Prossima destinazione – Ciliegi fioriti
“Ogni giorno è un viaggio e il viaggio è la dimora” scriveva il poeta Matsuo Bashō (1644-1694), nelle prime righe del suo diario in pellegrinaggio attraverso il Giappone. Questo haiku torna alla mente scorrendo le tappe del percorso che ripercorre una delle antiche strade che collegavano Edo (l’attuale Tōkyō) a Kyōto e al resto del Paese. Ai tempi del poeta si viaggiava a piedi e sono ancora tanti i sentieri percorsi da escursionisti-pellegrini che si fermano ad accendere un bastoncino d’incenso in ogni santuario sul cammino. Ancora oggi il sentiero di Bashō si snoda attraverso paesaggi eterni e antichi luoghi di culto, tagliando boschi secolari e campi di riso. Il viaggiatore può recuperare il contatto con il passato, si può immaginare come si viveva nel Giappone del periodo.
Fu il primo shogun, Togugawa Ieyasu, a volere questa via di collegamento chiamata Nakasendō , la via in mezzo alle montagne, contrapposta a quella che costeggiava il mare. Alcuni degli undici snodi di smistamento della posta e delle stazioni di rifornimento che punteggiano il primo tratto, raggiungibili un tempo solo a piedi, hanno mantenuto il fascino di allora e conservano la tipica architettura rustica. Alla ruralità dei villaggi si alterna la solennità composta dei santuari shintoisti.
Al termine della guerra civile, grazie ai Tokugawa emerse una nuova classe: i chōnin (abitanti della città) la nuova borghesia cittadina. I membri della classe artigiana e mercantile che abitavano le città esercitavano professioni molto diversificate: il mercante all’ingrosso accanto al venditore ambulante, l’incisore e il forgiatore di spade, il ristoratore e il proprietario di mescite di sakè. Artigiani e artisti che ci hanno lasciato pettini, ventagli, kimono, ceramiche, paraventi, monili e così via, oggetti di fattura e gusto squisiti. Questo è l’ambiente che ritroviamo visitando Tsumago e Magome. Passeggiando nelle viuzze principali ci si imbatte nelle botteghe artigiane che risalgono all’epoca Edo (1603 – 1868), come le antiche case nobiliari dall’inconfondibile architettura con porte scorrevoli affacciate su giardini curatissimi.
Dai villaggi agricoli alla città la distanza è breve. A Kyōto, possiamo ancora trovare il quartiere che fu delle geisha e dei samurai come nel XVII secolo. Uno dei fenomeni culturali che si svilupparono nel periodo Edo fu proprio la nascita dei quartieri di piacere, vere e proprie città nelle città. La loro istituzione mirava a porre sotto controllo governativo il fenomeno della prostituzione. Il termine “quartiere di piacere” però è un’etichetta fuorviante: non si tratta solo di un luogo dedicato al commercio sessuale, ma un organismo complesso dove nuove forme d’arte, musica e letteratura nacquero e si svilupparono, contribuendo a fare della cultura di Edo uno dei momenti più brillanti della storia giapponese. Addirittura vennero coniati nuovi termini per definire le qualità del “frequentatore dei quartieri di piacere”, lo “tsūjin” l’uomo di mondo, arbitro indiscusso di eleganza. Solo in un secondo tempo entrarono a far parte di quel mondo anche le geisha: venivano infatti chiamate per allietare i banchetti, con la musica del loro shamisen e a intrattenere gli ospiti. Il termine significa “persona versata nelle arti di intrattenimento”. Esistevano sia gli uomini-geisha (otoko geisha) sia le donne-geisha (onna geisha). Tra le case da tè nel quartiere di Gion, a Kyōto, è possibile ancora incontrare una donna con l’inconfondibile trucco e abbigliamento tipico.
A Kyōto la ricchezza di siti sacri riflette la molteplicità di culti. Templi buddhisti e santuari Shintō coesistono in un Paese che possiamo definire laico: stato e chiesa non interferiscono fra loro. È un tratto peculiare della storia religiosa giapponese la coesistenza di numerosi culti diversi, come lo Shintō, il Buddhismo – a loro volta già influenzati da confucianesimo e taoismo – oltre a una miriade di Nuove Religioni, movimenti caratterizzati da elementi presi da una o più religioni esistenti. Ad eccezione del Jōdo Shinshū e della tradizione di Nichiren, nessuna delle scuole giapponesi storiche rivendica l’assoluta verità o l’esclusione delle altre scuole.
A Nara possiamo visitare per esempio il tempio Todaiji che contiene un grande Buddha legato alla scuola Kegon, una delle prime scuole del buddhismo antico. Lo spostamento della capitale da Nara a Kyōtō nel 794 d.C. coincide con un ulteriore sviluppo del buddhismo giapponese, grazie ai contatti con la Cina. Le due correnti principali che nacquero e si svilupparono in questo periodo, grazie al contatto diretto con il buddhismo cinese, furono la Tendai e la Shingon, alle quali si aggiunse la dottrina del buddhismo amidista.
La dottrina Tendai si fonda principalmente sul Sūtra del Loto, sullo studio dei testi e sulla meditazione e ha il suo centro di culto sul Monte Hiei. Nel complesso monastico del monte Koya, invece, la scuola Shingon ha un approccio più pratico alla dottrina e allo studio dei testi predilige l’uso di immagini simboliche, i mandala, i mudra, i gesti rituali e i mantra, formule magiche più vicine al buddhismo tantrico.
I templi del Monte Koya sono quasi tutti circondati dai famosi “giardini asciutti”, impropriamente chiamati giardini zen. Karesansui, è il giardino tipico della cultura giapponese, i cui elementi (acqua, piante, montagne) sono rappresentati in maniera simbolica da sole pietre e ghiaia. L’acqua viene rappresentata da “fiumi” di ghiaia il cui moto si scontra con l’emergere dal suolo di grosse pietre disposte in modo apparentemente casuale, allo scopo di simboleggiare il dinamismo delle forme della natura. L’idea che i monaci Zen usino i giardini per la meditazione è una leggenda; in Giappone i monaci Zen meditano quasi sempre al chiuso. Un altro esempio di religiosità genuina e più popolare è la devozione al Buddha Amida che si sviluppa in Giappone dal X secolo. Il Padiglione della Fenice, Byōdō-in, prima residenza della famiglia Fujiwara, diventò un bellissimo esempio di sincretismo religioso, un tempio dedicato al Buddha Amida che unisce la scuola Jōdo-shū (il Buddhismo della pura terra) e la scuola Tendai.
Chiara Bottelli
www.ilbuontempo.it