46-oku nen no Koi
Ciak.
“Ad un anno luce di distanza si può vedere la Terra di un anno fa. Da mille anni luce di distanza, si può vedere la Terra di mille anni fa. La luce, colpendo qualcosa, si infrange ed emana confusi riflessi.”
Leggendo un monologo da quello che potrebbe essere un copione, Endo Ken’ichi presenta al pubblico la singolare ambientazione di questo settantesimo film di Miike Takashi (distribuito all’estero con il titolo Big Bang Love, Juvenile A): un particolare punto da cui, nelle varie direzioni, è possibile vedere il passato della Terra e in cui le linee di demarcazione temporale e la nostra percezione della realtà non hanno più alcun senso.
Solo in seguito ad un secondo prologo, in cui un anziano avvia un ragazzo al rito di passaggio all’età adulta e viene mostrata una danza rituale eseguita da un singolo ballerino, entrano in scena i “tristi giovani uomini appartenenti ad un tempo che ha perso qualcosa” protagonisti di questa misteriosa storia. Ariyoshi Jun e Kazuki Shiro sono rispettivamente colpevole e vittima del delitto intorno al quale si sviluppa tutta la pellicola. I due ragazzi sono stati incarcerati casualmente lo stesso giorno per crimini non connessi tra loro: Ariyoshi per aver ucciso e poi infierito sul cadavere di un cliente del gay bar in cui lavorava che aveva abusato di lui; Kazuki, con già alle spalle svariati precedenti, per aver picchiato a morte un uomo.
Tra i due si instaura subito un legame dai contorni non ben definiti che assume forme diverse nei due protagonisti: il sentimento provato da Ariyoshi è sicuramente di affetto, forse anche amore, e in parte ammirazione nei confronti di Kazuki, tanto che la sua confessione di colpevolezza viene subito messa in dubbio. Kazuki sembra invece mosso più da un istinto di protezione quasi paterno che, insieme al suo carattere per natura violento, lo porta a scatenare continue risse con gli altri carcerati e anche con i secondini, fornendo così a molti un movente per l’omicidio.
Per quanto l’elemento omosessuale sia innegabilmente presente, il legame tra i due protagonisti non costituisce però il tema centrale del film. Con l’espediente dell’indagine svolta da due poliziotti, che fornisce gradualmente allo spettatore informazioni sui personaggi e le loro relazioni, Miike ci conduce infatti in un’esplorazione dei sentimenti e dei rapporti umani che si intersecano all’interno del carcere, senza però fornire spiegazioni o chiarimenti, né tanto meno esprimere un giudizio sui vari personaggi e le loro vicissitudini. Il regista lascia al pubblico la libertà di interpretare il detto e il non detto.
Come spesso nella filmografia di Miike, anche i personaggi di quest’opera sono ragazzi problematici che provengono da ambienti difficili e per i quali il futuro sembra non riservare alcuna felicità. Il razzo spaziale e la piramide all’esterno del carcere, soggetti di uno dei pochissimi dialoghi tra Ariyoshi e Kazuki durante una delle rare scene in cui ci sia spazio per una velata tenerezza, sembrerebbero poter costituire un mezzo di fuga dalla triste realtà. Tuttavia, il film non rivela nulla di più su questi due elementi che restano così privi di spiegazione come la farfalla che compare in alcune scene, unica cosa all’interno del carcere che porti un po’ di vivacità. L’ambiente è infatti molto scuro, con fitte tenebre in cui a volte i personaggi vengono inghiottiti e che privano tutte le stanze di una concreta e limitata definizione spaziale, tranne la cella in cui vengono rinchiusi Ariyoshi e Kazuki. Miike utilizza una scenografia teatrale e distorta con semplici linee bianche sul pavimento nero per delimitare le celle e muri dalle linee oblique, che acuiscono la sensazione di trovarsi di fronte ad un mondo onirico a sé stante al di fuori dello spazio e del tempo.
46-oku nen no koi è un film difficilmente definibile, talmente ricco di simboli ed immagini da non poter essere esaustivamente sintetizzato in pochi paragrafi e questo vuole essere solo un invito a prenderne visione e lasciarsi trasportare dal genio di Miike Takashi.
Maddalena Pologna
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