La principessa trecentenaria - La storia dietro l'opera
All’inizio del IX secolo la principessa Nakanohime si reca verso Yoshino, per visitare la tomba di sua madre. Per caso scorge la figura di spalle di un eremita che si affretta e si innamora perdutamente di lui. Genjo, questo il nome dell’eremita, è un componente del tempio Tengio sul monte Omine, e sta seguendo le pratiche religiose dei mille giorni. Il 999° giorno, Genjo prova a salvare un vecchio viandante che sta per morire, e deve rinunciare a completare le pratiche. Keishu, il vecchio viandante, è un bonzo cinese di grande saggezza, e gli insegna che rinunciare è il giusto gesto da compiere. Genjo, che deve togliersi la vita per non aver completato le pratiche religiose, riceve in dono da Keishu l’elisir di eterna giovinezza ed immortalità, e si salva dall’obbligo religioso. Dopo tre anni, Nakanohime e Genjo si incontrano casualmente a Kyoto. Entrambi credono che l’incontro sia segno del destino, ed iniziano a vivere insieme sul monte Omine, incuranti del divieto d’accesso alle donne sulla montagna. Gli dèi della montagna non accettano la loro scelta, e la principessa cade gravemente malata. In punto di morte, Genjo le fa prendere l’elisir dell’immortalità. Ha inizio così l’angoscia per Nakanohime che ha ottenuto la vita eterna. A causa di una frana, è costretta a dividersi da Genjo e dal figlio Chisho. Dopo 50 anni, Nakanohime incontra un bel ragazzo, Sojun, che assomiglia a Genjo. Dal loro amore nasce un bambino, ma Nakanohime scopre che in realtà Sojun è figlio di Chisho, e sconvolta dal proprio peccato scappa. Durante il suo viaggio trova la principessa Sannohime, sua sorella minore, e trova temporaneamente la pace.
Tormentata dal destino, Nakanohime scala il monte Fuji per parlare con la dea Konohanasakuyahime. Dal monte arriva il rombo di una eruzione. Fra la gente che fugge via, Nakanohime decide di sfidare il destino e prosegue la scalata, pensando “Se gli dèi vorranno che io sopravviva, faranno piovere”. Con una grande boato, il monte Fuji erutta lava, e contemporaneamente inizia a piovere e compaiono dei bellissimi boschi. Nakanohime ha salva la vita. Vagando senza meta, giunge al lago Oshino, dove si specchia sulla superficie del lago e sente una voce che le sussurra “Nakanohime, hai vissuta a sufficienza!” e subito dopo viene inghiottita dal lago. Nella sua vita successica, Nakanohime si reincarna in una carpa, e passando da Oshino verso il mare arriva in al bacino di una cascata sul monte Omine, dove viveva con Genjo.
Venite a scoprire quest'opera lirica giapponese in due atti il giorno 22 marzo, alle ore 19:00, presso il Teatro Rosetum di via Pisanello 1 a Milano (M1 Gambara). Tra i due atti verrà offerto un rinfresco a base di sakè a tutti i partecipanti.
Sia l'opera che il rinfresco sono a entrata libera e gratuita!
Alita – Angelo della Battaglia: le nuove frontiere del genere umano tra uomini e cyborg
L’anno era il 1990, appena due anni dopo l’uscita di "Akira" che aveva portato alla ribalta internazionale l’animazione giapponese. Esce in quell’anno 銃夢 ("Ganmu", contrazione di “Gun’s Dream”), tradotto in italiano come "Alita – Angelo della Battaglia" di Yukito Kishiro e di cui lo scorso 14 Febbraio è uscito l’adattamento cinematografico.
In un futuro distopico il Dr. Daisuke Ido ritrova in mezzo ai rottami la testa e il petto ancora intatti di un cyborg che ribattezza Alita in onore della figlia scomparsa una volta ricomposto il suo corpo (nel manga prende spunto dal nome del suo gatto in quanto la trama della figlia perduta è stata aggiunta nel film per sottolineare maggiormente il legame padre-figlia tra Alita e Ido). Alita, che non ricorda nulla del suo passato, si ritrova così a vivere nella “Città Discarica”, letteralmente una città situata al di sotto della ben più ricca città fluttuante di Salem a cui funge da discarica a cielo aperto. Qui Alita si ritroverà ben presto a fare i conti con una realtà fatta di violenza, pericolose gare di Motorball e spietati cyborg cacciatori di taglie.
Alita è solo l’ultimo di una lunga produzione legata al mondo del cyberpunk sia in Occidente che in Oriente. Nato sulla scia della science fiction degli anni ’60, negli anni ’80 raggiunge grandiosi apici creativi uscendo dai limiti del romanzo. Ad esempio il già citato Akira, ma anche Blade Runner (1982) per quanto riguarda l’Occidente. Pur nelle loro similitudini, la declinazione che il cyberpunk ha in Giappone è inevitabilmente legata alla storia e alla cultura di questo paese. Se in linea generale nel cyberpunk convergono tutti i timori e le ansie legate allo sviluppo tecnologico, queste paure sono sostanzialmente diverse. Il punto comune di partenza è il paradosso per cui ad un avanzamento tecnologico non solo non corrisponde un miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo, ma anzi l’iper-industrializzazione finisce per opprimere l’umanità. Il conseguente disagio sociale sfocia in sempre maggiori disparità tra classi, violenza e spesso anche fughe dalla realtà nel mondo virtuale che finisce per sostituirsi a quello reale.
Tuttavia in Giappone un tema che diventa ben presto caro all’immaginario popolare è quello della metamorfosi del corpo umano. Queste ibridazioni tra uomo e macchina sono terribili e spaventose: in Akira Tetsuo alla fine del film subisce una trasformazione che rischia di inghiottire la città stessa. In Tetsuo, The Iron Man (1989) di Tsukamoto Shinya, la metamorfosi del protagonista sembra voler quasi richiamare un film horror. Certamente nel folklore giapponese sono molte le storie di metamorfosi di dei e esseri umani, ma dopo l’orrore post-atomico le trasformazioni diventano terrificanti. Basti pensare a Godzilla, un mostro ibrido che si risveglia a causa della bomba atomica.
Non sempre però la metamorfosi assume caratteri negativi. Ad esempio in Ghost in the Shell (1995) di Mamoru Oshii tutti gli uomini hanno parti cibernetiche e persino la memoria stessa diventa una simulazione che può essere inserita in un contenitore, per l’appunto uno shell. In altre parole tutto quello che definisce l’identità individuale diventa irrilevante e frammentato. Il vero io è definito da carne e sangue o forse è più reale il nostro io digitale fatto di informazioni e dati? La risposta a cui giunge il film non è però la totale distruzione della tecnologia nemica né tantomeno la sua sublimazione in caratteri umani, ma bensì l’accettazione del cambiamento completo. Uomo e macchina diventano insieme una nuova identità che supera il vecchio dualismo uomo vs macchina. Si diventa così post-umani in quanto l’essenza di un essere umano è slegata dalla sua forma corporea e rimane intatta se trasferita in un altro contenitore. Allo stesso modo Alita è un cyborg ma questo non la rende meno umana. Infatti oltre alle abilità fisiche che la rendono una combattente formidabile, i veri punti di forza di Alita sono l’amore e il coraggio di combattere per le persone a lei care senza arrendersi mai, caratteristiche queste che sono solitamente concepite come umane.
Cosa ci riserva quindi il futuro? Solo il domani potrà dircelo. Quello che è certo però è che siamo già dei nuovi prototipi di esseri umani. La tecnologia al di fuori del nostro corpo è ormai parte integrante della nostra identità frammentata. È sufficiente pensare a come il solo smartphone abbia radicalmente le nostre abitudini rispetto a 20 anni fa. E il cambiamento avanza inesorabile e veloce come una notizia gettata in pasto alla rete. Forse quasi senza realizzarlo, oggi siamo tutti un po' cyborg ma non per questo dobbiamo dimenticarci di essere umani.
Articolo di Erika Micozzi
La rivolta giapponese di San valentino
Il 14 febbraio è la festa degli innamorati, momento più atteso dalle coppie per festeggiare il proprio amore. Gli uomini innamorati durante questa festa omaggiano le proprie "Valentine" con bigliettini zuccherosi, fiori e tanti cuori. Si tratta di una tradizione che si tramanda da anni, ma lo sapevate che per le donne giapponesi questa festa rappresenta un vero e proprio incubo? Proprio così, nel Paese del Sol Levante non esiste la consuetudine tra gli innamorati di celebrare il proprio amore a lume di candela, ruota tutto in torno alla cioccolata. Vi chiederete cosa ci sia di tanto terribile nel ricevere un cioccolatino a forma di cuore avvolto in una luccicante stagnola rossa? Le ragazze giapponesi sono le più coraggiose al mondo perchè la tradizione vuole che siano loro a prendere l' iniziativa, a raccogliere il proprio coraggio e dichiararsi al ragazzo segretamente amato.
Esistono tre diversi tipi di cioccolata:
-la giri-choko (義理チョコ), "cioccolata dell'obbligo", si tratta di semplice cioccolata, comprata nei negozi e regalata dalle ragazze ai propri compagni di classe o colleghi di lavoro.
-tomo-choko (友チョコ), "cioccolata dell'amico", è un regalo più sincero, regalato agli amici a cui si vuole bene davvero, talvolta anche tra ragazze;
-la honmei-choko (本命チョコ), "cioccolata del prediletto", viene regalata alla persona che si ama, quindi al proprio fidanzato o marito, o a qualcuno di cui si è innamorati e a cui ci si vuole dichiarare o comunque far capire i propri sentimenti. Questa cioccolata viene preferibilmente preparata in casa con le proprie mani e confezionata con cura.
Ma i tempi sono cambiati e le donne non vogliono più sottostare a questa tradizione che le costringe da anni a fare il primo passo e hanno deciso di boicottare la "cioccolata del prediletto" e quella "dell'obbligo". Alcune aziende hanno addirittura deciso di vietare nei loro uffici questo scambio di cioccolato come segno di solidarietà verso tutte le donne.
La rivolta femminista ha addirittura deciso di introdurre un nuovo tipo di cioccolata: "la cioccolata al contrario" che per la prima volta deve essere acquistata da un uomo e regalata alla propria amata.
Insomma quest'anno tutte le donne in Giappone si unisconi in un solo grido: "LA CIOCCOLATA LA COMPRO PER ME!"
Recensione mostra fotografica "Il mio Giappone"
Una foto per essere bella, deve trasmettere emozioni.
E questo, a mio parere, è quello che si vive in questi giorni presso la Fondazione
Matalon a Milano, che ospita la mostra fotografica di Alberto Moro, Presidente
dell’Associazione Culturale Giappone in Italia.
Durante il percorso espositivo, si respirano l’armonia, la pace e il silenzio che
caratterizzano la cultura nipponica. Si comincia il percorso con la sezione dedicata
alla tradizione, per poi entrare nella modernità e terminare in uno spazio più intimo
del Giappone, che è quello della cerimonia del tè.
La tradizione è rappresentata dalle foto dei vari quartieri di Kyoto, come ad esempio
il quartiere di Gion con il suo santuario di Yasaka o il tempio di Kodai-Ji, illuminato
in una splendida serata di luna. Sono quartieri silenziosi e rilassanti, lontani dalla
frenesia della vita metropolitana. Il quartiere di Gion è luogo di incontro tra le geisha
e gli uomini d’affari, ma nella foto non ne compare nessuna. Alberto Moro ci spiega
che per rispetto non è possibile fotografarle, ma quando si vedono in giro bisogna
rispettarle. Nella foto, quindi, non compaiono, possiamo solo immaginarle, come
ragazze colte e raffinate, che entrano ed escono dalle case con le loro complicate
pettinature e il trucco elaborato, strette nei loro sgargianti kimono.
La modernità è rappresentata dagli scatti fotografici delle vie di Tokyo. Noi siamo
abituati a pensare a Tokyo come una città sovraffollata e frenetica, ma le fotografie
raccontano momenti di quotidianità di giovani, uomini d’affari, operai, teenagers che
danno un taglio più umano all’ atmosfera metropolitana.
Con questa mostra, Alberto Moro esprime la sua passione verso la cultura giapponese
e si definisce un fotografo/pescatore. A differenza di un fotografo/cacciatore, più
invadente, è discreto e rispettoso: si ferma in un determinato luogo che considera
particolare e aspetta con pazienza che passi un soggetto interessante per catturarlo in
uno scatto. Notiamo questa sua squisita attitudine guardando la foto fatta nel quartiere
di Shinjuku, dove in un vicoletto buio ferma in un’istantanea il passaggio di un
uomo esattamente nell’unico cono di luce esistente.
Salendo al primo piano arriviamo all’ultima sezione della mostra, quella sul Chadō,
la Via del tè. E’ la saletta cosiddetta “più intima”, dove le foto dei bollitori, delle
fruste in bambù per mescolare il tè in polvere con l’acqua bollente e dei contenitori
raffinati rappresentano le varie fasi della cerimonia e danno un’atmosfera domestica e
familiare alla sala espositiva. Le foto comunicano quella serenità e quella quiete tanto
care ai giapponesi, ma soprattutto ci trasmettono quella particolare cura
nell’accogliere l’ospite che a sua volta dimostra riconoscimento e gratitudine verso
l’ospitante, con i tipici movimenti di riverenza in un reciproco scambio di inchini. Mi
ha colpito molto la fotografia dell’artista Jumco Sophie Okimoto. E’ inginocchiata
col suo kimono celeste e, mentre il viso rimane volutamente fuori dall’obiettivo, in primo piano vediamo le mani che con estrema delicatezza, circondano la ciotola che
le viene offerta.
Nella sala è presente una calligrafia che determina lo spirito dell’incontro: ICHIGO
ICHIE “ogni incontro è irripetibile”. Ogni cosa che viviamo è unica e irripetibile, per
questo deve essere vissuta con grande intensità. Come l’ultima goccia di tè catturata
nel tempestivo scatto di Alberto Moro.
Le mie due foto preferite sono quelle dell’artista Junko Sophie Okimoto che si
trovano all’ingresso.
E’ una donna giapponese immortalata in modo incantevole in due momenti diversi. In
uno, a casa, inginocchiata sul tatami tiene in mano una ciotola del the. Nell’altra è
sempre inginocchiata ma fuori, nel giardino del tempio di Geshin-ji, che è la sua
casa. Ha un atteggiamento amoroso e dolce. Il suo sguardo non è mai perso nel vuoto,
perché, composta nella tipica posizione inginocchiata, è determinata nel promuovere
la tradizione del suo paese. Sembra una foto calata in una realtà fiabesca, lontana dal
nostro tempo, dalla quale traspirano l’armonia, la pace interiore e il silenzio che
caratterizzano la cultura nipponica.
L’intera esposizione è un’emozionante sintesi di quello che è lo spirito del Giappone,
catturato in una bella raccolta di suggestive fotografie. Una mostra che consiglio di
visitare a tutti, appassionati e non.
Margherita Ciociano
KUSAMA-INFINITY
KUSAMA - INFINITY
di Heather Lenz
USA, 2018, 78’
Documentario
In sala dal 4 marzo
con Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema
CAST ARTISTICO
REGISTA: Heather Lenz
PRODUTTORI: Heather Lenz, Karen Johnson, David Koh, Dan Braun
PRODUZIONE ESECUTIVA: Stanley Buchthal, Josh Braun, Ryan Brooks, Brandon Chen, Jessica
Latham, Troy Craig Poon, Alice Koh, Simone Haggiag, Hajime Inoue
MONTAGGIO: Keita Ideno, Shinpei Takeda, Carl Pfirman, Heather Lenz, Sam Karp,
John Northrup, Nora Tennessen
MUSICHE: Allyson Newman
SINOSSI
Yayoi Kusama, icona giapponese per eccellenza, è una delle artiste più influenti della storia dell’arte
contemporanea, colei che ha fatto delle sue allucinazioni un’arte diventando l’artista donna più
venduta al mondo. Il film esplora la sua ascesa verso il successo mostrando da vicino il suo talento, le
sue ossessioni, la malattia mentale e le difficoltà incontrate durante il suo percorso, la sua significativa
importanza artistica e culturale.
Utilizzando il materiale d’archivio e quello inedito, viene raccontata in modo intimo la storia di
Kusama, attraverso le sue stesse parole e le toccanti interviste a direttori di musei, galleristi, curatori,
critici, collezionisti, amici e collaboratori. Esito di oltre un decennio di attività della regista, il
documentario getta una nuova luce su una protagonista assoluta dell’arte contemporanea del
Novecento e della nostra epoca.
La sua storia personale e professionale si intrecciano, il trauma di essere cresciuta in Giappone durante
la seconda guerra mondiale in una famiglia che scoraggiava le sue ambizioni creative, gli esordi non
facili in Patria, il trasferimento a New York dove era ostacolata dal sessismo e il razzismo che
caratterizzavano il mondo dell’arte a cavallo degli anni ’60 passando per i problemi connessi con la sua
salute mentale fino ai giorni d’oggi. Divenuta ormai l’artista più popolare al mondo, ideatrice di
abbaglianti e fantasiose creazioni a pois e conosciuta ai più per le enormi zucche colorate e le sue
Infinity Room, Kusama continua a dedicarsi all'arte a tempo pieno realizzando innumerevoli opere che
abbracciano varie discipline come la pittura, la scultura, l’arte performativa, il design e registrando con
le sue mostre record di pubblico nei principali musei internazionali.
NOTE DI REGIA
Ho conosciuto per la prima volta l'arte di Kusama mentre mi laureavo in Storia dell'Arte e Belle Arti.
All'epoca, studiavo storia dell'arte attraverso libri di testo spessi due pollici che raramente contenevano un solo paragrafo sull'arte prodotta dalle donne. Quando ho visto per la prima volta l'arte di Kusama, ho
immediatamente percepito un legame istantaneo con essa.
Mentre imparavo di più sulla vastità di lavori che Kusama ha creato durante la sua vita, in particolare a New York tra il 1958 e il 1973, ho realizzato che i suoi contributi al mondo dell'arte americano non erano stati adeguatamente riconosciuti. Successivamente, mentre studiavo per un MFA in Cinematic Arts alla USC, decisi di fare un film su Kusama per condividere la sua storia con un pubblico più ampio. Lì per lì non avrei mai potuto immaginare che Kusama sarebbe diventata l'artista femminile più venduta al mondo! Sebbene Kusama sia famosa per la sua parrucca rossa e i suoi pois colorati, ho pensato che includere il lato oscuro della sua storia da bambina durante la seconda guerra mondiale potesse aiutare a trasmettere quella parte della sua vita a un pubblico che non la conosceva onde evitare che venisse dimenticata. La sua è la storia di una pioniera che ha dovuto superare il sessismo, il razzismo e la malattia mentale per perseguire il suo sogno di essere un’artista. Spero che le persone trovino il film stimolante.
BIOGRAFIE
Yayoi Kusama (Artista)
La carriera di Yayoi Kusama, essendosi svolta per diversi decenni, ha oltrepassato due dei più importanti
movimenti artistici del XX secolo: la Pop art e il Minimalismo. l suoi lavori altamente influenti comprendono dipinti, performances, stanze a grandezza naturale, installazioni scultoree all’aperto, lavori letterari, film, moda, design e alludono tutti contemporaneamente a universi microscopici e macroscopici.
Ormai una delle artiste più famose al mondo, Kusama continua ad attirare un numero record di visitatori alle sue mostre a livello internazionale mentre le foto delle sue Infinity Mirror Room spesso diventano virali sui social media.
Kusama, che attualmente vive a Tokyo, continua irrefrenabilmente a creare arte e partecipare a mostre.
Negli ultimi anni ha esibito i suoi lavori presso prestigiose istituzioni internazionali tra cui il Centre Georges Pompidou, la Tate Modern, il Whitney Museum of American Art, il National Centre of Art di Tokyo e il Museo di Hirshhorn. L'anno scorso, Kusama ha aperto il suo museo personale a Tokyo con la mostra inaugurale “Creation Is a Solitary Pursuit, Love is What Brings You Closer to Art”.
Heather Lenz (Regista e Produttrice)
Scrittrice, regista e produttrice, Heather Lenz è appassionata di documentari e film biografici. È attratta
dalle storie di persone con menti creative che non hanno intrapreso un sentiero battuto (come Yayoi
Kusama). Il suo primo cortometraggio su un inventore di biciclette, Back to Back, è stato nominato per gli Academy Awards studenteschi ed è stato proiettato in festival cinematografici in tutto il mondo.
Lenz ha una laurea in Storia dell'Arte e Belle Arti presso la Kent State University. Ha anche conseguito un MFA in Cinematic Arts presso la University of Southern California. Lenz si è interessata per la prima volta a Kusama mentre studiava arte all’inizio degli anni '90. Quando ha visto per la prima volta il lavoro dell'artista giapponese è stato amore a prima vista. Ha capito subito che i contributi di Kusama nei confronti del
mondo dell'arte americano erano stati in gran parte trascurati. Kusama ha creato alcune delle sue opere più innovative dalla fine degli anni '50 fino ai primi anni '70 mentre viveva a New York, un periodo di tempo di circa quindici anni. Lenz ha dato origine al film su Kusama e ha lavorato per oltre un decennio per portare sullo schermo la sua incredibile storia e non avrebbe mai immaginato che durante la realizzazione del film Kusama sarebbe diventata l'artista femminile più venduta al mondo.
Durante la realizzazione del documentario, Lenz si è sposata con un giapponese. Il suocero (un ministro
buddista della 17esima generazione) e la suocera (esperta dell'arte morente della cerimonia del tè
giapponese) provengono entrambi dalla zona di Hiroshima e, come i genitori di Kusama, hanno avuto un matrimonio combinato. Il nonno di suo marito è stato ucciso dalla bomba atomica caduta su Hiroshima. È molto importante per Lenz che il suo film su Yayoi Kusama contenga i dettagli del lato oscuro della sua infanzia durante la seconda guerra mondiale, per far si che ciò venga tramandato ad una generazione più giovane ed evitare che venga dimenticato.
Lenz ha scritto sull’arte di Kusama contro la guerra per Specialten DVD Magazine.
Wanted Cinema è una società di distribuzione fondata nel 2014, che nel giro di pochi anni è diventata un punto di riferimento nel mercato cinematografico italiano, proponendosi con una linea editoriale molto chiara: un cinema di ricerca e "ricercato", per un pubblico che si aspetta non soltanto divertimento, ma anche pensiero, stimolo, dibattito, sorpresa, approfondimento.
Un catalogo di oltre 70 titoli, tra film e documentari, vincitori nei principali festival nazionali e
internazionali: premi del pubblico, della critica e con ottimi riscontri al Box Office. Tra questi: Il giovane Karl Marx, Lucky, David Lynch. The art of life, I am not your negro.
Nel 2016 partecipa a un bando di crowd-funding del Comune di Milano e viene scelta tra le realtà
meritevoli di essere supportate: la campagna è vincente e vede la nascita del CineWanted, realtà finalizzata a promuovere un’idea di cinema nuovo e socialmente impegnato. Nel gennaio 2018 inaugura il nuovo progetto Wanted Clan, nato dall'esigenza di reinventare la sala cinematografica tradizionalmente intesa proponendo uno spazio all'insegna dell'innovazione artistica e della sperimentazione mediale.
Tutti i nostri titoli: http://wantedcinema.eu/catalogo/
Ufficio stampa Lo Scritto
via Crema 32 - 20135 Milano
Tel. +39 02 78622290-91
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Il libro del sake e degli spiriti giapponesi di Stefania Viti
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Dopo aver raccontato sushi e ramen, Stefania Viti, giornalista e comunicatrice, esperta in cultura giapponese, presenta, in collaborazione con Miciyo Yamada, un altro grande protagonista della cultura enogastronomica del Sol Levante: il sake o, più propriamente, nihonshu.
Edito da Gribaudo,Il libro del sake e degli spiriti giapponesi – Storia dei liquori nipponici con cocktail e curiosità approfondisce inizialmente l'iconica bevanda alcolica ricavata dalla fermentazione del riso attraverso la sua storia e cultura, per poi analizzarne la produzione. Sake, ma non solo. il volume parte infatti dal sake, trattato nelle prime due sezioni, ma si apre successivamente a tutto il mondo del beverage made in Japan nella parte Oltre il sake. È così offerta l'occasione di scoprire la straordinaria varietà degli spiriti giapponesi : dalla birra ai distillati - come lo shōchū o l'awamori tipico di Okinawa -, dai liquori come l'umeshu, a base di ume, il prugno asiatico o lo yuzushu - ai samurai spirits, come whisky, gin e rum.
Chiude il libro la parte dedicata all'arte del mixology e dei cocktail. cinque differenti cocali - il Lamp Bar di Nara, creato da Michito Kaneko (World Class Global Bartender of the Year 2015), l' Octavius Bar at the Stage, Zuma di Roma, Sakeya The House of Sake di Milano e il concept store Tenoha sempre a Milano - offrono la loro personalissima interpretazione dei drink creati con liquori nipponici.
Di grande interesse le interviste distribuite in tutto il volume che contribuiscono ad arricchire la narrazione intorno al sake e alle altre bevande descritte. Tra le altre, quelle a Fukuyo Shinji, Suntory Spirits Chief Blender, a Misawa Koji, esperto di sake, tra i primi ad importare questa bevanda in Italia, e a Giovanni Municchi, unico italiano che può essere definito kurabito, termine con cui in giapponese è indicato colui che lavora nella sakagura, la cantina di sake.
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Teatro Kabuki
La parola “Kabuki”, si riferisce a una forma tradizionale di teatro giapponese, ed è formata dalla somma di tre kanji: Ka (canto), Bu (danza), e Ki (abilità). Nelle opere teatrali, ricche di elementi drammatici, troviamo uno stretto rapporto tra recitazione e danza, oltre che l’impiego di canti e strumenti musicali (tamburi, flauti e shamisen a tre corde).
Il teatro Kabuki venne rappresentato per la prima volta a Kyoto nel 1596, seppur fu nel corso del periodo Edo (1603-1868) che assunse la sua forma caratteristica. Alla fine del XVII secolo infatti il Kabuki fu patrocinato da ricchi mercanti, e ciò avvenne in concomitanza con l’impoverimento e il graduale declino della casta dei guerrieri. Sviluppatosi specialmente per il divertimento del popolo, il Kabuki aiutò quest’ultimo a intraprendere la strada dell’emancipazione culturale.
Le origini del Kabuki sono intrecciate con le prime apparizioni di Okuni, una danzatrice itinerante che vantava un legame personale col santuario di Izumo. Essa era stata forse una Miko (giovane assistente) oppure una vergine del grande santuario di Izumo. La compagnia di Okuni divenne presto famosa anche per via delle esibizioni provocanti delle sue danzatrici e da conseguenti fenomeni di prostituzione. Con l’improvvisa morte di Okuni, si formarono spontaneamente altre compagnie femminili (Onna Kabuki) con le stesse caratteristiche licenziose, fino a ché però nel 1629 lo Shogunato non vietò alle donne di esibirsi, facendole rimpiazzare da giovani attori (Wakashu). Ciononostante, i problemi legati alla moralità persisterono, e non si attenuarono fino al momento in cui il governo decise di far salire sul palco solo uomini già avanti con l’età. Tale tradizione si è così conservata sino ai giorni nostri.
Nel teatro Kabuki, il palco principale in legno (Hon Butai) è leggermente decentrato sulla destra degli spettatori, mentre alla sinistra del pubblico troviamo una passerella (Hashigakari) collegata ai camerini degli attori. “Hanamichi” invece è il nome del camminamento rialzato che permette agli attori di uscire di scena.
Le opere kabuki si possono raggruppare in tre tipi: Jidaimono (opere storiche); Sewamono (opere contemporanee); e Shosagoto (opere di danza). Le prime trattano spesso delle vicende legate a guerrieri e aristocratici dei periodo precedenti a quello Tokugawa. Tra gli spettacoli di vita contemporanea invece, sono famose le rappresentazioni teatrali delle opere di Chikamatsu Monzaemon, specialmente quelle storie amorose che si concludono con un doppio suicidio.
Nel kabuki troviamo generalmente due stili di recitazione, il magniloquente Aragoto di Edo e quello più delicato, Wagoto, formatosi nell’area Kamigata (Kyoto/Osaka). Lo stile Aragoto venne introdotto verso la fine del XVII sec. dal primo Ichikawa Danjuro (1660-1704). Esso è un modo di recitare volutamente esagerato, dove le pose dei personaggi sono ispirate a rappresentazioni di divinità buddhiste dall’aspetto inquietante, come quella di Fudoomyoo. A questi personaggi, eroi chiamati a fronteggiare nemici malvagi, vengono pitturati i volti per enfatizzarne le espressioni, utilizzando una tecnica di trucco chiamato Kumadori. “Shibaraku” è considerata una delle più grandi opere in stile Aragoto.
Pioniere del più realistico e raffinato stile Wagoto fu invece Sakata Toojuroo I (1647-1709). Le tematiche trattano spesso delle travagliate vicende amorose di giovani amanti. Particolare l’opera “La vendetta dei Soga”, dove uno dei due fratelli, Goro è recitato in Aragoto, mentre l’altro, Juro, in Wagoto.
Altra carattesristica del kabuki sono le parrucche e i costumi sgargianti indossati dai personaggi. Questi ultimi sono tanto appariscenti quanto più è alto lo status sociale di chi li indossa.
Skincare giapponese: il ritorno del J-beauty dopo il boom coreano
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Negli ultimi anni i prodotti di bellezza coreana hanno dominato il mercato occidentale, famosi per i loro packaging accattivanti, i detergenti naturali e le creme al gel di lumaca. Questo approccio della Corea al mondo della bellezza, sempre a caccia degli ultimi trend, effettivamente è diventata di tendenza.
Negli ultimi mesi, tuttavia, sta nuovamente emergendo la J-Beauty (japanese beauty), attirando l'interesse dell'Occidente.
"L'approccio giapponese alla bellezza riguarda più la tradizione, una serietà silenziosa, il lusso discreto e una presenza minimal rafforzata da una lunga tradizione di bellezza" spiega Anna-Marie Solowij, ex beauty editor di Vogue UK e co-fondatrice del brand Beauty Mart.
La bellezza e il benessere sono da tempo parti importanti della cultura giapponese, si tratta di scienza combinata con la natura - ingredienti chiave che per secoli sono stati usati nei rituali giapponesi.
Le donne giapponesi mettono più enfasi sulla semplificazione della loro routine di bellezza con prodotti che offrano più di un beneficio, soprattutto a lungo termine.
Entro il 2020, (secondo le previsioni del Financial Times), i prodotti di cosmesi giapponesi, ad esempio quelli del colosso Shiseido, registreranno un forte incremento delle vendite.
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Se la cosmesi coreana trova nelle tendenze il suo punto di forza, la J-beauty preferisce puntare le sue radici nella tradizione e investendo sulla tecnologia, al fine di creare prodotti validi nel lungo termine.
FUSHIKADEN E AKUTAGAWA A SWITCH ON YOUR CREATIVITY 5TH EDITION – AWARDS AND PERFORMING NIGHT
Ultimo appuntamento del nostro viaggio nel mondo di Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night. Il 10 Dicembre, a partire dalle ore 18.30 presso il Novotel di Ca’ Granda, Asian Studies Group ospiterà noi di Giappone in Italia e i nostri tesserati, che per l’occasione avranno uno sconto sulla donazione d’ingresso, in una serata che si preannuncia estremamente ricca di temi ed iniziative.
Asian Studies Group è un’associazione famosa per la sua dedizione e impegno nella didattica delle lingue orientali. Non tutti sanno però che è anche un affermato produttore teatrale. In occasione di Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night, avremo l’opportunità di assaggiare ben due spettacoli, in versione ridotta per meglio adattarsi alla serata, appartenenti al catalogo di ASG-Produzioni: Fushikaden, Tenka no Emozione e Akutagawa, l’Uomo Oltre.
Il primo, con la regia di Paolo Cacciato, è stato premiato col 1° Premio alla Critica al Concorso Internazionale Teatro Nudo di Teresa Pomodoro. E’ un romanzo di formazione, dove una ragazza profondamente coinvolta
nella propria cultura giapponese, incontra improvvisamente un uomo affascinante proveniente da una cultura a lei sconosciuta e lontana. Lo scontro-incontro che ne consegue è ricco di tensione amorosa ma anche di sorpresa e paura. Paura per una cultura nuova e paura di scoprire qualcosa di sé nell’altro. Ma anche e soprattutto sorpresa e ammirazione per le sorprendenti possibilità di crescita di una ragazza nata e cresciuta con un limitato numero di modelli culturali in cui identificarsi. Uno scambio culturale che non si esprime a parole ma soprattutto e, anzi solamente, attraverso le emozioni, unico vero veicolo comunicativo universale.
La straordinaria interpretazione di Nana Funabiki, prima attrice, e di Michele Gorlero, accompagnata dal Pianoforte (Mari Miura) e dalla voce soprano (Mai Inaba), rappresentanti musicali del mondo occidentale e di quello orientale e la scenografia minimalista ma sorprendentemente evocativa di Makoto - Codice Bianco hanno testimoniato l’incredibile capacità comunicativa di questo spettacolo in occasione di ogni replica.
Akutagawa, l’Uomo Oltre, da una sceneggiatura originale di Paolo Cacciato, tratta della figura umana e delle suggestioni provenienti dagli ultimi scritti e da alcune lettere pubblicate postume dell’importante scrittore e poeta del Giappone moderno, Ryūnosuke Akutagawa. Da un’idea di Paolo Cacciato e Piera Rossi, Akutagawa verrà interpretato da Michele Gorlero, già mimo-attore presso il Teatro alla Scala dal 2016 e membro della compagnia di performance-art I figli di Marla. Siamo ansiosi di poter assistere a questa prova aperta di Akutagawa, l’Uomo Oltre, il cui debutto sarà atteso per il 2019.
Giappone in Italia è orgogliosa di poter partecipare a questo evento che si preannuncia capace di fornire a chiunque suggestioni e spunti di riflessioni. Toccando, come abbiamo visto anche nei precedenti appuntamenti temi quali il Design, la Musica e il Teatro, sappiamo che Switch on Your Creativity (5th Edition) - Awards and Performing Night si inserirà nelle nostre agende annuali come un appuntamento da non perdere.
Speriamo che tutti, e in particolare i nostri tesserati, assisteranno insieme a noi a questa serata così varia e ricca.
Noi ci saremo... e tu?
QUANDO: Lunedi 10 dicembre, dalle ore 18:30
DOVE: Novotel Ca’Granda, Viale Giovanni Suzzani 13, Milano
PER INFO: www.asianstudiesgroup.net
Per maggiori informazioni e per iscrivere la propria presenza contattare Asian Studies Group al 02 2951 3110 o a asg@asianstudiesgroup.net
EUROPA E ASIA IN CONCERTO A SWITCH ON YOUR CREATIVITY 5TH EDITION – AWARDS AND PERFORMING NIGHT
In questo secondo appuntamento di focus sulla serata del 10 Dicembre, presso il Novotel di Ca’ Granda dal titolo Switch on Your Creativity 5th Edition – Awards and performing Night, tratteremo di musica. Infatti in tale occasione saranno presenti rappresentanti della musica lirica provenienti dal mondo orientale e occidentale con un repertorio tratto dalla tradizione di entrambe le culture. Ricordiamo, come sempre, che in tale occasione i tesserati di Giappone in Italia avranno diritto ad uno sconto sulla donazione richiesta per sostenere Piattaforma CAI – Fondo per l’Arte, la Creatività e l’Innovazione.
Noi di Giappone in Italia siamo consapevoli che tra popoli con una storia e un passato così differenti possano sorgere contrasti originatisi da rivalità economiche e politiche, spesso ammantate da conflitti religiosi o culturali. Contrasti che troppo spesso assumono tratti razzisti e che portano ad episodi particolarmente infausti incisi nella nostra storia comune. Ma siamo anche consapevoli che è proprio dalla commistione di elementi provenienti da mondi differenti che si può percepire e imparare qualcosa di nuovo.
La musica occidentale può contribuire ad arricchire quella orientale, così come brani classici appartenenti al mondo cinese, coreano e giapponese possono aiutarci a scoprire sia qualcosa di loro che qualcosa di inaspettato in noi.
Concentrarsi esclusivamente sulla propria realtà porta ad un’inevitabile fossilizzazione culturale impedendo di essere capaci di reagire ai cambiamenti del nostro mondo nonché incapaci di fornire ai nuovi interlocutori, che il mutare sociale genera, ciò di cui hanno bisogno. E’ il continuo esplorare il diverso che permette di cogliere venature e riflessi nuovi anche nella propria secolare tradizione.
Ed è proprio nella serata di Switch on Your Creativity – Awards and Performing Night che noi di Giappone in Italia, sappiamo di poter imparare qualcosa di noi attraverso i repertori e le voci provienti dal mondo orientale e da quello occidentale. E’ in questa commistione che noi crediamo di poter trovare una comunicazione biunivoca che ci permetta di mettere da parte rivalità e inimicizie passate per riscoprire la gioia del considerarci tutti semplicemente umani… amanti della buona musica.
Europa e Asia in Concerto è il nome che è stato attribuito a questo insieme di performance di musica lirica sotto la Direzione Artistica di Paolo Cacciato e la Supervisione Artistica di Valentina Volpe Andreazza la quale ha già ricevuto un riconoscimento nell’ottobre del 2016 per il miglior contenuto interculturale tra Europa e Asia, consegnato da Asian Studies Group e da Expo in Città, come interprete e co-ideatrice del concerto “Europa e Asia in Musica” e che ha debuttato nel novembre dello stesso anno presso il Teatro “Alle Vigne” di Lodi, nello spettacolo “Fushikaden Tenka no Emotions – Lo spirito del fiore – Le emozioni del mondo”, interpretando arie della tradizione giapponese, in lingua originale.
Le straordinarie partecipazioni di Mai Inaba come soprano, di Tan Qipeng come baritono, di Kim Yunkyu come tenore e di Mari Miura al piano ci regaleranno un piccolo scorcio della cultura orientale.
Noi ci saremo… e tu?
QUANDO: Lunedi 10 dicembre, dalle ore 18:30
DOVE: Novotel Ca’Granda, Viale Giovanni Suzzani 13, Milano
PER INFO: www.asianstudiesgroup.net
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