Estetica e funzionalità nel periodo Edo
Nel riscoprire le arti tradizionali del Giappone di epoca pre-moderna risulta immediato un modo di approcciarsi alla produzione artistica e artigianale mirato a sviluppare la funzionalità degli oggetti d’uso comune e al tempo stesso attento ad esaltarne bellezza e preziosità.
Fin dal XVI secolo il Giappone assiste infatti ad uno straordinario sviluppo culturale, di fioritura delle arti decorative e delle arti applicate. Quest’epoca può essere identificata come una sorta di Rinascimento giapponese, accompagnato però da una difficile situazione dove guerre tra clan rivali portano il Giappone ad essere disgregato in numerosi feudi governati da una élite militare. L’apparente contrasto tra innovazione artistica-culturale e violenza distruttiva riflette il fatto che i protagonisti del campo di battaglia fossero al tempo stesso i promotori delle arti e della cultura.
Anche dopo l’unificazione del Giappone sotto lo shogunato Tokugawa e per tutto il successivo periodo Edo (1615-1867) le arti promosse della classe militare, estranea alla corte imperiale, rappresentano il culmine del connubio tra eleganza e praticità. Ogni singolo oggetto nasce dunque con un fine pratico atto a soddisfare uomini pragmatici e di potere, dal gusto sottile e raffinato; la ricerca dei dettagli nelle lacche maki-e, come l’ironia sottile che traspare dai precisi intagli dei netsuke e la ricchezza dei decori nelle armature da samurai, lasciano trasparire richiami poetici ed echi del passato, specchio di un animo eccentrico ma colto. Emblematico è lo sviluppo artistico e tecnico-costruttivo della spada giapponese, che ha prodotto veri e propri esempi di arte astratta, dove linee e forme si intrecciano in un equilibrio di forze al tempo stesso efficienti ed armoniose.
L’estetica funzionale, atta ad abbellire gli oggetti di uso comune e ad elevare gli animi di chi li utilizza, si rivela in un’attenzione al dettaglio e nell’amore per la materia; il gesto quotidiano diventa così un rituale che riflette la consapevolezza del fine ultimo delle cose.
Giuseppe Piva
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