite di Yasuhiro, un amico di Osaka, ho deciso di andare a vedere coi miei occhi di cosa si trattasse. Quando arriviamo alla stazione di Kishiwada sono circa le dieci del mattino e le strade sono già piene di gente. Vedo subito molta gente vestita in abito tradizionale da festival, disposta attorno a degli speciali carri, i danjiri, delle costruzioni in legno alte 3.8 metri, lunghe 2.5 e con ognuno un peso di 4 tonnellate. Ogni carro, decorato con intarsi (horimono) rappresentanti scene di celebri battaglie e racconti di guerra, viene trainato dalle 500 alle 1000 persone per mezzo di funi lunghe circa 200 metri. Seppur i partecipanti ridano e parlino animosamente tra loro, nell'aria si avverte il fermento di una grande festa che sta per iniziare.

Il gruppo in carica di trainare ogni danjiri è composto dagli abitanti di un cho (un'area composta da un certo numero di isolati), ognuno con dei kanji distintivi impressi sugli abiti: ciò porta a un senso di comunità tra gli abitanti di Kishiwada e della città stessa.

I carri e le persone iniziano a muoversi lentamente verso uno dei tre santuari della zona per ricevere il miya-iri, la benedizione shintoista prima della corsa. Osservando, noto che ogni persona attorno ai danjiri ha un ruolo ben preciso, come infatti Yasuhiro, ormai grande conoscitore dell'evento, mi conferma: c'è chi ha la funzione di trainare il carro, chi di aprire la strada al suo passaggio, chi di tenere alto lo spirito dei partecipanti con incitamenti e percussioni di tamburi ed infine chi, solo uno per ogni gruppo, ha l'onore di posizionarsi sopra il carro durante la corsa. Essi sono i daigu-gata, i carpentieri del quartiere che hanno preso parte attiva alla realizzazione del danjiri, e sulla cui sommità si esibiscono in danze evocative.

Oramai ci siamo, i carri sono usciti dai santuari cominciano a compiere il loro tragitto attorno all'area del castello aumentando sempre di più la loro velocità. Siamo quindi nel vivo del matsuri, e io e Yasuhiro decidiamo di posizionarci in uno dei punti dove è possibile assistere allo yari-mawashi, ovvero la svolta dell'angolo. Esso è uno dei tratti distintivi del danjiri matsuri in quanto, senza diminuire la velocità, gli enormi carri vengono fatti svoltare in delle strette curve, mentre gli osservatori assistono in trepidazione alla scena.

Vista anche la pericolosità della manovra (in passato ci sono stati incidenti molto gravi) certe aree sono chiuse per i “non addetti ai lavori” e l'unico modo di entrarci è indossare un indumento che dimostri la propria appartenenza, o familiarità, con uno dei quartieri di Kishiwada.

Io e Yasuhiro ci troviamo quindi al limite dell'area consentita al pubblico e in mezzo a tanta altra gente ci sporgiamo un po' di qua e un po' di là per riuscire a veder meglio lo spettacolo. Forse incuriosita dalla presenza di uno straniero tra gli spettatori oppure mossa da semplice bontà, una donna già nel vivo della celebrazione mi mette al collo una sciarpa coi kanji del quartiere dicendomi: “ Vai, ma solo per 5 minuti!”. Io e Yasuhiro ci guardiamo un attimo e subito oltrepassiamo la zona interdetta al resto del pubblico trovandoci, tra gli sguardi stupiti dei presenti, molto vicino a dove il danjiri svoltava dopo la curva. Assistiamo quindi alla scena da vicinissimo dopodiché, soddisfatti, torniamo a riconsegnare il “lasciapassare” alla donna insieme coi nostri ringraziamenti.

Alla fine della giornata lascio Kishiwada per andare a vedere un'altra zona di Osaka, ma con la sensazione di aver assistito a qualcosa di speciale, un evento capace di unire tutti gli abitanti della città attorno ad un'unica tradizione, parte integrante della loro identità.         

      

Marco Furio Mangani Camilli


Un tanka alla settimana

"I fiori di crisantemo
visti in alto
sopra le nubi sublimi
mi abbagliano
quali stelle nel cielo"

"Hisakata no
kumo no ue nite
miru kiku wa
ama tsu boshi to zo
ayamatarekeru"

久方の
雲のうへにて
見る菊は
天つ星とぞ
あやまたれける

Fujiwara no Toshiyuki


Un tanka alla settimana

"Non cadono ancora,
eppure già rimpiango
le radiose foglie d'autunno,
ora che le vedo
nello splendore estremo."

"Chiranedomo
kanete zo oshiki
momijiba ha
ima wa kagiri no
iro to mitsureba"

散らねども
かねてぞをしき
もみじ葉は
今は限の
色と見つれば

Anonimo


Un tanka alla settimana

"Sono rami dello stesso albero,
ma, distinta, muta di colore
la fronda dell'ovest,
dalla direzione, ecco,
ove sorge l'autunno."

"Onaji e o
wakite ko no ha no
utsurou wa
nishi koso aki no
hajime narikere."

おなじ枝を
分きて木の葉の
うつろふは
西こそ秋の
はじめなりけれ

Fujiwara no Kachion


Un tanka alla settimana

"Pensieri mesti
sfilano sulle ali
delle oche selvatiche
che volano lamentose
notte dopo notte, in autunno"

"Uki koto wo
omoi tsuranete
karigane no
naki koso watare
aki no yona yona"

憂きことを
思つらねて
かりがねの
なきこそわたれ
秋の夜な夜な

О̄chikōshi no Mitsune


Kyudo - Alle origini della via del guerriero

Codificato già nel XV secolo, il kyudo o la “Via dell'Arco” è oggi una delle arti marziali tradizionali più emblematiche del Giappone.

Quando si pensa a guerrieri ed arti marziali giapponesi è facile che alla mente salti il nome samurai e la naturale associazione di questi con la sua spada, la katana. Tuttavia è bene sapere che l'identificazione della spada come “l'anima del samurai” nacque specialmente durante il periodo Edo (1603-1868). In epoca antica invece molta importanza veniva data alla “via dell'arco e della freccia” (kyusen no michi), considerate le armi base del guerriero giapponese. In un famoso testo composto intorno al 1120 (fine del periodo Heian), il Konjaku Monogatari, troviamo moltissimi riferimenti al tiro con l'arco nei racconti riguardanti le gesta di guerrieri nipponici.

Con la sua codificazione il kyudo si fece anche rituale e da quel momento l'obiettivo della disciplina fu la ricerca di unità tra lo spirito e la tecnica: né solo virtuosismo pratico né solo forma spirituale, ma una sintesi perfetta dei due.

L'arciere che si appresta al tiro procede per fasi. Per primo si posiziona in linea col bersaglio, poi assume la corretta postura del busto e del corpo. Mentre con una mano regge l'arco, con l'altra afferra la corda, il tutto mantenendo lo sguardo fisso sul bersaglio. A quel punto il kyudoka (praticante di kyudo) solleva l'arco e tende la corda. Questa fase è particolarmente importante: chiamata nobiai, il praticante cerca di raggiungere la massima estensione orizzontale e verticale del proprio corpo. Se ci riesce la tensione prodotta non è solo fisica ma anche ricca di energia spirituale, in cui il momento di maggiore concentrazione (Yagoro) è anche il momento per scoccare.

Si giunge così alla fase detta hanare, ovvero “rilascio”. Fino a questo punto l'arciere ha saputo estraniarsi dal resto del mondo e concentrarsi solo su di sé, sul proprio arco, sulla freccia e sul bersaglio da colpire. Tuttavia nel momento di massima tensione anche questi elementi diventano altro e abbracciano il “tutto”: l'istante in cui il non-essere tocca l'esistenza in ogni cosa. In quell'attimo lo sgancio avviene quasi involontariamente e le frecce volano a colpire il bersaglio (atari). Al praticante è richiesto di di superare il naturale soliloquio mentale degli attimi precedenti il tiro, in quanto ciò può condizionare l'istante del rilascio e far mancare il bersaglio. Mantenendo invece viva la disciplina e un senso di autocritica, il kyudoka può migliorarsi e mantenersi sulla Via.

Oggi in Giappone, come anche in molte altre parti del Mondo, le persone praticano Kyudo per esercitarsi a dominare il corpo, ricercare la vera natura del sé oltre sistemi ideologici e idee personali, e portarne così i benefici nella vita quotidiana.

Nel kyudo l'esercizio della tecnica si incontra con la conoscenza e cura della spirito, e non deve sorprendere se infatti kyudo e il buddhismo giapponese Zen hanno spesso viaggiato su linee parallele.

Marco Furio Mangani Camilli

 


Tsukimi, una serata dedicata alla bellezza

In molte culture del mondo il nostro unico satellite, la luna, è stato, in alcune è tutt’ora, venerato come divinità o più semplicemente usato come indicatore del trascorrere del tempo. In Giappone ancora oggi il plenilunio del mese di settembre è un’occasione per ammirare (Tsukimi significa proprio "vedere la luna"), insieme ad amici e famigliari, questo splendido corpo celeste.

 

La luna è il solo e unico satellite terrestre e anche il corpo celeste più vicino al nostro pianeta. La sua vicinanza ci permette di osservarlo molto bene a occhio nudo e per molte popolazioni antiche è stato, per secoli, l’unico modo per misurare il tempo. 

Ogni cultura le, o gli, attribuisce poteri e significati, valenze maschili o femminili, simbologie positive o negative. In Giappone ha sempre avuto un’importanza duratura nei secoli, sia come elemento necessario al calcolo temporale, sia come divinità, sia come soggetto estetico. Già in tempi antichissimi la luna è stata ispiratrice di artisti, letterati, artigiani, maestranze di ogni periodo storico che hanno impresso la sua bellezza su ogni tipo di supporto per lasciarla in eredità alle generazioni future.

Un plenilunio in particolare è soggetto di speciali attenzioni, quello di settembre. Viene chiamata Tsukimi la festa in onore di quella che è considerata la luna più bella dell’anno.

La ricorrenza ha origine nella cultura dell’antica Cina, poi introdotta in Giappone nel periodo Heian (784-1185 d.C.), adattandosi molto bene ai canoni estetici dell’epoca che tengono in gran conto la natura e le sue manifestazioni. In questa serata particolare, la nobiltà aveva l’abitudine di riunirsi in luoghi dove la Luna fosse ben visibile per celebrare il suo chiarore con canti e poesie.

Hiroshige “La luna vista attraverso le foglie d’acero”, serie "Tra le ventotto visioni della luna", 1832, Honolulu, Accademy of Arts.

Una testimonianza significativa dell’importanza data a questa festa è un luogo esistente ancora oggi, si tratta della villa imperiale Katsura, situata a ovest di Kyoto. Edificata a partire dalla fine del XIV secolo per volere del principe Toshihito, fratello dell’imperatore Goyōzei, la villa venne progettata in modo da avere una terrazza, chiamata , per l'appunto, della luna (Tsukimadai), dove fosse possibile ammirare questo plenilunio.

Ancora oggi la festa di Tsukimi costituisce una delle celebrazioni più affascinanti e suggestive del Giappone. Usanza vuole che le case vengano abbellite con i rami della pianta susuki (erba della pampa), particolarmente indicata per i suoi riflessi argentati, e si offrano alla Luna dei dolcetti di riso a forma sferica, che ricordano la forma della Luna piena e, secondariamente, per festeggiare la fine del raccolto.

È una festa da trascorrere con amici e parenti, per ammirare le suprema bellezza di un chiarore antico, compagno discreto degli artisti di tutte le epoche.

Valentina Meriano

Fonti: "La villa imperiale di Katsura attraverso la tradizione letteraria giapponese” di Priscilla Inzerilli (2013)


Un'estate in Giappone. Diario di viaggio

La nostra rubrica estiva 2017 vi conduce alla scoperta di sette località, sette mete lontane dai classici itinerari turistici, alla scoperta di un Giappone più vero, più autentico. Uno stimolo a visitare questo paese, o a ritornarci, con gli occhi aperti su realtà diverse. Tutti gli articoli sono di Marianna Zanetta di Japan Soul Travel.

 

Prima tappa: Tokyo

www.giapponeinitalia.org/un-estate-in-giappone-1-tokyo

 

 

Seconda tappa: Meoto Iwa e Futami Okitama Jinja

www.giapponeinitalia.org/24074-2-meoto-iwa-futami-okitama-jinja

 

 

Terza tappa: Enoshima

www.giapponeinitalia.org/day-trip-from-tokyo-enoshima

 

 

Quarta tappa: Nagoya

www.giapponeinitalia.org/viaggio-giappone-estate-nagoya

 

 

Quinta tappa: Misawa, Hachinohe, Aomori

www.giapponeinitalia.org/unestate-giappone-diario-viaggio-quinta-tappa-caccia-matsuri-nel-nord-del-giappone

 

 

Sesta tappa: Hiroshima

www.giapponeinitalia.org/unestate-in-giappone-hiroshima

 

 

Settima tappa: Osorezan nella provincia di Aomori 


www.giapponeinitalia.org/unestate-giappone-diario-viaggio-settima-tappa-losorezan-lincontro-le-anime