Il Giappone al Fuorisalone 2018 - Zona Centro

Tutti gli eventi a tema Giappone del Fuorisalone 2018.

Zona: Milano Centro (Duomo, Cordusio, San Babila, Missori, Montenapoleone)

 

_B&B Italia + Maxalto_ (B&B Italia Store, via Durini 14, Milano)

Le nuove proposte di interior. Design: Michael Anastassiades, Antonio Citterio, Naoto Fukasawa, Piero Lissoni. Inediti arredi nelle collezioni coordinate da Antonio Citterio.
Organizza B&B Italia e Maxalto.
17-21 h. 9:30-21:00 22 h. 9:30-18:00

 

_Issey Miyake: My first me: Know yourself like never before_ (Issey Miyake, via Bagutta 12, Milano)

Il brand giapponese presenta una serie di installazioni interattive in cui il pubblico può prendere coscienza di aspetti di sé di cui non era al corrente. Progetto di Masahiko Sato.
Organizzato da Issey Miyake.
17-21 h.10:00-20:00 | 17 h. 18:00-21:00 cocktail su invito

 

_Into Marble_ (Spazio Bigli, via Bigli 11/a, Milano)

Nuova collezione di mobili e accessori in marmo in una poetica installazione a cura di Nendo, con pezzi iconici di A. Meda, Claesson Koivisto Rune, J. Irvine, J. Morrison, K. Grcic, M. Casadei, N. Fukasawa, Nendo, P. Malouin, P. Nigro, R. Lovegrove, T. Sandell.
Organizzato da Marsotto edizioni.
17 h. 10:00-21:00 18 h. 10:00-17:00 19-21 h. 10:00-21:00 22 h. 10.00-17:00

 

_'MUJIcucina’ for Fuorisalone 2018_ (Muji, via Torino 22, Milano)

In occasione del Fuorisalone, MUJI presenterà Mujicucina: un'esperienza culinaria interattiva e un'installazione presso lo shop di via Torino, caratterizzata dal rispetto per la natura e dalla ricerca della sostenibilità. La linea si ispira alla bellezza incontaminata della natura e alla semplicità della foresta. Le installazioni - The Floating Forest e The MUJI Dining Table - saranno curate dallo chef Yoji Tokuyoshi, del ristorante Tokuyoshi.
Organizzato da MUJI.
17-21 h.10:00-22:00 22 h.10:00-21:00 | 17-20 h. 13:00-14:00 degustazioni dello chef Tokuyoshi

 

_Nove Viaggi nel Tempo_ (Palazzo Reale, piazza Duomo 12, Milano)

Una mostra: "Nove Viaggi nel Tempo". Alcantara e l'arte nell'appartamento del principe.
Organizzato da Alcantara.
16 h.14:30-19:30 17-18 h. 9:30-19:30 19 h. 9:30-22:30 20 h. 9:30-19:30 21 h. 9:30-22:30 22 h. 9:30-19:30

 

_Nuova collezione SAWAYA & MORONI 2018/19_ (Sawaya & Moroni Showroom, via Manzoni 11, Milano)

Presentazione dei nuovi modelli della collezione mobili con progetti di Snøhetta, Ma Yansong - MAD Architects, Setsu + Shinobu Ito, Donato Santoro, William Sawaya. Riedizione della visionaria collezione Numeri di Toni Cordero a oltre vent'anni dalla prima presentazione.
Organizzato da Sawaya & Moroni.
17-22 h. 10:00-21:00 16 Press Preview h. 18:00-20.30 

 

_Together_ (Arper Showroom, via Pantano 30, Milano)

Together è equilibrio, intuito, famiglia, colore, leggerezza, gioco. La sintesi dei valori dell'azienda è interpretata nello showroom anche con il progetto Kilk di Ichiro Iwasaki, che prosegue la narrazione espressa nello spazio espositivo in fiera.
Organizzato da Arper.
17 h. 10:00-21:00 18 h. 10:00-21:30 19-21 h. 10:00-21:00 22 h. 10:00-18:00

 

_The Enchanted Forest by Kengo Kuma_ (Valextra Boutique, via Manzoni 3, Milano)

Il marchio di pelletteria storico milanese presenta l'annuale installazione, progettata dal famoso architetto giapponese Kengo Kuma, ospitata nella boutique.
Organizzato da Valextra.
17-22 
h. 10:00-21:00


Kyogen

Kyōgen, l'antica farsa giapponese - cenni storici

Il significato di kyōgen

Il termine kyōgen 狂言 è solitamente tradotto come ‘parole folli’ ed è composto dal carattere 狂 [kyō] che vuol dire ‘pazzo’ e dal carattere 言 [gen] che significa ‘parole’; altri studi propongono invece il significato di ‘essere ubriaco di parole’, sottolineando l’importanza del dialogo nell'ambito della dinamica teatrale.

Kyōgen, attualmente, indica una forma comica del teatro tradizionale giapponese che, da circa seicento anni, è stata tramandata per generazioni. Infatti, dal secondo dopoguerra, il kyōgen ha sviluppato una nuova consapevolezza della sua importanza ed unicità come genere di teatro classico ed ha proseguito il suo percorso in maniera autonoma dal teatro 能, con nuovi studi ed esperimenti, spettacoli originali ed insegnamenti all'estero.

Ben più antico del teatro kabuki bunraku, il kyōgen in origine era nato parallelamente al teatro ed era eseguito fra le diverse rappresentazioni previste in un programma come intervallo comico tra drammi. L’insieme delle due forme del teatro tradizionale è definito nōgaku 能楽 ed ancora oggi è possibile che in un programma siano eseguite entrambe.

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Dai contenuti semplici, il kyōgen inscena comuni situazioni umane usando il linguaggio popolare, ma lo fa tramite movimenti e schemi vocali altamente complessi, organizzati, strutturati e minuziosamente stilizzati. In questa forma di teatro non ci sono significati simbolici o esoterici e i copioni stessi sono sufficienti per una piena comprensione delle profonde sfumature delle commedie. Tema tipico del kyōgen è l’uomo comune e le sue relazioni con l’ambiente che lo circonda; l’uomo della strada che, nelle situazioni di tutti i giorni, agisce proprio nel modo in cui ognuno di noi vorrebbe comportarsi, scevro da doveri e costrizioni sociali.

I personaggi del kyōgen si muovono in un contesto storico inquadrabile nel periodo Muromachi室町, ma il loro spirito è universale, atemporale, non legato a luoghi specifici, ossia in grado di trasmettere emozioni e sensazioni condivisibili dallo spettatore di qualunque epoca e di qualsivoglia luogo, senza distinzioni di sorta.

In ciò risiede forse la forza del kyōgen, il motivo per cui l’anima di questo teatro è rimasta pura ed intatta e tale rimarrà per lungo tempo a venire.

Il kyōgen nei secoli: cenni storici

Per conoscere le origini del kyōgen dobbiamo risalire al sarugaku 猿楽, versione giapponese delle varie arti performative importate dalla Cina e conosciute col nome di sangaku 散楽. Il sarugaku divenne una forma a se stante di teatro durante la metà del periodo Heian平安 (794-1185), quando la famiglia Fujiwara 藤原 era al culmine del suo potere alla Corte Imperiale. Le sue numerose tipologie di performance sono catalogate nello Shin sarugaku ki 新猿楽記 (Cronache del nuovo sarugaku), scritto intorno al 1060 da Fujiwara no Akihira 藤原明衡 (989-1066), il quale descrive spettacoli così divertenti da far “slogare le mascelle” di tutti gli spettatori. Anche nel Genpei seisui ki源平盛衰記 (Cronache dell’ascesa e della caduta dei clan Genji e Heike), scritto intorno al 1300, il sarugaku era descritto come un tipo di teatro dove le frasi comiche erano recitate costantemente per far ridere la gente. Fino a questo periodo, quindi, il sarugaku rimaneva uno spettacolo divertente e comico interpretato per tutta la popolazione senza avere la pretesa di rappresentare tematiche auliche.

Durante il periodo Kamakura 鎌倉 (1185-1336), poi, il sarugaku si divise in due arti, conosciute come ‘l’arte principale’ e ‘l’arte raffinata’. La prima, mantenendo lo humour originale del sarugaku, amalgamato con gli spettacoli tenuti durante le festività Scintoiste, il sanbasō 三番叟 e il dengaku 田楽, e sottoposta a processi d’alterazione e razionalizzazione, divenne ciò che noi oggi conosciamo come kyōgen; l’altra, con canto e danza come suoi fondamenti più importanti e temi tragici presi dalla storia e dalle leggende come suoi materiali principali, divenne il . In questo modo nacquero due forme di teatro così diverse, ma in fondo così correlate.

Nel suo Kyōgen no michi 狂言の道(La via del kyōgen), Nomura Manzō 野村万蔵 scrive:

L’alto gusto raffinato dell’audience medievale chiedeva una separazione organica dei vari aspetti del sarugaku; musica e danza da una parte, mimica e umorismo dall'altra, declamarono la nascita di queste arti ‘gemelle’: il e il kyōgen. Se immaginiamo di vedere questi gemelli come dei colori, saranno così diversi da sembrare il rosso e il bianco, fino al più profondo aspetto delle loro differenze strutturali di simbolismi e semplicità, ed in questo modo non saranno mai scambiati l’uno con l’altro. Ma quando la personalità yin del e la personalità yang del kyōgen sono messe fianco a fianco, l’effetto di mutuo riflesso produrrà un’armonia sublime.

Molti studiosi sono spesso riluttanti nel definire precisamente l’anzianità tra queste arti gemelle. In ogni caso, se consideriamo l’idea comune che il lavoro di teorizzazione e sistematizzazione del è stato attuato dal gruppo padre-figlio di Kan’ami 観阿弥 e Zeami 世阿弥 tra il 1320 e il 1420, dobbiamo anche notare che il monaco Genei (1269-1350), conosciuto come il primo commediografo kyōgen ed autore di cinquantanove delle commedie dell’odierno repertorio, morì quando Kan’ami e Zeami cominciarono appena i loro lavori. Nel suo Shūdōsho 習道書 (Scritti sulla Via dell’insegnamento), scritto nel 1430, Zeami stesso parla “degli alti risultati ottenuti dall’attore kyōgen del passato conosciuto come Tsuchidayu”. Tali prove indicano che il kyōgen raggiunse un apprezzabile livello di perfezione artistica nel periodo precedente a Zeami e alla sua creazione del come la sublime arte che conosciamo oggi.

Il nuovo progetto teatrale "Italo Kyogen", mira alla divulgazione del kyōgen classico e alla creazione di un nuovo paradigma nel panorama teatrale italiano, fondendo le strutture classiche della farsa giapponese, con testi moderni in italiano creati ad hoc e successi moderni giapponesi in traduzione, per far vivere al pubblico italiano un’esperienza quanto più immersiva nel teatro comico giapponese tradizionale.


Penne del Sol Levante - Il Paese dei Desideri di Hara Tamiki

Benvenuti alla rubrica Penne del Sol Levante, dove parliamo di libri, scrittori e letteratura nipponica. L’argomento di oggi sarà una raccolta di racconti molto particolari, Il Paese dei desideri di Hara Tamiki, il massimo esponente della letteratura atomica.

Testimone diretto dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto del 1945, questo autore ha cercato a lungo di risolvere le questioni morali relative alle conseguenze tragiche di quell’evento attraverso i suoi scritti, profondi e intimistici. Alle riflessioni sul quel giorno d’agosto si intrecciano, con impeto, quelle legate al dolore per la morte della moglie tanto amata, risalente a qualche mese prima. Questi due sono i cardini attorno a cui vengono costruiti questi racconti, di non semplice lettura. Servono infatti attenzione, pazienza, concentrazione e umiltà per affrontare la mente di Hara Tamiki.
I cinque scritti che ci propone (Labbra di fuoco, Sulle rive di una morte meravigliosa, Requiem, Il Paese dei desideri, Verde infinito) narrano di uomini persi, con mogli in fin di vita, circondati da figure senza contorni precisi, devastati dal dolore e dalla mancata comprensione del genere umano. Sono tantissime le domande che si accavallano nella narrazione inflessibile e ininterrotta di Tamiki: il mondo proseguirà nonostante la disumanità di eventi così tragici? Cosa sono gli uomini? Cosa significa sopravvivere? E’ davvero possibile farlo? Il mondo merita di andare avanti? Come si fa a sperare nel futuro, lasciandosi tutto alle spalle? Cos’è l’umanità? Come possono coesistere nel mondo bellezza e distruzione?

Questi interrogativi coinvolsero la coscienza e la mente di Tamiki davvero in profondità e lo tormentarono per tutto il resto della sua vita dopo la bomba, sino al suicidio nel 1951. Tentò in tutti i modi di rispondere a queste domande attraverso i suoi scritti e fu uno dei più grandi esaminatori della situazione dei sopravvissuti e della questione morale insita nello sgancio della bomba nel 1945. Questo libro è una prova tangibile dell’incoscienza dell’essere umano, e del suo naturale bisogno di comprendere.

Se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa sul blog Penne d’Oriente. Buona giornata lettori!

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Stefania Viti

Il libro del ramen: Intervista a Stefania Viti

Abbiamo incontrato Stefania Viti, giornalista ed esperta di Giappone contemporaneo, per parlare del suo ultimo successo editoriale Il libro del ramen pubblicato da Gribaudo-Feltrinelli.

 

il libro del ramen

 

Come nasce l’idea di scrivere un libro sul ramen?

L’idea nasce all’interno di un percorso che sto facendo insieme alla casa editrice Gribaudo-Feltrinelli avviato nel 2013. Per Feltrinelli ho curato il volume Il Sushi, uscito nella collana Real Cinema insieme al DVD Jiro e l’arte del sushi, nel 2015 con Gribaudo ho pubblicato L’arte del sushi, edizione ampliata, aggiornata e illustrata del primo volume e nel 2016 ho chiuso questa trilogia con Il sushi tradizionale. Ora abbiamo deciso di approfondire un altro piatto simbolo della cucina giapponese, il ramen, che in questo periodo sta godendo di grande popolarità, prova ne è anche il fatto che questo libro, uscito nel novembre 2017, già nel febbraio 2018 è andato in ristampa!

 

Com’è strutturato il libro?

Il libro segue quella che mi piacerebbe diventasse la mia cifra stilistica di raccontare la cultura giapponese. Nei miei libri c’è infatti sempre molta cultura, che diventa la chiave di lettura per raccontare un paese. La prima parte introduce la storia del ramen e le curiosità a essa legate. Il ramen è un piatto declinato localmente, per questo numerose pagine sono dedicate alla geografia di questo piatto e dunque alla scoperta delle varie regioni del Giappone. Il libro porta così a scoprire un intero Paese e il ramen è una sorta di filo rosso di tutto il viaggio. Anche se in modo diverso rispetto al sushi, anche quella del ramen è una ricetta molto complessa. Ho inserito quindi una parte propedeutica che introduce gli ingredienti di base, per proseguire con una seconda parte riservata alle ricette di base per fare i brodi. Nella terza parte si arriva presento i piatti realizzati dagli chef di alcuni famosissimi ristoranti giapponesi. Il libro si avvale della collaborazione di Ramen Expo, uno dei maggiori eventi dedicati al ramen in Giappone, che qui presenta numerose ricette originali. A queste si aggiungono altre ricette di tre Ramenya (ristoranti specializzati in ramen) italiane, che propongono, ciascuna, un tipo diverso di ramen.

 

Racconti di come il ramen rappresenti “il Giappone in una ciotola” e ogni zona o regione del paese siano caratterizzate da una particolare ricetta. Quali sono le preparazioni di base e quali le specialità?

La preparazione del ramen non ha delle regole fisse, ma esistono quattro tipologie classiche di brodi: il miso ramen, lo shio (sale) ramen, lo shōyu (soia) ramen e il tonkotsu ramen (fatto con le ossa di maiale). Il ramen è così raccontato attraverso il suo brodo. Col tempo queste tipologie si sono mescolate, contaminate. Nella parte delle ricette dei ristoranti giapponesi molte vanno sotto l’etichetta di “Brodi misti”, perché ottenuti dalla mescolanza di vari tipi di brodo. Per esempio, nelle ricette di Casa Ramen si arriva alla completezza del brodo mescolandone tre diversi tipi.

 

Esiste un vero e proprio galateo del ramen. Hai qualche aneddoto in merito?

Il galateo del ramen procede al contrario rispetto al nostro. Uno degli aspetti più curiosi è il fatto che i popoli asiatici quando mangiano la pasta lunga fanno rumore, sia come segno di apprezzamento, sia per favorire il raffreddamento della pietanza. Questo non è visto come una cosa sconveniente o maleducata, anzi… Un’altra “regola” è che prima di iniziare a mangiare si assaggi il brodo. Solo dopo si va a “distruggere” l’armonia di colori e forme. Il brodo dà il timbro del gusto, da esso si capisce la qualità del piatto.

 

Nel libro ti soffermi sul legame tra ramen, letteratura, cinema e manga. Com’è diventato così popolare questo piatto?

In Giappone il ramen è sempre stato un piatto popolare, ma davvero nel senso etimologico del termine: un piatto per il popolo. Nonostante sia un piatto ricco di ingredienti, sostanzioso, completo, mantiene un prezzo abbordabile. Caratteristica che per il sushi non è sempre vera, dato che esistono sushiya molto care ma anche i kaitenzushi dove il sushi è ancora a buon prezzo. Il sushi è nato come cibo di strada, ma con la Seconda Guerra Mondiale è diventato un cibo di élite, mangiato di nascosto, anche perché non c’era il riso. Parlo del sushi perché è sempre stato una sorta di “antagonista” del ramen. Il sushi è diventato un simbolo alto, raffinato, portatore di un’estetica zen, della filosofia del “less is more”. Negli anni Ottanta ha fatto proseliti nella cultura culinaria internazionale, mentre il ramen è rimasto nei confini del Giappone. Negli anni Ottanta e Novanta l’immagine delle pentole di ramen non si confaceva all’immagine internazionale del Giappone che si stava diffondendo. Il ramen è però rimasto presente in tutta la cultura underground, nei manga, negli anime (Doraemon per esempio mangia i ramen). Poi è arrivato Jūzō Itami con il film Tampopo che nel 1985 ha segnato una riscoperta del ramen. Jūzō fa una specie di “spaghetti western” ambientato in una locanda di ramen. Il ramen diventa simbolo di un Giappone autentico da difendere dall’assalto della controparte occidentale. Il nemico è rappresentato simbolicamente dagli “spaghetti” appartenenti a una cultura lontana. L’Occidente è in quel momento un mondo poco definito per il Giappone tanto che la scena degli spaghetti è girata in un ristorante francese. Il film comunque più che la storia delle gang locali racconta l’artigianalità del ramen, la sua preparazione e l’esperienza della degustazione. Nel 1988 Yoshimoto Banana in Kitchen fa diventare il ramen il fulcro del racconto, un’esperienza quasi spirituale. Per arrivare al boom di oggi fino al boom di oggi grazie anche all’azione di promozione e valorizzazione portata avanti dai primi anni 2000 da Food Japan.

 

Come è stato accolto il ramen in Italia?

Oggi è accolto benissimo! Addirittura diverse testate giapponesi mi hanno intervistata proprio per capire come io vedessi successo e diffusione di questo piatto nel nostro Paese. D’altra parte da noi è già ben radicata la cultura della pasta lunga. Inoltre, il ramen è un piatto molto più facile da mangiare rispetto al sushi perché non c’è il pesce crudo.

 

Chi sono i più importanti chef di Ramenya in Italia? Come hai sviluppato la collaborazione con alcuni di loro per il libro?

Il libro non vuole essere una guida, non illustra un panorama generale. Ho scelto tre diversi chef i cui ristoranti propongono tre diverse tipologie di ramen: Misoya perché fa ramen al miso, Casa Ramen per il tonkotsu, Niko Niko Ramen & Sake fa shio ramen. Sono storie e varietà differenti, non si sovrappongono tra loro.

 

Dopo il sushi e il ramen, continuerai in questo percorso di promozione e valorizzazione in Italia della cucina giapponese?

Sì certo. Stiamo già lavorando ai prossimi argomenti da trattare. Se il pubblico continua a seguirci proseguiremo sicuramente: c’è ancora tanto da dire e da raccontare! È importante avere testi in Italia che non siano semplici traduzioni da altre lingue. È il momento giusto perché gli studiosi italiani possano essere valorizzati. L’Italia è molto sensibile all’arte culinaria. Abbiamo specialità, nicchie, eccellenze. Noi italiani possiamo essere quelli giusti per raccontare una cucina e una cultura culinaria così sofisticate, come quelle del Giappone. E poi, magari, saranno i nostri libri a essere tradotti!

 

Parli tanto di cucina nei tuoi libri, ma tu sai cucinare?

In realtà cucino poco… O non cucino affatto. Però mi piace mangiare! Il mestiere degli chef è quello di fare cose buone, il nostro mestiere – di giornalisti e scrittori - è quello di saperle riconoscere e raccontare. Credo il mio compito sia proprio quello di raccontare le ricette e contestualizzare la cultura gastronomica di cui si parla: operazione che ritengo estremamente necessaria quando parliamo di paesi, piatti e culture molto distanti e diverse dalle nostre. Quindi, lasciamo cucinare i cuochi e lasciamo scrivere gli scrittori!

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Penne del Sol Levante - Il segreto del lago di Keigo Higashino

Benvenuti alla rubrica settimanale di Penne del Sol Levante, oggi vi presento il maestro del thriller giapponese Keigo Higashino. Il suo romanzo Il segreto del lago ci trasporta in una situazione davvero particolare. Tutto inizia con quattro coppie di genitori apprensivi che decidono di passare l’estate in una villa sul lago, per permettere ai figli di studiare e prepararsi adeguatamente agli esami d’ammissione alla scuola superiore. Con loro c’è anche un insegnante privato che seguirà le lezioni giornaliere. La storia si svolge sulla riva del lago Himegami.

La villa, appartenente a una delle famiglie, è permeata da subito dall’ansia dei genitori per il successo dei figli e per le preoccupazioni dovute a un loro eventuale fallimento. L’intera vita professionale e il futuro di questi ragazzi sembrano dipendere dall’inserimento in una prestigiosissima scuola cittadina. Ogni conversazione e ogni pensiero ruotano intorno a questo grande evento, atteso sul finire della stagione estiva. C’è solo una persona a cui tutto ciò non interessa per nulla: Shunsuke Namiki.

L’uomo infatti è deciso a lasciare la moglie per la giovane segretaria con cui ha una relazione affettiva. Quando la donna si presenta alla villa con il pretesto di portargli documenti di lavoro che aveva dimenticato in ufficio l’uomo ne rimane profondamente sconvolto ed è assai imbarazzato. Decide così di darle appuntamento in un hotel poco distante dal lago, così da liberarsi della presenza ingombrante della moglie, dei ragazzi e degli altri genitori. Con una scusa lascia la villa e la raggiunge, ma quando arriva di lei non c’è traccia. Sconfortato, ritorna dalla compagnia e piomba in un incubo inaspettato: il corpo della sua amante giace sul pavimento della camera da letto ed è proprio sua moglie a confessare di averla uccisa. A questa situazione estrema e paradossale si aggiunge il comportamento anomalo delle altre coppie, tutti sono decisi ad aiutare la donna e dimenticarsi del tremendo misfatto. Com’è possibile? Shunsuke si ritrova inghiottito nelle tenebre più oscure e districarsene non sarà facile.

Lo stile di questo autore è semplice, con frasi che vanno dritte al punto, descrizioni ben dosate e non ci fa mancare i momenti di suspence. Una scrittura molto piacevole, voltiamo pagina senza neanche accorgercene.

Se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente! Buona lettura a tutti.


Kintsugi, corso di tecnica tradizionale a Milano

Sono Chiara Lorenzetti, restauratrice. Il mio lavoro consiste nel riparare oggetti importanti per le persone, nascondendone rotture e difetti. Qualche anno fa, però, ho scoperto che non interessa a tutti che una crepa sia ben nascosta, ho scoperto che a volte le crepe sono la cosa che aggiunge valore, storia e significato a un oggetto.

Ho scoperto l’arte del Kintsugi, un’antica tecnica giapponese, nata alla fine del quindicesimo secolo, che consiste nel riparare oggetti in ceramica mettendo in evidenza le crepe con polvere d’oro. Dopo un periodo di studio ed esperimenti ho incontrato l’Associazione Giappone in Italia e, assieme, abbiamo deciso di proporre un corso di Kintsugi con la tecnica tradizionale giapponese, quella originale. Infatti, al posto delle resine epossidiche usate in Occidente, il Kintsugi originale prevede l’impiego della lacca autoctona Urushi. Insegnare ad altri è sempre una grande responsabilità ma, al contempo, trasmettere la propria passione ad altre persone è appagante e, come nel caso del primo corso tenuto a Milano, permette sia a chi insegna che a chi apprende di aprire se stesso a nuove esperienze.

Durante le quattro settimane di corso i sei allievi, tutti provenienti da realtà diverse, hanno imparato come rompere e riparare un oggetto in ceramica, hanno sperimentato l’uso di materiali antichi come la lacca Urushi e hanno applicato la ricchezza dell’oro alle fratture nell’oggetto. Oltre a questo, però, ciascuno di essi ha vissuto un esperienza, artigianale e umana, che lo ha portato più vicino al sé artistico.

Ognuno degli allievi ha vissuto il corso in un modo personale, chi focalizzandosi più sull’aspetto tecnico e chi su quello filosofico e umano. Anche per l’insegnante questo corso è stata un’esperienza importante. La soddisfazione espressa dagli allievi rispecchia quella dell’insegnante che, per quattro settimane, ha seguito e incoraggiato, corretto e suggerito a sei persone desiderose di apprendere di più su una tecnica di restauro e su se stessi.

Forse è con le loro parole che il successo del corso si esprime al meglio.

[blockquote align="none" author="Annamaria"]"È stato un bellissimo corso, mi sono trovata molto bene con te e tutto il gruppo.
Le ore sono volate anche per l’argomento interessante."
[/blockquote]

[blockquote align="none" author="Raffaella"]"Il corso per me è stata una piacevole sorpresa, alla prima lezione non sapevo esattamente cosa aspettarmi, […] ma la tua professionalità e passione insieme all'armonia creatasi nel gruppo si è trasformata in una bellissima esperienza e crescita costante."[/blockquote][blockquote align="none" author="Melania"]"Nelle 4 settimane in cui siamo stati insieme mi hai insegnato infatti, con la tua arte, a dilatare il tempo. […] La cosa di cui ora sono compiaciuta è che mi hai insegnato  tra le altre cose a sorridere di fronte ad un oggetto rotto…"[/blockquote]

[blockquote align="none" author="Maurizio"]Grazie a te per il corso che hai organizzato. Mi è piaciuto tantissimo ed era quello di cui avevo bisogno. Ho imparato tanto da te e mi sono divertito.[/blockquote]

[blockquote align="none" author="Ilaria"]"È stata veramente una bella esperienza, finalmente ho imparato questa affascinante tecnica che rincorrevo da anni! Ho trovato un arricchimento sia a livello formativo sia a livello umano, conoscendo te ed i miei compagni di corso, tutte belle persone con le quali ho percepito subito una sintonia, al di là delle età differenti, delle diverse città di provenienza e delle professioni di ognuno. "[/blockquote]

[blockquote align="none" author="Fiorenza"]"Ho trovato il corso molto interessante e stimolante. Mi sono avvicinata al kinsugi pensando sia di poter aggiungere nuove  competenze al mio bagaglio  tecnico di restauratrice, imparando le basi di questa antichissima arte, che di poter dare un valore aggiunto alla mia creatività […].Un ulteriore punto di forza è stato l'ottimo rapporto che si è creato immediatamente tra tutti i componenti del corso."[/blockquote]

Al termine di questa esperienza mi sento di dire grazie ai miei allievi. E buon lavoro!

Se volete maggiori informazioni o desiderate sapere se ci saranno nuovi corsi, non esitate a contattare l’associazione. Per saperne di più sull'arte del Kintsugi, cliccate qui


Tokyo Express

Penne del Sol Levante - Tokyo Express di Matsumoto Seicho

Bentornati alla rubrica settimanale Penne del Sol Levante! Oggi vi incanterò con la storia di un romanzo appena uscito in libreria per Adelphi, Tokyo Express. Un giallo in piena regola, risalente al 1958 e denso di atmosfera.

I corpi di Sayama Ken'ichi e della giovane Otoki vengono ritrovati a Kashii, precisamente sulla spiaggia del promontorio che affaccia sulla baia di Hakata. Sono distesi su una lastra di roccia scura, i vestiti smossi dal freddo vento marino. Dai primi rilievi della polizia è subito chiaro che i due si sono suicidati e le analisi di poco successive confermeranno l'uso del cianuro, anche contenuto in una bottiglietta vuota di succo di frutta posta a fianco dei cadaveri. il caso viene subito etichettato come il suicidio amoroso di due tristi amanti. Iniziano le ricerche per scoprire l'identità dei due corpi e da subito, agli occhi del vecchio ispettore Torigai Jutaro, qualcosa non quadra in quella scena apparentemente perfetta
A dargli manforte arriva da Tokyo un giovane poliziotto della seconda sezione investigativa, quella che si occupa dei casi di corruzione. Pare infatti che la vittima, l’uomo, lavorasse in un ministero coinvolto in un grosso scandalo. Anche per il detective, Mihara Kiichi, quella storia ha qualcosa di sospetto ed entrambi sembrano non darsi pace. I loro dubbi sembrano confermati da strane incongruenze nelle testimonianze di alcuni conoscenti della giovane Otoki. Infatti due ragazze che lavoravano con lei in un locale della capitale e uno dei loro clienti più assidui testimoniano di averla vista, in compagnia di un uomo, salire sull’espresso che da Tokyo porta ad Hakata. Questo e altri indizi porteranno i poliziotti a svolgere una lunga indagine.

 

In questo romanzo i colpi di scena non mancano, il finale è inaspettato e originale. Si tratta di un classico giallo in piena regola, molto godibile e ottimamente narrato. C’è solo da sperare di imbattersi in qualche altro scritto di Matsumoto Seicho per poter godere nuovamente della sua prosa. Ma se volete saperne di più venite a leggere la recensione completa su Penne d’Oriente!
Buona lettura!

Pietra

Nagura, le pietre giapponesi per l'affilatura di lame e katana

I Maestri armaioli giapponesi, abbigliati con costumi immacolati, creano katana in uno stato di totale concentrazione, per creare spade che "non si spezzano, non si piegano e tagliano con precisione”. Tale capacità e qualità di taglio è dovuta anche all'affilatura, praticata con pietre naturali. Tra i Maestri vi era anche Kousuke Iwasaki. Il suo libro Sulle lame (刃物 の 見方) è ancora considerato una delle opere principali di forgiatura giapponese, costruzione rasoi e affilatura. Ci soffermeremo proprio sul discorso dell'affilatura e gli strumenti per attuarla in maniera impeccabile.

 

Vi sono quattro tipi principali di nagura (pietre per l'affilatura): botan (ボタン), mejiro (目 白), tenjou
(天上) e koma (コマ o 細) . La Botan è costituita da particelle grossolane, e leviga velocemente grandi quantità di acciaio durante l'affilatura. La tenjou e la mejiro possiedono particelle fini (コマ o 细). Le botan a volte presentano inclusioni assimilabili a piccoli punti neri noti come "occhi di sabbia". Le nagura sono costituite da un tipo di quarzo denominato tufo riolite. Questa è una roccia vulcanica acida formatasi da un processo deposizionale della cenere in seguito alle eruzioni vulcaniche.
La successione delle pietre durante l'affilatura è la seguente: botan (grossolana), una mejiro (fine) oppure una tenjou (fine). Solitamente quando la fanghiglia che si forma durante il processo di affilatura diventa più scura indica il momento di passare alla nagura successiva. Solo passando il filo del rasoio sull'unghia del pollice ci permette di capire l'aggressività della lama. Il potere abrasivo in presenza di fanghiglia aumenta perché i cristalli vengono rilasciati sulla superficie della pietra e quindi presenti in forma più efficace.
Tra le pietre giapponesi per la finitura  honyama vi sono le maruka che possono essere gialle, rossastre, blu e bianche. Un tempo le gialle erano considerate le migliori ma dopo attente analisi ci si e' accorti che l'abrasivo presente in tutte le pietre e' lo stesso e che, in realtà, il tipo di levigatura era simile a quello delle altre pietre. Altre pietre molto buone per la finitura sono le ozaki di montagna, sono di colore grigio scuro. Si raccomanda di lappare accuratamente tute le pietre giapponesi per l'affilatura e, nel caso di quelle per finitura sopra citate, di rimuovere tutte le intrusioni color porpora e/o color pelle. Queste intrusioni, molto dure, rischiano di scheggiare il filo del rasoio.
Dopo l'uso delle nagura si passa all'uso delle pietre honyama. Le pietre honyama sono lente in genere e quindi si usa creare una fanghiglia su di esse con una nagura. In giapponese, in questo caso, dato che si usano due pietre, è possibile che l'intero procedimento venga esplicitato affermando: "Si affila il rasoio usando una tomonagura" (ovvero una honyama, più la nagura).
Arrivati a questo punto dell'affilatura, si sta usando la honyama per affilare, la nagura è solo un coadiuvante.Il procedimento quindi dovrebbe essere chiamato tomoto (共 砥). Teoricamente che scaturisce da questa operazione risulta si ancora frastagliato, ma pronto per radere. In realtà si può fare di meglio. Il filo cosi come viene lasciato dalla honyama viene chiamato mudaha (ムダ 刃). La nagura, come abbiamo visto, può servire da sola per abradere parecchio acciaio dal filo nei casi in cui vi sia un filo particolarmente difficoltoso da impostare, oppure per formare della fanghiglia su pietre più fini.

SI consiglia, in questo caso, di strofinare la nagura in maniera uniforme in modo da non dover poi lappare la pietra su cui si vuole attuare lo slurry ( fanghiglia), una volta finita l' operazione. Si faccia attenzione a non strofinare troppo energicamente le pietre nagura l'una sull'altra, per evitare che dalla prima si distacchino frammenti troppo grossi.Una quantità copiosa di abrasivi e fanghiglia inoltre può essere controproducente. Può far si infatti che il rasoio risulti sollevato, quindi che il filo non tocchi bene sulla pietra. Si rischia, in questo modo, di ottenere un filo irregolare.
Bibliografia: Sekishi no shoyû tôken (“La spade della città di Seki”), Città di Seki, provincia di Gifu.
Kousuke Iwasaki
(Translated by Jim Rion/Andrea Brattelli)

Penne del Sol Levante - La ragazza dell'altra riva di Mitsuyo Kakuta

Buongiorno cari amici, oggi per la rubrica di Penne del Sol Levante vi racconto un romanzo uscito da pochi mesi in Italia: La ragazza dell’altra riva di Mitsuyo Kakuta.
Le protagoniste sono due donne che non potrebbero condurre vite più diverse. Sayoko è sposata e ha una figlia piccola, Akari, con cui passa le sue giornate; trascina i giorni trasferendosi da un parco giochi all’altro per evitare di dover far amicizia con le altre madri, che si uniscono in gruppetti chiusi. Akari, introversa quanto lei, non riesce mai a farsi degli amici e gioca sempre da sola. Sayoko non sopporta più questa situazione e decide di trovarsi un lavoro, così da avere una buona scusa per mandare la bambina all’asilo dove finalmente potrà interagire con i suoi coetanei. Così si mette a spulciare gli annunci lavorativi, va a diversi colloqui ma nessuno pare volerla assumere visto che è una casalinga e non ha capacità particolari.
Finché non incontra Aoi, giovane donna in carriera a capo di una piccola società di pulizie e viaggi. Fin da subito si intuisce che l’organizzazione interna dell’azienda è confusa e che Aoi spesso vive alla giornata, reinventandosi a seconda dell’affare migliore. Le due donne fanno da subito amicizia e Sayoko inizia a lavorare per lei come donna delle pulizie, nonostante le discussioni asfissianti con il marito e la suocera.
Ai capitoli dedicati al presente di questa piccola azienda si intervallano quelli dove ci viene narrata l’adolescenza turbolenta di Aoi, che scopriremo poi intrecciarsi inconsapevolmente con quella di Sayoko.

L’autrice, Mitsuyo Kakuta, non è una voce del tutto inedita nel panorama italiano. Nel 2014 infatti era uscito il suo primo libro tradotto in italiano (in realtà in Giappone è un nome molto conosciuto e i suoi romanzi e racconti hanno già vinto tutti i premi letterari più prestigiosi del paese). L’avevo letto, e presto ve ne parlerò, ma non mi aveva colpito come questo. Stavolta sono stata ammaliata dalla sua scrittura e da questi due personaggi di donne che tentano di costruirsi un Io, un’indipendenza d’animo rispetto ai doveri e alla società che le circonda.
Un romanzo in cui mi sono ritrovata molto, ma se volete saperne di più trovate la recensione completa su Penne d’Oriente. Buona lettura!

Un tanka alla settimana

"Ti dimenticherò...
ma come sorge tal pensiero,
già, più ardente che mai,
m'irrompe nel cuore
la brama struggente."

"Wasurenamu to
omou kokoro no
tsuku kara ni
arishi yoru ke ni
mazu zo koishiki"

わすれなむと
思心の
つくからに
ありしより異に
先づぞ恋しき

Anonimo