Vita e morte nel cinema di Kitano Takeshi
Una nuova visione della vita e della morte nel cinema di Kitano Takeshi: Kids Return e Hana-bi
Nell’agosto del 1994 Kitano resta vittima di un gravissimo incidente motociclistico, da lui stesso definito come un “involontario tentativo di suicidio”. L’incidente è uno shock per il mondo dello spettacolo e soprattutto la stampa straniera suppone che Kitano non potrà più tornare a lavorare. Dopo una lunga riabilitazione, durante la quale ha cominciato a dipingere, Beat Takeshi torna però nel 1996 con il suo sesto film Kids Return.
I protagonisti, Masaru e Shinji, sono due studenti che passano il tempo a disturbare le lezioni e a fare scherzi a compagni e professori. Cercando di dare un senso alla loro vita scelgono strade diverse: Masaru entra a far parte della yakuza locale e Shinji si dedica alla boxe. Entrambi i tentativi falliscono, ma nel film è possibile notare come, dopo l’incidente, l’atteggiamento del regista nei confronti della morte sia cambiato. I film precedenti erano, infatti, caratterizzati dal tema del “come morire nel modo giusto” e la morte per i protagonisti rappresentava una risposta. Alla fine di Kids Return, invece, entrambi i protagonisti, anche se non hanno trovato una risposta alla domanda “come vivere”, per la prima volta nella filmografia di Kitano, sono ancora vivi e si sforzano di andare avanti, non si arrendono. La vita assume quindi un nuovo valore e la morte è vista come uno dei tanti momenti dell’esistenza, anziché come il suo solo scopo.
Il successo di Kids Return sarà superato nel 1997 da Hana-bi con cui Kitano torna allo stile e ai contenuti delle sue prime opere: Hana-bi è, infatti, un poliziesco il cui protagonista, Nishi, è interpretato dallo stesso regista. Diviso tra l’impegno sul lavoro e il dovere verso la moglie malata terminale, decide di lasciare la polizia in seguito ad un grave incidente di cui è vittima il suo collega Horibe: affrontando da solo un’operazione di polizia, per permettere a Nishi di visitare la moglie in ospedale, rimane gravemente ferito. Nishi, spinto dal senso di colpa, intraprende quindi una violenta ricerca di giustizia e redenzione.
I personaggi, a differenza di quelli degli altri film, si pongono domande sul significato della vita e della morte e sulle conseguenze a cui portano le loro azioni violente. Nishi è diverso dai protagonisti di Violent Cop o Sonatine in quanto, anziché trovare una via di fuga nella morte, cerca di fronteggiarla sfidandola direttamente. Sebbene alla fine scelga comunque di porre fine alla sua vita e a quella della moglie, la loro morte non è che una realtà della vita, rappresentata dalla bambina che per caso assiste al loro suicidio, attraverso cui compiono un passo avanti verso un’altra vita. La morte è quindi vista come una trasformazione, un passaggio.
Il collega Horibe sceglie, invece, di percorrere una strada diversa continuando a vivere. Dopo essere rimasto paralizzato e aver perso il lavoro, Horibe perde anche la sua famiglia, ma, grazie al disegno e alla pittura, che lo aiuteranno a vedere il mondo da un’altra prospettiva, riuscirà a riconciliarsi con la vita.
Per questo differente approccio verso la vita e la morte si può parlare di una simmetria tra i due personaggi che, per certi versi, possono essere visti anche come due aspetti di una stessa personalità. Nishi e Horibe, infatti, vengono spesso interpretati come rappresentazioni di Kitano prima e dopo l’incidente. Il primo, visto come un elemento di troppo in un mondo dove non può più vivere, decide di percorrere la strada verso la morte. Il secondo, invece, dopo essersi confrontato direttamente con la morte, sceglie di accettare la vita e, secondo quanto detto dal regista stesso, di morire lentamente, come se in realtà avesse scelto un lento suicidio.
Maddalena Pologna
maddpol@gmail.com